2. Una teoria della modernità
p. 39-53
Texte intégral
Sapere assoluto, capitalismo, razionalità
1Ritorno a parlare della Teoria della modernità7, tema che attraverserà di fatto tutte le lezioni. Ho già parlato della modernità, menzionando Foucault, Sartre e altri filosofi. Ma non solo i filosofi, anche gli studiosi di sociologia o di scienza hanno cercato di comprendere la modernità, perché hanno capito che attraverso questo tipo di ricerca emerge un modello interpretativo attraverso cui comprendere meglio se stessi. Questo è il tema che intendo analizzare ora.
2Molti autori hanno sviscerato il tema della modernità e io voglio parlare degli stessi autori già citati in precedenza, poiché si sono preoccupati di comprendere la modernità nel suo complesso, per cogliere in essa una specifica e ben determinata forma di vita. Hegel nella sua filosofia della storia ha voluto indagare la parabola della modernità colta attraverso l’evoluzione delle forme di società e ha voluto capire in che senso la modernità ha significato la fine della storia. In questa filosofia della storia la modernità è intesa come l’accumulazione di traguardi positivi, senza porre alcuna enfasi sul concetto di perdite. Questo concetto di “perdite” è un tema che ho mutuato da Collingwood, secondo il quale ogni successo include necessariamente delle perdite. In effetti è vero che nella modernità sono andati persi alcuni modi di essere e di vivere. Per esempio l’eroismo. Dopo Napoleone non vi è stata alcuna grandeur, nessun conflitto tragico. Nella modernità nessuna nuova forma di arte o di filosofia viene più inventata: i filosofi, come dice Hegel, sono diventati riflessivi, non creatori, nel senso che riflettono su quello che già è, ma non riescono a creare nessun nuovo sistema filosofico. Se, dunque, in questa concezione è incluso il concetto di perdite, ciò significa che, pur essendo vero che nella modernità vi sono state sconfitte e passi indietro, tuttavia il guadagno in fatto di libertà e di scoperte scientifiche e tecnologiche è stato maggiore.
3Riprendendo quello che mi pare essere l’intento di Hegel nella Prefazione a Filosofia del diritto, che fa della filosofia il proprio tempo appreso in pensieri, possiamo dire che compito della filosofia è comprendere gli effetti della modernità, che ha oramai raggiunto la sua piena evoluzione. La modernità è il periodo in cui lo spirito giunge alla piena consapevolezza di sé e può meglio comprendere il suo percorso: per questo Hegel parla della fine della filosofia e crede che lo spirito sia arrivato al suo massimo sviluppo. Questa è in realtà una posizione molto problematica. Qual è il problema che qui si pone? Ho menzionato il problema della contingenza: il concetto hegeliano di contingenza include la necessità. La necessità si sviluppa nella contingenza della storia, ma questa contingenza include inevitabilmente la necessità e il suo necessario sviluppo. La contingenza non può non nascere dalla necessità e ciò significa che ogni scelta politica è necessaria ed è già presente. Ma se ciò potrebbe andare bene per la comprensione del presente, come interpretare il futuro, dopo Hegel? Ogni idea della modernità è già determinata; ciò significa che la si trova nel presente e questo condiziona ogni possibile evento politico futuro. Hegel comprende che la modernità avrà una sua fine, quando la nottola di Minerva leverà il suo volo al crepuscolo e questo significherà inevitabilmente la fine della storia e della filosofia. Ogni contingenza serve a comprendere meglio lo sviluppo necessario dell’Idea che si è dispiegata pienamente nella modernità.
4Un altro pensatore di cui voglio parlare e che ho già menzionato è Karl Marx, il quale identifica la modernità con il capitalismo. Egli ritiene che il capitalismo debba necessariamente finire, grazie alla rivoluzione delle classi guidata dal proletariato, alla stessa maniera in cui Hegel ritiene che la modernità nel suo complesso sarà destinata al tramonto. Compare allora un problema che emergeva già in Hegel, ma con alcuni nuovi aspetti. Se Marx identifica la modernità con il capitalismo, significa che scopre l’importanza della struttura economica, scopre il peso dell’economia e mette in luce la dinamica della produzione propria del capitalismo. Solo quando questo sistema economico sarà ribaltato, alcuni aspetti tra loro molto eterogenei diventeranno alla fine omogenei, grazie ai mutamenti economici nella produzione e ai cambiamenti sociali apportati dalla classe operaia.
5Molto interessante è anche la posizione di Max Weber, per il quale la caratteristica della modernità non è il capitalismo, ma la presenza della razionalità: la razionalità e il processo di razionalizzazione di ogni aspetto della società sono tratti caratteristici delle società occidentali moderne. Il capitalismo è la fonte e il modello di tale razionalizzazione, di un razionalismo che si basa sulla ragione strumentale, di una ragione che agisce in vista dell’efficienza. Non solo l’economia, ma anche la società e lo stato sono costruiti secondo questo modello di razionalità: anche l’eccesso della burocrazia è un effetto di questo modello di razionalità ed efficienza. Elaborando il tema delle diverse forme di legittimazione dell’autorità, Weber ne indica tre: l’autorità della legalità, l’autorità della tradizione, l’autorità del carisma. Quest’ultima è tipica della modernità e si esplica nella capacità di un singolo individuo (o leader) di esercitare una mistica attrazione sulla massa. In questa forma di carisma può rientrare anche la componente religiosa. In tal caso è il carisma che legittima il sistema di dominio. Anche Obama, il nuovo presidente degli Stati Uniti, ancor prima di essere legittimato dalla legge, è stato legittimato dal carisma.
