1 «Se non avessi mai visto il Sole / avrei sopportato l’ombra – / ma la luce ha reso il mio Deserto / ancora più selvaggio», E. Dickinson, Silenzi, trad. it. B. Lanati, Milano, Feltrinelli, 1990, pp. 156-157.
2 F. Nietzsche, Così parlò Zarathsutra, Il fanciullo con lo specchio.
3 Ibidem; l’amore per l’amico, che si completa però soltanto con l’amore per il nemico, è da leggersi in diretta continuità con l’autentico amore del prossimo predicato nei vangeli. Quando Nietzsche propone il superamento dell’amore del prossimo ha in mente una figura fraintesa e tradita dall’amore compassionevole che inquina l’amore per sé e per l’avvenire («il vostro amore del prossimo è il vostro cattivo amore verso voi stessi»), ma a ben vedere la figura dell’amico che egli propone in sostituzione ha molto in comune con il plesios. Cfr. M. Cacciari, Drammatica della prossimità cit.
4 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il fanciullo con lo specchio.
5 Che la trasvalutazione di tutti i valori risulti una sorta di conversio lo si deduce peraltro esplicitamente allorquando Nietzsche descrive la sua opera come «una sfida a tutte le religioni», così di fatto affermando di poter assegnare un senso a un mondo scopertosi privo di significato.
6 Supra, pp. 11-27.
7 Sul passaggio dalla volontà di potenza alla ‘volontà d’amore’ cfr. il mio Volontà d’amore cit.; l’amore è infatti la parola ‘ultima’ della volontà di potenza, ma per il suo carattere ricorsivo e affermativo, l’amore non descrive la ‘legge’ che governa il Wille zur Macht così ‘definendolo’, ma semplicemente l’opzione capace di perpetuarne la dinamica nella continua tensione al superamento raffigurato dall’Oltreuomo; cfr. anche E.C. Corriero, Ordo amoris, ordo voluntatis, in Cristalli di storicità. Saggi in onore di Remo Bodei, a cura di E.C. Corriero e F. Vercellone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2019.
8 «Qui perlopiù si trova chi non crede in Dio, eppure che Dio sia morto è qualcosa che non può raggiungere le orecchie degli infedeli. Questi rimangono legati alla medesima concezione che afferma l’esistenza di Dio: negandone l’esistenza essi permangono nell’opposizione dialettica tra essere e non-essere, non andando incontro a nessun tipo di contraddizione. La follia che conosce la ‘morte di Dio’ necessita della solitudine: “Fuggi, amico mio, nella tua solitudine! […] Dove finisce la solitudine, là comincia il mercato; e dove comincia il mercato, là comincia anche il chiasso dei grandi commedianti e il ronzio delle mosche velenose” (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Delle mosche del mercato). Il mercato è il luogo dove l’uomo è popolo, e il popolo ha bisogno di commedianti e buffoni; qui ‘sconvolgere’ significa dimostrare, ‘far impazzire’ significa convincere: una verità che s’insinua in orecchie fini, qui la si chiama menzogna e nulla», E.C. Corriero, Il Nietzsche italiano. La ‘morte di Dio’ e la filosofia italiana del secondo Novecento, Torino, Aragno, 2016, p. 106.
9 Una diagnosi che trova conferma nel discorso che Carl Schmitt conduce sul termine valore con la consueta profondità di analisi: «Oggi per la coscienza comune il termine ‘valore’ è talmente impregnato di senso economico e commerciale che non si può più tornare indietro […]. L’economia, il mercato e la borsa sono diventati in questo modo il terreno di tutto ciò che si definisce valore in senso specifico […]. La logica del concetto economico di valore rientra quindi in un ambito razionale di giustizia commutativa, justitia commutativa», in C. Schmitt, La tirannia dei valori, ed. it. a cura di F. Volpi, Milano, Adelphi, 2009, pp. 21-25. La proposta di Nietzsche non va però semplicemente intesa come una ‘filosofia della vita’ che determina il valore a partire dall’intensità e dall’accumulo di potenziale nel soggetto, né in una filosofia della dépense che attribuisce valore al darsi illimitato e senza motivo. Nietzsche ritiene piuttosto che la trasvalutazione di tutti i valori si compia attraverso lo smascheramento delle radici genealogiche del ‘valore’, e i nuovi ‘valori’ abbiano semmai il loro fondamento nella volontà di ‘dare senso’ in/a un mondo che si sa privo di significato. Tale volontà di (donare) senso che è poi volontà di creare trova la sua direzione nell’amore che è appunto da intendersi come l’estremo comando (Befehl) (o comandamento?) della volontà di potenza e volge in direzione dell’Oltreuomo.
