Prefazione
La mente in azione
p. 9-17
Texte intégral
Il modello sistemico di causazione mente-mondo e il nuovo mentalismo di John Searle
1Nel corso del suo complesso itinerario di pensiero, dalla teoria degli atti linguistici alla filosofia della mente fino alla più recente ontologia sociale, Searle è venuto affiancando a una rigorosa analisi della struttura dei nostri stati mentali, quali sono espressi nel quotidiano agire linguistico, una riflessione costante sulla possibilità di legittimare scientificamente gli esiti delle sue posizioni teoriche.
L’analisi della struttura logica degli stati intenzionali, quali stati dotati di un “contenuto proposizionale” e di un “modo psicologico” ed espressi in atti linguistici egualmente strutturati in “contenuto proposizionale” e “forza”2, ha condotto Searle a concepire il rapporto mente-mondo come un rapporto di reciproco adattamento in cui talora è la mente ad adattarsi al mondo, in stati cognitivi come esperienze visive e credenze, talaltra è il mondo a cambiare per adattarsi alla mente, in stati mentali come desideri e intenzioni.
2Per un verso egli ha prospettato il carattere intenzionale, soggettivo e olistico degli stati mentali prendendo anche atto della loro realtà e della loro irriducibilità a stati neurali ontologicamente oggettivi, in quanto inequivocabilmente dotati di un’ontologia in prima persona, secondo quanto emerge dallo statuto “intensionale” degli enunciati che li esprimono, e per altro verso ne ha rivendicato l’efficacia causale in quanto capaci di determinare stati di cose nel mondo essendone a loro volta causati.
3Ha così delineato un originale modello di mente, al contempo antiriduzionista e antisostanzialista, che egli prefigura come “Rete” di stati mentali tra loro interconnessi in interazione creativa con il mondo, capaci di agire su di esso trasformandolo ed essendone a loro volta causati e trasformati.
4Searle concorda con il funzionalismo sull’efficacia causale dei nostri stati mentali, dal momento che anch’egli è ben pronto ad ammettere sia che desideri e credenze causano i nostri comportamenti sia che l’impatto dello stimolo visivo sul nostro sistema nervoso causa la nostra esperienza visiva e con essa le nostre credenze, ma ne respinge l’assunto principale, che è quello della riducibilità degli stati mentali alle relazioni causali che li mettono in rapporto con il mondo, perché ne rivendica l’irriducibilità ontologica, pur avendone riconosciuto la riducibilità causale.
5È per questa irriducibilità degli stati mentali a stati fisici, perciò facilmente interpretati nel dominante clima riduzionista della seconda metà dello scorso secolo come costituenti un “regno diverso”, che il riconoscimento del loro ruolo causale è andato incontro a critiche di implausibilità e insostenibilità scientifica. Sembrava infatti del tutto implausibile che il mentale, imponderabile ed etereo, potesse influenzare il mondo fisico3. Contro un tale modello di mente, irriducibile al fisico e nel contempo causalmente efficace, si è fatto valere l’argomento del “dilemma dell’esclusione causale”4 basato sul principio di chiusura causale del mondo fisico, per il quale sarebbe impossibile, pena la “sovradeterminazione causale”, considerare responsabili dei nostri comportamenti anche cause mentali ove essi non possono non avere, come Searle ben riconosce, una causa neurale5.
6È alla luce di tali obiezioni che è possibile comprendere il costante impegno teorico searliano a mostrare la legittimità scientifica del suo originale mentalismo.
7Già nel 1997, in The Mistery of Consciousness, Searle ricordava come negli anni in cui aveva cominciato a interessarsi al problema della coscienza e ancora negli anni in cui scriveva fosse «[…] molto diffuso il tentativo di negare l’esistenza della coscienza, intesa come insieme di stati soggettivi, qualitativi, interiori di consapevolezza o sensibilità […]. La tendenza – egli notava – è stata quella di supporre che la coscienza potesse essere ridotta a qualcos’altro, o in altri modi eliminata, secondo le varie versioni del materialismo»6. Egli sottolineava come in quegli anni anche i neuroscienziati fossero disinteressati a tale problema. Ricordava però la presenza di una tradizione minoritaria, che faceva risalire alla prima metà del secolo e rifacentesi all’opera del fisiologo britannico Charles Sherrington e al suo «tentativo di fornire una descrizione neurobiologica della coscienza», e che riteneva ancora rappresentata da «eminenti scienziati contemporanei come Sir John Eccles e Roger Sperry»7, e continuata in modo promettente da neuroscienziati come Francis Crick, Gerald Edelman e Roger Penrose8. Non mancava però di rammaricarsi che i libri di testo di neurofisiologia e neuroscienze anche negli anni Novanta non presentassero alcun capitolo sulla coscienza e dicessero molto poco «anche solo per suggerire che la coscienza è un fondamentale problema scientifico»9.
