3. Intenzionalità collettiva e realtà istituzionale
p. 102-135
Texte intégral
Introduzione: rappresentazione, comunicazione e impegno
1Oggi parlerò dell’ontologia della civiltà umana, in particolare di come nascono le istituzioni sociali in cui viviamo ogni giorno: non solo stati, governi, università, associazioni, ma anche cocktail party e legami di amicizia. La mia tesi fondamentale è che il linguaggio gioca un ruolo molto importante in tutto questo e pertanto inizierò dicendo qualcosa sul linguaggio e spiegando in che senso il linguaggio sia un’istituzione, anzi l’istituzione umana fondamentale. Per quanto ne sappiamo solo gli umani hanno il linguaggio, e certamente il linguaggio è una forma di comunicazione. Di che tipo di comunicazione si tratta? Spesso gli altri animali hanno delle forme di comunicazione, talvolta anche piuttosto complesse. Ma il linguaggio sembrerebbe essere diverso da tutte queste forme e dobbiamo capire di preciso in cosa differisce. In primo luogo: con il linguaggio si comunicano informazioni. Che cosa significa questo, esattamente? Vuol dire che con il linguaggio si esprimono contenuti intenzionali. Questi – come abbiamo visto ieri – riguardano il mondo e non la mente, quindi, il linguaggio viene usato per comunicare contenuti intenzionali, e i contenuti intenzionali non riguardano la mente stessa, bensì il mondo. Essi hanno condizioni di soddisfazione che coinvolgono la realtà esterna e sono rappresentazioni di tali condizioni di soddisfazione. I contenuti intenzionali rappresentano il mondo e noi usiamo il linguaggio per comunicare – per loro tramite – informazioni sul mondo.
2A tal proposito è fondamentale fare una distinzione fra la rappresentazione e l’espressione. Una rappresentazione è qualcosa di valutabile semanticamente. Una rappresentazione, come abbiamo visto ieri, è qualcosa che possiede un contenuto semantico, che può essere vero o falso. L’espressione invece riguarda uno stato psicologico. Quando proferisco una frase, ad esempio, sto sì esprimendo un contenuto intenzionale, ma il contenuto intenzionale a sua volta rappresenta qualcosa di esterno, qualcosa che coinvolge il mondo – come esattamente lo coinvolga, dipende dalla sua direzione di adattamento. Quindi proferendo una frase io rappresento qualcosa con il linguaggio: la mia frase è una rappresentazione, anche se solo in senso derivato. Usando il proferimento in quel modo, io significo, dico qualcosa con il linguaggio. Se invece semplicemente urlo perché mi sono scottato un dito, il mio proferimento esprime sì uno stato mentale – lo stato mentale del dolore – ma non rappresenta nulla. Non c’è nulla che il mio urlo o lo stato mentale corrispondente rappresenti, al di fuori dello stato mentale stesso di dolore. Quando urlo, esprimo soltanto uno stato mentale, senza rappresentare nulla.
3La distinzione è abbastanza chiara, anche se ci sono casi che possono essere difficili da categorizzare. Uno concerne gli animali, una certa specie di scimmie per essere precisi. Queste scimmie hanno tre tipi di urli diversi. Quando vedono un leopardo urlano in un modo, quando vedono un’aquila urlano in un altro modo, e quando vedono un serpente hanno un terzo tipo di urlo ancora. Ovviamente leopardo, aquila e serpente sono tre elementi pericolosi nel loro ambiente, non solo per il singolo individuo ma per tutta la collettività, e quando urlano in uno dei tre modi, gli altri componenti della comunità riconoscono il tipo di urlo e si comportano di conseguenza. Questi tre urli diversi insomma provocano reazioni diverse negli esemplari della stessa specie che sentano uno di loro produrli. Ora, non è chiaro se queste scimmie usino questi tipi di urli per rappresentare tre diverse situazioni di pericolo – o tre animali forse – o se semplicemente questi tre urli esprimano tre diversi sensi di paura, che gli altri esemplari riconoscono.
4In ogni caso, significare qualcosa, almeno nei casi chiari come il linguaggio umano, è sempre qualcosa in più che semplicemente esprimere uno stato mentale, ed è anche qualcosa di più che esprimere semplicemente l’intenzione di proferire un certo suono anche se, ovviamente, occorre anche avere quell’intenzione per significare qualcosa. Infatti ci sono casi in cui si può voler dire, proferire, qualcosa, senza con ciò voler significare qualcosa. Ad esempio, quando uno si esercita in una lingua nuova e ripete le parole e le frasi per imparare a pronunciarle bene, senza tuttavia avere l’intenzione di significare alcunché. Questo è un caso diverso dal proferire un enunciato. Quando significo qualcosa con le parole che pronuncio, quando proferisco un enunciato, sto facendo qualcosa di più che non semplicemente emettere suoni o esprimere una sensazione: sto imponendo delle condizioni di soddisfazione. Ad esempio delle condizioni di verità, nel caso dell’asserzione. Non intendo semplicemente proferire qualcosa. Quando con il proferimento esprimo l’intenzione di emettere il proferimento, le condizioni di soddisfazione della mia intenzione sono completamente diverse da quando con il proferimento intendo dire qualcosa, ad esempio quando asserisco che le cose stanno in un certo modo. La mia intenzione nel primo caso è soddisfatta se emetto il suono giusto, nel secondo caso se dico la verità.
5È importante anche notare che espressione e rappresentazione non sono ancora comunicazione. Per avere la comunicazione infatti non basta semplicemente rappresentare, ossia esprimere l’intenzione di significare qualcosa, ma occorre aggiungere un’ulteriore intenzione: l’intenzione che l’ascoltatore mi intenda come qualcuno che dice qualcosa con l’intenzione che lui (o lei) riconosca ciò che voglio dire. Occorre dunque significare qualcosa prima di poterlo comunicare. Con il significare qualcosa noi imponiamo delle condizioni di soddisfazione su un certo suono, esprimendo un’intenzione che è la rappresentazione di tali condizioni di soddisfazione. L’intenzione di dire è comunicata se soddisfa certe condizioni, ossia se viene riconosciuta come tale dall’ascoltatore.
6Il riconoscimento del significato in virtù del fatto che deve essere riconosciuto come inteso è qualcosa di molto importante per la comunicazione, perché è ciò che viene prima di tutte le convenzioni linguistiche. Nel momento in cui si formano delle procedure standard per comunicare un certo stato di cose, tali procedure possono essere usate per far riconoscere l’intenzione di significare quella cosa, e quindi di comunicare. Tali procedure sono appunto le convenzioni. Il processo che porta alle convenzioni può dunque essere rappresentato in cinque passi:
espressione
intenzione di proferire
intenzione di rappresentare
intenzione di comunicare
convenzioni
7Inoltre, il linguaggio funziona sulla base di capacità pre-linguistiche, le capacità intenzionali basilari – percettive e volitive. Abbiamo la capacità di distinguere oggetti che posseggono determinate caratteristiche e possiamo usare il linguaggio per rappresentare questi stati di cose. La nostra capacità linguistica di combinare sintagmi nominali con sintagmi verbali, ad esempio, è basata sulla capacità di distinguere oggetti e proprietà di oggetti.
Linguaggio: … […NP] [… VP] … Percezione: Oggetto, caratteristica |
8Ora, ci si potrebbe chiedere che cosa io stia facendo. Sto forse facendo della psicologia evolutiva speculativa? No. Quella che propongo è un’analisi logica delle nostre capacità e la propongo con una metafora genealogica. Mostro delle caratteristiche dei linguaggi esistenti che mettono in luce una sorta di dipendenza logica fra esse, sussistente derivante da capacità intenzionali non linguistiche.
9Le due caratteristiche logiche normalmente riconosciute del linguaggio sono la composizionalità e la generatività. Il linguaggio è composizionale perché comprendiamo strutture linguistiche complesse sulla base della comprensione delle parti di cui sono costituite. La generatività, invece, è la capacità di creare un numero potenzialmente infinito di strutture complesse a partire da elementi più semplici. La composizionalità insieme alla ricorsività, che è la capacità di applicare successivamente regole di costruzione di strutture complesse, produce la generatività. Una cosa interessante – che è stata scoperta da poco dal linguista e antropologo Dan Everett50 – è che esiste una tribù dell’Amazzonia il cui linguaggio non è ricorsivo. A quanto pare, nel linguaggio Pirahã, non ci sono numerali, non ci sono parole per i colori e non c’è la possibilità di formare frasi usando strutture ricorsive. Quindi la composizionalità sembrerebbe essere più basilare della generatività. Questa comunque è una questione empirica che non tratterò ulteriormente qui.
10L’intenzione di comunicare, dunque, è un’intenzione complessa che porta con sé altre intenzioni fra le sue condizioni di realizzazione. Quando alzo il braccio per comunicare un pericolo, ad esempio, realizzo intenzioni come:
l’intenzione di alzare il braccio
l’intenzione di significare
l’intenzione di comunicare
11Con un tale apparato, un animale può rappresentare e comunicare desideri, intenzioni, e ogni sorta di stato intenzionale. Inoltre, sfruttando gli strumenti convenzionali (conventional devices), si può fare anche di più, si possono imporre condizioni di soddisfazione ad altre condizioni di soddisfazione. Ora, come abbiamo visto, ci sono cinque tipi fondamentali di atti linguistici:
asserzione (credenza): parola-a-mondo
ordini (desiderio): mondo-a-parola
promessa (intenzione): mondo-a-parola
espressioni (scuse): prp
dichiarazioni: doppia direzione
12Ciò che mi interessa sottolineare qui è che tutti questi atti hanno che fare con impegni. Ad esempio, l’asserzione comporta un impegno nei confronti della verità di ciò che si asserisce. C’è sempre la possibilità di mentire, certo, ma è appunto possibile mentire perché si dà per scontato l’impegno a dire il vero. La sincerità è ciò a cui uno si impegna quando asserisce qualcosa, ossia ci si impegna a credere ciò che si dice. Inoltre, nell’asserire qualcosa uno si impegna in modo più generale anche nei confronti della razionalità, nel senso che si impegna a fornire evidenza, se richiesto, del perché si crede ciò che si crede. Va però detto che in assenza di strutture sociali più complesse, di quelle che chiameremo strutture istituzionali, il parlante può imporre degli impegni solo su se stesso. Solo all’interno di un’istituzione gli obblighi e gli impegni, e più in generale le strutture deontiche (deontic requirements), hanno luogo.