10 Sull’enigma del dono, cfr. S. Rossi, Oro, Bologna, il Mulino, 2018, pp. 166 e segg.; cfr. anche A. Quadrio Curzio (a cura di), Oro: storia, protagonisti, problemi, Roma, Newton Compton, 1989.
11 F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extra-morale, I.
12 Se il nichilismo incompleto è il semplice rovesciamento dei valori, «il nichilismo completo, invece, deve eliminare perfino il posto stesso dei valori – il soprasensibile in quanto ambito – e, conformemente a ciò, deve istituire i valori in modo diverso e trasvalorizzarli.
Ne segue chiaramente che il nichilismo completo, compiuto e quindi classico, implica sì “la trasvalorizzazione di tutti i valori precedenti”, ma la trasvalorizzazione non è una mera sostituzione dei vecchi valori con valori nuovi. Il trasvalorizzare diviene il travolgimento e capovolgimento del tipo e della modalità del valorizzare. La istituzione di valori ha bisogno di un nuovo principio, ossia di un nuovo posto da cui partire e in cui mantenersi. Il principio non può più essere il mondo del soprasensibile, divenuto privo di vita. Il nichilismo mirante alla trasvalorizzazione così intesa, pertanto, sarà alla ricerca di ciò che è massimamente vivente. Il nichilismo diviene così esso stesso “l’ideale della vita ultraricca” (Volontà di potenza, af. 14)», M. Heidegger, Holzwege, ed. it. a cura di di V. Cicero, Milano, Bompiani, 2014, p. 266; sul tema si veda F. Vercellone, Il nichilismo, Roma-Bari, Laterza, 1996; F. Volpi, Nichilismo, Roma-Bari, Laterza, 2009.
13 Recentemente François Jullien ha proposto la nozione di ‘risorsa’ in sostituzione di quella di ‘valore’, suggerendo che quanto del cristianesimo si può ancora apprezzare vada letto proprio alla luce delle ‘risorse’ che esso può fornire più che dei ‘valori’ che può sostenere e della loro validità nella società contemporanea. La proposta di Jullien, tuttavia, non mi pare esuli dal rimando a un valore più alto, il soggetto, il quale per l’appunto individua risorse utili alla propria estensione qualitativa e quantitativa. La trasvalutazione di Nietzsche mira piuttosto a evidenziare la genealogia dei valori, la loro necessità, nonché la possibilità di una nuova posizione di valori sulla base della piena consapevolezza nichilistica dell’assenza di valori ultimi. Cfr. F. Jullien, Risorse per il Cristianesimo. Ma senza passare per la via della fede, trad. it. M. Garzillo e V. Ostuni, Firenze, Ponte alle Grazie, 2019, pp. 26-37.
