La donazione
p. 31-51
Texte intégral
1Ho dedicato la lezione di ieri alla definizione della metafisica non concentrandomi tanto su Aristotele quanto sulla metafisica intesa nell’accezione moderna del termine, e dunque nella sua accezione cartesiana. Vorrei tornare ancora su questo tema. Molti dibattiti dedicati alla questione se sia o non sia utile e opportuno seguire il progetto della metafisica si richiamano alla metafisica di Aristotele e alla tradizione aristotelica. Ora, se è vero quanto ho detto e la ricostruzione della storia dei concetti che ho proposto, tutto ciò è paradossale: la metafisica, nel senso vero e proprio del termine, è una disciplina moderna e dunque sarebbe più appropriato e giusto parlare dei limiti della metafisica riferendosi all’utilizzo del lessico metafisico che si è sedimentato a partire dal xvii secolo. Ecco perché la questione della metafisica e dei suoi limiti si pone, a mio avviso, a partire da Descartes e dai cartesiani.
2Il problema, a questo punto, è sapere se tale distruzione della metafisica rappresenti il punto di arrivo ultimo del cammino della riflessione filosofica. Né, d’altronde, è raro che il lavoro di distruzione o decostruzione sia l’ultima parola della filosofia: è uno dei modi per aver sempre ragione e smettere di lavorare… Sostenere che la filosofia non finisce nel momento in cui la vicenda della metafisica giunge a conclusione, e sostenere anche che non vi si identifica in toto, implicava e implica il tentativo di definire la filosofia senza basarsi sulla sola metafisica. L’impresa non era né è stata semplice ed è stata segnata da diverse svolte; prima fra le quali il passaggio attraverso la questione della filosofia prima, la quale non coincide esattamente con la metafisica. Prote philosophía è l’espressione aristotelica che leggiamo in un celebre passo del Libro E della Metafisica, dove si parla di tre diverse scienze che possono aspirare ad essere chiamate in questo modo: le matematiche, la fisica e la scienza del divino, l’ἐπιστήμη θεολογική (epistéme theologhiché)2. Come noto, il criterio che Aristotele usa per stabilire una gerarchia tra questi tre candidati al titolo di πρώτη φιλοσοφία (próte philosophía) è l’οὐσία (ousia) la quale, affinché si possa parlare di próte philosophía, deve essere separata e immobile. Le matematiche riguardano ciò che è immobile ma non separato, le scienze fisiche riguardano le sostanze che dipendono soltanto da se stesse (e che dunque sono separate) ma non sono immobili (anzi, sono sempre in movimento). Dunque la scienza scelta come próte philosophía sarà la sola la cui ousia è separata e immobile, ossia il divino. Perciò la celebre risposta che Aristotele dà in questo testo è che próte philosophía è la episteme theologhiché, la scienza del divino. L’analisi svolta non è una fondazione o definizione della metafisica, come prova il fatto che Aristotele manterrà sempre questo senso e accezione di próte philosophía senza vincolarla al termine metafisica, che non compare mai, o al termine ontologia, che – così come il primo termine – non c’è.
3Tuttavia, la próte philosophía, o meglio, la teologia in quanto próte philosophía, è il nome di una delle due scienze che compongono la metafisica; l’altra scienza, più tardi, sarà chiamata ontologia, e in Metafisica G quella che successivamente sarà chiamata ontologia viene detta «scienza dell’essere in quanto essere». Tra ciò che in seguito diventerà ontologia e la próte philosophía esiste, dunque, un rapporto, il quale sta nel fatto che la è la sola delle tre parti nelle quali in seguito si svolgerà la metafisica e, soprattutto, è la sola che Aristotele abbia effettivamente trattato. Ne consegue che la próte philosophía ha un destino che non coincide esattamente con quello della metafisica. Vediamo perché.
