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    Rosenberg & Sellier
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    Plan détaillé Texte intégral La scrittura: dal senso all’espressione artistica Quel che conta sono gli atti Notes de bas de page Auteurs

    Guerre senza limite

    Ce livre est recensé par

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    Aharon Happelfeld: trovare la parola giusta

    Sarah Abitbol et Aharon Appelfeld

    p. 95-97

    Texte intégral La scrittura: dal senso all’espressione artistica Quel che conta sono gli atti Notes de bas de page Auteurs

    Texte intégral

    1Ho incontrato Aharon Appelfeld nella sua casa di Mevaseret Zion l’8 maggio 2013, per domandargli quali effetti soggettivi la guerra avesse avuto su di lui. Questa intervista si situa nell’ambito della riflessione preparatoria alle Journées dell’École de la Cause freudienne, che si sono svolte nel novembre del 2013, e il cui tema era il trauma.

    2Avevo sette anni quando è scoppiata la guerra. Non avrebbe senso dire che il trauma si concentra in un’unica esperienza. Si tratta di quattro anni che sono stati traumatici, ciascuno di essi. L’uccisione di mia madre, la separazione da mio padre. Sono stato nei campi di concentramento e nella foresta. È stato un trauma continuo. Non ce n’è stato uno solo. Inoltre, non potrei individuare un’esperienza traumatica in particolare. Quando sono arrivato in Israele – ero un ragazzino di tredici anni senza istruzione – ho capito che dovevo dare un senso a tutto questo, agli anni nei campi, nel ghetto, nelle foreste. E sebbene in quel momento non avessi né lingua, né istruzione, mi sono sforzato di scrivere delle frasi e dei nomi: ho cercato di conferire un senso. È quello che viene chiamato, con altre parole, la trasformazione del trauma.

    3Da un lato è l’assenza di senso a essere stata traumatica, ma dall’altro non avevo un pensiero concettuale, non avevo delle parole. Avevo appena finito il primo anno di scuola elementare, era tutta la mia istruzione. Non potevo dire di stare male per quella o quell’altra ragione. Stavo male, soffrivo. Non cercavo un senso. Soltanto quando sono arrivato in Israele ho capito che avevo fatto esperienza di «qualche cosa» nella mia vita. Non sono stato in grado di mettere delle parole su questa esperienza prima dell’età di sedici o diciassette anni. Ero un po’ come un animale. Finché non ci sono parole, non ci può essere un senso. Le parole organizzano il pensiero.

    4È stato un risveglio, qualcosa che si risveglia in te poco a poco. Si è sviluppato col tempo, è stato necessario leggere, scrivere, studiare. C’è anche un certo modo di pensare. I ricordi fanno riaffiorare delle immagini alla coscienza.

    5All’inizio si trattava semplicemente di scrivere. Scrivere per me stesso, solo per dare un senso. Poi, molto più tardi, ho cominciato a pubblicare. Quando sono arrivato in Israele non avevo lingua, perché avevo perso la mia lingua materna e il mio ebraico era ancora molto limitato. Si è trattato di un lungo percorso di trasformazione in arte… Ci è voluto del tempo. È diventata un’espressione artistica. L’espressione artistica è più selettiva.

    6Come trasformare un’esperienza molto dura, senza parole, con delle parole che possano toccare l’anima dell’altro, del lettore? Si tratta di una trasformazione molto lunga. Innanzi tutto è chiaro che non si tratta di un’attività ricreativa. In generale si tende ad associare l’arte con la distrazione. Si tratta di qualcosa che si lega all’espressione. Si tratta di un’esperienza per la quale occorre trovare le parole giuste, e proprio per questa ragione le parole giuste non possono essere delle parole “decorative”, delle parole ricreative. Occorre che sia concreto, occorre trovare delle parole precise affinché il lettore comprenda che mi rivolgo a lui e a me stesso seriamente. È un lavoro che svolgo da cinquantacinque anni, giorno dopo giorno. E ci sono alti e bassi, non tutto fila dritto come un fuso.

