Dal rigetto, una politica
Note sulla politica di Freud nel movimento psicoanalitico
p. 109-115
Texte intégral
… l’incisività di un’opera si rivela determinata non dal valore dei suoi argomenti ma dalla sua tonalità affettiva1
1Della tonalità affettiva, pulsionale, non manchiamo di trovare traccia singolare nel testo di Freud del 1914 Per la storia del movimento psicoanalitico, dal quale estraggo differenti declinazioni possibili della politica di Freud in relazione al movimento psicoanalitico, da cui discende una politica della formazione e della trasmissione della psicoanalisi nel suo tempo. Politica che si specifica a partire da come essa si include nel rigetto che produce: «La battaglia decisiva per le sorti dell’analisi non può che avvenire là dove si è prodotta la massima resistenza»2. All’analista, uno per uno e al collettivo di cui fa parte, il compito di farsi “placca sensibile”, recettore della massima resistenza a cui il discorso, nella forma dell’es-pulsione, lo convoca chiamandolo all’atto. Una comunità analitica, al pari dell’analista, si riconoscerà da come farà posto e tratterà a tempo col proprio tempo, il rifiuto ch’essa produce a livello sociale.
1. La politica di Robinson o dello «splendido isolamento»
2Di fronte al rifiuto da parte della comunità scientifica della scoperta dell’inconscio e dell’oscuro fattore sessuale che ne presiede la sua pulsazione, Freud si chiude coi propri allievi in una sorta di laboratorio dove, indisturbati, portare avanti la ricerca e rafforzare il gruppo analitico all’insegna del “far parlare la clinica”. Politica questa che, al rifiuto dell’altro, opporrebbe una ragionevole indifferenza e “sufficienza” o autosufficienza, in una sorta di “illusoria” extraterritorialità della psicoanalisi rispetto alla comunità di cui fa parte: «Come Robinson, m’installai sulla mia isola solitaria nella maniera più confortevole possibile»3. Ma, all’insaputa di Freud, gli effetti di un’analisi si propagano come onde al di fuori delle mura di cinta, diffondendo la voce che, di bocca in bocca, determina quale effetto l’instaurarsi di un campo in cui brulica il desiderio e la domanda. Sorpreso di questa «infezione psichica», l’eroe solo al comando della sua isola si trova ora assediato da domande di giovani medici, letterati, artisti provenienti da ogni dove, ciascuno animato dal desiderio singolare di «imparare, esercitare e diffondere la psicoanalisi»4.
2. La politica dello “stolone”
3Definirei così la risposta politica messa in atto da Freud all’inatteso interesse suscitato dalla psicoanalisi nei più diversi campi del sapere. In botanica, uno stolone è un ramo laterale che nasce alla base del fusto di una pianta definita stolonifera, e che si allunga scorrendo sul suolo, o appena sotto il terreno, producendo radici e nodi da cui si generano nuove piantine che verranno, a tempo opportuno, staccate e trapiantate per fruttificare in un nuovo terreno. Seguite le fragole, fossero anche quelle della figlia di Freud, Anna, e troverete gli stoloni, gli stoloni del desiderio. Direi che il Campo freudiano Anno Zero riparte da Torino col Seminario dell’esploratore Jacques-Alain Miller, facendo leva sulla logica dello stolone, ma avendo come orizzonte la Scuola Parlessere che, a differenza della Scuola Soggetto, non può aspirare a divenire una teoria. Se nella rete ciascun punto si caratterizza per essere connesso agli altri in base a un principio di parità e orizzontalità, lo stolone preserva una disparità e un’assoluta singolarità in quanto frutto di un nodo e di un taglio ogni volta differente. La politica dello “stolone” preserva la singolarità del transfert analitico, costituendo un campo che include le singolarità e scommette sulla pluralizzazione dei nomi propri, in quanto nomi di godimento estratti dall’analisi, là dove il simbolico è ridotto a buco e l’immaginario a un filo sottile che non riflette più alcuna immagine. Si tratta di una politica la cui difficoltà è insita nell’articolare il nodo e taglio sintomatico proprio a ciascuno che, a seconda di come è trattato e mantenuto al lavoro analizzante, da risorsa per la trasmissione della psicoanalisi può trasformarsi nel suo peggiore ostacolo, fino al punto di promuoverne il suo rovescio professando di operare sotto il suo nome. Proprio perché «la psicoanalisi mette in evidenza gli aspetti peggiori di ciascuno»5, non bisogna stupirsi che il peggio per la psicoanalisi possa fare il suo ritorno in quanti a essa si sono formati. Prosegue Freud: «Dovetti apprendere che con gli psicoanalisti le cose possono svolgersi esattamente come con i pazienti in analisi»6.