4Parto da una constatazione: quanti non considerano fondamentale la questione dell’ens in quantum ens, ad esempio Descartes, mantengono la nozione di prima philosophía fondata sull’ego cogito. La filosofia prima, cioè, si identifica con la scienza del primo principio che è l’ego cogito. La nozione di filosofia prima permane, però, anche in fenomenologia. Husserl, nel celebre testo Erste Philosophie3, conserverà il lemma e anche Levinas, che pure criticherà la metafisica mettendo in discussione il primato dell’essere e dunque dell’ontologia, rivendicherà per l’etica il ruolo di filosofia prima, che nella sua opera adempie a una funzione privilegiata. In Totalità e infinito4, infatti, egli sostiene che la morale non è una parte della filosofia ma è la filosofia prima. L’accezione che quest’ultima possiede è dunque ben più ampia ed estesa di quella rivestita dalla sola metafisica, dal momento che può esservi filosofia prima senza che vi sia metafisica. Per questo motivo, nel corso della mia ricerca, ho assunto il concetto di filosofia prima come filo conduttore per tentare di pensare una filosofia che non incappasse nelle aporie della metafisica. Era però necessario esaminare innanzitutto le diverse figure di filosofia prima che si sono avvicendate nella storia del pensiero.
5La prima figura, naturalmente, è quella di Aristotele: la próte philosophía è tale perché tratta di una sostanza (ousía) privilegiata, il cui carattere è divino; perciò in questo caso si presuppone che la próte philosophía sia conoscenza dell’ousía. Quando con Descartes (ma di fatto prima ancora di Descartes), la filosofia diventa conoscenza dell’oggetto, o meglio, conoscenza dell’oggetto tramite il concetto, la distruzione dell’ousia diventerà necessaria, essendo quest’ultima caratterizzata dal fatto di non dipendere dalla conoscenza. Quando, cioè, con la svolta cartesiana, la conoscenza arriva a determinare il proprio oggetto, l’ousia scompare dall’orizzonte. E se l’ousía scompare dall’orizzonte lo stesso accade per la determinazione della próte philosophía come episteme theologhiché (assieme al relativo privilegio dell’ousía immobile e separata). In una situazione in cui la conoscenza ha il primato sul conosciuto, diventa anche impossibile parlare di una philosophía che sia prima perché fondata sulla scienza teologica. Su che cosa si fonderà, allora, la prima philosophía? Naturalmente sull’ego; l’ego, cioè, diventa il «luogo» della próte philosophía, se non altro perché è l’istanza che riduce ogni sostanza allo statuto di oggetto. Non sorprende affatto, dunque, che Descartes abbia ripreso la nozione di próte philosophía dal punto di vista dell’ego. Cito, a tal proposito, la lettera a Mersenne dell’11 novembre 1640, dove Descartes spiega il titolo Meditationes de prima philosophía5. Spesso ci si riferisce a quest’opera chiamandola Meditazioni metafisiche, ma si tratta di un errore: Meditazioni metafisiche è il titolo della traduzione francese, mentre il testo latino è Meditationes de prima philosophía. Dunque, Descartes non fa metafisica ma la sua è prima philosophía.
6Ora, in che modo definisce tale prima philosophía? Nella lettera già citata scrive a Mersenne: «Non tratto affatto di Dio o dell’anima ma in generale di tutte le cose che per prime possono essere conosciute filosofando». E precisa sempre nella stessa lettera: «Filosofando con ordine (en philosophant par ordre)». Vorrei sottolineare il modo alquanto preciso in cui la formula è annunciata: Descartes fa filosofia prima e non metafisica perché non tratta di Dio e dell’anima. La filosofia prima, nella tradizione aristotelica, trattava di Dio e dell’anima, ossia del divino e delle sostanze separate, e un esempio di sostanza separata è il noús in atto. Descartes, invece, dice di fare filosofia prima senza trattare quei temi che caratterizzano la tradizione aristotelica, e in luogo di Dio e dell’anima parla «di tutte le cose che possono essere conosciute per prime filosofando con ordine». In un certo qual senso la filosofia prima può trattare di ogni cosa purché questa sia conosciuta per prima; infatti, conta soltanto l’ordine del conoscere, in base al quale si stabilisce che cosa debba rientrare nell’ambito della filosofia prima. Quando ragiono e faccio filosofia con e per ordine, definisco quale debba essere il primato e l’ordine degli oggetti, e i primi oggetti sono gli oggetti della filosofia prima. La filosofia prima è dunque costruita secondo un criterio epistemologico e non secondo il criterio dell’ousía. L’atto del conoscere e le sue condizioni di possibilità determinano ciò che deve essere considerato primo sulla base del conoscere, e questo primato è identificato con la prima philosophía.