8Searle è convinto che in filosofia sia stato il diffuso timore del dualismo a portare a posizioni riduzioniste o eliminativiste riguardo al problema della coscienza, nel convincimento che «accettare il dualismo significherebbe negare quella visione scientifica del mondo che abbiamo faticosamente acquisito nel corso dei secoli passati»10. Perciò egli considera prioritario il compito di sgomberare il campo dalle vecchie categorie filosofiche di corpo e mente come ribadiscono queste stesse lezioni torinesi, che esordiscono infatti col «mostrare la modalità di esistenza della coscienza» all’interno dell’unico mondo in cui viviamo. Searle è convinto – come scriveva in Mind – che l’errore da cui nasce il dilemma dell’esclusione causale è quello di supporre che «se si dà un livello di descrizione dei processi cerebrali in cui questi includono sequenze reali e irriducibili di stati coscienti, e un altro livello di descrizione in cui i processi cerebrali non sono che fenomeni biologici e gli stati di coscienza non sono ontologicamente riducibili ai fenomeni neurobiologici, allora i due livelli devono costituire entità separate»11.
9E contro tale errore sostiene che «la coscienza nel cervello non è un’entità e una proprietà separata; non è che lo stato in cui si trova il cervello». Paragonando la relazione della coscienza con i processi cerebrali a quella della liquidità di un campione d’acqua con il comportamento delle molecole di h2o o della solidità di un pistone con il comportamento molecolare delle leghe metalliche, egli sosteneva che le cause al livello del sistema nel suo complesso non sono qualcosa di aggiuntivo rispetto alle cause al microlivello dei componenti del sistema, anzi sono spiegabili dai rapporti causali tra i microelementi. Per esemplificare: quando si dice che l’intenzione di alzare il braccio causa il movimento del braccio questo non significa che sia «presente una certa causa in aggiunta al comportamento dei neuroni che si sono attivati […] ma si sta descrivendo il sistema neurobiologico complessivo al livello del sistema globale, e non al livello dei singoli microelementi»12. Ciò significa per Searle poter legittimare il modello mentale, da lui delineato sulla base delle acquisizioni della sua teoria degli atti linguistici e dell’intenzionalità, sia mostrandone l’appartenenza al mondo fisico, con ciò disinnescando la mina dualistica, sia mostrando come esso sia in linea con le acquisizioni più recenti della neurobiologia.
10Contro ogni concezione che considera la mente come una monade isolata dal mondo egli prospetta un modello di mente che, come «campo olisticamente unificato di stati di livello superiore del cervello», lungi dal poter essere considerato una «sostanza separata» o simile a «qualcosa di fluido secreto dal cervello», non si dà «al di là del sistema cerebrale in cui viene realizzato fisicamente». Si avvale del modello esplicativo dominante nei vari ambiti della scienza contemporanea, secondo il quale fenomeni fisici microstrutturali possono causare macrocaratteristiche di sistema – come ad esempio la liquidità dell’acqua o la solidità di un tavolo – senza che queste macrocaratteristiche abbiano alcuna esistenza al di fuori del microlivello. Stati mentali irriducibili e reali possono essere concepiti, piuttosto che come entità separate rispetto ai processi cerebrali che li determinano, come macrocaratteristiche di “sistema” della struttura fisica del cervello. Può così sgomberare il suo campo d’indagine dal sospetto di implausibilità scientifica gravante sulla sua prospettiva filosofica, minando alla base i presupposti su cui si basa «il dilemma dell’esclusione causale».