4Lasciata l’isola, gettati i ponti sulle altre sponde della cultura e della scienza, si pone il problema del controllo e delle deviazioni dal campo propriamente analitico. In Freud la politica dello “stolone” rimarrà all’interno dell’orizzonte paterno e a poco varrà lo spostamento del luogo di “comando” da Vienna a Zurigo: «Sentivo come un peso la responsabilità di guidare un movimento in età così tarda. Ritenevo però che un capo dovesse esserci»7. In questo tempo (1902-10) di grande espansione della psicoanalisi, l’attenzione di Freud resta centrata comunque sulla modalità particolare del rifiuto alla stessa e sulle sue deviazioni. A Vienna, per esempio, «l’analista avverte con tanta chiarezza l’ostile indifferenza degli studiosi e delle persone colte. Può darsi che di ciò la mia politica di evitare il vasto pubblico abbia una parte di responsabilità»8. Il rifiuto della psicoanalisi non è estraneo alla politica messa in atto dall’analista ed è inevitabile là dove la psicoanalisi si mantiene sul filo del reale, dell’impossibile.
3. La politica del sintomo
5In questo terzo tempo il rifiuto alla psicoanalisi, percepito inizialmente come “esterno”, si ripresenta ora all’interno del movimento come recrudescenza sintomatica in cui il fantasma dell’Uno torna a dettare legge su tutti, producendo una degradazione della psicoanalisi sugli altri discorsi nei quali si era inclusa e facendola ricadere in una weltanschauung. La politica attuata da Freud in questo tempo è volta a fare emergere e a separare il nodo sintomatico che annoda il precipitato teorico, fantasmatico, del cosiddetto “analista”, ai significanti del discorso nel quale è immerso, al fine di bordare il nocciolo di reale espulso e riaprire il campo del desiderio. Si tratta di una politica messa in atto a partire dagli effetti di ritorno sul discorso analitico della singolarità del sintomo dell’analista nel suo legame con l’Altro. La politica di Freud è ora quella di scrivere ed elaborare la psicoanalisi, quale effetto dell’inclusione nel rifiuto operato dagli analisti rispetto alla loro stessa esperienza dell’inconscio e del godimento, in cui ciascun stolone, a sua insaputa e al di là dell’amore o dell’odio del padre, pone le sue radici nel reale della vita.
6Concludo con un passaggio tratto dal carteggio tra Freud e Arnold Zweig: «Sono costantemente sorpreso della tendenza degli ultimi anni, che mi hanno portato così dentro l’attualità e la contemporaneità. Inoltre non vorrei più scrivere niente, e invece scrivo di nuovo un’introduzione su qualcosa che fa qualcun altro. Non posso dire di cosa si tratta, in verità è anche un’analisi, ma estremamente contemporanea, quasi politica»9.
Dibattito
Rosa Elena Manzetti
7Mi sembra che Sergio Caretto, con questi tre punti, abbia cercato di mettere in forma tre scansioni. E volevo chiedergli se il suo secondo punto, che lui chiama la “politica dello stolone”, non metta in rilievo come la trasmissione della psicoanalisi avvenga uno per uno, tramite la via del transfert, ma anche come il punto nodale sia il dispositivo della passe che mette in atto Lacan. Certo, una cura può, tramite il transfert e gli atti dello psicoanalista, far fruttare gli stoloni, per così dire, purché ci sia quella messa a lavoro del punto di passaggio. Mi sembra anche, ma glielo chiedo, che lei partisse dalla storia del movimento psicoanalitico in Freud – ma anche al di là di Freud, quindi in generale rispetto al movimento psicoanalitico e alla logica della Scuola di Lacan – per cogliere cosa può incidere su quella che possiamo chiamare la politica lacaniana nella società.
Sergio Caretto
8Credo che Lacan estragga da Freud una lezione importante, sia per ciò che concerne la fine dell’analisi, sia per ciò che concerne propriamente l’organizzazione rispetto al movimento psicoanalitico, che poi metterà in campo con la Scuola. Credo che Lacan abbia potuto avanzare a partire dai punti di impasse che Freud gli consegna.
9Rispetto alla passe, credo che sia un punto cruciale. In fondo, Lacan mette al centro della Scuola la passe e i cartelli, cioè qualche cosa che concerne un sapere che non si può disgiungere dalla clinica e neppure dal lavoro collettivo, quindi da una dimensione pulsionale. Questo a mio parere è quello che fa la grande differenza e che consente che il movimento psicoanalitico non si chiuda su un’intellettualizzazione, che mantenga nel discorso questo punto di reale. In fondo la passe è paradossale, perché spinge a dire a partire da qualcosa che è indicibile, e quindi sostiene una politica dell’atto. Una politica dell’atto vuol dire una politica che non espelle la dimensione pulsionale, ma che apre al dire, cioè crea le condizioni affinché ciascuno possa dire la sua. La passe, al di là che uno venga nominato o meno, è veramente l’esperienza in cui ciascuno può dire il nodo a cui è giunto nel suo percorso analitico, e questa per noi è una risorsa unica.
Rosa Elena Manzetti
10Forse il punto nodale è anche quello che veniva ripreso da Jacques Allain-Miller sulla questione della scelta. La passe si fa per scelta; è una scelta, forzata, ma è una scelta.