14 F. Nietzsche, Ecce homo, Perché sono un destino.
15 Il nome di Zarathustra comparve per la prima volta fra le carte di Nietzsche in un aforisma del 26 agosto del 1881 in relazione al progetto di un libro che avrebbe dovuto avere per titolo Mittag und Ewigkeit. Si ritiene che Nietzsche abbia scelto Zarathustra come suo messaggero sull’onda della lettura di un passo dei Saggi di Emerson che nella sua copia risulta sottolineato. Nell’appunto del 1881 si legge: «Das ist es! (è lui!): Perché meriti che lo si descriva quando si leva e si cinge i fianchi e s’avvia da qualche altra parte, noi esigiamo da un uomo che sappia profilarsi nel paesaggio grandioso come una colonna. Le immagini più degne di fede sono quelle dei grandi uomini che sanno imporsi e attrarre su di sé tutti i sensi fin dal loro primo apparire, come accadde al sapiente orientale, inviato a valutare i meriti di Zarathustra o Zoroastro. Quando il sapiente da Yunnah giunse a Balk, così ci narrano i persiani, Gutasp indicò il giorno in cui i mobeds di ogni terra dovevano riunirsi e fu approntata per il sapiente di Yunnah una sedia d’oro fino. E, al momento debito, il Yezdam da tutti amato, il profeta Zarathustra, comparve al centro dell’assemblea. Guardandolo in volto il sapiente di Yunnah disse: “Il suo aspetto, il suo incedere, il suo portamento non possono ingannare: da lui non può provenire che la verità”» (KSA, XIV, p. 279); cfr. anche H. Weichelt, Zarathustra-Kommentar cit., pp. 222-227 e pp. 291-294.
16 «Il corpo è una grande ragione, una molteplicità con un unico senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore. Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami ‘spirito’, un piccolo strumento e giocattolo della tua grande ragione» (KSA, IV, p. 39), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dei disprezzatori del corpo.
17 Zarathustra non è un seduttore, se seduce è per effetto del dono stesso; per sé non chiede nulla, e anzi chiede d’essere dimenticato e superato come Nietzsche stesso avverte in conclusione del prologo di Ecce homo, riprendendo un passo dello Zarathustra: «Dite che credete in Zarathustra? Ma che importa Zarathustra? Voi siete i miei credenti: ma che importano tutti i credenti? Non vi eravate ancora cercati: allora trovaste me. Così fanno tutti i credenti; perciò ogni fede è così poco importante. Ora io vi ordino di perdere me e di trovare voi; e solo quando mi avrete tutti rinnegato ritornerò tra voi. In verità con altri occhi, fratelli, cercherò allora i miei discepoli perduti; con un altro amore vi amerò allora» (KSA, IV, pp. 101-102), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dei credenti. Qui Nietzsche avanza una risposta e un’integrazione a Mt 10, 33: «chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli»; sulla ‘differenza’ che intercorre tra Gesù e Zarathustra quanto alla ‘novella’ che annunciano cfr. K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio, trad. it. U.M. Ugazio, Napoli, Guida, p. 63 e segg.
18 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Proemio.
19 Nelle fonti da cui Nietzsche ricava le sue informazioni sul dono, il tema del dono funesto è assai ricorrente. Il termine Gift, presente nell’idioma anglosassone come in quello germanico per l’appunto, significa sia ‘dono’ sia ‘veleno’. La parola deriverebbe, seguendo l’itinerario etimologico suggerito da Emile Benveniste nel suo Vocabolario delle istituzioni indoeuropee del 1971, per prestito semantico dal greco dósis, ‘l’atto di offrire’, ‘la promessa di offrire’, che in un’accezione medica valida sia in greco sia in latino indicava la ‘dose’, e via via venne utilizzato come sostituto di uenenum, ‘veleno’. La saggezza di Zarathustra è velenosa nel senso che se penetra, annienta chi lo accoglie, lo tramuta in altro. «Un bastone sulla cui impugnatura d’oro c’era un serpente che si attorciglia attorno al sole», questo offrono per commiato a Zarathustra i suoi discepoli nel capitolo ‘della virtù che dona’: un’immagine quanto mai densa di significato. Il serpente nell’immaginario nietzscheano indica la conoscenza velenosa che viene offerta come dono, essa infatti si attorciglia al sole d’oro – metallo che sempre si dona e simbolo supremo del donare.
20 Si pensi alla ‘sfida’ lanciata da Zarathustra «a tutte le religioni».
21 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Proemio.
22 Id., Così parlò Zarathustra, Il canto della notte.
23 Ibidem.
24 Id., Così parlò Zarathustra, Dell’amico.
25 Id., Così parlò Zarathustra, Dei compassionevoli.
26 Id., Così parlò Zarathustra, Dell’uomo superiore.
27 Cfr. anche Mt 22, 36-40; il passo evangelico si compone in realtà di due passi del Pentateuco, Deuteronomio 6,5 («Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze») e Levitico («Amerai il prossimo tuo come te stesso»); ciò che costituisce la radicalizzazione dell’insegnamento è piuttosto l’estensione dell’amore del prossimo all’amore per tutti, nemici inclusi (Mt 5, 43 e segg.; Lc 6, 27 e segg.); cfr. A. Fabris, I paradossi dell’amore, Brescia, Morcelliana, 2000, pp. 89-107.
