Annodamenti non anonimi
p. 143-148
Texte intégral
1Alcune considerazioni in relazione alla specificità del disagio nella nostra epoca e al posto che occupa il bambino hanno portato alcuni psicoanalisti, psicoterapeuti e operatori sanitari formati dalla psicoanalisi alla costituzione di istituzioni non residenziali rivolte a bambini e adolescenti.
2Un primo aspetto riguarda, in generale, il fatto che la società odierna è più che mai centrata sul consumo e sulla necessità di divenire adulti capaci di adeguarsi alle esigenze economiche, morali, lavorative del momento e ottemperare ai bisogni di consumo imperanti. Gli ideali che trasmessi alle nuove generazioni risentono di una dispersione nei legami e di principi di individualismo sempre più pressanti.
3Mai come ora, i soggetti non si aggregano più sul filo di un’identificazione simbolica, quindi a partire da un desiderio che anima il soggetto, desiderio che richiede di essere sostenuto in quanto permette la costruzione di un proprio posto nel mondo. Per esempio, nei discorsi si può cogliere come la scelta di una o più attività sportive sia spesso legata all’esigenza dell’adulto di “occupare” il più possibile il tempo del/della proprio/a figlio/a.
4Allo stesso tempo, un certo modo di intendere “il fare” nella contemporaneità sembra più legato al fatto che un certo numero di individui si trovino nello stesso luogo a fare la stessa cosa, rimanendo però ciascuno in una condizione di isolamento, senza che questo produca un effettivo legame. Possiamo vedere l’esasperazione di questa deriva nella sempre più frequente costruzione di comunità virtuali, che mettono fra parentesi la dimensione del corpo come presenza viva e animata.
5Un secondo elemento riguarda il posto riservato oggi all’infanzia e al bambino. Mai come in questi anni un’attenzione speciale è riservata al bambino, sia in famiglia che nei progetti educativi e di cura. Oggi troviamo un immenso mercato non solo fatto di oggetti, ma anche di offerte (educative, sportive, aggregative…), che può rischiare di anticipare ogni desiderio del bambino stesso, facendo passare in primo piano la soddisfazione dei bisogni come canale privilegiato di legame. Questo aspetto può avere come conseguenza il fatto di lasciare il bambino in balia di un Altro che non potrà che trovarsi, a un certo punto, impotente nel rispondere, con la sola somministrazione di oggetti, agli enigmi che il bambino incontra nel suo sviluppo.
6Quindi, non solo un surplus di offerta, ma anche un’estrema valorizzazione della prestazione che può portare a mettere sotto un segno sfavorevole qualsiasi manifestazione soggettiva di impaccio e di imbarazzo.
7Il terzo elemento riguarda l’aumento progressivo delle diagnosi precoci di disturbi del comportamento nei bambini. L’esperienza clinica permette di constatare che, nelle nostre società, a differenza di quanto avveniva in passato, ogni minimo scostamento da una presunta normalità viene etichettato come patologico. In questo quadro, il confine fra normale e patologico diventa talmente sfumato che sempre più spesso gli adulti che hanno a che fare con un minore (genitori, insegnanti, educatori) si rivolgono al “sapere esperto” per chiedere se questo o quel comportamento del bambino o dell’adolescente possa essere considerato “normale”.
8L’effetto di questa patologizzazione dilagante è molteplice. Negli adulti alimenta la richiesta di intercettare, nel modo più precoce possibile, eventuali segni di disagio psicologico nel minore. Ogni piccolo inciampo, che fino a pochi anni fa veniva considerato come pertinente al ciclo di vita, è oggi fatto oggetto di un’attenzione quasi morbosa. Questo induce non solo una spirale di ansia e preoccupazione nell’adulto, che non è priva di effetti sul bambino stesso, ma anche, paradossalmente, manifesta una difficoltà sempre crescente di riconoscere una reale condizione di sofferenza soggettiva del minore, per la quale sarebbe necessario un trattamento opportuno.
