1 F. Nietzsche., Così parlò Zarathustra, Il sacrificio del miele
2 «sic ego nunc, quoniam haec ratio plerumque videtur
tristior esse quibus non est tractata, retroque
volgua abhorret ab hac, volui tibi suaviloquenti
carmine Pierio rationem esponere nostram
et quasi musaeo dulci contingere melle,
si tibi forte animum tali ratione tenere
versibus in nostris possem, dum perspicis omnem
naturam rerum qua constet compta figura»,
Lucrezio, De rerum natura, I, 943-947; trad. it. a cura di G. Milanese, Milano, Mondadori, 1992, pp. 70-71.
3 Come osserva efficacemente Bataille «I culti esigono uno spreco sanguinoso di uomini e di animali da sacrificio. Il sacrificio non è altro, nel senso etimologico della parola, che la produzione di cose sacre.
Fin dall’inizio, appare come le cose sacre siano costituite da un’operazione di perdita: in particolare, il successo del cristianesimo dev’essere spiegato attraverso il valore del tema della crocifissione infamante del figlio di Dio che porta l’angoscia umana a una rappresentazione della perdita e del decadimento senza limiti», G. Bataille, La nozione di dépense, in Id., La parte maledetta, preceduto da La nozione di dépense, trad. it. F. Serna, introduzione di F. Rella, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 45. Si veda anche Id., Su Nietzsche, trad. it. A. Zanzotto, Milano, SE, 1994.
4 «[…] il mare degli uomini: verso di esso lancio io ora la mia lenza d’oro e dico: spalancati, abisso umano!
Spalancati e gettami i tuoi pesci e granchi scintillanti! Con la mia esca migliore voglio oggi adescare i pesci-uomini più straordinari» (KSA, IV, p. 297), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il sacrificio del miele.
5 «Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: “venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”» (Mt 4, 18-19)
6 Come si è detto, la volontà d’amore è infatti anzitutto volontà di donare senso in un mondo privo di significato.
7 «I Vangeli parlano sempre dei sacrifici solo per escluderli e negare loro ogni validità […]. Non c’è nulla nei Vangeli che suggerisca la morte di Dio come un sacrificio […]. Grazie alla lettura sacrificale, ha potuto esistere, per quindici o venti secoli, quella che si chiama la cristianità, ossia una cultura fondata come tutte le culture, almeno fino a un certo punto, su forme mitologiche prodotte dal meccanismo fondatore […]; una simile concezione non può che dissimulare, ancora una volta, il significato vero della Passione e la funzione che i Vangeli le attribuiscono: sovvertire il sacrificio, impedirgli per sempre di funzionare costringendo il meccanismo fondatore a uscire fuori dal suo ritiro […], esponendo alla luce del sole il meccanismo vittimario», R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, trad. it. R. Damiani, Milano, Adelphi, 1996, pp. 235-237; si vedano in generale pp. 235-297.
8 «Già la parola “cristianesimo” è un equivoco –, in fondo è esistito un solo cristiano e questi morì sulla croce. Il “Vangelo” morì sulla croce. Ciò che a cominciare da quel momento è chiamato “Vangelo”, era già l’antitesi di quel che lui aveva vissuto: una “cattiva novella”, un Dysangelium. È falso sino all’assurdo vedere in una “fede”, per esempio nella fede della redenzione per mezzo di Cristo, il segno distintivo del cristiano: soltanto la pratica cristiana, una vita come la visse colui che morì sulla croce, soltanto questo è cristiano […]» (KSA, VI, p. 211), F. Nietzsche, L’Anticristo, § 39; in quest’ottica è da leggersi la contrapposizione di Dioniso al Crocifisso: «Dioniso con il “Crocifisso”: eccovi il contrasto. Non è una differenza nel martirio: piuttosto, il martirio ha un altro senso. In un caso, la vita stessa, la sua eterna fecondità e il suo ritornare determina il tormento, la distruzione, la volontà di annientamento… Nell’altro, la sofferenza, il “Crocifisso come innocente”, è un’obiezione contro questa vita, è la formula della sua condanna […]. Il “Dio in croce” è una maledizione scagliata sulla vita, un dito levato a comandare di liberarsene – Dioniso fatto a pezzi è una promessa di vita; la vita rinasce in eterno e ritornerà in patria, tornerà dalla distruzione», F. Nietzsche, Volontà di potenza, § 1052; trad. it. a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Milano, Bompiani, 1992.
9 «In sé, con la sua morte, Gesù non poté volere null’altro, se non dare pubblicamente la prova più forte, la dimostrazione della sua dottrina … Ma i suoi discepoli erano lontani dal perdonare questa morte – il che sarebbe stato evangelico nel più alto senso […] Tornò nuovamente a galla proprio il sentimento meno evangelico, la vendetta» (KSA, VI, p. 142), F. Nietzsche, L’Anticristo, § 40.