7Descartes mette in atto un rovesciamento stupefacente: a partire da questo momento saranno le condizioni della scienza a determinare la prima scienza e non l’ousía. La prima scienza è la scienza della scienza che sarà in un primo momento il metodo e, successivamente, la filosofia prima, ossia il cogito. Così facendo Descartes apre anche un nuovo campo alla próte philosophía che – sempre a partire da questo momento – sarà scienza dell’intelletto umano, della conoscenza dei principi primi e, infine, Wissenschaftlehre. Tale rovesciamento segnerà il cammino che condurrà da Descartes a Kant e all’idealismo tedesco, il quale riprenderà il progetto della próte philosophía definendolo a partire dalle condizioni di possibilità del conoscere. Perché non assumere ancora oggi questa definizione di filosofia prima? Non possiamo farlo per la critica cui è stato sottoposto il soggetto protagonista del conoscere. Non mi dilungo sull’argomento: la crisi del soggetto è un luogo classico della filosofia contemporanea. La critica del soggetto rende discutibile e fragile ogni filosofia prima il cui fondamento sia nel primato del soggetto; il che non significa che il progetto messo in atto sia inutile e vano: a essere inutile e vano è il soggetto che condivide e pratica questa definizione di filosofia prima intesa come «scienza delle cose che è possibile conoscere per prime filosofando con ordine». Tale definizione, quindi, non è inutile e vana di per sé ma lo è a causa di colui che la mette in opera, essendo messo in discussione l’ego trascendentale. Non mi dilungherò su questo ego e sulle critiche che lo hanno travolto, la principale tra le quali non consiste tanto nel fatto che possa essere messo in dubbio quanto più nel fatto che non sono io (il n’est pas moi). Intendo cioè dire che il problema sollevato da un ego che svolge il ruolo di protagonista della filosofia prima sta nel fatto che per essere protagonista assoluto non deve essere il soggetto della conoscenza empirica.
8Se, infatti, lo fosse, ci troveremmo in una situazione di solipsismo all’ennesima potenza, infinitamente moltiplicato, né si darebbe alcuna dottrina della scienza o filosofia che sia prima sulla base dell’ordine del conoscere. È dunque necessario teorizzare un soggetto trascendentale, ossia un soggetto che preceda tutte le determinazioni empiriche dell’io e che adempia le funzioni – esclusivamente e peculiarmente logiche – della percezione trascendentale, dell’unificazione, delle rappresentazioni e del giudizio. Ora, tutti possiamo assumere il ruolo di tale soggetto (trascendentale) ma nessuno lo è, né il soggetto trascendentale è qualcuno. Di conseguenza, il soggetto trascendentale svolge una funzione puramente paradigmatica; inoltre, in un certo qual modo, riproduce la divisione dell’io tra il soggetto empirico che ognuno di noi è, e il soggetto trascendentale che nessuno tra noi è e che, tuttavia, ciascuno di noi dovrebbe rappresentare. È una situazione insostenibile, non soltanto perché ripresenta l’aporia dell’intelletto agente che caratterizzava la tradizione aristotelica, in particolare Averroè (ossia l’unicità dell’intelletto agente e la moltiplicazione degli intelletti passivi), ma – più radicalmente ancora – la difficoltà della modernità sta nel fatto che lo scarto tra il soggetto trascendentale e il soggetto empirico rende possibile la critica del soggetto empirico dal punto di vista del soggetto trascendentale e viceversa. Lo sviluppo che, nel xix secolo, hanno conosciuto le scienze empiriche del soggetto, è poi la rivincita del soggetto empirico su quello trascendentale, fino alla