9Sulla scorta di questa analisi sono nati alcuni Centri la cui offerta è rivolta a minori che si trovano a vivere una condizione di disagio che potremmo definire “atipica”, in quanto non rientra in nessuna delle categorie attualmente disponibili nel campo neuropsichiatrico e socioassistenziale.
10Ciò che funziona da bussola per coloro i quali lavorano orientati dalla psicoanalisi parte dall’insegnamento Freud in relazione a ciò che egli chiamava «disagio della civiltà». Quel senso di inadeguatezza, di incompletezza, di insufficienza che caratterizza la condizione dell’essere parlante nel suo rapporto con il mondo, non è un deficit, un difetto da correggere, ma riguarda l’umano in modo strutturale.
11Il fatto di dipendere fin dalla nascita dall’altro, di essere rappresentati dal linguaggio che, a differenza dell’istinto, non può dire tutto ciò che ciascuno è, percepisce, prova e pensa, mette l’essere parlante in una condizione particolare di legame con gli altri: generalmente non può fare a meno di rivolgersi a loro e, al tempo stesso, se ne sente a volte sopraffatto, a volte un po’ perseguitato, per lo più un po’ scontento!
12Di fronte a questo aspetto universale del legame, possiamo verificare nel quotidiano che ogni soggetto inventa una soluzione propria e irripetibile per rapportarsi all’Altro, così come pure per tenersene al riparo. Alcune di queste soluzioni possono costare, talvolta, un prezzo molto alto al soggetto: per esempio isolarsi da ogni legame per evitare l’incontro con qualcosa che può risultare minaccioso; rendersi sordi al sapere che viene dall’altro e, di conseguenza, incapaci di apprendere, perché ciò che è messo in atto è un rifiuto radicale; o, ancora, attaccare violentemente l’Altro per invocarne la presenza quando ci si sente lasciati cadere.
13Si può constatare che per ciascun soggetto, in modi diversi, ciò che è messo in atto è già sempre una risposta a qualcosa che intimamente lo disturba. Non tanto, dunque, un disfunzionamento o un comportamento da correggere e rettificare, quanto piuttosto la sola soluzione che, fino a quel momento, il soggetto è riuscito a trovare per produrre un qualche legame con l’altro.
14Spesso per chi è accanto al minore e se ne prende cura, può risultare molto complesso e faticoso (oltre che fonte di preoccupazione, di frustrazione e, talvolta, anche di forte insofferenza) sostenere il legame con qualcuno che ha inventato, come sola soluzione per esistere soggettivamente, quella di sottrarsi radicalmente al legame, di aggredire l’altro, di ottundersi attraverso l’abuso di una qualche sostanza o di un persistente rapporto con gli oggetti tecnologici. Capita così che sia il minore stesso, tanto fragile e faticosamente impegnato a trovare un proprio modo per sostenersi nel mondo, a risultare per gli altri, con i suoi comportamenti, fonte di disturbo. Si rende necessario, in questi casi, produrre una certa sospensione temporale e una opportuna distanza spaziale, che consenta al bambino o al giovane di trovare un luogo che faccia posto a quella che fino a quel momento è stata considerata una soluzione “disturbante”.
15Accogliendola in atto, riconoscendola e valorizzandola come tentativo di ripararsi da ciò che per lui o per lei è fonte di disturbo, si possono predisporre le condizioni per inventare nuove e meno precarie soluzioni per mantenersi nel legame. Si tratta quindi di un’offerta che viene presa in considerazione quando si valuta che la dimensione del rapporto “uno a uno”, anche quando si utilizza il gioco come terzo, possa rappresentare per il bambino un approccio da un lato troppo “diretto” e dall’altro un modo che non consente di mettere in luce la condizione in cui spesso si producono le difficoltà, cioè il rapporto fra pari.