10 Supra, p. 41.
11 E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee cit., p. 69; più in generale sul tema dell’ospitalità, pp. 64-75.
12 Sulla scia di Marcel Mauss, Benveniste afferma che «l’ospitalità si chiarisce con il riferimento al potlatch di cui è una forma attenuata. Essa si basa sull’idea che un uomo è legato a una altro (hostis ha sempre un valore reciproco) dall’obbligo di compensare una certa prestazione di cui è stato il beneficiario», E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee cit., p. 69.
13 «Giacché sedevano lì tutti quanti insieme coloro che egli aveva incontrato sul suo cammino durante il giorno: il re di destra e il re di sinistra, il vecchio mago, il papa, il mendicante volontario, l’ombra, il coscienzioso dello spirito, il triste indovino e l’asino; l’uomo più brutto s’era messo una corona in testa e si era cinto con due fasce di porpora – perché amava come tutti i brutti travestirsi e farsi bello. E in mezzo a questa afflitta compagnia stava l’aquila di Zarathustra, arruffata e inquieta, perché doveva rispondere a troppe cose per le quali il suo orgoglio non aveva risposta; dal collo le pendeva però l’accorto serpente» (KSA, IV, pp. 346-347), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il saluto.
14 Ibidem.
15 Ibidem.
16 Id., Così parlò Zarathustra, La festa dell’asino.
17 «“Il mio ultimo peccato?” esclamò Zarathustra e rise di collera per le sue stesse parole […].
“Compassione! La compassione per l’uomo superiore!” gridò, e la sua faccia divenne di bronzo. “Ebbene, questo ha fatto il suo tempo!
Il mio dolore e la mia compassione – che importanza hanno? Cerco io forse la felicità? Io cerco la mia opera!”» (KSA, IV, p. 408), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il segno.
18 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il saluto.
19 «Nel frattempo gli uomini superiori che stavano nella caverna di Zarathustra si erano svegliati e si mettevano in corteo per andare incontro a Zarathustra e porgergli il saluto del mattino […]. Ma quando giunsero alla porta della caverna, preceduti dal rumore dei loro passi, il leone si adombrò violentemente, si voltò di colpo via da Zarathustra e balzò, ruggendo selvaggiamente, verso la caverna; e gli uomini superiori, sentendolo ruggire, gridarono tutti come con una bocca sola, fuggirono indietro e in un attimo furono spariti […]. Ordunque! Il leone è venuto, i miei figli sono vicini, Zarathustra è diventato maturo, la mia ora è giunta» (KSA, IV, pp. 407-408), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il segno.
20 «Ebbene essi dormono ancora, questi uomini superiori, mentre io sono desto: questi non sono i miei veri compagni! […] Essi non capiscono quali sono i segni del mio mattino, il mio passo non è per loro un grido di risveglio» (KSA, IV, p. 405), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il segno.
21 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il saluto.
22 In questo senso si comprende a quale libertà conduca, per Nietzsche, il volere in una chiara eco degli scritti giovanili influenzati da Emerson che non consente però alcuna resa all’estinzione della volontà nella noluntas di matrice schopenhaueriana: «il volere libera: questa è la vera dottrina della volontà e della libertà – così ve la insegna Zarathustra. Non più volere e non valutare e non più creare! Oh, che questa grande stanchezza resti sempre lontana da me!
Anche nel conoscere io sento solo il piacere di generare e di divenire della mia volontà; e se nella mia conoscenza è innocenza, ciò accade perché è in essa volontà di generare» (KSA, IV, p. 111), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Sulle isole beate.
23 Supra, nota 38, p. 121.
24 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Della libera morte.
25 Ibidem; la ‘nobiltà’ di Gesù è da leggersi in parallelo con la definizione di ‘idiota’, nel senso dostoevskijano, espressione con la quale Nietzsche descrive (“col rigore del fisiologo”) il profilo psicologico di Gesù ne L’Anticristo, alludendo alla sua semplicità e alla sua innocenza, tipiche del perfetto povero. Un riferimento che impedisce di leggere la ‘nobiltà’ di Gesù come tratto distintivo e conseguenza della sua ‘genialità’ o della sua ‘eroicità’ pretese dalla lettura di Renan contro cui si scaglia Nietzsche (cfr. L’Anticristo, § 29).