Intenzionalità collettiva
13Ma come si formano tali strutture istituzionali? La mia tesi fondamentale è che si formino grazie al linguaggio, ma prima di vedere nel dettaglio come, occorre soffermarsi su di una caratteristica intenzionale fondamentale dell’uomo: la capacità di cooperare, ossia l’intenzionalità collettiva. L’uomo ha naturalmente la capacità di formare intenzioni che non prendono la forma dell’ “io intendo...”, ma piuttosto la forma del “noi intendiamo...”. Si tratta di una forma primitiva, ossia non riducibile a un’intenzione individuale o a costruzioni complesse di intenzioni individuali. Anzi, è l’intenzione individuale a derivare da quella collettiva: l’intenzione che ha la forma dell’“io intendo...” deriva da quella con la forma del “noi intendiamo...”. Nella tradizione ci sono stati molti tentativi di ridurre l’intenzionalità collettiva a quella individuale. Tali tentativi fanno tutti una medesima assunzione: se l’intenzionalità del “noi” è irriducibile, l’intenzionalità non può esistere nella testa individuale delle persone e quindi ci deve essere una specie di spirito del tempo hegeliano che fluttua da qualche parte. Questo è profondamente sbagliato. È, invece, nel modo seguente che funziona. Una persona pensa “noi intendiamo...” e un’altra pensa “noi intendiamo...”, ed è tutto nelle loro teste individuali. La mia spiegazione è fortemente naturalistica, poiché cerco di mostrare come la biologia, la fisica e la chimica creino la coscienza e l’intenzionalità, e come l’intenzionalità a sua volta crei la società e la civiltà; ma tutto procede dalla base di micro-fenomeni e l’intenzionalità collettiva esiste nei cervelli individuali. Non mi preoccupa tanto il problema dell’intenzionalità collettiva insomma. Mi sembra che sia un ovvio vantaggio evolutivo avere un’intenzionalità collettiva irriducibile, e infatti non è per caso che l’abbiamo. La domanda interessante è capire quanto indietro nella catena evolutiva possiamo andare. Io credevo che l’intenzionalità collettiva coinvolgesse molte specie, come anche le iene e i leoni. Tomasello e Rakoczy51 pensano che si possa andare molto meno indietro nella catena di quanto io avessi supposto: io ritengo che ci siano molti casi di intenzionalità collettiva fra gli animali, loro pensano che ce ne siano molti meno. In ogni caso, questa è una domanda per gli scienziati.
14Ma cos’è, esattamente, un’intenzione collettiva? Farò un esempio. Supponiamo che io e te, due persone, siamo entrambi impegnati a organizzare la campagna presidenziale di un certo candidato. Abbiamo l’intenzione di fare il possibile per far eleggere il nostro candidato e fa parte di quell’intenzione che noi crediamo la stessa cosa, il che significa che la struttura formale dell’intenzione collettiva è la stessa. Le condizioni di soddisfazione dell’intenzione sono le stesse. Dobbiamo essere noi, sia io sia tu, ad avere l’intenzione di impegnarci al fine di far eleggere il nostro candidato. La nostra intenzione individuale e quella collettiva in questi casi coincidono. Ci sono poi casi più complessi, e più interessanti, in cui il contenuto dell’intenzionalità individuale è diverso dal contenuto dell’intenzionalità collettiva, anche se l’intenzionalità individuale è parte dell’intenzionalità collettiva. Ad esempio: io e te suoniamo un duetto piano-violino – io il piano, tu il violino. Ciascuno di noi condivide l’intenzionalità collettiva di suonare il duetto, ma qual è la relazione fra l’intenzione di suonare la mia parte (il piano) – che solo io ho – e quella di suonare la tua parte (il violino) – che solo tu hai? Non si tratta di una domanda banale. Infatti, affinché la tua intenzionalità individuale sia parte dell’intenzionalità collettiva, occorre che l’intenzionalità collettiva sia capace di muoverti, poiché se non è in grado di muovere corpi individuali non può fare nulla. Lo stesso avviene in tutti i casi di collaborazione: se fai parte di un movimento politico, di una squadra di calcio o di un duetto, allora l’intenzionalità collettiva deve muovere il tuo corpo, il che significa che devi avere un’intenzionalità individuale derivata da quella collettiva.
15Si potrebbe sospettare che, visto che il riferimento al noi non è sempre determinato, come invece lo è il riferimento all’io dell’intenzione individuale, l’intenzionalità collettiva finisca con l’essere qualcosa di misterioso52. Ma in realtà non è così. Prendiamo ad esempio un grande esercito in un’azione di guerra: ci sarà molta gente che procede, che va avanti, e a cui non interessa altro, va avanti solo perché deve andare avanti. Ciononostante, l’intenzionalità collettiva deve avere la capacità di motivare individualmente, di muovere corpi individuali per mezzo delle loro intenzioni individuali. Ovviamente ci saranno sempre persone che se ne fregano dell’intenzionalità collettiva e che vanno avanti solo perché sono stati “addestrati” a comportarsi così. In questo caso specifico si tratta di “agenti passivi” dell’intenzionalità collettiva, che possono anche non sapere cosa capita. Durante la Seconda guerra mondiale l’esercito tedesco seguiva un principio secondo il quale non occorreva sapere più di quello che era strettamente necessario riguardo a quanto stava accadendo per realizzare un compito particolare. I comandanti, ad esempio, non conoscevano la situazione generale della guerra. Quando Friedrich Paulus – e con lui tutta la 6a armata – si arrese a Stalingrado, non conosceva la situazione generale, e questo perché non gli era concesso conoscerla. Quindi di fatto Paulus condivideva l’intenzionalità collettiva dell’intero esercito senza tuttavia sapere che cosa stesse accadendo. Ciononostante, la forma primitiva di ogni intenzione con la quale abbiamo che fare nel caso della collaborazione sociale è sempre quella del noi, ossia l’intenzionalità collettiva. In altri termini, l’intenzionalità collettiva l’abbiamo perché siamo animali biologici: siamo animali sociali, abbiamo la capacità di cooperare con altri membri della nostra stessa specie. Basta prestare attenzione alla comunicazione fra madre e bambino per fugare ogni dubbio.
Fatti istituzionali, imposizione di Funzioni di Status e regole costitutive
16Chiarito che cosa sia l’intenzionalità collettiva, dobbiamo adesso chiederci: come è possibile che dall’intenzionalità collettiva sorgano il potere, i soldi, i governi, le università e l’intera realtà sociale? In primo luogo occorre avere un linguaggio, perché senza linguaggio non c’è nessuna istituzione. Il linguaggio è l’istituzione sociale di base. Perché? Perché quando hai il linguaggio hai già una deontologia: si hanno impegni e obblighi di diverso tipo, questi sono già insiti nel linguaggio, e il meccanismo tramite cui questi impegni sono insiti nel linguaggio si espande naturalmente ad altre aree, con variazioni interessanti. Si dice “questo è mio e questo è tuo” e se si riesce a fare in modo che le altre persone accettino queste cose, la loro accettazione coinvolge già la doppia direzione di adattamento, e quindi la deontologia. Ma che cosa facciamo con il linguaggio quando istituiamo cose come la proprietà di una birra o un matrimonio? Quando usiamo il linguaggio in questo modo, imprimiamo funzioni – in virtù dei nostri stessi atti linguistici e della loro accettazione collettiva – a cose e persone che prima ne erano sprovviste. Le assegnazioni di funzioni hanno dunque un ruolo fondamentale nel costruire le istituzioni, i diritti, gli obblighi e gli impegni. Quando si dichiara di essere in una certa relazione con una certa cosa, non si sta dicendo semplicemente che di fatto si è in una certa relazione con questo, ma piuttosto, dichiarando che si è in una certa relazione, si crea tale relazione.
17Attraverso il linguaggio possiamo imporre a cose e persone funzioni che prima non avevano. Le funzioni che qualcosa o qualcuno ha solo in quanto è inserito in una rete di obblighi e diritti di vario tipo le chiamo «Funzioni di Status». Ora, le funzioni sono sempre relative a un sistema di valori, perché la nozione di funzione è una nozione normativa. Le funzioni che le scienze empiriche scoprono, sono anch’esse normative, caratterizzandosi sempre come funzioni solo rispetto a un sistema di valori: ad esempio la medicina ha scoperto che la funzione del cuore è quella di pompare il sangue. Ma pompare il sangue – di per sé un fatto bruto che riguarda il cuore, un fatto che esiste indipendentemente da noi che lo scopriamo – è una funzione solo rispetto a un sistema di valori come la buona salute dell’organismo e così via. Ciò non significa necessariamente che tali valori siano arbitrari, anzi i valori rispetto a cui le scienze empiriche scoprono funzioni, come ad esempio negli organismi viventi, sono razionali. Non è casuale, insomma, che abbiamo tali valori.
18Il linguaggio certamente è un’istituzione nel senso banale in cui soddisfa la nostra idea intuitiva di istituzione: è collettivamente accettato, implica convenzioni, è diverso da cultura a cultura e non è dato direttamente dalla nostra biologia. Inoltre, come tutte le istituzioni, è pieno di poteri deontici: diritti, doveri, responsabilità. Gli atti linguistici portano con sé molti poteri deontici. Tuttavia ritengo che il linguaggio sia diverso dalle altre istituzioni, e questo in un senso fondamentale, perché se da un lato i poteri semantici del linguaggio non vanno oltre la semantica, dall’altro noi usiamo quei poteri semantici per creare poteri non semantici: per creare governi, proprietà privata, università. In tutti questi casi abbiamo poteri non semantici che sono stati creati dal linguaggio. Quindi penso che il linguaggio sia l’istituzione sociale di base: crea tutte le altre, anche se non è a sua volta creato dallo stesso meccanismo. Vedremo meglio fra poco come tutto ciò possa avere luogo.
19Quello che è interessante, per capire il ruolo dell’attribuzione di funzioni nella costruzione della realtà sociale, è che il linguaggio ci permette di imporre funzioni che vanno oltre la struttura fisica degli oggetti interessati, le Funzioni di Status appunto. La realtà sociale è interamente costituita da status che rendono possibile che qualcosa o qualcuno svolga una certa funzione. Ad esempio per svolgere la funzione di vigile, o di professore, o di denaro occorre che abbia luogo una dichiarazione che assegni tale status, e che tale assegnazione sia riconosciuta collettivamente. Poniamo che a un pezzo di carta venga assegnata la funzione di essere una banconota, di essere denaro: è incredibile che qualcosa come un pezzo di carta, che intrinsecamente non ha nulla di speciale, possa svolgere una tale funzione, avere un tale potere, però è esattamente questo che intenzionalità collettiva e dichiarazioni, e quindi il linguaggio, rendono possibile.
20Nella prima parte della lezione ho introdotto la nozione fondamentale di Funzione di Status. È giunto adesso il momento di affrontare il punto principale di questa parte della sezione, ossia il paradosso per cui la realtà sociale è piena di fatti che sono epistemicamente oggettivi. È un fatto che questo pezzo di carta che vi sto mostrando, ad esempio, sia denaro, ma è un fatto solo perché noi soggettivamente crediamo che sia un fatto. È denaro, solo perché pensiamo che sia denaro. Questo vale per il denaro, per il presidente degli Stati Uniti, per la proprietà privata, per i membri del parlamento, e per un numero molto ampio di altre istituzioni sociali, come anche per le vacanze estive e per i cocktail party. Com’è possibile? Ho sempre pensato che in filosofia bisogna potersi permettere di rimanere sorpresi da ciò che le persone normali considererebbero ovvio. Ebbene, qualunque persona normale direbbe che è ovvio che questo sia denaro: in effetti ha l’aspetto del denaro, no? Cos’altro può essere? Il segno distintivo dell’atteggiamento filosofico, invece, è considerare come sorprendente e problematico ciò che a prima vista sembrava ovvio e non problematico. Mi piacerebbe quindi che tutti voi foste sorpresi dal fatto che qualcosa come il denaro esiste. A partire da questo fatto straordinario, torniamo per un attimo al mio cane: Gilbert non riconosce questa banconota che tengo in mano come denaro. Supponete che lasci una pila di banconote vicino alla cuccia di Gilbert e lo addestri a portarmi una banconota ogni volta che lo chiedo, oppure a portarla a un negozio e a prendere in cambio il giornale. Non è che così facendo lui stia comprando qualcosa con quella banconota, che per lui continua a non essere denaro, infatti non si tratta che di un riflesso condizionato. Qual è la differenza fra noi e Gilbert? Bisogna fare ancora un passo per capirlo. Quando ho iniziato a riflettere su queste cose, ho elaborato una distinzione che mi sembrava ovvia fra due tipi di fatti: i fatti bruti (brute facts) e i fatti istituzionali (institutional facts). Un fatto bruto è un fatto che può esistere anche senza istituzioni umane, mentre un fatto istituzionale – come il fatto che questo è denaro, o il fatto che George W. Bush è il presidente degli Stati Uniti – richiede le istituzioni umane per essere ciò che è. Nuovamente, un fatto bruto è il fatto che la Terra sia a 93 milioni di miglia (o 152 milioni di chilometri) dal Sole, mentre un fatto istituzionale è che io sia un cittadino americano.
