La guerra di Spagna: l’esilio
p. 35-38
Texte intégral
1Cosa si trasmette del trauma, incontro con il reale buono o cattivo? Un marchio, un significante, un affetto, un pezzo di reale portato dalla storia? Per il Lacan del seminario Il sinthomo, la storia è «futile»1, ma nello stesso anno, durante le sue conferenze in America, sostiene che la storia sfiora il reale tramite la scrittura. Ma allora, la storia cattura o no il reale nelle sue maglie?
2Il trauma permette di formulare una risposta.
3Il trauma, nel suo insorgere e nei suoi effetti, interroga la categoria del tempo e mette in questione l’evidenza della storia. Sonia Chiriaco ne ha scandito la temporalità nel “Journal des Journées”: dapprima «l’assenza di parole, l’assenza di pensieri»2, dapprima «niente», poi la storia balbettante del soggetto, «il ricamo» significante.
4Se l’inconscio non conosce il tempo, a partire da Freud sappiamo che il corpo non lo ignora. Ne patisce, ne gode, vi resta fondamentalmente sottomesso.
5La libido, l’amore, il desiderio e il godimento conoscono il tempo. La psicoanalisi e la storia si confrontano col tempo come reale.
6L’inconscio atemporale combina tracce significanti prese in una catena e coniuga il soggetto presente al passato. L’inconscio reale, al contrario, declina il parlessere3 al presente indefinito. Lo coglie in una durata che Walter Benjamin, in Parigi capitale del xix secolo, chiama l’aura4. La traccia e l’aura distinguono, per lui, due modi di presenza del passato nel presente, due modalità della memoria. L’una la traccia, rende sensibile la presenza del passato nel presente, materializza la sua impronta – qualcuno ieri, prima, è passato di lì – la cosa ne è testimone, testimonia che questo ha avuto luogo e che si è compiuto. L’altra, l’aura, trattiene un presente che non passa. La cosa non testimonia di ciò che ha avuto luogo, ieri, prima, ma di ciò che ha luogo oggi come ieri.
7La memoria e l’oblio selezionano delle tracce, dei significanti sparsi ai quali si trovano associati dei significati variabili. L’aura ci pone di fronte a un presente, che, con un anglicismo, possiamo definire reminiscente. La traccia produce un effetto di verità, l’aura un effetto di godimento. Traccia e aura concorrono all’instaurarsi della memoria. Memoria di cui Jacques Lacan si domanda nel seminario Il sinthomo, se ne possediamo una.
8«Si ha una memoria?»5. La ripetizione, l’evocazione, il gusto della storicizzazione, il trauma stesso non lasciano dubbi sulla risposta. Eppure non è quello che sostiene Jacques Lacan: «Ci si immagina di averne una»6, dice. La fabbrichiamo grazie al linguaggio, che fornisce alle finzioni il loro essere di discorso. Niente di più. La memoria non pretende di valicare le barriere della soggettività, è singolare. Per contro, la storia come campo del sapere ha altre pretese. Oggi, modeste. Ecco i bei tempi in cui non pretende più di essere racconto veritiero degli avvenimenti passati.
9Misto di soggetto e di oggetto, la storia non è che un «romanzo vero», secondo l’espressione di Paul Veyne, «una successione di verità che non si annullano ma si assommano»7. Lacan si spinge molto più lontano nella definizione di storia. Ne Il Seminario XXIII, la storia presenta quattro caratteristiche: in primo luogo vela il nostro rapporto con il mondo delle grandi parole o dei grandi nomi, in seguito, come un recipiente che lascia fluire il suo contenuto, fallisce nell’indicarci come godere e non ritrova il reale.
10A questa espressione, che usa nel corso del Seminario XXIII, «ritrovare il reale», Lacan stesso obietta: «[…] ritrovare qualcosa che sia dell’ordine del reale. Vedete che uso il termine ritrovare. È già uno slittamento come se di quell’ordine fosse già stato ritrovato tutto. Ecco il tranello della storia. La storia è il fantasma più grande che ci sia […]»8. Si tratta della terza caratteristica. Infine, come il sogno, come anche l’incubo, come il fantasma, la storia grande o piccola preserva il sonno e ci mantiene separati dal reale. Le questioni insondabili dell’esistenza, il sesso e la morte, scavano un buco senza fondo dentro il quale si situa l’inconscio. A queste questioni il fantasma fornisce in dotazione una risposta che vela la profondità del buco. Il trauma perfora questa trama. Lo fa senza dubbio con l’apporto di qualche evento della vita. Tra questi, la guerra sollecita il soggetto ad annodare storia collettiva e destino individuale. Per tutti quelli che coinvolge, lacera il velo della realtà, ma per ciascuno costituisce uno strappo nel fantasma diverso da tutti gli altri. La guerra ha necessità di un corpo singolare perché il suo furore risuoni e si inscriva.