    7Il francese e il tedesco, per esempio, tendono a essere delle lingue “decorative”. L’ebraico, l’ebraico della Bibbia, della Mishna, non lo è. È molto concreto. Il mio stile, caratterizzato da frasi corte, ripulite e senza parole superflue, l’ho trovato nell’ebraico della Bibbia. Questo permette di non dire quello che non si può dire.

    8Parlare è dialogare. Il lettore deve intendere quello che gli rivolgete. C’è un detto chassidico antico che lo spiega molto bene: una preghiera non è ciò che si mormora. Non è quello. Una preghiera è il momento in cui puoi, o sei vicino ad ascoltare ciò che Dio ti domanda. Gli uomini pregano nella sinagoga, tre o quattro ore al giorno, tutti i giorni, e domandano… Non sono disponibili ad ascoltare ciò che Dio dice loro. Quindi, non c’è dialogo.

    La scrittura: dal senso all’espressione artistica

    Quel che conta sono gli atti

    9Nella foresta1 sono stato vicino a dei mascalzoni per quasi due anni. È stata una buona scuola per me, una buona scuola per gli scrittori. In primo luogo, impari che il mondo non è una bomboniera, non è un giardino fiorito. La vita è crudele… il forte sopravvive e il debole soccombe. Le parole non sono importanti. Sono gli atti a essere importanti. Si tratta di cose che impari poco a poco. Quelle persone non parlavano, erano un po’ come degli animali, grugniti… puah!… una volta un grido, una volta una carezza…

    10Impari che gli animali, i cavalli, i cani, sono più importanti degli esseri umani. Sono più fedeli, più devoti. Sono tutte regole che avevano loro e che ho imparato. Non che le abbia adottate tutte… ma c’è comunque qualche cosa di essenziale che mi è rimasta da questa esperienza… sull’uomo, il senso dell’uomo, la sostanza dell’uomo.

    11Durante tutti quegli anni di guerra non ho parlato, non avevo più una lingua. Ma oggi, parlo? No, perché la parola è costituita da due elementi: quello che si dice, e quello che non si dice. La maggior parte delle volte, ciò che non viene detto è più importante di quello che viene detto. C’è un equilibrio, in particolare nell’arte. Occorre che ci sia un equilibrio fra quello che si dice e quello che non si dice.

    Notes de bas de page

    1 A dieci anni Aharon Appelfeld, dopo essere scappato dal campo di concentramento in cui era internato, ha vissuto diversi anni nelle foreste ucraine [N. d. A.].

    Auteurs

    Sarah Abitbol

    Parigi, psicoanalista, membro dell’Acf Île-de France, psicologa clinica, incaricata di TD licence psychopatolgie, Università Paris 7 Ufr Études.

    Aharon Appelfeld

    Scrittore israeliano, Premio Médicis étranger 2004.

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    Abitbol, S., & Appelfeld, A. (2017). Aharon Happelfeld: trovare la parola giusta. In M.-H. Brousse & P. Bolgiani (éds.), Guerre senza limite (1‑). Rosenberg & Sellier. https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/books.res.3721
    Abitbol, Sarah, et Aharon Appelfeld. « Aharon Happelfeld: trovare la parola giusta ». In Guerre senza limite, édité par Marie-Hélène Brousse et Paola Bolgiani. Torino: Rosenberg & Sellier, 2017. https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/books.res.3721.
    Abitbol, Sarah, et Aharon Appelfeld. « Aharon Happelfeld: trovare la parola giusta ». Guerre senza limite, édité par Marie-Hélène Brousse et Paola Bolgiani, Rosenberg & Sellier, 2017, https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/books.res.3721.

    Référence numérique du livre

    Format

    Brousse, M.-H., & Bolgiani, P. (éds.). (2017). Guerre senza limite (1‑). Rosenberg & Sellier. https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/books.res.3511
    Brousse, Marie-Hélène, et Paola Bolgiani, éd. Guerre senza limite. Torino: Rosenberg & Sellier, 2017. https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/books.res.3511.
    Brousse, Marie-Hélène, et Paola Bolgiani, éditeurs. Guerre senza limite. Rosenberg & Sellier, 2017, https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/books.res.3511.
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