Gramsci, Lacan e la politica
Una tensione tra eretico e organico
p. 53-60
Texte intégral
1L’opera di Antonio Gramsci è rimasta finora piuttosto impermeabile al rapporto con la psicoanalisi. Con l’eccezione degli studi del filosofo argentino recentemente scomparso Ernesto Laclau e dei suoi seguaci, che costruisce in una prospettiva post-marxista una connessione tra il pensiero di Lacan e quello di Gramsci, la bibliografia di studi gramsciani non presenta lavori significativi sul rapporto tra il pensiero del più importante autore marxista italiano e la disciplina inventata da Freud. Tantomeno l’opera di Gramsci, a differenza di quella di altri filosofi marxisti come Herbert Marcuse o Luis Althusser, sviluppa al suo interno un rapporto esplicito con la teoria psicoanalitica. Gramsci muore nel 1937, cinque giorni dopo la fine della sua lunga carcerazione sotto il regime fascista, dunque un anno prima della morte di Freud in esilio a Londra. Immerso nella causa della lotta politica, che per lui s’incarnava in un nesso inscindibile di elaborazione teorica e pratica d’intervento nella congiuntura storica esistente, estraneo al mondo universitario a differenza di altri filosofi marxisti, Gramsci non aveva avuto un incontro significativo con la psicoanalisi.
2Tuttavia, nel momento storico attuale ci sembra degno d’interesse, a ottant’anni dalla morte di Gramsci, provare a interrogare il suo pensiero per vedere se abbia qualcosa da dire alla psicoanalisi di oggi, in particolare in questa congiuntura che si è aperta per noi di recente sul rapporto tra psicoanalisi e politica sulla scia dell’impulso dato al riguardo da Jacques-Alain Miller a partire dalle passate elezioni francesi.
3Per poter avviare questa operazione in modo utile, credo occorra mettere tra parentesi una serie di chiavi di accesso tradizionali sedimentatesi sull’opera di Gramsci, storicamente del tutto giustificate, ma che rischiano di coprire quanto di saliente potrebbe interessare oggi la nostra lettura. In altri termini, non sarà attraverso la via dello storicismo, dell’umanesimo, del contesto del dialogo critico con il neoidealismo italiano di Croce e Gentile, delle diatribe interne al movimento comunista internazionale di cui è stato un esponente di spicco, che riusciremo ad aprire una via feconda di accesso per noi all’opera di Gramsci. È un altro Gramsci quello che può entrare in dialogo e sintonizzarsi con noi. Forse è quello che potrà spiegarci perché l’autore dei Quaderni dal carcere1 sia oggi, dopo il fallimento dell’esperienza storica del comunismo realizzato, dopo la fine del partito comunista italiano da lui fondato, che è stato il partito comunista più forte d’Occidente, non sia stato messo come la gran parte degli autori marxisti in soffitta, ma al contrario sia l’autore marxista più letto dopo Marx. Un autore globale, studiato in tutto il mondo, in Estremo Oriente come negli Stati Uniti, in America Latina come in Africa e in Medio Oriente. E utilizzato attivamente da molti seguaci di oggi per leggere criticamente situazioni problematiche del presente in campo politico, e per provare a trasformarle. Questa dimensione praticamente feconda del pensiero di Gramsci fa sì che la sua opera non sia solo, almeno per il momento, quella di un classico universale, ma mantenga in vita una sua contemporaneità. È questa che qui ci interessa fare emergere.
4Mi limito qui a indicare un punto che potrebbe aprire una lettura di Gramsci utile alla nostra riflessione attuale sul rapporto tra psicoanalisi e politica.
5Questo punto lo definirei come una tensione, in Gramsci, tra la dimensione organica e la dimensione eretica. Gramsci è allo stesso tempo un’intellettuale eretico e un intellettuale organico del pensiero e del movimento marxista. Direi di più: c’è una tensione strutturale in Gramsci tra l’eretico e l’organico. Tensione che è la sua forza e forse il suo segreto. L’eresia è deducibile chiaramente dallo stile del suo discorso e del suo modo di fare propria la lezione di Marx. La sua filosofia della prassi, così come lui definisce il suo pensiero, si oppone a ogni forma di lettura deterministica, teleologica, messianica, economicistica del marxismo e della storia. Per Gramsci, potremmo dire, la lotta politica si fonda su un’assenza radicale di garanzia rispetto ai suoi esiti. Non è la garanzia di uno sbocco processuale verso la crisi e la caduta del capitalismo a guidare il pensiero e la prassi in Gramsci. È piuttosto l’assunzione di una posizione etico-politica, che è alla base di una scelta di campo pratica di carattere rivoluzionario, e che è animata dall’importanza che Gramsci, forse più di ogni altro nel pensiero marxista, ha dato alla lotta politica nel campo della cultura, al rovesciamento e alla conquista dell’egemonia nel campo culturale. La conquista del potere senza l’acquisizione del consenso nella massa è per Gramsci monca, e apre il campo ad una «crisi di autorità», l’espressione è di Gramsci, che la rende fragile.