21Ci sono filosofi che non credono affatto in questa distinzione, sostenendo che tutti i fatti siano istituzionali. Secondo loro, affinché sia un fatto che il Sole sia a 93 milioni di miglia dalla Terra, deve esserci un’istituzione che lo misuri in miglia (o in chilometri) e che ci permetta di stabilirlo. A mio avviso qui si tratta di un errore: bisogna infatti distinguere fra il fatto stesso e l’asserzione del fatto (statement of the fact). Mentre quest’ultimo richiede un linguaggio o un sistema di rappresentazioni, il fatto che il Sole sia laggiù e la Terra sia qui e che fra laggiù e qui ci sia una certa distanza è un fatto bruto. Era un fatto anche ben prima che esistessero istituzioni umane di qualsiasi sorta e continuerà a esserlo anche per molto tempo dopo che spariranno tutte le istituzioni umane. Invece il fatto che George W. Bush sia il presidente degli Stati Uniti è un fatto che esiste solo in e per un’istituzione. Voglio enfatizzare questo punto: il fatto asserito (the fact stated) deve essere distinto dall’asserzione del fatto. Le asserzioni, in generale, richiedono istituzioni, in particolare richiedono l’istituzione del linguaggio. Tuttavia alcuni fatti asseriti – come ad esempio il fatto che un atomo di idrogeno abbia un elettrone o che la Terra abbia un diametro maggiore della Luna – non richiedono un’istituzione per la loro esistenza, anche se richiedono un’istituzione per essere asseriti.
22Alcune delle cose che la gente dice a questo riguardo sono davvero incredibili. Ad esempio, hanno scoperto che Ramses II, un faraone egiziano, morì di tubercolosi, e un famoso sociologo francese, Bruno Latour, ha detto “È impossibile: la tubercolosi non esisteva prima della sua scoperta da parte di Robert Koch nel 1882”. Per Latour era come se avessero detto di aver scoperto che Ramses II morì per un colpo di pistola – il che sarebbe impossibile perché le pistole sono state inventate solo molto dopo. Sarebbe ugualmente impossibile che Ramses II sia morto di tubercolosi perché la tubercolosi è stata scoperta solo molto dopo. Adesso mi riesce molto difficile credere che qualcuno possa effettivamente sostenere ciò che Bruno Latour disse in quell’occasione. Mi sembra ovvio che si stia facendo confusione fra l’invenzione di un meccanismo tecnologico come una pistola e la scoperta di un fenomeno come il batterio della tubercolosi, che esisteva ben prima della sua scoperta. Non a caso, a questo proposito si parla di una scoperta e, a rigore, si scoprono solo cose che esistono già. Questa confusione è molto radicata e diffusa in certi circoli di intellettuali, soprattutto francesi, che credono che ciò che esiste sia tale solo all’interno della “testualità”, che solo all’interno di istituzioni e testi ci possano essere fatti. Questo è un grande errore. Da una parte, il fatto bruto che la tubercolosi uccise Ramses II e il fatto bruto che il Sole sia a una certa distanza dalla Terra, sono fatti bruti che esistono indipendentemente da testualità o dalle istituzioni; dall’altra parte, le proprietà, i governi e i matrimoni sono istituzioni, e rendono possibile l’esistenza di fatti istituzionali.
23Quello che adesso dobbiamo chiederci è: se i fatti istituzionali esistono solo all’interno delle istituzioni, che cosa è un’istituzione? A questa domanda ho risposto molto tempo fa, e ora ripeterò quella risposta. Per capire le istituzioni dobbiamo comprendere la distinzione fra regole costitutive e regole regolative. Alcune regole regolano comportamenti che esistono già: ad esempio, il codice della strada negli Stati Uniti ci dice di guidare sul lato destro. Ma l’attività di guidare esiste indipendentemente da quella regola, infatti quella regola non istituisce l’attività stessa di guidare, ma semplicemente regola un comportamento precedentemente esistente. Alcune regole, invece, non solo regolano certe attività, ma anche costituiscono l’attività che regolano, nel senso che quell’attività è quella attività solo se è realizzata all’interno di un sistema di certe regole costitutive. L’esempio preferito dai filosofi è il gioco degli scacchi. Le regole degli scacchi non regolano il comportamento del giocare a scacchi allo stesso modo in cui le regole del codice della strada regolano il guidare, piuttosto tali regole costituiscono l’attività stessa del giocare a scacchi, nel senso che uno non sta giocando a scacchi se non sta seguendo quelle regole. Per gli scacchi infatti non è successo quanto è successo per l’attività di guidare, in cui per evitare incidenti si è dovuto adottare delle regole. Non c’erano persone che continuavano a muovere all’impazzata dei pezzi di legno su delle scacchiere e poi è arrivato qualcuno che abbia detto «Ehi, qui c’è bisogno di mettere delle regole perché altrimenti continuiamo a scontrarci gli uni con gli altri, la tua regina continua a sbattere contro la mia torre, il tuo alfiere contro il suo pedone», e questo non è successo perché occorre già avere delle regole per poter giocare a scacchi, altrimenti non si sta affatto giocando a scacchi. Nel gioco degli scacchi, le regole sono costitutive del gioco stesso.
24Abbiamo visto che i fatti istituzionali esistono perché esistono delle regole costitutive e i fatti istituzionali consistono in assegnazioni di Funzioni di Status. Come sono connesse le due cose? Mi sembra che le istituzioni siano rese possibili da regole costitutive che hanno questa forma generale:
(F0) x conta come y
o meglio
(F) x conta come y in un contesto C
25Ad esempio: una certa posizione negli scacchi conta come essere in scacco. Oppure: questo pezzo di carta conta come valuta legale nell’Unione Europea. Oppure: George W. Bush, siccome soddisfa certe condizioni x, conta come avente lo status di presidente degli Stati Uniti. Quindi sembra che io possa dare una soluzione piuttosto elegante al problema dei fatti istituzionali e delle Funzioni di Status. I fatti istituzionali sono creati all’interno di istituzioni che consistono di regole costitutive della forma (F). Questo vale anche per istituzioni come il matrimonio, la proprietà privata e, più in generale, governi e università. Sono sistemi di regole tramite cui qualcuno viene costituito come un professore, mentre qualcun altro viene costituito come uno studente, e così via. In ogni caso, c’è sempre qualcosa che conta come qualcos’altro in un certo contesto.
26Notate ancora che x non è intrinsecamente un y, ed è per questo che conta come y. Gilbert, il mio cane, ha una vista ottima, e tuttavia non può vedere nessuno segnare un goal: vede un uomo che calcia un pallone, vede il pallone che supera una linea, ma non può vedere il goal segnato. Perché? Non perché ha un apparato visivo diverso, ma perché non può “vedere” il contare come, non può elaborarlo, non ne ha la concezione. L’idea qui è dunque che si aggiunga qualcosa con il termine y. Certo, questo pezzo di carta è una banconota da 5 euro. Se qualcuno mi dicesse “Mmm, questa non è proprio una banconota da 5 euro, conta solo come una banconota da 5 euro”, io potrei rispondergli che “Questo è proprio ciò che essere una banconota da 5 euro è: contare come 5 euro”. Gli americani erano divertiti all’idea che gli europei avrebbero accettato questi pezzi di carta colorati come denaro, perché sembravano troppo simili ai soldi del Monopoli. Comunque ha funzionato e adesso questo è denaro. E perché è denaro? Perché conta come denaro, appunto.
Alcune obiezioni alla teoria dei fatti istituzionali
27Credo che la teoria che ho appena esposto, basata sulla regola costitutiva (F), sia una buona teoria, tuttavia voglio cercare di migliorarla prendendo in considerazione un paio di obiezioni. La prima obiezione è la seguente: per avere un fatto istitutivo non si ha sempre bisogno di una regola costitutiva. Ad esempio si può semplicemente fare di qualcuno il capo della tribù, senza avere alcuna istituzione alle spalle, senza avere alcuna esplicita assegnazione di una Funzione di Status: semplicemente tutti nella tribù iniziano a trattare qualcuno come il loro capo. Un altro esempio è il seguente: immaginate che vada in una birreria con due amici, che ci sediamo al tavolo e che io vada al bancone a comprare la birra anche per gli altri, poi che io torni al tavolo e, posando le birre, dica “Giovanni questa è tua, Marianna questa è tua e questa è mia”. Ecco, così io avrei creato delle Funzioni di Status stabilendo che una certa birra è mia, un’altra è di Giovanni e un’altra ancora è di Marianna. Da questo momento ci sono dei diritti e dei doveri che prima non c’erano: non posso bere la birra di Marianna o quella di Giovanni. Ho creato status e diritti senza alcun sistema di regole preesistente, semplicemente ho detto “questa è la tua birra, questa è la mia”. Cosa è capitato in questo caso?
28C’è poi una seconda obiezione che mette in evidenza come ci siano casi di fatti istituzionali in cui non c’è il temine x: si tratta dei termini y-indipendenti, “indipendenti” appunto perché non c’è un x corrispondente. Ad esempio, quando crei un fatto istituzionale senza un oggetto. Il mio esempio preferito di fatto istituzionale è il denaro e, se ci pensate, la maggior parte del vostro denaro oggi non ha alcuna esistenza fisica. Esistono solo tracce magnetiche nei computer delle banche, ma, ovviamente, quelle non sono denaro, bensì una rappresentazione del denaro. Questo è un punto importante. Allora, questi pezzi di carta che ho in mano sono denaro. Supponiamo che io vada in banca e li depositi aprendo un conto a mio nome. La concezione ingenua di ciò che avviene in questi casi è che deve esserci nella banca una cassetta dove tengono i miei soldi, ma ovviamente non è così che le cose stanno. Quello che in realtà succede è che in banca l’impiegato registra in un file del computer la quantità di soldi che verso sul mio conto. Nel computer quindi non c’è il mio denaro, ma ci sono elettroni che – pur non essendo denaro – rappresentano il mio denaro. Non posso andare in banca e dire, datemi gli elettroni che voglio comprarmi una birra, perché gli elettroni sono soltanto una rappresentazione del mio denaro. Un buon test per scoprire se qualcosa è una controparte fisica di un oggetto sociale o solo una sua rappresentazione è il test della distruzione53: se distruggi una banconota da 10 euro, perdi valore, ma non perdi valore se il sistema informatico della tua banca va in crash. Questo sembra suggerire che i blips dell’hard disk della mia banca sono solo una rappresentazione e non una controparte fisica del mio denaro.