11Contro il dubbio che il riconoscimento della causalità mentale comporti una «sovradeterminazione causale», in quanto le cause mentali dei nostri comportamenti si aggiungerebbero alle loro cause neurali, nella prospettiva sistemica e olistica searliana può ben valere la considerazione che «del fenomeno del braccio che va su c’è sia una spiegazione al micro-livello, che chiama in causa i neurotrasmettitori, sia una spiegazione al macro-livello che riguarda intenzioni e movimenti corporei». Mentre, contro l’epifenomenalismo che fa dei nostri desideri, delle nostre intenzioni e decisioni degli impotenti epifenomeni, rendendoli «causalmente inerti», egli può far valere la considerazione dell’efficacia causale delle macro-caratteristiche di sistema quale viene riconosciuta in ogni campo della scienza e può sostenere la capacità di produrre cambiamenti nel mondo, del tutto simile alla capacità dei motori e dei computer di agire causalmente. Per una tale causazione, «dall’alto verso il basso (top-down)», che è quella degli eventi fisici del cervello da parte degli stati di coscienza, Searle assume, in accordo con il noto neurofisiologo Roger Sperry, un modello sistemico che prevede che «Il sistema, in quanto sistema, ha effetti causali su ogni elemento, anche se il sistema è costituito da quegli stessi elementi»13.
12In Rationality in Action egli riprende per l’esemplificazione di tale «causazione sistemica» il noto esempio di Sperry della ruota che con i suoi movimenti determina i movimenti delle molecole che la costituiscono sottolineando come “I movimenti di ogni molecola sono influenzati dal sistema, sebbene il sistema consista interamente di molecole”14. Analogamente – egli aggiunge – «il sistema, in quanto sistema cosciente, può avere degli effetti sugli elementi individuali, i neuroni e le sinapsi, anche se il sistema è costituito da essi […]; nel cervello cosciente ogni neurone nelle porzioni coscienti del sistema può essere influenzato dalla coscienza del cervello, anche se non ci sono altri oggetti a parte i neuroni (con le cellule gliali, e tutto il resto)»15.
13Ma è anche e soprattutto nelle più recenti neuroscienze, a partire dagli interessanti esiti dei test cognitivi sui pazienti dal “cervello diviso”, che a noi pare che il modello di mente da Searle delineato all’interno di una prospettiva di naturalismo biologico possa avere e legittimamente attendersi le conferme più significative. Pur consapevole che tali scienze non sono ancora in grado di dirci come funzioni nei minimi dettagli la causazione dei fenomeni coscienti da parte dei processi neurali, Searle non manca di evidenziarne i significativi apporti in relazione sia all’individuazione dei correlati neuronali della coscienza, sia alla localizzazione dei processi coscienti nel cervello, quali sono possibili grazie alle nuove tecniche di visualizzazione del cervello come la risonanza magnetica funzionale (fmri, functional magnetic resonance imaging), che consente di osservare la zona del cervello che si attiva in concomitanza con lo svolgimento di specifici compiti o le scansioni Tac, o metodi di ricerca che permettono l’identificazione delle specifiche cellule che si attivano in risposta a certi stimoli.
