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Dante, eretico

p. 33-37


Texte intégral

Soleva Roma, che ’l buon mondo feo, due soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo. L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada col pastorale, e l’un con l’altro insieme per viva forza mal convien che vada.1

1Dante, tramite Marco Lombardo, illustra la sua visione del mondo nel XVI canto del Purgatorio. Ci sono due soli, il papa e l’imperatore.

2Come sfondo, c’è un passo del Convivio (IV, v, 3-4): Dio invia sulla terra suo Figlio per riscattare gli uomini dal peccato originale. Ma sia il cielo (ossia la sfera spirituale) sia la terra (ossia la sfera temporale) devono essere nella disposizione adeguata. E a tale scopo occorre il governo imperiale per le cose terrene e il governo papale per le cose spirituali.

3Su questo punto Dante è eretico. Eretico nel duplice senso del termine.

4È eretico in quanto fa una scelta, scelta che è contraria alla sua appartenenza politica.

5Appartenenza politica che è ampiamente conosciuta da quando eravamo sui banchi di scuola, almeno per il fatto che lui, guelfo, fu bollato di essere un «ghibellin fuggiasco», e quindi nemico – e non a torto – del papa e degli esecutori della sua condanna all’esilio (condanna messa in atto dai famosi «frati godenti fummo e bolognesi»).

6Dante è quindi fautore della visione ghibellina del mondo, rappresentata dai due soli, e non già fautore della visione guelfa, la quale metaforizza il potere papale nel sole e quello dell’imperatore nella luna, luna che non fa altro che emanare una luce riflessa.

7Ma Dante è eretico anche perché si oppone frontalmente a san Tommaso d’Aquino.

8Noi sappiamo che la Divina Commedia è, tra l’altro, una trasposizione in poesia della Summa Theologica di san Tommaso, e in quest’ottica Beatrice è l’incarnazione della teologia stessa. Dante segue pedissequamente l’Aquinate, ma se ne discosta rispetto a un punto preciso: alla politica.

9Prendiamo un autore dantesco, amato da Lacan.

10Questo autore non è René Guénon, prolifico divulgatore di tanti sproloqui, tra cui uno sull’esoterismo di Dante. Lacan considerava Guénon un perfetto imbecille.

11L’autore dantesco amato da Lacan è Etienne Gilson.

12Gilson mette in parallelo un passo del De Regimini principum (I, 14) di san Tommaso e un passo del De Monarchia (III, 3) di Dante.

13Scrive san Tommaso che al Romano Pontefice, vicario di Cristo e successore di Pietro «omnes reges populi christiani oportet esse subditos, sicut ipsi Domino nostro Jesu Christo» (al Romano Pontefice tutti i re del popolo cristiano devono essere sudditi, come lo si è al Cristo).

14Scrive invece Dante che al Romano Pontefice, vicario di Cristo e successore di Pietro «non quidquid Christo sed quidquid Petro debemus» (non dobbiamo ciò che è dovuto a Cristo, ma solo ciò che è dovuto a Pietro).

15Gilson nota: «Tutto il problema è condensato in queste due frasi, di cui colpisce l’opposizione quasi letterale […] Sono due frasi in flagrante contraddizione». Ambedue riconoscono la supremazia temporale di Cristo, ma san Tommaso afferma che il Cristo ha trasmesso la sua duplice regalità a Pietro e ai suoi successori. Dante, al contrario, dice che se il Cristo, in quanto Dio, ha posseduto la sovranità temporale, di questa sovranità tuttavia «non ha mai fatto uso». E Pietro e i suoi successori non devono farne uso. Non è competenza di Pietro e dei suoi successori l’uso del potere temporale.

16Tra Dante e san Tommaso le posizioni sono inconciliabili.

17La visione politica di san Tommaso è teocratica, non diversa da quella che l’islam ha avuto e ha ancora.

18La visione politica di Dante è «juxta modum» moderna. Non è atea. È laica, ossia la sfera spirituale è altra cosa della sfera temporale.

19Nei secoli la lotta tra le due sfere ha alterne vicende. Nel vi secolo l’imperatore Giustiniano tratta papa Pelagio come un suo portaborse. Quattro secoli dopo, nella guerra papato/impero per le investiture, Gregorio VII aspetta a Canossa l’imperatore Enrico IV. Napoleone, nonostante Dio si sia appannato nel frattempo, non tratta meglio Pio VI di come l’imperatore di Costantinopoli trattasse il papa romano.

20La separazione netta tra potere temporale e potere spirituale avviene solo agli inizi del 1600 a Venezia, città eretica per eccellenza, a proposito del potere giudiziario. Il teologo servita Paolo Sarpi si fa paladino della Serenissima contro il potere di papa Paolo V per una questione di delitti commessi da religiosi. Al contrario, al giorno d’oggi, papa Bergoglio licenzia il cardinale Pell perché si difenda in un tribunale australiano da un’accusa di pedofilia.