29Per capire questo punto è necessario ricordare la storia del denaro e avere chiaro in mente come siamo giunti al denaro elettronico. Ce ne occuperemo più avanti nella lezione. Adesso vorrei soffermarmi su un altro esempio, il mio preferito, di termini y-indipendenti: le corporation54. Nel caso delle corporation non si trova un oggetto o una persona che possa essere l’elemento x che conta come un y in un certo contesto c, ma si fa semplicemente sì che esista una corporation (you just make it the case that exists a corporation). Ma che cosa succede in casi come questo? È un interrogativo importante al quale sto cercndo di rispondere elaborando nuovi strumenti concettuali. Certamente ci sono istituzioni umane e ci sono fatti istituzionali. I fatti istituzionali implicano invariabilmente Funzioni di Status. Cos’è una Funzione di Status? È una funzione che può essere riconosciuta solo in virtù di uno stato accettato collettivamente. Che cosa fa questo status collettivamente riconosciuto? Qual è lo scopo del nostro riconoscimento collettivo di funzioni? Lo scopo di tutto ciò è che così noi creiamo poteri: infatti non c’è altro scopo nell’avere fatti istituzionali che non sia creare potere e relazioni di potere, al fine di distribuirli. Denaro, governo e proprietà privata, per non parlare di università e club nautici, sono sistemi di relazioni di potere. Che tipo di relazioni di potere sono? Sono poteri deontici, poteri che hanno che fare con diritti, doveri, obblighi, autorizzazioni, commissioni ecc. Qual è lo scopo di creare poteri deontici? Lo scopo è che i poteri deontici ci forniscono ragioni per l’azione che sono indipendenti dai desideri. Nella misura in cui tu riconosci che io ho il diritto di indossare questi pantaloni, mentre tu non hai questo diritto, allora riconosci che sono autorizzato a indossarli e riconosci anche che non hai il diritto di togliermeli e indossarli, anche se vorresti, quindi hai una ragione indipendente dal desiderio per non fare questo: semplicemente riconosci il mio diritto. Ciò che è caratteristico della deontologia in generale è che ci fornisce ragioni indipendenti dai desideri per compiere determinate azioni.
30Torniamo all’obiezione precedentemente esaminata: i casi di termini y-indipendenti – denaro elettronico, corporation – in cui non c’è un termine fisico che incorpori una funzione. Ovviamente occorre avere un documento che attesti l’esistenza della corporazione, ma il pezzo di carta non è la corporazione, esso rappresenta soltanto la corporazione, così come gli hard disk nei computer della banca non sono il mio denaro, ma rappresentano il mio denaro. Che cosa significa esattamente tutto questo? Cosa vuol dire che c’è una rappresentazione se non c’è una cosa al di fuori di essa che sia il rappresentato? Mi sembra che una risposta a queste domande possa essere data senza uscire dell’apparato concettuale basato su (f) che ho presentato prima. Basti pensare che anche se è vero che non c’è alcun bisogno che ci sia un oggetto fisico, ossia il denaro di carta, è vero però che anche il denaro in questione deve essere il denaro di qualcuno. Questo vuol dire che ci sono relazioni di potere sussistenti fra persone in carne e ossa e istituzioni. Del pari è vero che non occorre avere un oggetto che sia la corporation, ma occorre che ci sia qualcuno che sia il presidente della corporation, il direttore amministrativo, l’amministratore delegato, il segretario e così via. Inoltre occorre che ci siano uffici e segreterie. La nozione di corporation è quindi solo un segnaposto (placeholder) per tutte queste relazioni di potere fra gente reale. Pertanto mi sembra che il sistema continui a essere basato su oggetti e gente reali, anche dove sembrerebbe esserci qualcosa di puramente astratto. Lo stesso vale con il denaro elettronico: deve esserci qualcuno che sia il proprietario di questo denaro, una persona che ha il potere deontico.
31È importante a questo punto fare una distinzione tra la finzione (fiction) e la realtà sociale55. Come la realtà sociale, la finzione è creata dall’immaginazione, tuttavia la finzione, a differenza dalla realtà sociale, non comporta nessuna conseguenza, ad esempio non ha conseguenze morali. Nel caso della realtà istituzionale, invece, ci sono conseguenze: se oggi ti vendo la mia macchina, domani quella è la tua macchina.
32Ci sono alcuni filosofi che fanno confusione riguardo all’impegno ontologico in questione nella mia teoria. Ovviamente, il pezzo di carta è identico alla banconota da 5 euro: se tengo in mano un certo pezzo di carta, tengo in mano anche una banconota da 5 euro, perché sono identici. Il punto è che sono in gioco diversi livelli di descrizione, e il livello che lo descrive come un pezzo di carta non lo descrive ancora come una banconota da 5 euro. C’è un unico oggetto che può essere descritto in due modi. Penso che gran parte della confusione su questo punto della mia teoria sia dovuta all’applicazione del calcolo dei predicati. Il calcolo dei predicati è uno strumento molto imperfetto che, in questo caso specifico, non può essere usato al fine di chiarire l’impegno ontologico sottostante. Se si parte dal presupposto che le regole costitutive debbano assumere un dominio di oggetti operandovi quantificazioni di universalizzazione, allora non si potrà mai rendere conto delle corporation e di gran parte della realtà sociale, perché non c’è nulla – stando alle leggi della California, per esempio – che conti come una corporation. Le corporation, infatti, sono create praticamente dal nulla. L’interpretazione standard della quantificazione universale è che si ha un dominio di oggetti preesistenti, e questo è proprio il contrario di ciò che capita nel caso delle corporation, del denaro virtuale, degli scacchi alla cieca e così via. Non succede che si guardi all’interno del dominio in cui ci sono già tutti gli oggetti e si dica: “ecco, questi oggetti sono corporation”. Non è così che funziona. Le corporation sono create semplicemente con la dichiarazione della loro esistenza.
33Quindi il caso in cui non si ha un termine-x – ossia il caso dei termini y-indipendenti – non mi sembra costituire effettivamente una violazione del principio fondamentale (f). Qualcosa di analogo vale per l’altro contro-esempio che vi ho presentato, quello in cui si crea qualcosa senza che ci sia un’istituzione alle spalle. Quando stabilisco – semplicemente dicendotelo – che questa è la tua birra, ovviamente non c’è nulla di istituzionale, ma l’attribuzione deve comunque avere la stessa struttura logica di un’istituzione: questa cosa conta come la tua birra, o questa persona – visto che la trattiamo come il capo della tribù – conta come il capo della tribù. Qualcosa di analogo capita anche con l’amicizia, le passeggiate e l’invito ai cocktail party. Sì, penso che persino qualcosa di così “informale” come l’amicizia sia un caso di Funzione di Status, perché in essa sono coinvolti dei poteri deontici. Infatti l’amicizia crea doveri e obblighi: ho degli obblighi nei confronti dei miei amici che non ho nei confronti degli estranei. Non si tratta di obblighi codificati, comunque è bene tenere presente che anche le istituzioni “informali” sono deontiche. Poniamo che io ti inviti a un cocktail party e poi, di fatto, ti offra solo un bicchiere di coca cola e del merluzzo: ebbene, in questo caso io avrei violato i miei obblighi. I cocktail party sono strutture deontiche, così come lo sono le vacanze estive e le storie amorose, perché creano obblighi e diritti.
34Penso di avere risposto in maniera esaustiva alle due obiezioni, ma permettetemi comunque di approfondire ulteriormente, in maniera tale da spiegare nel dettaglio la realtà istituzionale. Allora, che tipo di atto linguistico è (f)? Che atto linguistico è dire che x conta come y in C, che un x che non è intrinsecamente un y conta però come tale? La risposta è ovvia – avrei dovuto sottolinearlo anni fa, ma non l’ho fatto – è una dichiarazione (declaration). Eccovi quindi la tesi principale di questa lezione: tutta la realtà istituzionale, tutte le Funzioni di Status (senza eccezione), sono portate all’esistenza e mantenute nella loro esistenza da atti linguistici che hanno la struttura logica di dichiarazioni. Vi ricordate il primo esempio di dichiarazione che vi ho dato? Si trattava dei performativi di Austin. Con un performativo si fa qualcosa usando un verbo che descrive ciò che si sta facendo: “La seduta è tolta”, “Dichiaro guerra”, “Vi dichiaro marito e moglie”, “Ti prometto di venire a trovarti”, “Ti ordino di lasciare la stanza”. Questi sono tutti performativi che fanno sì che uno dichiari guerra, prometta, sposi due persone, semplicemente dicendo che sta dichiarando guerra, promettendo qualcosa o sposando una coppia. Se si dicono cose del tipo “Questo è il nostro capo”, “Questa è la mia proprietà”, “Quella persona è mio marito” o “mia moglie”, si tratta sempre di dichiarazioni: qualcosa ha luogo grazie alla dichiarazione che sta avendo luogo.
Un ampliamento della teoria dei fatti istituzionali: dichiarazioni e creazione di fatti istituzionali
35Ciò che sto facendo adesso è proporre una teoria molto più generale, all’interno della quale i fatti istituzionali non sono che un caso speciale. Tutte le Funzioni di Status sono create da atti linguistici che hanno la forma logica delle dichiarazioni, dei performativi, perché, senza eccezioni, fanno sì che qualcosa abbia luogo col rappresentare quella cosa come avente luogo. Inoltre – e questo è il punto successivo – non solo tali funzioni sono create nella loro esistenza iniziale da delle dichiarazioni, ma sono anche mantenute nella loro esistenza da rappresentazioni linguistiche che hanno la stessa forma delle dichiarazioni. Le dichiarazioni creano una realtà rappresentando tale realtà come esistente. Quindi ciò che è vero della creazione di denaro, matrimoni e proprietà è anche vero del loro continuare a esistere, perché la loro esistenza continuata richiede l’intenzionalità collettiva e il riconoscimento collettivo; tale riconoscimento collettivo poi deve essere manifestato da rappresentazioni che hanno la stessa forma logica dei performativi, ossia una doppia direzione di adattamento.