26 Che è un’azione etica ma nel senso dell’‘azione suprema’ in cui si traduce nello Zarathustra il dionisiaco.
27 Zarathustra è infatti messaggero e latore di un dono che ha a sua volta ricevuto dalla profondità della sua anima.
28 F. Nietzsche, La gaia scienza, § 109.
29 «Io vi dico: bisogna avere ancora il caos in sé per poter partorire una stella danzante. Io vi dico: voi avete ancora il caos in voi» (KSA, IV, p. 19), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Proemio. Sulla nozione di Chaos in Nietzsche mi permetto di rinviare al mio Volontà d’amore cit., in particolare pp. 102 e segg. «L’amicizia è il sotterraneo ‘legame’ d’amore (φιλìα, filìa) nel quale l’uomo, che si apre all’idea del superuomo, può scorgere il Χάος (Chaos) che come una comune essenza, come una superanima (Überseele), costituisce l’immediatezza nella quale è possibile ogni autentico rapporto con il Tutto» (Ivi, p. 144).
30 M. Eckhart, Istruzioni spirituali, in Id., Opere tedesche, ed. it. a cura di M. Vannini, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 61.
31 A differenza degli altri Vangeli (Mc 8, 35; Mt 10, 39; Lc 17, 33), il Vangelo di Giovanni parla esplicitamente di zoé, ossia di ‘essere vitale’, ‘vita in senso pieno’, contrapposta a psyché come semplice ‘essere in vita’: «chi ama la propria vita (psyché), la perde e chi odia la propria vita (psyché) in questo mondo, la conserverà per la vita (zoé) eterna» (Gv 12, 20-25); cfr. F. Jullien, Risorse per il Cristianesimo cit., pp. 54-55 e segg.
32 M. Vannini, Introduzione a Eckhart. Profilo e testi, Firenze, Le Lettere, 2014, p. 34.
33 M. Eckhart, Dell’uomo nobile, a cura di M. Vannini, Milano, Adelphi, 2004, p. 227.
34 Come osserva Vannini, con l’amore che porta al ‘distacco’ l’uomo per Eckhart è in qualche modo in grado di aprirsi alla grazia: «Quasi per una legge fisica, per cui ogni vuoto deve essere colmato, chi fa il vuoto in e di se stesso viene ricolmato dall’essere divino. È una legge necessaria, che non dipende dalla volontà di Dio: Dio deve farlo, non può farne a meno», M. Vannini, Introduzione a Eckhart cit., p. 30.
35 «Il sesto grado è quando l’uomo è spogliato di se stesso e trasformato dall’eternità di Dio; quando è giunto al perfetto e totale oblio della vita effimera e temporale, ed è portato e trasfigurato in un’immagine divina, quando è divenuto figlio di Dio», M. Eckhart, Dell’uomo nobile cit., p. 225.
36 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Proemio.
37 Autorizzando per esempio la lettura di Bataille.
38 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Sulle isole beate.
39 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, I sette sigilli.
40 F. Jullien, Risorse del cristianesimo cit., p. 63.
41 Secondo quella ‘sdivinizzazione della natura e la successiva ‘naturalizzazione’ dell’uomo di cui si legge nel § 109 de La gaia scienza: «Ma quando la finiremo di star circospetti e in guardia! Quando sarà che tutte queste ombre di Dio non ci offuscheranno più? Quando avremo del tutto sdivinizzato (entgöttlicht) la natura! Quando potremo iniziare a naturalizzare (vernatürlichen) noi uomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata, nuovamente redenta!» (KSA, III, pp. 468-469).
42 «Ora l’uomo si riconosce Natura, e appunto riscopre in se stesso un nuovo amore: quel medesimo Chaos des Alls che anima se stesso e la Natura nel suo complesso. Un primo passo è compiuto, ma non è sufficiente. Perché la naturalizzazione dell’uomo possa dirsi compiuta nella trasvalutazione di ogni valore, occorre che si realizzi anche una ‘nuova’ umanizzazione della Natura: e ciò in fondo significa l’infinita aspirazione all’Übermensch, quale nuovo senso da assegnare alla terra, ovvero quale “motore attivo” di una dinamica travolgente che solo l’amore che infinitamente dona è in grado di rappresentare simbolicamente, contrapponendo alla figura (Typus) dell’ultimo uomo, l’a-tipico dell’Oltreuomo», E.C. Corriero, Volontà d’amore cit., p. 145; sulla nuova umanizzazione della natura si vedano anche pp. 145-150.