14Egli non manca di rilevare come tali linee di ricerca siano promettenti e non gli sfugge la rilevanza delle attuali ricerche sulla percezione visiva che seguono le tracce dello stimolo visivo all’interno del cervello fino alla produzione dell’output percettivo, tra le quali a noi pare valga la pena ricordare quelle che hanno portato all’identificazione di percorsi visivi diversi nella corteccia cerebrale, che costituirebbero i diversi sostrati a livello neurofisiologico di due diversi sistemi visivi, l’uno finalizzato all’identificazione e al riconoscimento di stati di cose e oggetti e l’altro finalizzato più direttamente all’azione16. Nel contempo ritiene peraltro che non solo l’identificazione dei correlati neurali della coscienza sia ancora insufficiente ai fini della spiegazione del tipo di relazione causale esistente tra stati mentali e loro correlati neurali, ma anche che, più in generale, l’approccio atomistico di tali ricerche, che è quello dei singoli «blocchi da costruzione (building blocks)», sia inadeguato a render conto di quello che egli considera, sulla base delle acquisizioni della sua teoria dell’intenzionalità, il modo di funzionamento olistico degli stati mentali. Trova invece adeguato alla strutturazione olistica del campo di coscienza, come è provata dal fatto che ogni nostra possibilità di esperire lo presuppone, l’approccio del «campo unificato di coscienza (the unified field of consciousness)» adottato da eccellenti ricercatori come Wolfe Singer, Rodolfo Llinás, Antonio Damasio, Gerald Edelman e Giulio Tononi17. E può anche avvalersi dei dati emersi dai casi clinici di pazienti affetti da una forma di epilessia nota come “piccolo male” studiati da Wilder Penfield per identificare il vantaggio evolutivo conferitoci dalla coscienza in una capacità discriminatoria e in una flessibilità e creatività superiori a quelle di cui disporrebbe un meccanismo non cosciente18. Se tali pazienti sono in grado, pur in stato di incoscienza, di continuare a svolgere attività abituali in quanto certamente «preprogrammate nella loro struttura cerebrale», mancherebbe però a essi il grado di flessibilità e di creatività proprio del normale comportamento umano cosciente.
Razionalità e ontologia sociale negli attuali sviluppi searliani
della Speech Act Theory
15Confrontandosi così fecondamente con i più recenti esiti della ricerca nelle neuroscienze e delle scienze naturali, la complessa teoria dell’intenzionalità e della coscienza elaborata da Searle, capace di superare la tradizionale alternativa tra dualismo e monismo, può legittimamente presentarsi come una riformulazione certamente convincente, quand’anche provvisoria19, del problema della coscienza e del rapporto mente-corpo alla luce della costellazione degli esiti della ricerca scientifica e specificatamente neurobiologica contemporanea.
Negli anni più recenti essa ha mostrato la sua fecondità sviluppandosi parallelamente in un’interessante e innovativa teoria della razionalità, incentrata sull’idea dell’incapsulamento dei vincoli razionali nella struttura dell’intenzionalità e del linguaggio, e in un’altrettanto originale teoria della società e della realtà istituzionale che, facendo leva su nozioni cardine della sua teoria del linguaggio e della mente come «intenzionalità collettiva» e «regole costitutive», ricostruisce il processo di costruzione umana dei fatti istituzionali come un processo in cui grazie a specifici atti linguistici di tipo dichiarativo l’essere umano si rivela capace di plasmare la civiltà umana imponendo collettivamente «Funzioni di Status» su entità che per loro natura ne sarebbero prive.
16Anche in tali sviluppi che in modo del tutto innovativo propongono, insieme al carattere di fenomeno biologico dell’intenzionalità, capace di efficacia causale, anche il suo carattere normativo, la teoria searliana dell’intenzionalità può rivendicare la sua legittimità all’interno del nuovo paradigma della scienza contemporanea. È in diretta contrapposizione «con la tradizione secondo la quale la biologia riguarderebbe i livelli bassi, mentre l’intenzionalità sarebbe lassù, nel iii regno di Frege» che Searle sostiene, avvalendosi delle acquisizioni della scienza contemporanea anche sulla «causazione sistemica» da lui condivise, che «la biologia umana contiene proprietà semantiche (ovvero che queste siano parte dei fenomeni biologici) e che queste abbiano condizioni di soddisfazione che sono soggette a vincoli razionali e che sono interamente normative»20.
17Così egli può giungere a concepire la razionalità non più come qualcosa di separato, esterno ai fenomeni intenzionali, ma come costitutiva di essi. Nella sua teoria, come egli osserva, «l’intenzionalità è interamente normativa: la nozione di successo e fallimento, di condizioni di soddisfazione, sono nozioni normative; le nozioni di forme razionali di intenzionalità, le norme di credenza ben fondate o di desiderio razionale, sono tutte nozioni che esprimono vincoli razionali». Traendo alcune fondamentali implicazioni dalla sua teoria degli atti linguistici come «comportamenti intenzionali governati da regole», individuando gli specifici impegni cui ci vincola ogni tipo di atto linguistico sulla base delle regole costitutive ad esso sottostanti, giunge così negli scritti più recenti a teorizzare la crucialità della dimensione deontica per atti linguistici e stati intenzionali21, tanto da scoprire ed evidenziare «il potenziale di ragione» incorporato in ogni prassi comunicativa quotidiana.