36Facciamo ancora qualche esempio. Ho preso in esame la legge californiana sulla creazione delle corporation: è una legge bellissima, avrei voluto leggerla prima, perché dice esattamente quello che dice la mia teoria. Non mi era mai capitato di leggerla prima semplicemente perché non avevo Google! La legge della California sulle corporation recita così: “[...] Si può formare una corporation in questa Divisione realizzando e archiviando un documento in cui si dichiari che è stata formata una corporation [...]”. Questo è un performativo, una dichiarazione, un atto linguistico in cui si realizza un documento che dica che questa corporazione esiste. E continua: “[...] La corporation esiste e continua a esistere a meno che non sia esplicitamente dichiarato il contrario [...]”. Questa è una capacità incredibile degli esseri umani. Tuttavia non tutte le dichiarazioni sono all’interno delle istituzioni, ad esempio quando Dio dice “e sia la luce”, si tratta di una dichiarazione, non di un ordine né di una promessa: Dio fa sì che la luce sia dichiarandone l’esistenza. Noi, purtroppo, non possiamo far sì che la luce sia semplicemente dichiarando che esiste, però abbiamo una capacità meravigliosa, quella di creare cose come il denaro o le corporation, attraverso le dichiarazioni. Ad esempio, possiamo creare una corporation semplicemente dichiarando che la corporation esiste. La legge che vi ho letto, è essa stessa una dichiarazione: è una dichiarazione che altre dichiarazioni – se soddisfano certe condizioni – possono creare delle corporazioni. Voglio che questo punto sia chiaro a tutti, perché si tratta del punto più importante per capire la società umana. La differenza fra la società umana e le società animali è che la prima contiene Funzioni di Status che sono create esplicitamente o implicitamente da rappresentazioni ed esistono solo nella misura in cui sono rappresentate come esistenti. La forma di tali rappresentazioni è la dichiarazione, perché ha la doppia direzione di adeguatezza. Le dichiarazioni fanno sì che qualcosa abbia luogo rappresentandolo come avente luogo. Questo è il punto centrale e principale della lezione di oggi. La civiltà umana è creata dall’iterazione di una singola operazione logico-linguistica: un performativo che fa sì che qualcosa abbia luogo rappresentandolo come avente luogo. C’è però un’importante eccezione: il linguaggio stesso. Siamo ora sul punto di spiegare perché il linguaggio è l’istituzione fondamentale e perché è così differente da tutte le altre. Nel caso delle altre istituzioni sociali – università, corporation, e proprietà – usiamo il linguaggio – con le dichiarazioni, appunto – per creare poteri deontici, ma il linguaggio stesso non è creato da dichiarazioni. Ci ritornerò, perché questo è un punto importante.
37Prima di andare avanti lasciatemi fare ancora una precisazione. Si potrebbe pensare che incentrare tutta la realtà istituzionale sulle dichiarazioni lasci fuori un aspetto importante della realtà sociale: la nozione di promessa, che sembra sottostare all’intero apparato istituzionale56. Non credo che questo sia un problema: il tipo di impegno (commitment) che le promesse esemplificano è caratteristico di tutti gli atti linguistici e di tutta la realtà istituzionale. I poteri deontici, come le promesse, (a) creano motivi per l’azione indipendenti dai desideri, e (b) possono funzionare solo nella misura in cui sono riconosciuti. Occorre che sia riconosciuta la validità del denaro o del presidente degli Stati Uniti e tutte le relazioni di potere connesse. Tutti questi sono casi di potere deontico e il modo paradigmatico – almeno nella nostra cultura – di creare questo tipo di poteri, è quello di fare una promessa. Nietzsche ha detto che la cosa più notevole degli esseri umani è che sono gli unici animali che possono promettere. È un fatto curioso come tradizioni filosofiche tanto diverse si interessino alle promesse. I filosofi del linguaggio tedeschi e inglesi hanno sempre mostrato molto interesse per le promesse57. Invece in Descartes e nella filosofia francese non mi sembra ci sia mai stato un grande interesse per le promesse, e lo stesso credo si possa dire per la filosofia italiana. Questo forse ha che fare con l’influenza cattolica. I protestanti, ad esempio, sono ossessionati dai tremendi obblighi prodotti dal promettere. Sentite questo aneddoto, singolare: c’era un famoso filosofo inglese che divenne così ossessionato dagli obblighi che le promesse fanno nascere, che arrivò a non riuscire più egli stesso a fare una promessa e se lo invitavi per pranzo ti diceva, “intendo sinceramente venire”. Però non avrebbe promesso, mai, perché sarebbe stato troppo pesante metafisicamente. In effetti, la pesantezza metafisica della promessa pervade la realtà sociale umana.
38Allora, quello che abbiamo qui, mettendo per adesso il linguaggio da parte, è che i fatti istituzionali sono la stessa cosa delle Funzioni di Status; che le Funzioni di Status, senza eccezioni, creano poteri deontici; infine che i poteri deontici creano ragioni per l’azione indipendenti dai desideri.
Fatti istituzionali = Funzioni di Status → poteri deontici → ragioni per l’azione
39Si potrebbe sostenere che questo apparato, tramite il quale si suppone che creiamo la civiltà umana, abbia un aspetto alquanto fragile. Davvero è tutto qui ciò tramite cui creiamo il potere governativo, la ricchezza, la proprietà, il denaro, la corporation della General Motors, e lo stato italiano? Com’è possibile che un apparato così “semplice” possa fare così tanto? Riflettiamo intanto su questo dato: l’apparato ha alcune proprietà formali particolari. Prima di tutto può essere applicato quante volte si vuole, perché è iterabile verso l’alto e verso il basso. Ad esempio, se emetto dei suoni dalla mia bocca, si tratta di un fatto bruto, ma date le regole costitutive dell’inglese, tali suoni contano come proferimenti di enunciati inglesi; pronunciare certi tipi di enunciati inglesi, poi, conta come compiere certi atti linguistici e compiere tali atti linguistici, in un certo contesto, conta come fare una promessa; inoltre fare una promessa in quel contesto conta come impegnarsi in un contratto e impegnarsi in quel tipo di contratto conta come sposarsi. In altri termini x1 conta come y1, y1 conta come y2 e così via. Si inizia col pronunciare certi suoni e si finisce impegnandosi in un contratto legale come lo sposarsi. Poi, una volta sposati, nello stato della California ad esempio, tutta una serie di diritti e doveri si instaurano: si hanno sconti sulla tassazione, si possono chiedere permessi di maternità e così via. Questa è la realtà istituzionale che noi creiamo. Inoltre la struttura non si itera soltanto verso l’alto e il basso, ma si espande anche in ogni direzione. Ho parlato molto del denaro, ma non ho denaro solo nel mio portafoglio, ho denaro anche nel mio conto alla Bank of America a Berkeley California, che uso per pagare le tasse allo stato, così come le mie spese fatte con la carta di credito, e le bollette della luce e del gas. Notate che a ogni passo ho menzionato una realtà istituzionale: lo stato della California, la Bank of America, la società elettrica, che sono sistemi di Funzioni di Status e quindi di poteri deontici che creano ragioni per l’azione indipendenti dalle nostre inclinazioni immediate. Se ci pensiamo, ci rendiamo conto che noi tutti viviamo immersi nella realtà istituzionale, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. Siamo come pesci che nuotano nel mare: l’ultima cosa che vediamo è l’acqua. Però siamo precisamente nell’acqua istituzionale in cui ciascuno di noi è un professore, o uno studente, o un cittadino americano, italiano, o di qualche altro paese, siamo proprietari di macchine, possessori di carte di credito, paghiamo le bollette, e così via. Siamo immersi in un mare di realtà istituzionale che è ovunque creata da un’operazione logico-linguistica che può essere applicata e iterata, e dall’operazione di far sì che le cose stiano in un certo modo rappresentandole come tali.
40Proseguiamo. Perché facciamo tutto questo? Qual è lo scopo? Durkheim ha detto che i fatti sociali sono sempre vincolanti. È facile vedere cosa intendesse: non puoi spendere denaro che non hai, non si può vincere una partita di calcio se non si fanno goal, ecc. In effetti, la realtà istituzionale aumenta moltissimo il potere umano: se si immagina una società in cui non ci sia denaro, ma solo baratto, e non ci sia riconoscimento di proprietà privata, è facile constatare che in una società siffatta ci sarebbero molti meno poteri. Quindi il fine di una realtà istituzionale che crea doveri, diritti e poteri è che le Funzioni di Status creino sempre poteri deontici e che i poteri deontici siano sempre strettamente intrecciati alla razionalità umana. Vedremo meglio questo argomento domani quando parlerò di razionalità e libero arbitrio.
41Bene, ho promesso che avrei detto qualcosa di più sul denaro – che è sempre un argomento interessante – ed è venuto il momento di parlarne. I manuali di economia dicono che ci sono tre tipi di denaro: 1) il denaro-merce (commodities money), 2) il denaro-contratto (contract money) – che sono le banconote “comuni” – e 3) il denaro-fiat (fiat money) – che è la moneta a corso forzoso, che è denaro perché qualcuno dice che è denaro. Nell’antichità, in Europa, il denaro si presentava sotto forma di monete d’oro e d’argento e, almeno in teoria, il valore delle monete era esattamente il valore dell’oro o argento contenuto. Le autorità governative certe volte “mentivano” e non ci mettevano così tanto oro o argento quanto dichiarato, ma, almeno in linea di principio, il valore della moneta era quello del suo metallo. Quindi in questo caso non ci troviamo di fronte ad attribuzioni di Funzioni di Status, perché il valore della moneta era determinato dalla sua costituzione fisica. Poi qualche genio scoprì che è una brutta idea usare oro e argento come denaro, dal momento che si poteva tenere l’oro e l’argento in banca, e semplicemente usare dei pezzi di carta, ossia delle promesse di pagamento di oro e di argento. Così succede che invece di portare in giro oro e argento ti porti in giro promesse, e c’è un’istituzione che garantisce che verrà corrisposta una certa quantità di oro o argento per ognuna di quelle promesse. Non occorre quindi che la valuta stessa, ciò che ti porti in giro, abbia certe caratteristiche fisiche, qualsiasi cosa potrebbe andare bene, purché si riconosca che si tratta di una promessa. Poi, e questo è stato il momento più importante, qualche altro genio scoprì che in realtà si possono produrre più promesse di quanto oro e argento si abbia effettivamente nelle banche. Quindi, se non accade che tutti vadano in banca nello stesso momento per avere tutto il loro oro e argento – perché in quel caso in effetti ci sarebbe un problema – abbiamo dei pezzi di carta che valgono tanto quanto l’oro e l’argento che promettono di pagare. Chiaramente il pezzo di carta non è ancora una dichiarazione, ma è una promessa: dice infatti che si promette di dare una certa quantità di oro o argento a chi è in possesso di questo pezzo di carta. C’è voluto poi molto tempo per capire che si poteva fare completamente a meno dell’oro e dell’argento e avere solo i pezzi di carta: il denaro a corso forzoso. È interessante vedere come false credenze al riguardo continuino a sopravvivere. Fino a non molto tempo fa sul denaro americano c’era scritto: “Il tesoriere degli Stati Uniti pagherà al portatore, se richiesto, venti dollari”. Però se tu davvero andavi dal tesoriere, e gli dicevi “Vorrei venti dollari”, quello che ti davano era semplicemente un’altra banconota da venti dollari. Adesso quest’ipocrisia è sparita e sul denaro americano non c’è più scritto nulla del genere. Sul denaro inglese comunque è rimasta, e infatti sulle banconote c’è ancora scritto: “Il tesoriere della banca d’Inghilterra pagherà al portatore venti sterline”.