Sergio Caretto
11È una scelta forzata, sono d’accordo. È piuttosto assoggettarsi, sottomettersi a questa scelta forzata che spinge come necessità logica.
12Una questione che mi ha molto colpito nel dibattito precedente è stato il punto che veniva alla luce tra il significante padrone e l’oggetto. Secondo me c’è un passo oltre che la clinica ci insegna, dal momento che è la clinica che va oltre la dimensione del fantasma e oltre la dimensione dell’oggetto, rifacendosi piuttosto a qualcosa che concerne le tracce che lalingua ha lasciato sull’essere parlante. In questo senso dicevo che la Scuola Parlessere non mi sembra che abbia la stessa stoffa della Scuola Soggetto, perché mi sembra che sia una Scuola che è animata a partire dal buco e non a partire dalla divisione del soggetto.
Intervento dalla sala
13Mi interessa molto il passaggio dalla Scuola Soggetto alla Scuola Parlessere. Mi sembra un passaggio in cui siamo presi in questo momento. Su questo mi aveva molto colpito una definizione che aveva dato recentemente Jacques Allain-Miller, in uno dei suoi interventi su Lacan Quotidien, a partire da quanto è accaduto in questi mesi, rispetto all’entrata nel campo della politica da parte dell’Ecole de la Cause freudienne. Miller afferma che in fondo ciò che si è prodotto è la passe della Scuola come soggetto. L’ho trovata una formula interessantissima, molto enigmatica, però mi chiedo se non sia da situare precisamente nel passaggio di cui stiamo parlando.
Intervento dalla sala
14Mi è venuto in mente qualcosa che aveva scritto Viganò una decina di anni fa in un articolo intitolato: Ad una realpolitik per la psicoanalisi, in cui dava due suggestioni: una, che il ruolo della psicoanalisi può essere quello di raccogliere gli scarti dell’incalcolabile e della scienza. La funzione della psicoanalisi può essere quella di raccogliere ciò che la scienza lascia per strada. L’altra, che per poterlo fare occorre un consenso. Ora mi domandavo che tipo di consenso noi possiamo mettere in campo, perché non ogni forma di consenso, mi sembra chiaro, può andar bene a sostegno della posizione dell’analista o per la psicoanalisi in generale.
Intervento dalla sala
15Lo stolone non è un innesto, sono tante piantine che diventano tali solo in seguito a un taglio. Non è possibile essere uno stolone e potersi sviluppare, se non c’è prima un taglio. Quindi, in effetti, questa metafora tiene insieme quello che è la Scuola come soggetto, ma anche la Scuola come vuoto. Perché non sappiamo mai come si svilupperà questa nuova pianta, dal momento che concorreranno tanti fattori, in primis questo essere uno diverso dall’altro. In ogni caso, pur nel riconoscimento della similitudine, dell’essere simili per i frutti che si possono dare a partire da uno stesso terreno – diciamo che è il terreno dove è capitato di nascere come piante – d’altra parte si richiama una solitudine dello stolone, una solitudine originaria. Per cui non si può fare comunità se non a partire dal vuoto di quello che è attorno, e creare quel legame libidico che parte da lì.
Sergio Caretto
16Quando accennavo alla Scuola Parlessere era perché mi era capitato, nello scrivere per i Papers di due o tre anni fa – proprio riprendendo un articolo di Jacques-Alain Miller – di scrivere che Miller aveva portato la Scuola fin sul punto di fare la passe come Scuola, quindi probabilmente credo si fosse in un tempo differente. E allora nello scritto lo avevo invitato a Torino, dicendogli che poteva venire a parlarci della Scuola Parlessere.
17Rispetto alla questione del consenso, forse per noi si tratta dell’acconsentire al non-senso. Quindi è il consenso, ma è anche il “con-senza-senso”, che è più complicato, in relazione alla dimensione politica, perché è facile che la politica si chiuda sul senso. Per questo dicevo che trovo interessante una politica che non sia disgiunta dal singolo e dal nome proprio, che si riesce a ricavare dal proprio taglio sintomatico – che qui ho provato a indicare come “stolone”. È interessante perché è il punto su cui Freud punta per la trasmissione, per la fruttificazione della psicoanalisi, quando dice: «Brill ha questo tratto, ci sa fare, è gentile, in America potrà far così». E poi, subito dopo, dice: «Però Brill è stato troppo gentile, per cui la psicoanalisi si è degradata in una specie di speculazione filosofica». Poi dice di Jung: «Speravo che Jung potesse, attraverso la sua competenza e il suo sintomo “religioso”, la sua passione per la religione, inscrivere qualcosa della psicoanalisi in quel discorso». Invece cos’è capitato? Il rovescio, cioè che le rappresentazioni religiose sono ricadute completamente sulla psicoanalisi.
18In questo senso ciò che fa annodamento è anche il punto che è in ogni momento più fragile e su cui si produce la chiusura. Per questo non c’è analisi che tenga. Forse non c’è neanche fine analisi che tenga se non c’è una Scuola che tiene vivo il fatto che ciascuno sia sollecitato sul quel punto di reale.
Notes de bas de page
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