Gerarchia e organizzazione sociale
6Tutti questi autori, e altri che non ho menzionato, hanno messo in evidenza, nell’analisi della modernità, la nascita di una nuova organizzazione sociale caratterizzata da una certa dinamicità interna, diversa da ogni altra organizzazione premoderna, caratterizzata invece da una sua interna staticità. Se è vero che nell’età premoderna si sono susseguite civiltà diverse, come quella babilonese, romana, giudaica ecc., aventi ognuna una diversa organizzazione sociale, con leggi e regole proprie, esse erano tuttavia accomunate da una medesima caratteristica: l’unicità del sistema sociale. Tenuto conto del fatto che è la stratificazione sociale a determinare la funzione e la struttura della vita quotidiana di ogni singolo individuo, non si può non osservare come la vita sociale e politica nelle società premoderne fosse caratterizzata da un grande immobilismo interno, poiché tutte le possibilità di vita erano già predeterminate dal nascere in un determinato luogo o in una determinata famiglia. L’esser nato in una certa famiglia, nell’Atene precristiana, o al tempo della schiavitù a Roma, o nel i secolo dopo Cristo, o nella Firenze dei Medici o nel xv secolo come figlio di un gentiluomo inglese, determinava le diverse possibilità di vita del singolo individuo. Cicerone fu il primo uomo nuovo a diventare console e ciò ha determinato il minimo e il massimo delle sue possibilità. È chiaro che, a seconda che si nascesse nobile o servo, le possibilità di vita erano totalmente differenti, in quanto la posizione sociale ricoperta determinava le condizioni e le possibilità di vita. Ciò era ancor più evidente per una donna, poiché nascere signora o schiava determinava delle condizioni di vita completamente differenti. Se nasceva all’interno di una classe sociale elevata poteva sposarsi e, in caso, avere figli, e questo status determinava il massimo della sue potenzialità, oltre non poteva andare. In questo contesto è chiaro che sono le contingenze sociali e il codice genetico a determinare il posto occupato nella gerarchia sociale: in tal senso è vero il detto “diventi quello che sei per nascita”.
7Nella modernità vi è, invece, una maggiore mobilità sociale rispetto ai tempi premoderni, ed è chiaro che non è la famiglia, ma il ruolo che si riuscirà a occupare nella società a determinare le possibilità di vita. Solo nella modernità si è potuto affermare un uomo nuovo come Obama. Questo significa che si può raggiungere il massimo solo con le proprie possibilità (anche se il ruolo già occupato nella gerarchia sociale consente di fare di più). Con queste poche parole voglio delineare la mia idea di istituzioni sociali moderne, le uniche in grado di attivare immaginazione e attività, poiché è all’idea stessa di modernità che appartiene la possibilità di uguali opportunità per tutti. Anzi, per meglio dire: senza l’idea di uguali opportunità, non possiamo avere l’idea di cosa la modernità sia. Il fatto che possono esistere uguali opportunità significa che vi è la possibilità di idee di vita differenti, il che può determinare lo sviluppo di sane competizioni fra le razze, fra popoli differenti, fra persone che hanno un differente background. Un elemento scardinante rispetto al passato è la maggiore possibilità di accesso all’istruzione, accompagnata da un concetto più ampio di educazione. Ciò segna una differenza con i tempi premoderni, quando ad esempio il signore imparava a diventare “gentile”, nel senso che imparava le regole della cortesia, mentre le gentildonne imparavano a suonare il piano, a vestirsi bene, a diventare buone mogli o madri. Il tipo di educazione mutava in base alla diversa appartenenza agli strati sociali, era limitato e qualitativamente determinato dalle prestazioni richieste dallo stato sociale e dal posto occupato nella scala sociale. Non esisteva un concetto di educazione universale e non tutti potevano accedere agli studi superiori. Nella modernità la situazione muta: ognuno è obbligato all’educazione, ogni bambino deve andare a scuola e ogni studente può andare alle scuole superiori o all’Università e anche restarci, in base alle sue attitudini. Questo è un tratto tipico della modernità: ognuno ha la possibilità di studiare.
8In America una larga parte dei cittadini va al College e molti studiano per diventare avvocato, ingegnere, fisico, chimico, tutto ciò che desiderano diventare, cosa che non era assolutamente possibile nei tempi premoderni. Quando ero nelle isole Figi, in Australia, sono andata a visitare la scuola di un paesino, dove c’erano anche ragazze indigene. Alla mia domanda: «Cosa vuoi fare da grande?», rispondevano: «Voglio diventare pilota o dottore». Non mi rispondevano: «Voglio sposarmi con un ragazzo e avere tanti bambini». Maggiori opportunità determinano anche diverse aspirazioni e motivazioni.