42Arriviamo quindi al quarto tipo di denaro. Abbiamo iniziato con il denaro-merce, passando per il denaro-contratto e il denaro-fiat, e ora arriviamo a quello che possiamo chiamare il denaro virtuale (virtual money) che, in effetti, è il denaro della nostra situazione attuale. Oggi non possediamo più monete o banconote e abbiamo soltanto una rappresentazione del denaro posseduto. In effetti, per svolgere la Funzione di Status del denaro, non dobbiamo avere l’oggetto fisico: tutto quello che occorre è un sistema di rappresentazione numerico. Ovviamente non è possibile che chiunque vada lì a cambiare le rappresentazioni a suo piacimento. All’interno di tale sistema di rappresentazione, comprare e vendere non sono altro che modificazioni dei numeri corrispondenti alla quantità di denaro su di un conto in banca. Questo vale anche per la carta di credito, che non richiede che ci sia del denaro effettivo, ma solo un certo valore numerico sul conto in banca. Quindi il denaro e le corporation sono la forma più pura di realtà istituzionale e sono alquanto sofisticate, perché richiedono la capacità umana di assegnare funzioni in assenza dell’esistenza fisica di qualcosa.
denaro-merce | denaro-contratto | denaro-fiat | denaro-virtuale |
ha il valore dell’oro di cui è composto | promessa di pagamento in oro | valore scollegato da pagamento in oro | rappresentazione di un potere d’acquisto |
43A questo punto ci si potrebbero chiedere due cose rispetto a questa teoria del denaro: se davvero qualsiasi cosa possa valere come valuta e se non ci sia proprio nulla di fisico nel denaro virtuale – a parte le persone a cui vengono attribuiti i poteri deontici di spesa58. Riguardo alla prima domanda, ci sono chiaramente alcune caratteristiche che il denaro, anzi la valuta deve avere. I manuali dicono che deve essere difficile da contraffare, deve essere facilmente riconoscibile e facilmente scambiabile. Però, una volta detto questo, se fai sì che la gente accetti qualcosa come denaro, praticamente tutto può essere denaro. Ci sono, del resto, esempi straordinari. C’è stato un periodo nella Sparta antica, in cui si usavano pesanti sbarre di ferro come denaro, perché le autorità non volevano che la gente portasse il denaro fuori da Sparta. Se compravi qualcosa, allora una certa sbarra che prima ti apparteneva sarebbe appartenuta a qualcun altro. Poi conchiglie, noci di cocco, quasi ogni tipo di cosa è stato usato come denaro. Certo sarebbe difficile o impossibile utilizzare il vapore o l’aria come denaro, ma tutto ciò che è possibile far sì che la gente accetti come denaro può essere denaro. Il punto è, comunque, che il sistema di poteri deontici nel caso del denaro virtuale o delle corporazioni non richiede un’esistenza fisica della cosa che chiami denaro o corporazione, si richiedono soltanto relazioni di potere fra esseri umani. Se hai un numero più grande del mio nel tuo conto in banca, allora tu hai più potere deontico e hai diritto di comprare più cose di me.
44Rispetto alla seconda questione, va sottolineato che gli elettroni del mio conto in banca, che non sono il mio denaro, ma lo rappresentano, sono comunque qualcosa di fisico. La rappresentazione deve prendere la forma di un atto linguistico, e un atto linguistico è qualcosa di fisico. La rappresentazione stessa, quindi, ha sempre realtà fisica: si tratta di cose scritte sulla carta, o in circuiti elettrici. Resta il fatto che è comunque qualcosa di diverso da una banconota: infatti chiunque può andare in un bar e, con una banconota, comprare un cappuccino, mentre nessuno può andare in banca e dire “Mi dia un po’ dei miei elettroni, perché voglio andare al bar a comprarmi un cappuccino”. Gli elettroni non sono denaro, sono rappresentazioni simboliche, e il denaro che rappresentano non c’è, non ha realtà fisica come il denaro di carta, che è qualcosa di fisico che è anche qualcosa di sociale. Il miracolo della costruzione sociale è che una banconota non è denaro in virtù della sua struttura fisica, bensì in virtù di un’accettazione collettiva e lo accettiamo collettivamente in virtù del fatto che incorpora un sistema di poteri deontici. Per lo stesso motivo accettiamo il denaro virtuale in cui non c’è più nulla di fisico che incorpori dei poteri deontici – il potere di acquistare cose – ma soltanto la sua rappresentazione. Si consideri il gioco degli scacchi alla cieca, che è simile al caso del denaro elettronico. Le relazioni di potere fra i vari pezzi, le mosse che possono fare e la situazione di gioco in cui si trovano, non sono qui – come nel caso “normale” – incorporate nei pezzi degli scacchi e nella loro posizione fisica su di una scacchiera. Infatti c’è solo la rappresentazione, ma ciò non impedisce di giocare a scacchi, perché basta la rappresentazione per avere quel sistema di poteri. Le relazioni di potere esistono solo perché sono rappresentate, ma tali rappresentazioni – che sono fisiche (neuroni nel cervello, blips di computer) – non necessariamente hanno come oggetto qualcosa di fisico. Comunque, molti continuano a credere che il denaro abbia valore solo perché dietro c’è dell’oro, il che è falso, ma non importa. Capita spesso che le persone riconoscano dei poteri deontici perché hanno delle false credenze.
Il mantenimento dei fatti istituzionali, la rappresentazione linguistica e la peculiarità del linguaggio come istituzione
45Dunque, fin qui ho difeso la mia tesi principale più forte, secondo la quale tutta la realtà sociale è creata per mezzo di un unico apparato, la dichiarazione. Mi rimangono ancora da spiegare due cose: come sia possibile che la realtà sociale sia anche mantenuta in esistenza dallo stesso apparato e come mai il linguaggio abbia un ruolo speciale rispetto alle altre realtà istituzionali.
46La realtà istituzionale non è solo creata nella sua realtà iniziale da atti linguistici con la doppia direzione di adattamento, ma è anche mantenuta in esistenza da tali atti. Questo può essere difficile da comprendere in un primo momento, ma le cose vanno meglio se si pensa a certe caratteristiche delle istituzioni. Una di queste caratteristiche è che le istituzioni, a differenza di macchine e t-shirt non si consumano se le si usa continuamente. Anzi, potremmo dire che più si usano e più le istituzioni si rafforzano: ad esempio, la proprietà privata e il matrimonio sono rafforzate dal continuo uso delle istituzioni della proprietà privata e del matrimonio. Tale uso continuo richiede una rappresentazione linguistica continua. Per riflettere su questo, prestate attenzione a ciò che hanno fatto i riformatori e i rivoluzionari: solitamente hanno cercato di prendere il controllo del vocabolario, perché il vocabolario segna il potere deontico istituzionale. Non so in Italia, ma negli Stati Uniti le femministe non volevano più che venisse utilizzata l’espressione “Ladies and Gentlemen”, e che si usasse al suo posto “men and women”, anche sulle scritte dei bagni pubblici. Questo perché i termini “Ladies” e “Gentlemen” identificano, a loro avviso, Funzioni di Status, che vanno al di là dei meri tratti biologici. Così come i bolscevichi in Russia vollero eliminare i termini standard per descrivere la struttura sociale zarista: tutti dovevano chiamare chiunque altro “compagno”, e questo era un segno del fatto che volevano cambiare il modo in cui si rappresentavano le istituzioni e quindi le istituzioni stesse.
47A tal proposito è interessante notare come l’intera concezione di “rivoluzione” sia cambiata a partire dalla rivoluzione francese. Prima la metafora della “rivoluzione” era modellata sulla rivoluzione terrestre e quindi era legata all’idea di un lento cambiamento nel tempo. L’idea di un cambiamento improvviso venne con la rivoluzione francese. Solo dopo la rivoluzione francese, il termine “rivoluzione” divenne di uso comune. È sempre importante chiedersi come i partecipanti di un dato periodo storico si vedano. Ad esempio, chiedersi se i protagonisti di un avvenimento che ora noi chiamiamo una “rivoluzione” usassero di fatto tale parola e, se sì, che cosa intendessero. I rivoluzionari francesi hanno iniziato a usare questa parola con il significato di “cambiamento veloce”, e ad autodefinirsi “rivoluzionari”. È sempre importante, per capire la storia, capire come la gente di un determinato periodo si comprendesse, quale significato attribuisse a ciò che stava facendo. Ci sono molti filosofi che oggi sono visti come precursori di Kant, ma sicuramente nessuno di questi si svegliava al mattino e si diceva “sono un precursore di Kant”. Nessuno nel medioevo si è mai svegliato dicendo “Eccoci qua nel medioevo, che si fa oggi?” – e questo perché si tratta di un’imposizione degli storici. La mia ipotesi è che l’autodefinizione della rivoluzione come una “rivoluzione” avesse lo scopo di creare una Funzione di Status. Funzionava come una dichiarazione che quello che accadeva era una rivoluzione, un cambiamento veloce. E così è avvenuto anche in seguito. Al tempo della rivoluzione bolscevica erano addirittura ossessionati da quest’idea59.
48Quanto sia importante l’accettazione di Funzioni di Status per l’esistenza e il mantenimento delle istituzioni lo si vede bene anche se si considera un altro esempio. Una delle cose più incredibili che siano successe negli ulti anni, è stato il crollo dell’Unione Sovietica. I dettagli di cosa è successo ce li racconteranno gli storici futuri, ma la forma generale del cambiamento è stata semplicemente che la gente ha smesso di riconoscere delle Funzioni di Status. C’era un muro a Berlino, che fino a un certo punto aveva la funzione di confine. Poi la gente ha iniziato ad arrampicarsi sul muro e a superarlo. La gente che stava di guardia normalmente avrebbe sparato a chi avesse tentato di fare qualcosa del genere, però quella volta non sparò, e non lo fece per molti motivi, ad esempio perché l’esercito aveva la convinzione che i russi non avrebbero più imposto la loro volontà. Le ragioni per il collasso di un sistema di Funzioni di Status possono essere le più diverse, ma ciò che è interessante è la struttura logica di un simile avvenimento, che consiste nella mancata accettazione del sistema di Funzioni di Status.
49È importante anche tener presente il ruolo fondamentale che ha la scrittura nella creazione della realtà istituzionale, in particolare delle istituzioni complesse. Non penso che ci potrebbero essere le corporazioni senza la scrittura. Chiaramente si può immaginare una classe di uomini, totalmente onesti e dotati di una memoria perfetta, che non hanno bisogno di scrittura. Tuttavia per gente come noi, è necessaria la scrittura, per avere forme di realtà istituzionale complessa. È interessante notare che i documenti attribuiscono diritti. Questo è ciò che ha scoperto H. De Sotho, quando si è chiesto perché il capitalismo avesse avuto successo in alcuni posti e avesse fallito in altri60. Uno dei punti importanti per il successo del capitalismo è che c’è bisogno, perché prosperi, di titoli e documenti di proprietà. È risultato che in alcuni paesi, come ad esempio l’Egitto, c’è molta ricchezza in termini di terra, tuttavia la maggior parte di questa è posseduta da gente che non ha la corrispondente documentazione scritta. Si potrebbe pensare che questo non sia in fondo molto importante e che la situazione non sia sostanzialmente differente nella misura in cui la proprietà sia comunque riconosciuta dai vicini e da tutti gli altri. Tuttavia si sbaglierebbe se si pensasse così perché c’è una differenza importante, anzi, ce ne sono due. In primo luogo, se le persone non hanno i documenti che diano loro diritti legali su quanto posseggono, se sono degli “squatter” (legalmente parlando), allora non li puoi tassare. In secondo luogo, non possono andare in una banca e chiedere un prestito. Possiamo quindi dire che sono i documenti che danno i diritti legali. Ne La costruzione, ho sostenuto che i documenti non erano che indicatori di stato, senza sottolineare a dovere però che gli indicatori di stato possono diventare veicolo di poteri. Eccovi un altro esempio: nello stato della California, non si è quasi un essere umano senza un documento come questo che ho in mano, una patente di guida. Non ci sono in California documenti di identità veri e propri, anche se dopo l’11 settembre hanno cercato di introdurli. In California al posto dei documenti di identità abbiamo le patenti di guida che per noi sono importantissime perché non puoi né bere un drink in un bar né prendere un aereo senza una di queste. Il fatto che in California la patente sia una forma di identificazione che conferisce Funzioni di Status spiega perché attualmente la motorizzazione dello stato della California emetta patenti di guida anche per gente che non ha mai avuto l’intenzione di guidare e che di fatto non guida. Quindi un primo punto che occorre mettere in luce è che alcune istituzioni richiedono documenti, più in generale memorie scritte, e un secondo punto è che queste dichiarazioni scritte danno Funzioni di Status. Rispetto a quanto ho scritto in La costruzione, dunque, voglio aggiungere che un indicatore di status può esso stesso diventare una Funzione di Status. In altri termini, non penso più che il ruolo dei documenti sia solo epistemico, direi che essi hanno anche molti altri ruoli che non sono solo epistemici61.