21Eppure un secolo fa, nel 1921, ossia dopo quella Grande Guerra che segna un cambiamento epocale nelle ideologie e negli imperi, Benedetto XV, nell’enciclica per il sesto centenario della morte di Dante, dopo averlo osannato a lungo, dice in sordina il suo rammarico perché Dante afferma che la dignità del potere temporale proviene direttamente da Dio.

22Come si vede l’eresia di Dante si dimostra più lungimirante della posizione del suo santo antagonista.

23Se mettiamo in parallelo la politica di Dante con quella di Lacan, che cosa troviamo? Troviamo che il potere religioso è di un altro ordine del potere politico, al quale non deve arrogarsi di sostituirsi. Il politico si riferisce al discorso del significante padrone, e si svolge a livello del godimento fallico. Diversamente è, o dovrebbe essere, il discorso religioso, che è segnato dal non-tutto e che dovrebbe rifuggire da ogni forma di padronanza.

Dibattito

Jacques-Alain Miller

24Per il momento chiederei solo a Antonio Di Ciaccia qual è il punto preciso sul quale porta la sua puntuazione lacaniana. Se è sul fatto che Dante smentisce san Tommaso d’Aquino o sul fatto specifico del potere papale. Oppure sono fuori tema?

Antonio Di Ciaccia

25Penso che questo riprenda un po’ ciò che è stato detto diceva prima, sulla questione dell’S1 e dell’oggetto a. Forse è Gilson che accentua questo e non tanto Dante, il fatto che c’è un rifiuto della posizione di potere in una delle due sfere: l’S1 è unicamente dalla parte dell’imperatore.

Jacques-Alain Miller

26Fondamentalmente si tratta del conflitto tra il papa e l’imperatore, che domina la questione politica al tempo di Dante e che è già un conflitto che sta per essere superato dalla questione dello stato-nazione. Sarà la questione dello stato-nazione che diventerà centrale nella politica europea. Al tempo di Dante siamo prima, ci troviamo di fronte al conflitto tra due significanti padroni, il papa e l’imperatore, che obbedisce alla logica del discorso del padrone, perché mira al “per tutti”. La preoccupazione di Dante è quella della comunità universale. Per lui il luogo che può accogliere, ospitare la comunità di tutti gli uomini è l’impero. Ha un concetto dell’l’impero che ricopre il “per tutti”. Quello che Gilson, cosi come un certo numero di interpreti, suppone è che questo universale, in realtà, celi il vero oggetto del desiderio di Dante. Il vero oggetto del desiderio è Firenze, sottrarre Firenze all’influenza del papa e che Firenze vinca contro il papa. Si deve quindi mobilitare l’impero e l’universale per proteggere Firenze. Abbiamo quindi un’altra figura dell’amore di Dante, un’altra oltre Beatrice, che è Firenze. Cosa ne pensa della mia elucubrazione?

Antonio Di Ciaccia

27Direi che non sono d’accordo. Non sono d’accordo nel senso che tutte le questioni di Dante con Firenze le conosciamo, però c’è una posizione del cristianesimo che riprende da san Tommaso e che rimane enigmatica rispetto alla questione di quale potere abbia questo Cristo. Io direi che la questione tra l’Impero e la Chiesa viene dopo, e faccio notare che tutto si gioca sulle investiture, che sono una questione di eredità: il vescovato viene dato a dei Principi che diventano vescovi, al di fuori dell’Italia, dei vescovi che diventano principi all’interno dell’Italia. Le Alpi funzionavano come luogo di ripartizione. Ma a cosa serviva questa faccenda di mettere insieme vescovi e principi? Che anche se avevano figli, non c’era eredità, che ritornava da una parte all’imperatore e dall’altra parte al papa. Sapete che l’unico momento in cui la Chiesa si è ritrovata con una possibile eredità è stato con papa Borgia e suo figlio Cesare Borgia, distrutta come sapete dal focoso Giulio II.

28Quello che lei dice è piuttosto che gli S1 si sono moltiplicati fra l’Impero e i diversi stati. Tutto sommato lo stato francese, i diversi stati spagnoli e altri, avrebbero dovuto far parte dell’unico Impero. Invece c’è stata una moltiplicazione, e devo dire che è avvenuto anche rispetto alla Chiesa. In una discussione di qualche tempo fa, non ricordo bene i riferimenti, lei richiamava la questione del gallicismo per la Francia, la questione del gallicanesimo in Francia e i Gesuiti che lottavano per Roma. La questione è dunque che alla Chiesa c’è voluto un tempo enorme per capire qual era il suo potere, e il suo potere non è quello materiale. Il momento migliore per la Chiesa è stato quando i bersaglieri hanno preso Roma nel 1870. Un po’ tardi… Tenete presente che il papa, che era Pio IX, fece una cosa molto semplice. Disse che, fra i suoi, nessuno poteva sparare, però scomunicò tutti.

Notes de bas de page

1 Dante, Purgatorio, canto XVI.

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