9Di solito la modernità è descritta come una “società insoddisfatta”8, poiché, anche se ci sono innumerevoli possibilità per tutti, non tutti arrivano a poter fare un salto nella gerarchia sociale: se molte possibilità vengono disattese, si crea una maggiore insoddisfazione (nei sentimenti, nei genitori, nel lavoro), poiché non diventiamo ciò che vorremmo essere. In effetti, come scriveva Sartre, eguali opportunità determinano un maggiore risentimento dell’uno verso l’altro. Esistono diversi generi d’insoddisfazione: quella verso se stessi, quella verso i genitori, quella verso i vicini di casa, verso la società. Oggi non abbiamo più scuse. Prima si credeva di essere stati messi in un certo posto nel mondo da Dio e non restava che aspirare al Paradiso. Ora, invece, essendoci maggiori possibilità di diventare ciò che si desidera, se ciò non accade, la colpa viene data agli altri e si diffonde un irrisolto sentimento di risentimento. È la presenza di soddisfazioni disattese a creare una società insoddisfatta.
10Nella società premoderna esistevano diversi tipi di bisogni e di soddisfazioni che dipendevano dalla classe sociale a cui ogni singolo individuo apparteneva. Esistevano gratificazioni qualitativamente differenti per ogni strato sociale, diverse a seconda del ruolo che si ricopriva, a seconda che si fosse schiavi o borghesi, ricchi o poveri. Del resto ognuno era educato a quel tipo di bisogno richiesto dal suo ruolo sociale, determinato a sua volta dalle funzioni sociali che dovevano essere svolte. Per esempio il bisogno di leggere e di scrivere nel xvi secolo era limitato a determinati ceti e alla loro funzione: l’attribuzione di bisogni e di soddisfazioni era qualitativamente determinato. La modernità è invece caratterizzata dalla non qualificazione e dalla non attribuzione di bisogni e di soddisfazioni, poiché bisogni e gratificazioni non sono legati a un gruppo sociale, alla classe sociale in cui si è nati, ma sono determinati e sottoposti a logiche diverse, alle logiche economiche. È il denaro a determinare il peso di un bisogno su di un altro: questo significa che dalla soddisfazione di un bisogno non deriva alcuna soddisfazione, alcuna gratificazione. Del resto, vien da chiedersi: quale genere di bisogno e di gratificazione oggi ognuno vorrebbe avere? Uno può avere il bisogno del televisore in bianco e nero, un altro di quello a colori, un altro ancora del telefonino. In questo contesto ogni bisogno è determinato da cosa si sceglie, non da cosa si è o per, meglio dire, è l’economia a determinare quale tipo di bisogno occorre soddisfare. Per Marx il tratto caratteristico della modernità è la produttività ed è da questa che dipende lo sviluppo dei bisogni, infatti il mutamento e la crescita di bisogni sempre nuovi è tanto più rapido quanto più cresce la produttività. Il capitalismo e la produttività creano sempre nuovi bisogni; se nell’antichità la produzione era piuttosto lenta, nella modernità la rapidità della produzione determina sempre nuovi bisogni e con essi nuove insoddisfazioni, a causa di bisogni che non possono essere soddisfatti.
La dinamicità
11Finora vi ho parlato della modernità come organizzazione sociale, ma avevo promesso di parlarvi del secondo aspetto della modernità: la sua dinamicità. Quando parliamo della dinamicità parliamo di un tipo di gioco linguistico, che genera nuove azioni e istituzioni. In questo gioco linguistico viene considerato ciò che è vero e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è bello e ciò che non lo è, ossia vengono considerate le idee di verità, giustizia, bellezza e come di queste siano state date diverse interpretazioni. In questo senso, nel momento in cui discuto il senso da dare a questi valori, il dinamismo linguistico è conservato. Se guardiamo al passato questo stesso gioco linguistico era stato messo in atto dai sofisti, pratica poi messa in discussione da Socrate e criticata perché rimandava alla affermazione di mere opinioni e si allontanava dalla ricerca della verità. L’opinione non è la verità e, come tale, deve essere messa da parte ogni volta in cui cerco una risposta valida per me stesso: da un lato vi è l’idea di bene e dall’altro l’opinione che abbiamo su di essa. La pratica dei sofisti è contestata da Socrate, in quanto ricerca che non conduce al vero bene. In una sua commedia, Le nuvole, Aristofane criticò il socratismo per il suo morboso gesto di mettere in discussione le norme esistenti, gesto pericoloso perché può condurre al collasso della società criticata. E questa è una affermazione condivisibile, se pensiamo che nelle società pre-moderne ciò che la maggioranza ritiene vero, è considerato vero: ciò significa che se il valore si fonda sulla tradizione, quando questa si mette in discussione l’effetto più immediato è il crollo dell’intera società (e la società greca, di fatto, poi è crollata, e un processo molto simile avvenne nella società romana al tempo della diffusione del cristianesimo). A partire dall’epicureismo e dallo stoicismo ci si cominciò a chiedere cosa fosse giusto e cosa no, cosa fosse buono o no e si cercarono differenti forme di vita. Quest’atteggiamento cambiò il legame con la tradizione, la cui messa in discussione determina il crollo delle società. Quando questa dinamicità diventa generale e nega tradizioni preesistenti, una società collassa. Così è accaduto per la civiltà romana, ma è diventato ancora più evidente in Europa al tempo del Rinascimento.