50Quanto alla seconda questione: perché il linguaggio è diverso dalle altre istituzioni? Perché è speciale? A prima vista il linguaggio sembra essere come qualsiasi altra istituzione. George W. Bush è presidente degli Stati Uniti perché lo consideriamo come il presidente degli Stati Uniti, e lo consideriamo come il presidente degli Stati Uniti perché soddisfa certe condizioni: ha preso la maggioranza dei voti, ha fatto il giuramento ecc. Sembra che con il linguaggio capiti lo stesso. Se dico che il proferimento dell’enunciato
(1) La neve è bianca
conta come un’asserzione che la neve è bianca perché c’è una regola costitutiva stando alla quale tale proferimento conta come una tale asserzione – così come ci sono delle regole che stabiliscono che Bush conti come presidente – allora che cosa c’è di diverso nel caso del linguaggio? Anche se i due casi sembrano perfettamente analoghi, c’è tra di essi un’importante differenza che cercherò adesso di chiarire.
51Nel caso dell’enunciato (1), ciò che fa la regola costitutiva è esprimere il significato, e basta. Il significato di (1) è tale che un suo proferimento conta come un’asserzione che la neve è bianca, quindi ogni parlante competente, proferendola, asserisce che la neve è bianca. Tuttavia, nel caso di “Bush è presidente”, non è solo il significato dell’enunciato e un suo proferimento che fa sì che Bush sia presidente, ma è l’utilizzo di tale enunciato per creare poteri che vanno al di là dei poteri della semantica. Quindi, il significato crea poteri che vanno oltre il potere del significato. Bush può dichiarare guerra, ma questo non fa parte della semantica, non è un potere semantico, piuttosto i poteri semantici della Costituzione gli permettono di dichiarare guerra. In effetti, a essere precisi, è il Congresso e non Bush che può dichiarare guerra, ma Bush è il capo dell’esercito. Diciamo quindi che Bush può comandare l’esercito perché è rappresentato come avente tale potere e la rappresentazione qui in questione è una dichiarazione. Fa sì che egli abbia il potere rappresentandolo come avente tale potere. Ma il mero significato dell’enunciato: “Il presidente ha il potere di comandare l’esercito degli Stati Uniti” non è di per se stesso sufficiente per creare tale potere. Piuttosto, dobbiamo usare il significato di tale enunciato per creare quel preciso potere. C’è quindi una evidente asimmetria fra il linguaggio e tutte le altre istituzioni sociali: nel linguaggio abbiamo i poteri semantici, ossia quelli che ci permettono di compiere atti linguistici, tuttavia una volta che si hanno tali poteri, si può utilizzare il linguaggio per creare poteri che vanno oltre quelli della semantica.
52Mentre enunciati performativi come “prometto di venire a trovarti” possono essere usati da qualsiasi parlante competente, enunciati performativi come “dichiaro guerra” o “la seduta è tolta” non possono essere usati da un qualsiasi parlante competente, perché ci deve essere qualcosa di più oltre alle abilità semantiche per dichiarare guerra o togliere la seduta. Esattamente questa è la distinzione fra i poteri semantici – che ogni parlante competente usa per fare, ad esempio, una promessa – e poteri che ci permettono di creare nuove istituzioni. Ci vuole qualcosa di più per creare nuove istituzioni. C’è una certa ironia in quello che dico. Quando ho scritto Atti Linguistici pensavo che il modello dei giochi “X conta come Y in C” avrebbe spiegato il linguaggio. Ora vedo che la situazione dev’essere capovolta: occorre capire come il linguaggio sia diverso dai giochi per capire come il linguaggio possa essere usato per spiegare i giochi. Così di fatto ho girato l’analisi degli atti linguistici a testa in giù.
53La cosa incredibile è che noi di fatto creiamo l’intero sistema di poteri, semplicemente emettendo dei suoni e facendo segni su della carta. “Parole, parole, parole...”. Come possono delle semplici parole creare questo enorme sistema di poteri? Ci sono diverse ragioni. Innanzitutto la gente spesso ha false credenze sulle istituzioni, ma ciò è del tutto irrilevante per la loro esistenza e il loro mantenimento. Ad esempio, c’è gente che pensa che sia sbagliato menzionare il matrimonio come fatto istituzionale, perché lo ritiene istituito da Dio. Comunque non è importante sapere se lo sia o meno, poiché nella misura in cui riconosciamo certe Funzioni di Status, il matrimonio è un’istituzione e quindi lo è anche se la gente non crede che lo sia. Similmente, molta gente negli Stati Uniti crede che la costituzione americana sia divinamente ispirata, che Dio abbia ispirato i padri fondatori. Ci sono varie credenze che la gente ha sulle istituzioni, che possono essere vere o meno, ma questo è assolutamente irrilevante: l’unica cosa importante è il riconoscimento di Funzioni di Status. Le ragioni per cui la gente accetta i fatti istituzionali possono essere molteplici, e spesso alla loro base ci sono false credenze. Ad esempio, nel passato molte persone pensavano che l’investitura regale venisse direttamente da Dio, e la credenza era fomentata dalle autorità, addirittura “istituzionalizzata” in una religione, come nel caso dei Faraoni. Quindi ci sono molte tecniche per garantire l’accettazione e spesso, molto spesso, si sfruttano le illusioni. Marx ha detto da qualche parte che un certo uomo è un re solo perché tutti gli altri si pensano come suoi sudditi, ma loro sono suoi sudditi solo perché lo pensano come il re. C’è questa relazione fra il riconoscimento dello status e l’esistenza dello status. Il riconoscimento collettivo può essere garantito da ogni tipo di strategia: retorica, persuasione, talvolta persino l’invisibilità. Quest’ultima è una delle strategie più diffuse: non a caso, a meno di non tematizzarlo, tutto il sistema è invisibile. Molta gente dà per scontato l’intero sistema, più o meno come tutti danno per scontata la gravità: così come nessuno, solitamente (e se è sano di mente) pensa alla gravità tutto il giorno, così nessuno riflette costantemente sulla proprietà, sul denaro e sulle relazioni di potere. Ovviamente, in certe situazioni particolari ci pensiamo, ma nella vita di tutti i giorni lo diamo semplicemente per scontato. Non vediamo quanta importanza abbia il linguaggio nel formare la nostra concezione del mondo – il nostro modo di vedere le cose – in modi che hanno che fare con relazioni di potere. Un’altra ragione è che normalmente la gente che non accetta il sistema di poteri deontici si isola e si dispera.
54Se si guarda alla storia della filosofia politica è impressionante come tutti gli autori diano per scontato il linguaggio. Da Aristotele in avanti, tutti danno per scontato il linguaggio, nel senso che assumono che siamo animali in grado di parlare. Si tratta di un’assunzione molto importante, perché una volta che si assume che siamo animali parlanti, la struttura della realtà sociale diventa inevitabile. La gente diventa automaticamente in grado di compiere dichiarazioni: “Questa è la mia casa”, “Questo è il mio uomo o la mia donna”, “Questo è il nostro capo”. Se si riesce ad avere abbastanza gente che accetti queste dichiarazioni, allora si è riusciti a creare una deontologia tramite le dichiarazioni. Le dichiarazioni in sé sembrano innocenti: “Questa è la mia casa” è innocente quanto è innocente la mia dichiarazione quando dico: “Questa è la birra di Marianna” e le offro la birra. Non sto descrivendo una situazione, sto creando una situazione che prima non c’era. C’è tuttavia un problema, che potrei riassumervi nella domanda: com’è che lo accettiamo? La soluzione, penso, è che lo diamo semplicemente per scontato. Per questo motivo è assurdo sostenere, come i teorici del contratto sociale, che ci sia inizialmente uno stato di natura a cui segue la stipulazione di un contratto sociale da parte degli uomini: è assurdo perché se c’è il linguaggio c’è anche già un sistema di poteri deontici, e quindi lo stato di natura è già uno stato in cui si vive immersi nella realtà istituzionale.
55La società umana è organizzata in un modo diverso rispetto a quella animale. Gli animali sono essenzialmente capaci di agire solo sulla base delle loro inclinazioni immediate e sopravvivono proprio perché hanno inclinazioni che permettono loro di sopravvivere in un certo ambiente. Gli esseri umani, invece, hanno quest’incredibile capacità di agire indipendentemente dalle loro inclinazioni immediate. Senza questa capacità non ci potrebbe essere la società e non ci sarebbero le entrate delle tasse, le università ecc. Alcuni pensano che la normatività, necessariamente, abbia che fare con la moralità62, ma a me sembra ovvio che ci siano norme che, se violate, non danno luogo a fenomeni di immoralità. C’è la normatività etica, ma ci sono anche molte altre normatività che non sono morali. Ci sono molti costumi che si istituzionalizzano e formano dei sistemi di norme, senza per ciò coinvolgere la moralità. Prendete, ad esempio, l’adeguatezza dell’abbigliamento. Può non essere adeguato presentarsi in pantaloncini in alcuni contesti e, se vado contro queste norme, rompo dei vincoli sociali, però qui non c’è nulla di morale. Non ogni norma è una norma morale. Probabilmente se pensassimo che alcune delle norme che non ci sembra abbiano che fare con la moralità – come il fatto che non è opportuno portare i pantaloncini corti in certe situazioni – fossero davvero molto importanti per la nostra vita, allora probabilmente le considereremmo norme morali.
56La socialità umana, occorre sottolinearlo, ha una struttura logica. Con “logico” non intendo qualcosa di opposto a “illogico”, bensì semplicemente voglio dire che la socialità umana ha una struttura proposizionale, ossia che è frutto delle relazioni fra proposizioni – e questa struttura è costituita dall’iterazione di una singola operazione, un atto linguistico dichiarativo. Grazie a tale atto linguistico dichiarativo si crea qualcosa rappresentandolo, con lo scopo di creare poteri deontici, e i poteri deontici servono a fornire ragioni per l’azione indipendenti da desideri. Tutto ciò è una questione di rappresentazioni. Del resto, se si analizza la società e la sua struttura logica, si arriva alla conclusione che la sua struttura logica sia neutrale rispetto alla moralità. La schiavitù è un fatto istituzionale, ma ciò non vuol dire che sia accettabile: il fatto che qualcosa sia un fatto istituzionale non lo rende già di per sé una cosa buona.