18Ed è proprio la dimensione della pubblica assunzione di impegni essenziale per la natura del linguaggio a implicare che il linguaggio crei e in parte costituisca la realtà istituzionale. Volgendo la sua indagine anche all’ontologia sociale, egli ha fatto leva su nozioni cardine della sua teoria del linguaggio e della mente come «intenzionalità collettiva» e «regole costitutive», e ha così ricostruito il processo di costruzione umana dei fatti istituzionali come un processo basato sull’imposizione collettiva di Funzioni di Status su entità che non potrebbero svolgere quella funzione solo in virtù della propria struttura fisica senza un accordo collettivo.
19Coerentemente con la sua idea di mente capace di agire sul mondo di cui fa parte, Searle giunge, sviluppando pienamente alcune acquisizioni fondamentali della sua teoria del linguaggio e della mente22, a individuare il meccanismo attraverso il quale creiamo la civiltà umana. Scopre «l’incredibile capacità umana di creare» la realtà istituzionale in cui siamo immersi e identifica tale capacità con quella, propria del linguaggio e in particolare degli atti linguistici performativi, di creare una realtà semplicemente rappresentandola come esistente. Né manca di dar conto di quell’imprescindibile dimensione di libertà propria di ogni parlante e ogni agente, non solo in quanto impegnato nelle pratiche comunicative quotidiane, ma anche in quanto immerso in ogni tipo di pratica istituzionale.
20Nell’articolato ciclo di lezioni e seminari torinesi, che qui si presenta, Searle ripercorre retrospettivamente il suo complesso itinerario teorico, giungendo a presentarne i più recenti sviluppi, ancora in fase di elaborazione teorica. Seguendo i progressivi e continui slittamenti di problema cui il suo programma di ricerca ha dato luogo nel corso degli ultimi decenni, è possibile valutarne la fecondità e l’innovatività anche alla luce della capacità di misurarsi con problemi di grande attualità come quello del potere, dei diritti umani e della normatività in genere.
Notes de bas de page
2 Cfr. J.R. Searle, Speech Acts: An Essay in the Philosophy of Language, Cambridge, Cambridge University Press, 1969; trad. it. G.R. Cardona in Atti Linguistici, Torino, Boringhieri, 1976, ove lo stretto legame tra atti linguistici e intenzionalità del mentale è già chiaramente prefigurato nell’analisi intenzionalista del significato e nell’individuazione della “regola di sincerità” in base alla quale ogni atto linguistico esprime lo stato mentale a esso sottostante. La fondazione sistematica della teoria degli atti linguistici mediante l’analisi della struttura dell’intenzionalità è pienamente sviluppata in J.R. Searle, Intentionality: An Essay in the Philosophy of Mind, Cambridge, Cambridge University Press, 1983; trad. it. D. Barbieri, Della Intenzionalità: un saggio di filosofia della conoscenza, Milano, Bompiani, 1985.
3 J.R. Searle, Mind: a Brief Introduction, Oxford, Oxford University Press, 2004; trad. it. C. Nizzo, La mente, Introduzione di M. Di Francesco, Milano, Cortina, 2005, p. 187.
4 Cfr. J. Kim, Mind in a Physical World: an Essay on the Mind-Body Problem and Mental Causation, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1998; trad. it. N. Simonetti, La mente e il mondo fisico, Milano, McGraw-Hill, 2000, in particolare le pp. 51-54 per la critica della posizione searliana. Si vedano inoltre J. Kim, Mental Causation in Searle’s Biological Naturalism, “Philosophy and Phenomenological Research”, 55, 1995, 1, pp. 189-194 e la replica di Searle in J.R. Searle, Consciousness, the Brain and the Connection Principle: A Reply, “Philosophy and Phenomenological Research”, 55, 1995, 1, pp. 217-232. Sul dibattito tra Kim e Searle cfr. G. Vicari, Beyond Conceptual Dualism: Ontology of Consciousness, Mental Causation, and Holism, in J.R. Searle, Philosophy of Mind, Amsterdam, New York, Rodopi, 2008, pp. 62-71.