12Ma la domanda: cosa è giusto, cosa è buono? È una domanda che l’uomo ha continuato a porsi, secolo dopo secolo, civiltà dopo civiltà. Al seguito di questa domanda sono stati fatti numerosi passi in avanti. Se, oggi, è piuttosto ovvia l’affermazione che tutti gli uomini nascono liberi, è vero però che è stata la Dichiarazione di Indipendenza americana a dichiararlo a chiare lettere: gli uomini sono tutti uguali e hanno un uguale diritto alla libertà e alla felicità. La dichiarazione che tutti gli uomini sono liberi, è stata, per quei tempi, piuttosto sconvolgente in quanto metteva a tacere ogni tradizione preesistente, perché veniva riconosciuto per legge e per la prima volta, che, pur nascendo alcuni liberi, altri schiavi, tutti nascono ugualmente liberi nei diritti e nei pensieri. Tutti sono uguali: questo è uno slogan che ha contributo in larga misura al passaggio dalle società premoderne a quelle moderne, poiché sotto questo slogan sono sorti nuovi ordinamenti sociali che hanno negato alcuni ordinamenti preesistenti, come la divisione fra uomini liberi e schiavi. Che le persone nascano ugualmente libere è un valore che ha messo in moto la dinamica della modernità, stravolgendo e trasformando gli ordinamenti sociali esistenti. Certo il cambiamento non è arrivato subito, ma ha determinato un movimento delle coscienze che nel tempo ha mutato la società: si pensi alla rivoluzione francese e alla contestazione della concezione della sovranità per diritto divino. Pratica diffusa della modernità diventa così la possibilità di mettere in discussione e di criticare le pratiche politiche in uso, decidendo cosa è giusto e cosa non lo è. Il dinamismo della modernità è determinato dalla sua interna criticità, dalla messa in discussione di istituzioni, pratiche politiche, di tutto ciò che esiste. La dinamicità è un tratto tipico della modernità, totalmente assente nelle società premoderne.
13Ma se il dinamismo è proprio della modernità, questo non è causa della sua fine, è invece vero il contrario: è il dinamismo la condizione della sua stessa sopravvivenza, della sua stessa vita. La critica del presente è una continua rivoluzione, con o senza sangue. Pensiamo alla rivoluzione industriale, alla rivoluzione sessuale, attraverso cui si liberano nuove forme di vita, nuove norme e regole. La modernità si fonda anche sul dinamismo della scienza e della tecnologia, poiché ogni affermazione scientifica viene falsificata da nuove scoperte. Pensiamo alla frase di Popper sul principio di falsificazione, secondo cui è il criterio di falsificazione che rende attendibile un’affermazione scientifica, contrastando l’affermazione classica che ogni verità scientifica è eterna. Questo significa che anche ogni ordinamento sociale si apre alla falsificazione, ossia al cambiamento. Max Weber ha compreso che la dinamicità interna alla modernità è dovuta alla compresenza di sistemi sociali differenti, è, infatti, possibile affermare che il pluralismo è la caratteristica propria di queste società: differenti etiche, differenti sistemi politici e sociali con differenti norme e leggi. Del resto è questa mancanza di unicità, questa pluralità di sfere, che preserva la modernità stessa da pericolose forme di totalitarismo. Per questo l’unificazione delle sfere sarebbe molto pericolosa, penso a forme di commistione fra ambiti diversi che sono molte pericolose per gli effetti che possono produrre, come ad esempio l’estetizzazione della politica o la politicizzazione dell’economia. Occorre, allora, che sfere sociali differenti, con norme e regole diverse, coesistano tra di loro senza unificazione: ogni processo unificante è rischioso, perché potrebbe condurre a nuove forme di totalitarismo.