6Anche nell’ambito della sua posizione politica nel contesto dell’internazionale comunista, la posizione di Gramsci è stata eretica. Fu uno dei primi grandi critici ante litteram dello stalinismo e della sua deriva burocratico-nazionalistico-autoritaria, e nella fase più avanzata del suo pensiero molti studiosi oggi riconoscono lo sbocco verso una prospettiva politica post-leninista, aperta alla costruzione di un radicalismo democratico e cosmopolita. Uno studioso italiano, Franco Lo Piparo, arrivò a sostenere la tesi controversa che Palmiro Togliatti, la mente giuridica del Comintern che prese il posto di Gramsci alla guida del PCI, fece scomparire uno dei Quaderni dal carcere di Gramsci, il più aspramente critico verso Stalin, per preservare Gramsci stesso e le sorti del Partito dalle ritorsioni staliniane.
7Anche l’atteggiamento volutamente antisistematico di Gramsci, deducibile del resto dai suoi scritti, articoli di giornale, lettere, note legate a occasioni contingenti mai riconducibili in lui all’esigenza di faire le livre, il suo privilegiare il frammento al sistema, ci dicono molto della posizione contemporanea di Gramsci, che alcuni critici hanno accostato per questo aspetto della sua scrittura a quella di Walter BenJacques-Alain Millerin. Questo anche se, scrive Gramsci, «La ricerca del leit motiv, del ritmo del pensiero in sviluppo, deve essere più importante delle singole affermazioni casuali e degli aforismi staccati»2. Però in Gramsci questo aspetto si salda con la lucida esigenza di iscrivere questa posizione nel quadro di un organismo collettivo orientato alla trasformazione della società, e di cui egli stesso ha fatto una teoria e una prassi. Anzi, come sostiene Antonio Santucci, uno dei maggiori esperti gramsciani, «Gramsci è tra i pensatori marxisti in cui la saldatura tra teoria e pratica, pensiero e azione, è più compatta»3. È questo il Gramsci fondatore del partito comunista italiano, teorico del partito come “novello Principe”, lettore di Machiavelli, scopritore della funzione dell’intellettuale organico come qualcosa di distinto dall’intellettuale tradizionale. La definizione dell’intellettuale di tipo organico non va banalizzata. Non si tratta semplicemente di un intellettuale di seconda categoria rispetto al grande intellettuale, né di un puro agente ideologico. Da un lato la nozione gramsciana di intellettuale organico ci permette di fornirci di un’idea non riduttivamente letteraria dell’intellettuale, e di passare a una idea discorsiva dell’intellettuale, in una sensibilità che Michel Foucault svilupperà ampiamente, e che permette di includervi tutti i settori del funzionariato legati agli apparati ideologico-educativi della società (la scuola, l’educazione, eccetera…). In secondo luogo, l’intellettuale di tipo organico, in particolare quello che Gramsci pensa come agente per il rovesciamento dell’egemonia nel campo culturale, è un intellettuale che è mosso da una causa nella quale si riconosce e nella cui realizzazione inscrive la propria azione nel campo della politica. In questo senso forse nella sua recensione al libro di Rancière su Lacan Quotidien 516, Jacques-Alain Miller si autodefinisce tra virgolette un «intellettuale organico» del Campo Freudiano. Per Gramsci, c’è una differenza precisa tra l’intellettuale organico al servizio del potere dominante, e l’intellettuale organico che opera per trasformare criticamente la cultura e la società. Quest’ultimo, scrive Gramsci, è mosso dall’esigenza di dire la verità alla massa, non lavora per persuadere con ogni mezzo ma per trasformare facendo emergere quanto rimane occultato. Cito Gramsci: «Nella politica di massa, dire la verità è una necessità politica»4. Per Gramsci si tratta di una verità da intendere in modo pragmatico, che non preesiste alla prassi ma emerge in essa, e si deduce dai suoi effetti nella congiuntura politica. Non è in fondo una cosa così diversa quella messa in campo prima delle elezioni francesi dall’Ecole de la Cause Freudienne, quando ha voluto svelare la dediabolizzazione del Front National di Marine Le Pen? In questo senso Gramsci recupera e da una dignità alla nozione di verità in politica. Cosa interessante per noi, a condizione di intenderla, come ci insegna Lacan, come non tutta dicibile.