16Per quanto riguarda il rapporto con l’adulto, per alcuni bambini e adolescenti esso a volte si riduce al fatto di metterlo nella posizione di qualcuno a cui “dare degli ordini” rispetto a cosa dire e fare in relazione a ciò che sta avendo luogo (un gioco, un laboratorio…). Questo indicare con una certa decisione il posto che deve occupare, rischia spesso di mettere l’adulto stesso in un posto muto che può portarlo, specularmente, a intervenire in modo altrettanto direttivo e autoritario.
17Questo aspetto non deve sorprendere perché non fa che riflettere quanto accade nel sociale: nell’epoca dell’Altro che non esiste1, in quanto riferimento simbolico, si punta a istituire un altro dittatoriale. D’altronde, gli stessi genitori spesso dichiarano la difficoltà a introdurre delle disparità, delle differenze con i propri figli/figlie.
18Ogni epoca ha le sue caratteristiche strutturali specifiche e porta con sé ineluttabilmente anche un disagio specifico, diverso per ogni epoca. A ogni epoca il proprio disagio della civiltà, come scriveva Sigmund Freud.
19Lacan parla di «evaporazione del Padre»2come scenario sul cui sfondo troviamo sempre più giovani spaesati, alla deriva, privi di riferimenti ideali e presi piuttosto da identificazioni conformistiche, assoggettati alle loro pratiche di godimento, legami liquidi sbriciolati e frammentati dall’oggetto di godimento che è illimitatamente offerto dal mercato.
20Le forme contemporanee del disagio ci mostrano individui staccati dalla comunità, disinseriti dai legami e che fanno sempre più fatica a trovare delle vie sublimatorie. Nel corso del secolo scorso siamo passati da una società e cultura del desiderio a una società e cultura fondate sul godimento: se un tempo era il padre nella sua funzione di interdizione a porre un limite istituendo una legge che implicava delle possibilità e dunque anche delle impossibilità, oggi ci troviamo piuttosto confrontati con uno scenario in cui tutto sembra possibile, e soprattutto i più giovani vi sono completamente immersi. Questo tempo caratterizzato dalla centralità del godimento “tutto e subito” sembra farci credere all’ideale di una vita senza leggi e senza limiti, ma la vita reale non manca di presentarci condizioni in cui la soddisfazione non è a portata di mano. Nella vita reale non tutto è possibile. Per poter sopportare questi impossibili sarebbe utile ai soggetti, inclusi i bambini e i ragazzi, aver potuto sperimentare il senso del limite e l’attesa della soddisfazione. Oggi mediamente sopportiamo meno l’attesa e i passaggi necessari da compiere per ottenere ciò che vogliamo o ciò che domandiamo. Il tempo del desiderio, oltre a farci spesso soffrire, si sostiene anche con molta fatica e qualche volta è impossibile da sopportare: per questo il soddisfacimento immediato è diventato quasi un comandamento che governa le nostre vite. L’effetto di questo è una difficoltà crescente dei bambini e dei ragazzi nell’accedere alla dimensione della mancanza e del limite, condizioni di base per il sorgere del desiderio, il solo a non farci desistere di fronte al disagio e alle difficoltà insite nella vita quotidiana.
21In una società centrata sul consumo come la nostra, gli ideali che si trasmettono risentono di una dispersione nei legami e di principi individualistici molto pressanti. Oggi spesso i soggetti si aggregano sulla base di un comune modo di godimento, come mostra bene il consumo sempre più crescente fra gli adolescenti di bevande alcoliche, ma anche il fatto che la parola è sempre più svalorizzata a favore delle comunità virtuali che mettono per un verso tra parentesi la dimensione reale del corpo e dall’altro ne sovraespongono l’immagine. Senza cadere nella trappola dei generalismi e dei facili rapporti causa-effetto, dobbiamo constatare che se da una parte i giovani prediligono delle modalità per cui non è richiesta la presenza del corpo, dall’altra il corpo – sempre più considerato come un oggetto tra gli altri, da usare, consumare e maltrattare come uno scomodo ingombro – e i suoi enigmi, anziché causare interrogazioni e questioni, provocano passaggi all’azione continui, rendendolo di fatto molto presente nelle pratiche autolesive e di mutilazione oggi così diffuse tra i giovani, che fanno riapparire nel reale ciò che non trova posto nel legame con l’Altro, attraverso la parola. Per dirla con Freud ciò che è messo fuori dalla porta trova sempre il modo per rientrare dalla finestra.