11La storia di una famiglia travolta dalla guerra civile nel 1936 a Barcellona, permette di seguirne le fila su tre generazioni e di accostare ciò che si trasmette del trauma di essere sradicati dalla propria terra.
12Nella prima generazione, lo shock della guerra espelle la nonna dal suo posto nell’Altro. Perde di colpo la sua lingua e i suoi legami sociali, e si ritrova gettata sulla strada dell’esilio.
13Progressivamente il marito diserta il domicilio coniugale, lasciandola sola ad allevare, senza grande soddisfazione, i loro numerosi figli.
14Lei, che si definiva anzitutto come la sua donna; che, incinta, durante il loro internamento nei campi per rifugiati, non esitava ad arrampicarsi sul filo spinato per raggiungerlo, fosse anche solo per un istante; lei che aveva pazientemente atteso per un buon terzo della sua esistenza che infine lui tornasse, cade nel buco della desolazione senza altre parole se non: «morirò». La guerra le ha anche e soprattutto preso suo marito.
15Nella seconda generazione, la defezione del padre e il silenzio soggettivo che circondava al contempo la guerra e la storia familiare, portarono la figlia, se non alla devastazione materna, perlomeno al lamento di aver avuto solo una cattiva madre, una madre più donna che madre.
16Contrariamente ai suoi numerosi fratelli e sorelle, non accetta alcun contatto con suo padre, e rigetta, con il medesimo moto di vergogna, tutto ciò che è spagnolo: la lingua, che dice di non parlare, la storia, di cui non vuole sapere nulla, e suo padre, che evita metodicamente, tracciando nei suoi tragitti urbani un cerchio protettore attorno al luogo in cui lui passa le sue giornate. Al riparo di qualche decina di metri, gira intorno allo Spagnolo.
17Nella terza generazione, là dove niente della storia è stato trasmesso, il nipote tenta di rammendare il buco nel discorso, erigendo il romanzo nazionale francese a romanzo familiare eroicizzato. Attinge dalla Storia di Francia i grandi nomi, il materiale che dà consistenza alle sue costruzioni fantasmatiche.
18Tre generazioni: all’inizio nulla, se non l’orrore della guerra e il lasciar cadere. Il buco, il silenzio, che indica il punto di angoscia dove il senso non può più mobilizzarsi e dove la capacità di rappresentazione sprofonda con il soggetto. Successivamente, il cerchio, il tragitto protettore che disegna i contorni di un centro spagnolo incandescente. E infine, i grandi nomi della storia di Francia che sviluppano «un’enfatica catena di parole solenni»9, erigendo una muraglia di discorso.
19Modalità particolare del simbolico, che sfiora un lembo di reale attraverso la scrittura in un corpo parlante, la storia si assicura una presa sul tempo, ma non ha a che fare con il reale se non attraverso il trauma del momento, che frammenta la sua costruzione. La storia ha a che fare col reale attraverso il trauma che si sforza di portare alla finzione.
20Quello che si trasmette da una generazione all’altra è la modalità con cui la precedente ha inventato una risposta al trauma incontrato. Il merletto che danza intorno al buco. È a carico del soggetto proseguirne il motivo oppure, se può e se vuole, cambiarne il disegno.
Notes de bas de page
1 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXXIII, Il sinthomo [1975-1976], Roma, Astrolabio, 2005, p. 121.
2 S. Chiriaco, Le Désir foudroyé, Paris, Navarin Le champ freudien, 2012, p. 11, trad. nostra.
3 Neologismo creato da Lacan nel 1972: «Il parlessere è una modalità per esprimere l’inconscio […] il fatto che l’uomo è un animale parlante». Il linguaggio è un parassita che abita e infetta il corpo dell’essere umano e lo esilia dall’istinto [N. d. A.].
4 W. Benjamin, Parigi capitale del xix secolo, Torino, Einaudi, 1986.
5 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXXIII, Il sinthomo cit., p. 130.
6 Ivi.
7 Carlo Ginzburg citato da P. Boucheron, L’entre temps, Verdier, Lagrasse, 2012, p. 58, trad. nostra.
8 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXXIII, Il sinthomo cit., p. 121.
9 A. Grandes, Il ragazzo che leggeva Verne, Parma, Guanda, 2013, p. 234.
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Guerre senza limite
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