Dibattito
Jacques-Alain Miller
8L’intervento di Domenico Cosenza introduce Gramsci nel nostro Pantheon, nella nostra considerazione lacaniana. Gramsci è una sorta di figura di santo marxista. In fondo è un riferimento sia per la destra che per la sinistra. L’estrema destra in Francia si riferisce a Gramsci e in particolare alla sua idea di egemonia nel campo culturale.
9Vorrei porre due domande prima di aprire il dibattito. Lei parla della posizione etico-politica di Gramsci: io mi domando se non interessi più per la sua posizione etica che per quella politica. In fondo ha trascorso più di dieci anni della sua vita in prigione. È stato davvero lo scarto del potere fascista che l’ha buttato nella spazzatura. È da questa spazzatura che ha scritto, per lo meno ha questo lato del santo lacaniano. Sono anche molto sensibile a ciò che c’era in lui anche prima di diventare comunista. Ho qui una raccolta di piccoli articoli che Gramsci scriveva nel giornale La città futura nel 1917 e questo articolo è una dichiarazione contro la posizione di indifferenza. Non prende posizione per la finalità comunista o socialista, ma contro l’indifferenza in quanto tale e scrive: «L’indifferenza è il peso morto della storia. È l’abulia, il parassitismo, la vigliaccheria, è per questo che odio gli indifferenti».
10Questo è indipendente da ogni posizione politica, è un orientamento propriamente etico. Anch’io odio gli indifferenti a causa della noia chi ci procurano i piagnistei degli eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro: come ha assunto il compito che la vita le ha affidato e che le affida ogni giorno? In fondo è questa la colonna vertebrale di Gramsci, per quel che ne so.
11In secondo luogo è famoso per il suo concetto di egemonia nel campo culturale che sarebbe una precondizione per la rivoluzione o la presa di potere. Non sono convinto, non so nemmeno cosa voglia dir l’egemonia nel campo culturale. Cosa è per noi il campo culturale? Chiederei una discussione su questo punto piuttosto che considerare che sia una cosa ben nota.
Domenico Cosenza
12Rispetto alla prima questione, sono d’accordo che c’è una dimensione etica in Gramsci che precede il suo ingaggiarsi nella questione politica, senza dubbio, si può desumere dai suoi scritti del primo periodo; credo però che l’incontro forte che ha con il proletariato di fabbrica a Torino abbia inciso sulla sua storia nel senso che ha permesso di agganciare la sua dimensione etica di fondo a una causa. Da quel momento cambia qualcosa nell’articolazione della posizione di Gramsci, che diventa un’articolazione etico-politica, nel senso che l’intransigenza etica si è collegata alla causa del movimento comunista rivoluzionario. A partire da lì è nato tutto il suo attivismo che ha caratterizzato la sua azione politica fin da Ordine nuovo e anche il suo impegno giornalistico nell’ambito della pubblicistica comunista.
Jacques-Alain Miller
13Si, è stato uno scrittore e un intellettuale, ha partecipato alla fondazione del Partito Comunista, è stato segretario del Partito Comunista a partire dal 1925 ed è stato arrestato già alla fine del 1926. Qualunque sia stato il suo attivismo politico, in fondo rimane per noi uno scrittore e un intellettuale.
Domenico Cosenza
14Diciamo che l’esperienza del carcere ha introdotto un taglio nell’esistenza di Gramsci, un taglio interessante anche dal punto di vista di ciò che ha prodotto, nel senso che i Quaderni dal carcere, che sono il luogo di elaborazione teorica di Gramsci, segnano anche un cambio nella sua scrittura. Mette infatti in campo una scrittura molto lucida e teorica, rispetto a tutti i problemi che affronta, dagli intellettuali al rapporto fra struttura e sovrastruttura, il saggio su Machiavelli, mentre le Lettere invece ci offrono la dimensione personale di Gramsci, che parla con i suoi interlocutori famigliari. Con i Quaderni inizia il momento di elaborazione teorica di Gramsci. Certamente non c’è alcun dubbio che ha passato gran parte della sua vita in carcere, però non è mai venuto meno alla posizione che aveva iniziato a tenere da quando aveva incontrato a Torino la causa comunista. Da quel momento la sua posizione è rimasta veramente solida.
15Su questo punto quello che mi sembra interessante è anche il modo con cui lui concepisce e pratica la posizione dell’intellettuale organico, perché mi sembra, e sarebbe interessante discutere su questo, che introduca una differenza rispetto alla posizione dell’ortodosso. L’intellettuale organico non è un ortodosso, c’è una differenza: l’intellettuale organico mette al primo posto la causa e in secondo luogo la fedeltà ai precetti trasmessi dalla tradizione. Gramsci era organico ma non era ortodosso.
Jacques-Alain Miller
16Organico, significa accettare di essere un organo dell’organismo collettivo. Da questo punto di vista anche i preti, in particolare i gesuiti, che accettano di essere gli strumenti della causa, perinde ac cadaver.