22Il piccolo d’uomo è oggi innanzitutto un piccolo consumatore di oggetti di ogni tipo. Ci si anima e ci si prodiga per lui affinché possa conquistarsi una propria identità e realizzare il proprio destino ma questo comporta anche che il bambino, come ricorda la psicoanalista Hélène Deltombe, sia preso fra le aspirazioni contraddittorie degli adulti: «Da una parte, quella di volere che si conformi a norme di sviluppo considerate come scientificamente stabilite, senza considerazione alcuna per il suo ritmo, né per le contingenze della sua esistenza; dall’altra, quella di prodigarsi per la sua felicità, di soddisfare immediatamente tutti i suoi bisogni, dimenticando così che il bambino stesso non sa ancora ciò che vuole»3. Occorre che la funzione fondamentale svolta dal tempo possa mettersi in atto perché le cose possano depositarsi e scriversi per il soggetto, ma anche questo è sempre più difficile in un contesto sociale in cui la velocità e la prestazione sono divenute parte integrante del sistema di valutazione che misura l’efficienza della persona, bambino compreso. Ecco allora che chi non sta al passo rispetto al modello atteso rischia di divenire lo scarto, e la questione che più angoscia i genitori è se il bambino sia normale oppure no.
23L’alternativa al modo di legame dominante che la psicoanalisi può offrire risiede nell’occasione di incontrare un Altro che non è lì per correggere o fabbricare il bambino come gli standard della cultura attuale vorrebbero, ma per favorire l’emergere delle sue parole, del suo dire, dei suoi giochi, astenendosi da richieste performative e dal promuovere ideali di adeguamento alla norma, spesso insostenibili. La formazione psicoanalitica è ciò che consente di offrire al bambino e al ragazzo un contesto di legame avvertito, nel quale egli possa entrare con il proprio stile – che sia esso aggressivo, ritirato, iperattivo e così via – e trovare operatori sostenuti dal desiderio di includersi nel suo stile singolare, senza forzare dei cambiamenti, ma producendo occasioni di incontro orizzontali (dei bambini fra loro) e verticali (dei bambini/ragazzi con gli operatori).
24I nostri centri e le nostre istituzioni puntano a costituirsi come luoghi in cui si possa produrre per coloro che accogliamo un trattamento di quello che non va, che non funziona, che fa problema, che sprigiona sofferenza, non prendendo tutto questo come un nemico da abbattere o da eliminare, quanto piuttosto come il punto di maggiore singolarità. Il sintomo è ogni volta fonte di sofferenza per il soggetto, ma il sintomo è già esso stesso una soluzione che il soggetto ha trovato: è questo l’aspetto paradossale con cui siamo messi a confronto e che orienta il percorso in cui accompagniamo ciascuno a trovare nuove alleanze, inedite e creative con ciò che non va per lui. È questa la scommessa che orienta il nostro lavoro.
Notes de bas de page
Auteurs
Psicologa, psicoterapeuta, membro Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e Associazione Mondiale di Psicoanalisi, Presidente dell’Associazione Ipol, collaboratore alla docenza dell’Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano (Ipol), socia fondatrice dell’Associazione Aletosfera, coordinatrice del Centro Nodi a San Raffaele Cimena (TO) dell’Associazione Aletosfera di Torino.
Psicologa, psicoterapeuta, membro Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e Associazione Mondiale di Psicoanalisi, opera presso il Centro Nodi di Torino dell’Associazione Aletosfera, Direttore clinico Comunità Terapeutiche Il Montello di Serravalle Scrivia (AL) fino al 2015, socia fondatrice e Presidente del Centro Psicoanalitico di trattamento dei malesseri contemporanei, docente dell’Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano (Ipol) e dell’Istituto Freudiano per la clinica, la terapia e la scienza.

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