43 Come osserva Jullien commentando il vangelo di Giovanni: «Il Cristo è colui che, all’interno dell’Essere, apre la via dell’evenemenzialità. Come dire che, allo statuto ontologico che presso i greci condannava il divenire in nome dell’Essere e lo rendeva incapace di un avvento, Giovanni sostituisce fin dal principio un altro statuto possibile, uno statuto cristico, tale da ancorare il divenire in seno all’Essere e da renderlo in grado di innovare […]. Spingendo all’estremo il pensiero del divenire-avvento, Giovanni ci dice essenzialmente due cose. Da una parte, che l’evento può cambiare tutto: possiamo “divenire sani”, da infermi che eravamo; che può farci entrare dentro una vita totalmente altra e che, per mezzo di esso, l’impossibile diventa possibile. Dall’altra, che, quando l’evento è giunto al suo punto decisivo, nella maggior parte dei casi, dall’esterno non lo percepiamo: “in mezzo a voi sta uno [il Cristo] che voi non conoscete” (Gv 1, 26)», F. Jullien, Risorse del cristianesimo cit., pp. 45-48.
44 Si muove in questa direzione la riflessione di Martin Heidegger sull’Ereignis in particolare nella conferenza del 1962 Tempo ed Essere, in cui chiarisce come il pensiero occidentale abbia privilegiato il dono dell’essere, l’essere in quanto presente, ovvero il Gabe, ciò che si dà nell’Es gibt, tralasciando invece di considerare l’Es dell’Es gibt che rimane indeterminabile nei termini dell’ontoteologia; sul tema mi permetto di rinviare al mio E.C. Corriero, The Absolute and the Event. Schelling after Heidegger, London - New York, Bloomsbury, 2020.
45 In accordo a quanto si legge anche in Rm 1, 16 - 8, 39.
46 Nel senso della filosofia positiva di Schelling che ha per l’appunto a oggetto la mitologia e la rivelazione, ossia il processo di creazione e ricreazione. Sul tema rimando al mio Pensare la Natura. La Naturphilosophie di Schelling alla luce della sua filosofia positiva, “Annuario filosofico”, 30, 2014, pp. 171-193.
47 Il passo de La gaia scienza riassume bene il senso nietzscheano dell’amicizia che abbiamo descritto in precedenza e questa particolare relazione fra solitari: «Amicizia stellare. Eravamo amici e siamo diventati estranei. Ma è giusto così e non vogliamo dissimularci né mettere in ombra questo come se dovessimo vergognarcene. Noi siamo due navi, ognuna delle quali ha la sua meta e la sua strada; possiamo benissimo incrociarci e celebrare una festa tra di noi, come abbiamo fatto: allora i due bravi vascelli se ne stavano così placidamente all’àncora in uno stesso porto e sotto uno stesso sole, che avevano tutta l’aria di essere già alla meta, una meta che era stata la stessa per tutti e due. Ma proprio allora l’onnipossente violenza del nostro compito ci spinse di nuovo lontani l’uno dall’altro in diversi mari e zone di sole e forse non ci rivedremo mai – forse potrà anche darsi che ci si riveda, ma senza riconoscerci: i diversi mari e soli ci hanno mutati! Che ci dovessimo divenire estranei è la legge incombente su noi: ma appunto per questo dobbiamo divenire anche più degni di noi! Appunto per questo il pensiero della nostra trascorsa amicizia si fa più sacro! Esiste, verosimilmente un’immensa e invisibile curva e orbita siderale, in cui potrebbero essere ricomprese, quasi esigui tratti di strada, le nostre diverse vie e mete, – innalziamoci a questo pensiero! Ma la nostra vita è troppo breve, troppo scarsa la nostra facoltà visiva per poter essere più che degli amici nel senso di quella nobile possibilità. E così vogliamo credere alla nostra amicizia stellare, anche se dovessimo essere terrestri nemici l’un l’altro» (KSA, III, pp. 523-524), F. Nietzsche, La gaia scienza, § 279; sul punto si veda il già citato M. Cacciari, L’arcipelago cit., pp. 143-154.
48 «Là dove finisce lo stato, guardate, guardate, fratelli! Non lo vedete, l’arcobaleno, e i ponti del superuomo?» (KSA, IV, p. 64), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Del nuovo idolo. Ho mostrato altrove, come la forma Stato sarà semmai intesa come funzionale al superamento nei frammenti destinati alla compilazione de La volontà di potenza: «Al più lo Stato può assolvere la funzione contrattiva, oppositiva, che permette il superamento e la trasvalutazione di tutti i valori. Se lo Stato perde la propria ‘vocazione’, obliterandosi nel velamento metafisico, esso tende a perpetuarsi nel proprio decadimento e nella propria corruzione; viceversa, se recupera la sua funzione limitante ‘necessaria’, eppure transeunte, permette il libero evolversi della Überwindung», E.C. Corriero, Vertigini della ragione cit., p. 146.
49 F. Nietzsche, L’Anticristo, § 29.
50 Id., L’Anticristo, § 43.