57Il mio interesse principale è quello di spiegare come funziona la società. La società umana è diversa da quella animale perché ha questa struttura istituzionale, e il riconoscimento di fatti all’interno di questa struttura ci fornisce ragioni per l’azione che sono indipendenti dai desideri. Ma questo non significa che le strutture siano di per sé stesse una cosa buona e infatti se le strutture siano o meno moralmente accettabili è una questione ulteriore, separata. Ci sono istituzioni che penso siano immorali, ma ciononostante sono strutturate in questo stesso modo. Prendiamo un caso famoso. In molte società attuali le donne sono a un livello inferiore della scala sociale e questo non mi sembra una cosa moralmente accettabile. Tuttavia è un fatto riguardante queste società che considerino le donne, o alcune razze minoritarie, con uno status diverso. La struttura sociale, di per sé, non fornisce criteri per distinguere questi casi. Occorrono altri criteri. Sarebbe bello che si potesse utilizzare la mia teoria come base per un’indagine sulla moralità, ma non sono sicuro che ci siano gli elementi utili per poter andare molto lontano, perché la teoria inizia con una teoria delle istituzioni, ma non consente di andare molto oltre, dal momento che ci sono chiaramente delle istituzioni che sono molto immorali.
58È anche doveroso osservare che, per quanto la moralità richieda qualcosa di più dei semplici fatti istituzionali, le istituzioni e la moralità stessa non sono per questo qualcosa di staccato dal mondo della realtà biologica. Parte della nostra tradizione filosofica è a favore, a questo proposito, di una netta separazione: da un lato la natura che segue il suo corso, e dall’altro una costruzione razionale, logica e astratta, che non può esistere in natura. Quello che io cerco di sostenere è invece che questa razionalità faccia parte della natura. Fa parte della nostra natura che sviluppiamo il linguaggio, che il linguaggio abbia una certa struttura logica, e che questa ci conduca alla società, la quale ha dunque anch’essa una struttura logica. Fondamentale per questa continuità fra il biologico, l’intenzionale e il sociale, è che l’intenzionalità collettiva sia primitiva e che il linguaggio esprima stati intenzionali. Ci si potrebbe allora chiedere quale sia lo stato intenzionale corrispondente alle dichiarazioni, in quanto, se non ce ne fosse uno, l’intera mia teoria sembrerebbe vacillare63. Quando ho scritto Atti linguistici, credevo che le dichiarazioni non avessero condizioni di sincerità, ossia che non esprimessero uno stato psicologico. Mi sbagliavo. Il motivo per cui lo pensavo è che riflettevo sul fatto che non si può dichiarare guerra in modo non sincero: o la si dichiara o non la si dichiara. Il test per le condizioni di sincerità è che non puoi compiere l’atto e negare le sue condizioni di sincerità, senza incappare in qualche tipo di assurdità logica. Non possiamo dire: “Dico che piove ma non credo che piova”, o “Ti ordino di lasciare la stanza, ma non voglio che tu lasci la stanza”, o “Ti prometto di venirti a trovare, ma non ho intenzione di venirti a trovare”. Questo perché il compimento dell’atto linguistico coincide con il compimento dello stato psicologico espresso. Lo stato psicologico è la condizione di sincerità dell’atto linguistico corrispondente. Qual è la condizione di sincerità delle dichiarazioni, che hanno la doppia direzione di adattamento? La risposta è complessa. Per compiere una dichiarazione, devi credere di stare creando un certo stato di cose, devi desiderare di creare questo stato di cose, e devi intendere che il tuo proferimento creerà questo stato di cose. Dunque, nelle condizioni di sincerità di una dichiarazione si hanno tre stati intenzionali. Se dici “La seduta è tolta”, non puoi togliere la seduta se aggiungi che non ci credi, che non vuoi o non intendi togliere la seduta. Questo è un segno del fatto che sei impegnato nei confronti di questi stati mentali quando compi l’atto linguistico. L’idea di base è la seguente: l’intenzionalità pre-linguistica fornisce l’apparato – direzione di adattamento e contenuto – necessario per compiere atti linguistici. Però una volta che costruisci degli atti linguistici puoi fare qualcosa che non potevi fare solo con gli stati psicologici, ossia creare una realtà rappresentandola come esistente. Gli stati intenzionali pre-linguistici, di per se stessi, non fanno ciò che una dichiarazione può fare, perché, per avere dichiarazioni, per creare qualcosa rappresentandola come esistente, occorre avere linguaggio. Ma se si fa una dichiarazione, se si tenta di farla sinceramente, allora si ha lo stato psicologico corrispondente e quindi le condizioni di sincerità: credere di farlo, desiderarlo e intenderlo. Non si può costruire una dichiarazione solo sulla sua base psicologica nello stesso modo in cui si può fare con l’asserzione, sulla base del suo impegno alla credenza, perché ciò che c’è nella dichiarazione è l’abilità di creare qualcosa semplicemente rappresentandolo. Come è possibile qualcosa del genere? Se dici “Questa è la mia donna”, “Questa è la mia casa”, “Lui è il nostro capo” e riesci a farlo accettare a un numero sufficiente di persone, allora hai creato diritti, deontologia.
59Anche la politica è per me una questione di struttura istituzionale64. Un fatto straordinario degli ultimi secoli in Europa è che la struttura politica dominante sia stata lo stato-nazione, ossia l’unione dell’aspetto culturale (la nazione) e di quello sociale (lo stato). L’ossessione di creare una coincidenza fra la nazione e lo stato ha dominato la politica europea fino al xix secolo, spesso con risultati catastrofici. Con il collasso dell’Unione Sovietica lo vediamo di nuovo. La gente vuole che nazione e stato coincidano. La Cecoslovacchia, ad esempio, si è divisa per questo motivo. Quella che adesso si chiama l’ex-Unione Sovietica è divisa in diversi stati che tendono a coincidere con nazioni. Perché dovrebbe essere così? Non è affatto ovvio che questa debba essere l’istituzione politica modello, soprattutto se si pensa alle conseguenze disastrose che questo modello ha avuto, alle grandi guerre che si sono succedute.
60Prima di concludere devo spiegare il ruolo dello Sfondo. Posso illustrarlo con un piccolo aneddoto. Ci si è spesso chiesti per quale ragione i tedeschi fossero nazionalisti più di ogni altra nazione e la risposta standard è che i tedeschi erano così perché la Germania si è unificata solo molto tardi e, prima di unificarsi, non era che una collezione di piccoli stati. Adesso si aggiunge un’altra domanda interessante incentrata sul perché gli italiani fossero così poco nazionalisti, perché non ci fosse passione nazionale – nemmeno all’epoca di Mussolini, se mettiamo l’Italia a confronto con la Germania di Hitler. La risposta standard è che l’Italia è stata unificata solo molto tardi e che prima era una collezione di piccoli stati. Non mi interessa qui capire se queste siano buone spiegazioni. Ciò che mi colpisce, invece, è che lo stesso apparato esplicativo porti a risultati opposti, perché gli Sfondi sono differenti. Per capire le differenze sussistenti tra i rispettivi Sfondi bisogna andare nei dettagli della storia italiana e tedesca: il livello di identificazione con le strutture istituzionali, infatti, varia enormemente a seconda dello Sfondo, e lo Sfondo (il passato, ad esempio) italiano è molto diverso da quello tedesco.
61Vi ho dunque mostrato come si costituisce la civiltà umana. Si parte dal fatto che gli esseri umani hanno coscienza e intenzionalità, che sono primitivi e biologici; poi si pone in evidenza che gli uomini hanno il linguaggio e sistemi di rappresentazione simbolica, grazie all’imposizione di condizioni di soddisfazione su certi suoni e segni; infine, se se si va oltre a ciò e se la gente rispetta o invoca convenzioni socialmente conosciute – come ordini e promesse –, allora c’è già una deontologia e un sistema deontico. Una volta che si ha il linguaggio, è quindi inevitabile avere istituzioni come proprietà privata e famiglia. Le istituzioni basilari sono quindi biologiche solo in un certo senso: una volta che si ha il linguaggio si ha deontologia e una volta che si ha deontologia si creano obblighi umani con i quali si ha l’intera struttura sociale attraverso l’iterazione della stessa forma logica. Per me, devo dire, il mistero è come facciamo ad avere le istituzioni, ad avere il governo, la burocrazia e la gente che fa la coda. Sono stato in parte spinto a riflettere su questi argomenti da alcune cose che sono accadute negli anni Sessanta in America. Incidentalmente, al giorno d’oggi c’è la tendenza a “sentimentalizzare” quel periodo, facendo finta che tutti in quel periodo fossero spinti dal più alto idealismo e motivati dall’altruismo più puro. Ma nulla è più lontano dalla verità. Anzi, i diritti umani più basilari venivano violati regolarmente, e questo si manifestava principalmente con l’attacco alle istituzioni. Due cose mi sono sempre apparse sorprendenti: una è la facilità con cui si può distruggere l’autorità di un’istituzione – come successe in effetti molto rapidamente a Berkeley alla fine degli anni Sessanta – l’altra è la facilità con cui le istituzioni si riprendono. Gli estremisti possono chiudere l’università per un fine settimana o persino per una settimana, ma alla fine se ne tornano a casa, e così il segretario torna nel suo ufficio a riempire i documenti, e a fare il suo lavoro di sempre. È proprio questo il veicolo del potere, almeno sul lungo termine: l’apparato burocratico.
Notes de bas de page
50 D. Everett, Don’t Sleep, There are Snakes: Life and Language in the Amazonian Jungle, London, Profile Books, 2008.
51 M. Tomasello, H. Rakoczy, What Makes Human Cognition Unique? From Individual to Shared to Collective Intentionality, “Mind and Language”, 18, 2003, pp. 121-147.
52 L’osservazione è di Andrea Borghini [N.d.T.].
53 Test suggerito da Cristina Becchio [N.d.T.].
54 Nell’accezione in cui lo usa Searle, questo termine si riferisce a quelle grandi società per azioni che spesso chiamiamo “multinazionali” [N.d.T.].
55 Chiarimento sollecitato da Luca Morena [N.d.T.].
56 Questo dubbio è stato sollevato da Bruno Bara [N.d.T.].
57 Qui Searle ha probabilmente in mente filosofi come Adolf Reinach e John Austin [N.d.T.].
58 Queste due obiezioni sono state sollevate da Antonino Falduto [N.d.T.].
59 Durante la lezione Elisa Grimi ha fatto un intervento che ha stimolato queste precisazioni di Searle sulle rivoluzioni [N.d.T.].
60 H. De Sotho The Mystery of Capital: Why Capitalism Triumphs in the West and Fails Everywhere Else, New York, Basic Books, 2000; trad. it. G. Barile, Il mistero del capitale, Milano, Garzanti, 2001.
61 Questa precisazione sul ruolo dei documenti è stata data da Searle in risposta a una domanda di Giuliano Torrengo [N.d.T.].
62 Queste riflessioni sulla relazione fra moralità e normatività sono state elaborate per rispondere a una domanda di Antonino Falduto [N.d.T.].
63 Domanda sollevata da Mauro Piras [N.d.T.].
64 Queste riflessioni sulla politica sono state suscitate da una domanda di Christian Vassallo [N.d.T.].
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