28 «Theós agape, significa che il Signore si rivela come tale, come il prossimo, amando il prossimo che ha nome plesios. Ed è philos di chi, a sua volta, lo ricerca, lo approssima, diviene se stesso nel ricercarlo. Ma il prossimo è sempre anche altro, il plesios inquieta e colpisce. Nell’Agape non si annulla affatto il carattere agonico della relazione, ma proprio questo viene “salvato”: la morta separatezza diviene riconoscimento, distinzione, compassione. Il prossimo non elimina lo straniero, l’hospes non cancella il thauma dell’apparire dell’altro. Ma cuore e mente si conformano alle loro figure. Così il Dio, per Hölderlin, si conforma allo straniero, proprio rivelandosi come il prossimo – e proximus in se stesso, poiché nella stessa Vita egli tiene in sé il Figlio flagellato. Theós agape e Theós xenos non possono andare disgiunti», M. Cacciari, Drammatica della prossimità cit., p. 105.
29 «Dio stesso che si sacrifica per la colpa dell’uomo, Dio stesso che si ripaga su se stesso, Dio come l’unico che può riscattare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso è divenuto irriscattabile – il creditore che si sacrifica per il suo debitore, per amore (dobbiamo crederci?) –, per amore verso il suo debitore!… […] » (KSA, V, P. 331), F. Nietzsche, Genealogia della morale, «Colpa», «cattiva coscienza» e simili, § 21.
30 M. Cacciari, Drammatica della prossimità cit., p. 95.
31 Ivi, p. 128.
32 Supra, nota 28.
33 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dell’amore del prossimo.
34 «I grandi favori non rendono riconoscenti ma vendicativi; e se il piccolo beneficio non viene dimenticato, diventa un tarlo roditore. “Siate restii nell’accettare! Fate della vostra accettazione un segno di distinzione!” – così io consiglio a coloro che non hanno niente da donare» (KSA, IV, p. 114), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dei compassionevoli.
35 R.W. Emerson, Saggi, trad. it. G. Colli, Torino, Boringhieri, 1962, p. 370.
36 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dell’amore del prossimo.
37 «Nel proprio amico bisogna avere il proprio miglior nemico. Gli devi esser vicinissimo col cuore, se gli ti opponi […]. Per il tuo amico non potrai mai agghindarti troppo: giacché devi essere per lui uno strale e un desiderio verso il superuomo» (KSA, IV, pp. 71-72), F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dell’amico.
38 Nel senso dell’Edelkeit di Meister Eckhart, per il quale nobile è «quell’“uomo” che non ha nulla in comune con nulla, ovvero non ha né forma né rassomiglianza con questo o con quello, e non sa nulla del Nulla, in guisa tale che non si trova e non si coglie in lui in alcun luogo il Nulla, che gli è completamente tolto, e in lui si trova soltanto pura vita, essere, verità e bontà», Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, trad. it. a cura di M. Vannini, Milano, Adelphi, 2004, p. 229. Sebbene Sloterdijk abbia correttamente descritto questa medesima nobiltà come “una posizione verso il futuro”, nella sua lettura non coglie affatto la capacità di svuotarsi e di rinunciare a se stesso che è insita nell’uso dell’aggettivo e insiste invece sul tratto attivo-propositivo che erge il nobile a signore; cfr. P. Sloterdijk, Über die Verbesserung der guten Nachricht. Nietzsches fünftes ‘Evangelium’, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001, p. 49.
39 Quelle che Nietzsche definisce ne La gaia scienza ‘amicizie stellari’; cfr. infra, nota 47, pp. 150-151.
40 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il convalescente.
41 Id., Così parlò Zarathustra, Del grande anelito.
42 Id., Così parlò Zarathustra, Delle tre cose cattive.