5 J.R. Searle, La mente, cit., p. 186. Searle ben sa che sostenere che l’intenzione causa il movimento del mio braccio non può escludere che «qualunque cosa sia in grado di causare che il corpo si muova deve causare, come insegna la fisiologia, la secrezione di acetilcolina (lo specifico neurotrasmettitore che serve a muovere i muscoli) nelle terminazioni degli assoni dei neuroni motori».
6 J.R. Searle, The Mystery of Consciousness, London, Granta Books, 1997; trad. it. E. Carli, Il mistero della coscienza, Milano, Cortina, 1998, p. 159.
7 Ivi.
8 Ibid., p. 161.
9 Ivi.
10 Ibid., p. 160.
11 J.R. Searle, La mente, cit., p. 187.
12 Ibid., p. 188.
13 J.R. Searle, Rationality in Action, Cambridge (Mass.), MIT Press, 2001; trad. it. E. Carli, La razionalità dell’azione, Milano, Cortina, 2003, p. 269.
14 Ivi. Sul carattere provocatorio dell’assunto che propugnava il “controllo emergente dall’alto verso il basso” rispetto ai presupposti microdeterministici tradizionali e sull’importanza dei cambiamenti nella concezione della realtà e dell’Io cosciente connessi all’affermarsi di un “modello macrodeterministico di spiegazione causale” cfr. R. Sperry, A Modified Concept of Consciousness, “Psychological Review”, 76, 6, 1970, pp. 532-536 e Il problema della coscienza a una svolta: un nuovo paradigma per la causazione, in G. Giorello, P. Strata (a cura di), L’automa spirituale, Menti cervelli e computer, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 97-117.
15 J.R. Searle, La razionalità dell’azione, cit., p. 269.
16 Cfr. M.A. Goodale, A.D. Milner, The visual Brain in Action, Oxford, Oxford University Press, 1998. Per un approfondimento delle implicazioni filosofiche di tali recenti acquisizioni delle neuroscienze cfr. F. Di Lorenzo Ajello, Mutamenti paradigmatici e nuovi modelli nel dibattito contemporaneo su razionalità, verità e mente, in F. Di Lorenzo Ajello (a cura di), Razionalità, verità e mente, Milano, Mondadori, 2008, pp. 1-30.
17 Si vedano in particolare R. Llinás, The I of the Vortex, Cambridge (Mass.), MIT Press, 2001; R. Llinás, G. Paré, The Brain as a Closed System Modulated by the Senses, in The Mind-Brain Continuum. Sensory Processes, a cura di R. Llinás, P.S. Churchland, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1996, pp. 1-18; G. Edelman, G. Tononi, A Universe of Consciousness. How Matter Becomes Imagination, New York, Basic Books, 2000; trad. it. S. Ferraresi, Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, Torino, Einaudi, 2000; A. Damasio, The Feeling of What Happens, San Diego, Harcourt, 1999; trad. it. S. Frediani, Emozione e coscienza, Milano, Adelphi, 2000.
18 J.R. Searle, The Rediscovery of the Mind, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1992; trad. it. in La riscoperta della mente, Torino, Boringhieri, 1994, p. 124.
19 Searle riconosce infatti che una formulazione più completa potrà aversi solo quando si sarà scoperto come funzioni veramente la neurobiologia del cervello, come avvenga nei minimi dettagli la causazione dei fenomeni coscienti da parte dei processi neurali.
20 Infra.
21 J.R. Searle, What is Language: Some Preliminary Remarks, in Kreativität. xx. Deutscher Kongreß für Philosophie, a cura di G. Abel, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 2006, pp. 1223-1248; trad. it. G. Vicari, Che cos’è il linguaggio. Alcune osservazioni preliminari, in F. Di Lorenzo Ajello (a cura di), Razionalità, verità e mente, cit., pp. 31-64.
22 Per un’analisi delle implicazioni deontiche della teoria degli atti linguistici e dei loro sviluppi nell’etica del discorso di J. Habermas rinviamo a F. Di Lorenzo Ajello, Mente, azione e linguaggio nel pensiero di John R. Searle, Milano, FrancoAngeli, 1998.
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