Valori della modernità
14Il compito che mi rimane nella seconda parte della lezione è quello di trattare il problema dei valori. Max Weber ha parlato del valore della razionalità: tale valore è molto rilevante nelle società moderne, poiché la razionalità e la razionalizzazione hanno parte in ogni loro processo interno. Nella modernità il problema dei valori sembra molto astratto e indeterminato, perché la determinazione dei valori dipende dal periodo sociale, dalla cultura e dal singolo individuo. Io ritengo che i due valori astratti della modernità siano la libertà e la vita. Cos’è la vita? E cos’è la libertà? Le risposte date a queste due domande dipendono dalle diverse interpretazioni che della vita e della libertà vengono date nella società moderna. Non credo, per questo, che questi due valori possono rimanere astratti, perché proprio il periodo storico e sociale e la cultura continuano a determinarli. Credo che questi due valori-idea della modernità si richiamano l’un l’altro e che tutto ciò a cui la gente crede deriva o si riferisce a questi due valori. Possiamo verificarlo nella disputa intorno alla giustizia: se è proprio della modernità la sua dinamicità, questo si può anche tradurre nel fatto che non possiamo dire in maniera categorica cosa sia giusto o cosa sia sbagliato, poiché ciò che è giusto per uno, non lo è per un altro, dal momento che si possono dare diverse interpretazioni della giustizia. Eppure è possibile avere dei punti di riferimento costanti, che devono orientare la discussione su ogni norma, come avviene nella discussione sulla giustizia. Questi punti di riferimento sono dati dalle due idee guida della modernità: la vita e la libertà. È infatti solo in un ambito di discussione pubblica che si può trovare una risposta in termini di reale libertà o di vita vera, una risposta che tenga conto e cerchi uguali opportunità di vita per tutti, o al contrario, una risposta che può contraddire l’idea e le aspettative di una vita felice, di una vita buona. È possibile scoprire se vi è contrasto fra le norme di giustizia e le norme di una vita ideale, tenendo bene a mente cosa sia una vita buona o controllando se vengono soddisfatte le aspettative di una vita buona, solo così è possibile impegnarsi in direzione delle norme “buone”, nel senso che garantiscono l’idea di libertà e di vita. Nei grandi conflitti della modernità è impossibile avere un consenso completo su ciò che è buono e ciò che non lo è in ordine alla vita e alla libertà, ma nel contesto della giustizia possiamo raggiungere un argomento sovrano che si ponga fra le opposte argomentazioni: nella discussione di ciò che si ritiene essere giusto o no, bisogna raggiungere un compromesso, raggiunto mediante il consenso della maggioranza.
15Un altro importante valore della modernità è l’eguaglianza, anche se non è un valore-idea universale al pari di quello della vita e della libertà, perché non esiste un’idea di uguaglianza in sé, al pari della vita e della libertà. Vita e libertà sono due idee qualitative; uguaglianza è un’idea quantitativa. Se parliamo dell’uguaglianza ci chiediamo: uguali in cosa? Pari in libertà, o pari nel senso delle medesime chance di vita? Nella modernità si dice che si è eguali di fronte alla legge, pari nei diritti, nell’avere una vita felice o nell’essere liberi. Rimane però il problema che possiamo essere uguali in modi diversi: per esempio, è impossibile essere uguali nella proprietà, perché tutti dovrebbero avere medesime chance di vita, avere le medesime proprietà, ma ciò non è possibile perché negli attuali sistemi sociali la gerarchia sociale comporta inevitabilmente delle disuguaglianze sociali. Ripeto: uguali in cosa? Questo è il problema. Uguali nella libertà, in uguali opportunità di vita. Ma quale altra uguaglianza vi è nella modernità? Uguali si può essere in molti sensi; ricordiamoci, infatti, che l’uguaglianza è una categoria quantitativa. Ma ricordiamoci anche che l’uguaglianza è un valore subordinato alla vita e alla libertà, deve contemplare cioè delle condizioni di uguaglianza che tengano conto del rispetto del valore della vita e della libertà. Questa è un’esigenza che sorge con il sorgere della modernità.
Le tre logiche della modernità
16Ma ritorno, come promesso, alle tre logiche della modernità e all’enfasi posta sul movimento interno alla modernità, che ha portato al sorgere dei movimenti sociali e al costituirsi di nuovi ordinamenti. Esistono tre logiche, tre distinte tendenze nella modernità, che si muovono continuamente, in una tensione incessante e sono tanto durevoli quanto la modernità stessa. Infatti le tre logiche si muovono senza che una determini le altre, poiché ognuna è la condizione dell’altra, così si supportano vicendevolmente e sono necessarie alla sopravvivenza e riproduzione della modernità.
17Un tipo di logica è l’insieme delle scoperte tecnologiche e della scienza, quello che normalmente è definito il progresso, ovvero l’accumulazione di conoscenze scientifiche e tecnologiche. Nel Medio Evo prevalevano la fisica e la biologia di Aristotele e queste rappresentavano la tradizione indiscussa, ma poi il prevalere di un altro sistema scientifico determinò la fine dell’“eternità” della verità aristotelica. A noi oggi interessa il crescere di conoscenza e infatti la modernità nasce dall’accumulazione di conoscenza e nelle scienze e nella tecnologia. Per alcuni la modernità ha inizio con Galileo, per altri con Newton; possiamo essere d’accordo o no, rimane vero che la scienza moderna nasce dal crescere della conoscenza e dal fatto che all’inizio della modernità la scienza comincia ad appoggiarsi alla tecnologia. E l’uso della tecnologia ci rende sempre più capaci di nuove scoperte (si pensi a quelle rese possibili dall’uso del microscopio). Nasce però un altro problema riguardo a questa tendenza della modernità.