Domenico Cosenza
17È però utile distinguere l’organico e l’ortodosso, perché sono due posizioni diverse. Gramsci è organico ma direi che è anti-ortodosso.
18Gramsci non è un eretico, ma c’è una dimensione eretica nell’organicità di Gramsci, non è un intellettuale organico allineato, anzi porta sempre a una condizione di tensione la sua posizione rispetto al suo Altro di quel momento, che era il movimento comunista internazionale. Tant’è che Togliatti ha dovuto fare in più momenti un lavoro di mediazione per evitare che Gramsci si mettesse in situazione più complicate.
Jacques-Alain Miller
19Si tratta anche della definizione dell’intellettuale nell’epoca dei partiti politici di massa. Sartre parlava dell’intellettuale impegnato, e se questo intellettuale si impegna nel Partito Comunista, diventa uno strumento del Partito. In fondo Gramsci è favorevole al sacrificio dell’antica libertà di pensiero, forse con delle riserve. In fondo è l’opposto delle tesi di Simone Weil, che beninteso sono tesi folli favorevoli alla sparizione dei partiti politici. Dunque non ci potrebbero più essere degli intellettuali organici dei partiti politici se non ci fossero più partiti politici.
Domenico Cosenza
20Mi chiedo in questo contesto che valore dobbiamo dare a quanto lei proponeva sulla rivalorizzazione dell’ortodossia. Che cosa dobbiamo intendere con questo oggi, rispetto per esempio all’ortodossia analitica lacaniana: in che cosa la possiamo riconoscere, in che senso va rivalutata, rivalorizzata nella sua funzione, in che rapporto possiamo pensarla rispetto alla dimensione eretica che Lacan ha messo in campo nel suo rapporto con la psicoanalisi, andando oltre l’ortodossia da cui proveniva e di cui in qualche modo era figlio.
Jacques-Alain Miller
21Questa mattina abbiamo richiamato il fatto che la poesia e la politica, la politica e la letteratura vanno sempre di pari passo. È un legame che si disfa alla fine del xix secolo con i simbolisti, con la scuola de La nouvelle revue française. Forse è cominciato con Mallarmé. Poi è arrivato Sartre con l’idea dell’impegno come un salto che l’intellettuale o lo scrittore dovevano fare. Come se la legge e i profeti fossero l’arte per l’arte, mentre era una piccola parentesi nella storia delle idee. Sicuramente quelli che lavorano con la lingua e il linguaggio sono necessariamente portati a parlare politico. È questo va da sé anche nella psicoanalisi. Rimane la questione dell’egemonia.
Domenico Cosenza
22Il concetto di cultura che Gramsci utilizza non è facilmente traducibile nel nostro linguaggio, ma penso che per come funziona è interessante intenderlo nel modo in cui Foucault prende la dimensione del discorso, strettamente collegato alla dimensione politica. Non è una cultura sganciata dalla sua base materiale di riferimento, ma si nutre di questa. L’idea dell’egemonia non è tanto prendere una via ideale nel processo di cambiamento puntando alla presa di potere sul piano materiale, sul piano economico, delle infrastrutture; non è questo che Gramsci pensa. Lui pensa che per i paesi dell’Occidente, cioè i paesi che già hanno conosciuto una industrializzazione, uno sviluppo avanzato, sia molto difficile pensare a un processo rivoluzionario inteso come guerra di movimento e come presa di potere diretta. Pensa invece che nei paesi dell’occidente sia più importante e sia praticabile una guerra di posizione, e nella guerra di posizione diventa decisiva la conquista dell’egemonia sul piano delle idee, sul piano del consenso nell’opinione pubblica.
Jacques-Alain Miller
23Questo vale in un’epoca in cui c’è già un’opinione pubblica che non c’è sempre stata. E questo sembra concettualizzare soprattutto ciò che è avvenuto all’epoca della rivoluzione francese, oppure della rivoluzione americana, che era già stata fatta prima di essere stata dichiarata. Nella rivoluzione russa Lenin non aveva affatto l’egemonia nel campo culturale, e ci sono molti altri esempi contrari.
Domenico Cosenza
24Gramsci fa precisamente questa opposizione fra guerra di posizione e guerra di movimento, e pensa che la guerra di movimento sia praticabile in quelle aree del mondo in cui non c’è stato uno sviluppo borghese della società: per esempio la rivoluzione russa secondo lui è esattamente la dimostrazione di questa idea, cioè che lì è stata possibile una presa di potere che non svolgesse un lavoro previo o parallelo sul piano della battaglia delle idee. Lì è stato possibile ed è possibile in paesi in via di sviluppo, ma non è più possibile in paesi nei quali invece abbiamo una società industriale.
Notes de bas de page
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