18Consideriamo la seconda logica della modernità, che è quella della distribuzione: come vengono distribuiti servizi, beni, uomini? La distribuzione di beni, valori, risorse, servizi avviene solo nel mercato. Il dominio delle logiche del mercato è tipico, come sappiamo, della modernità, poiché il denaro, valore astratto, si determina solo nel mercato, nel momento in cui consente la soddisfazione e la distribuzione di bisogni e desideri. Ma il mercato come si autoregola? Secondo alcuni si autoregola senza l’intervento di alcuno e senza l’imposizione di limiti, e in questo modo distribuisce lavoro, beni, valori, risorse. Tuttavia nel 1900, dopo la prima grande crisi economica, dopo l’impoverimento della classe lavoratrice, in Inghilterra alcuni amministratori e studenti inglesi conclusero che il mercato non è in grado di autoregolarsi, occorre invece che venga regolato dallo stato. E proprio in Inghilterra, per evitare di giungere a un disastro, nacquero i primi interventi dello stato sul mercato. All’inizio del xx secolo Karl Polanyi9 riteneva che la concezione che il mercato si autoregola fosse un’utopia negativa che bisognava fermare. Come si regola il mercato fra gli stati, e quali le relazioni che regolano il rapporto fra gli stati? Questa è una domanda importante che rimanda al mio concetto di “pendolo” della modernità.
19Il mercato è composto da due elementi: da un lato il capitalismo, che è una vera forza rivoluzionaria, specialmente per quanto riguarda le condizioni della vita umana, e dall’altro lato ogni intervento sociale degli stati, che tende a essere di tipo conservativo, nel senso che conserva le condizioni per il miglioramento della vita umana. Queste due tendenze del mercato moderno sono costantemente in conflitto fra loro, muovendosi in contrasto, come i movimenti di un pendolo. Come il pendolo si muove in due opposte direzioni, così il mercato si autoregola, indirizzandosi verso maggiori o minori interventi dello stato, maggiori o minori regolamentazioni statali, creando condizioni di uguaglianza, che col tempo finiscono poi per diminuire. Così si torna indietro verso un’altra direzione, con più controlli e maggiori interventi statali, si va verso un maggiore immobilismo e un minore sviluppo. Poi il pendolo si muove ancora, torna indietro verso un’altra direzione, verso la negazione di quest’immobilismo. Questa è la situazione che si è venuta a creare oggi negli Stati Uniti in cui, dopo un periodo di liberismo sfrenato, il presidente Obama intende muoversi verso un maggiore controllo del mercato e una maggiore ridistribuzione delle risorse. Il pendolo si muove verso l’autoregolazione del mercato e poi torna indietro verso un’altra direzione. Il socialismo viene superato da un momento di capitalismo sfrenato e poi il movimento s’inverte. Certo c’è da chiedersi: chi regola il mercato? In un sistema democratico si sceglie chi regola il mercato nel giorno delle elezioni. In quel giorno si sceglie quale genere di regolazione si vuole, esprimendo soddisfazione o scontento per la posizione in cui il pendolo si è posto in quel momento. Solo nella democrazia moderna è possibile cogliere e veder agire le logiche che costituiscono la modernità, come l’accumulazione di scienza e tecnologia, o il mercato che distribuisce le forze, le proprietà, i servizi, le risorse, e insieme i cambiamenti politici che pongono un limite al pendolo e lo spingono verso un’altra direzione.
20Parlerò ora di quei movimenti impressi al pendolo dalle istituzioni politiche, del tipo di istituzioni che sorgono in base al suo movimento. Per alcuni la modernità coincide con la democrazia. Certo questo è vero in molti casi. Io credo che la modernità sia ciò che ho detto: adattamenti sociali e una grande dinamicità sociale. Ritengo che la criticità interna alle istituzioni, la capacità di dire che alcune cose sono buone, altre pessime, sia la caratteristica degli stati moderni. Eppure non tutti gli stati moderni sono democratici: chi dice cosa? Chi può parlare? Di solito si dice che in base alla funzione svolta nella società si determina il tipo di ruolo all’interno della gerarchia sociale, ruolo che può essere attivo o passivo nei confronti delle istituzioni politiche, anche se il ruolo rivestito dipende dal regime esistente. La modernità in sé, infatti, non è solo buona o solo cattiva, ma può essere e buona e cattiva e ogni volta ciò dipende da fattori diversi.
21Ma quali istituzioni politiche nascono nella modernità? Nell’antichità certo esistevano istituzioni politiche basilari, ma erano sottomesse a una compagine sociale di tipo tradizionale, che escludeva la nascita di elementi sociali nuovi. Pensiamo alla monarchia in cui di solito vi era un uomo solo, che si trattasse di re o d’imperatore, che controllava la società. Quella del sovrano era la sola gerarchia possibile, e non consentiva alcuna variazione sociale. Una forma nuova di regime politico nacque ad Atene con l’istituzione di due re. Fu il primo caso di democrazia moderna: singoli cittadini liberi si recavano nell’assemblea e decidevano il magistrato, decidevano chi doveva vivere e chi morire. Fu anche il primo caso di democrazia diretta, forma di governo che oggi non è facile realizzare, per il diffondersi della democrazia rappresentativa10. L’uomo libero cittadino ateniese, che partecipava al discorso politico e alle elezioni ha sempre esercitato un fascino indiscusso sul pensiero politico. Aristotele per esempio, che non ha mai scritto di aver partecipato attivamente alla vita politica, è un filosofo politico ancora molto considerato, certo non per il modo in cui ha parlato degli stranieri e degli schiavi, ma perché ha creato la grande tradizione della democrazia, tradizione che nei tempi moderni è stata frenata dall’affermarsi del repubblicanesimo. Nei tempi moderni si sviluppa infatti il concetto di repubblica, che è una forma di rappresentanza universale: non nel senso che tutta la popolazione possa essere rappresentata, ma nel senso che è rappresentato ogni ceto sociale.
22Tutte le istituzioni politiche inventate nella modernità sono caratterizzate dalla “libertà”: nella modernità sono state inventate le libere istituzioni e la libera democrazia. Siamo soliti pensare come distinti la democrazia diretta in Atene e il liberalismo inglese del xviii secolo, ma la combinazione dei due elementi nella democrazia liberale si ebbe solo al momento della costituzione degli Stati Uniti d’America. La creazione della libera democrazia fu infatti l’insieme dei due elementi: la democrazia e il liberalismo. La “costruzione di una costituzione”, per far ricorso a una sorta di gioco di parole, ha avuto luogo in Francia e in America dopo la rivoluzione, e rappresenta appunto il momento di sintesi tra democrazia e liberismo.
23Se poi guardiamo al sorgere degli stati-nazione, vediamo che sono sorti da un contratto sociale, come scrive Rousseau. Attraverso il contratto il re viene accettato come sovrano e diventa capo con il consenso della sovranità popolare, sovranità popolare costituita a partire dal contratto sociale. Se è vero che questo è un racconto fondativo, esso tiene conto però della necessità della costituzione, della necessità di costruire insieme qualcosa di nuovo. Dalla commistione di elementi tradizionali e nuovi nascono nuove forme di governo, come la monarchia costituzionale, che è un’invenzione moderna, poiché se è vero che la monarchia è una istituzione che rimanda a una legittimazione del potere di tipo tradizionale, tuttavia la presenza della costituzione limita i poteri del re.
24Anche il totalitarismo è un’invenzione moderna, poiché solo le società moderne possono diventare totalitarie. Le società premoderne non potevano essere totalitarie, perché vi erano differenti strati sociali, non erano società omogenee e non potevano diventarlo, poiché troppi erano gli elementi eterogenei, anche in conflitto tra loro, al punto che nessuna gerarchia poteva imporre una società totalitaria. Nella Fenomenologia dello Spirito Hegel parla di differenti aspetti della libertà, e mette in evidenza come ogni persona possa essere uomo, cittadino, padre di famiglia, proprietario. Ognuno ha ruoli differenti, impossibili in una società totalitaria. La società totalitaria è un concetto moderno, anche se in realtà rappresenta la parte decadente della storia moderna (se pensiamo al regime di Hitler, questo può essere visto, a ragione, come il ritorno a una nuova barbarie). Il totalitarismo è un regime politico moderno caratterizzato dal fatto che lo Stato, per evitare che venga ribaltato il suo potere politico dittatoriale, riesce a porre un grande freno al dinamismo della modernità e alle sue logiche, sottoponendolo a un continuo controllo.
25Tratto indiscusso dei regimi totalitari è la presenza dell’ideologia, attorno alla quale viene costruita tutta la vita politica del regime e “scientificamente” organizzata la vita di ogni cittadino. Per questo l’ideologia ha tratti molto simili al fondamentalismo, nel momento in cui costruisce un sistema ideologico per giustificare il progetto politico del leader che sta al potere. Le ideologie esprimono un aspetto fondamentalista quando servono per creare una base mitologica; per esempio Marx e Lenin sono i padri fondatori della costruzione ideologica elaborata da Stalin. Se il fondamentalismo è ideologico, ha bisogno di un partito che controlli e guidi la diffusione delle idee e il controllo delle menti: Lenin fu un genio politico nell’inventare il partito totalitario, un partito omogeneo che poi venne imitato da Hitler e Mussolini. Nel totalitarismo, infatti, la paura del dissenso politico fa sì che il potere politico neghi ogni pluralismo, e tale negazione impoverisce non solo la vita politica, ma anche ogni aspetto della vita culturale e sociale. In Ungheria anche un pittore poteva diventare nemico del socialismo, poiché un pittore che dipinge realisticamente le condizioni di un paese può diventare pericoloso; al contrario, un pittore che idealizza la realtà è molto ricercato e amato da chi detiene il potere. Negli ultimi tempi del regime di Kádár11 la letteratura e l’arte in genere si dividevano in tre tendenze: quella di supporto, quella tollerata, quella dimenticata. Quella che si opponeva al governo era appena tollerata o, quel che è peggio, dimenticata.
26Aspetto tipico del totalitarismo è, dunque, la “totalizzazione della società”, poiché sparisce ogni distinzione fra sfera pubblica e privata al fine di creare una “dittatura dei bisogni”: con la negazione del pluralismo, nel cittadino viene inibita la capacità di dire di “no”, la capacità di essere un “soggetto autonomo”, per dirla con Kant, ovvero di essere un soggetto autore dei propri atti, un soggetto di diritto e, dunque, capace anche di dissenso. Il cittadino relegato alla funzione di suddito non solo nega anni di conquiste sociali e politiche connesse con il sorgere della modernità, ma ripiomba in una condizione di “animalità”, perché non è più in grado di farsi portatore delle sue aspirazioni e dei suoi desideri, ma solo dei più semplici bisogni corporei, della cui soddisfazione si incarica il partito o gli organi che detengono il potere. Nel momento in cui ognuno viene relegato alle sole attività necessarie al sostentamento della specie, ogni singola esistenza viene a coincidere con il mero esistere, poiché non è più possibile coltivare le libere attività dello spirito. Tutto ciò si traduce in un pericoloso senso di deresponsabilizzazione, in cui ognuno diviene mero esecutore di tutto ciò che l’anonima macchina dello stato totalitario gli impone. L’affermarsi del totalitarismo e la scomparsa di ogni agire politico produce un duplice effetto: da un lato riduce gli uomini a una massa informe e facilmente manovrabile, attraverso l’indottrinamento ideologico, che isola ogni individuo da tutti gli altri; dall’altro, la “massa degli individui”, separati l’un dall’altro dal sospetto reciproco e dal terrore, è ridotta all’inazione e all’impotenza. È l’ideologia, con la brutalità della sua logica stringente, ad annullare le differenze, a livellare e uniformare. In un regime totalitario la paura e il terrore sono gli elementi costitutivi, al punto che si finisce per identificare il terrore con la virtù (secondo la parola d’ordine di Robespierre, “virtù e terrore”). Il potere affermandosi con il terrore fomenta nelle persone il senso della paura nei confronti dell’altro, creando il costante timore di un nemico e, in questo rovesciamento dei valori, avere dei nemici viene considerata una virtù, perché consente di sentirsi tutt’uno con l’idea rappresentata dal partito.
27Ma perché il totalitarismo è un fenomeno moderno? Perché nasce come una risposta alla perdita di ogni fondamento propria della modernità, nasce come esigenza per colmare l’ansia profonda di ogni cittadino, quando non riesce a reggere il senso di vuoto provocato dal pluralismo, dalla competizione e dal relativismo etico delle società moderne. Per questo si avverte l’esigenza di costruire artificialmente e ideologicamente un fondamento, e tanto più questa costruzione diventa stringente tanto più diventa fondamentalista e tanto più possono insorgere fenomeni di fanatismo. Anche il terrorismo è purtroppo un altro fenomeno tipicamente moderno, in quanto è una risposta ideologica alla mancanza di punti fermi della modernità.
28Ritorno alle prima parte della mia lezione e alle due idee costitutive della modernità: le organizzazioni sociali e la dinamicità. Entrambe sono presenti negli stati totalitari, insieme alla possibilità di uguali opportunità per tutti, poiché se si vuole, ci si può anche inserire all’interno della gerarchia sociale e avere possibilità di ascesa sociale. Ciò sembrerebbe corrispondere all’idea di maggiori opportunità e di maggiori possibilità di movimento e di dinamicità propri delle società moderne. Ma chi dice cosa è giusto e cosa è sbagliato? Nelle società totalitarie è il partito che stabilisce cosa significa bene e male, infatti, se non si seguono pedissequamente i suoi dettami si viene sottoposti a ogni genere di angheria, fino al possibile confino in Siberia, come avveniva nella Russia di Stalin.
29Il totalitarismo è stato forse il tratto più tipico della modernità agli inizi del xx secolo, ma forme più o meno manifeste di fondamentalismo appaiono continuamente nelle nostre società. Per questo è necessario mantenere uno sguardo vigile, controllare che libere e democratiche istituzioni continuino a esistere, affinché il pendolo della modernità non si arresti e non inclini di nuovo verso pagine vergognose per la storia dell’umanità.
Notes de bas de page
7 A Theory of Modernity, cit.
8 A. Heller- F. Fehér, The Postmodern Political Condition, Oxford-Cambrige, Blackwell and Polity Press, 1988; trad. it. La condizione politica postmoderna, Genova, Marietti, 1992.
9 Karl Polany (1886-1964) è stato un famoso filosofo, economista e antropologo ungherese. È noto per la sua critica della società di mercato espressa nel suo lavoro principale La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 2000.
10 In età romana abbiamo avuto funzionari eletti in funzione di rappresentanza (il tribuno della plebe), accanto al senato che non era un organo rappresentativo, in quanto riservato all’aristocrazia, ma questa forma di rappresentanza è venuta meno con l’affermarsi dell’impero.
11 János Kádár, (1912-1989) è stato primo segretario del Partito comunista e quindi capo dello stato ungherese dal 1956 (anno della rivoluzione) al 1988.
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