situazione che Foucault ha in un certo qual senso portato a compimento, che consiste nel prender definitivamente congedo dalla stessa nozione di uomo. Nozione con la quale l’umanismo ha scritto la propria condanna, non perché non vi siano uomini ma perché l’uomo è stato infinitamente moltiplicato. La crisi dell’umanismo è il risultato dell’aver duplicato la nozione di uomo, quasi a porla in concorrenza con se stessa. Non si tratta di un fatto culturale, empirico, storico, ma è la conseguenza di un fatto teoretico, ossia dello scarto tra l’io empirico e l’io trascendentale. In questo senso, dunque, la nozione di filosofia prima non può più essere ripresa a partire dalla sua ripresa e formulazione cartesiana. C’è, tuttavia, la possibilità di liberare la filosofia prima non soltanto dal primato dell’ousía ma anche da quello dell’ego? Questa, a un certo momento, è diventata la mia questione, il mio problema. Momento che è coinciso con l’imporsi del passaggio alla fenomenologia.
9In primo luogo, tale passaggio si è imposto perché, a partire da Husserl, la fenomenologia ha rivendicato il diritto di essere l’erede della filosofia prima, assumendone il nome. Husserl lo chiarisce bene in un passo del corso pubblicato con il titolo di Erste Philosophie (Filosofia Prima) tenuto nel semestre invernale 1923-1924: «Riprendo l’espressione coniata da Aristotele, próte philosophía, prima philosophía, perché traggo profitto e vantaggio dal fatto che l’espressione è caduta in disuso e che per noi ha soltanto un significato strettamente letterale che coincide con quello che le è stato conferito dalle numerose sedimentazioni in essa depositate dalla tradizione storica; sedimentazioni che mescolano confusamente sotto il nome di metafisica il ricordo dei diversi sistemi di metafisica del passato»6. Un testo strano, questo, nel quale Husserl dice di riprendere la nozione di filosofia prima perché questa non è più in uso, non significa più nulla e dunque è stata liberata da tutto ciò che la tradizione vi aveva aggiunto. Detto altrimenti: riprende l’espressione filosofia prima perché il lemma non ha più nessun significato preciso. In realtà è semplicistico sostenere che il lemma in questione è recuperato perché non significa più nulla, perché nessuna delle determinazioni storiche che ha ricevuto è utile e perché, infine, ciò ci autorizza a ricominciare di nuovo. In che modo, dunque, dal suo punto di vista, siamo invitati a intendere la nozione di filosofia prima?
10Dobbiamo intenderla, dice sempre lo stesso testo, a partire dalla (e grazie alla) fenomenologia: «Con l’apertura messa in atto dalla nuova fenomenologia trascendentale è stata già realizzata una prima apertura verso la possibilità di un’autentica filosofia prima»7. “Apertura” è, qui, Durchbruch, il fatto di passare attraverso, di «sfondare» (come nel linguaggio militare si dice che è stato sfondato e attraversato il fronte nemico). C’è dunque un’apertura, uno sfondamento messo in atto dalla fenomenologia e quest’apertura o sfondamento è un’apertura verso la filosofia prima. Prima di chiederci se e come Husserl abbia potuto aprire questa possibilità verso la filosofia prima, vorrei ricordare che lo stesso lemma sarà successivamente ripreso anche da altri fenomenologi, innanzitutto da Levinas. Né dobbiamo dimenticare che Heidegger, fino al 1931, mantiene un uso positivo non già di filosofia prima ma di metafisica. In un certo qual modo, dunque, la fenomenologia contemporanea ha mantenuto la nozione di cui ci stiamo occupando. Com’è possibile, tuttavia, mantenerla viva ancora oggi, in fenomenologia?
11Risponderò alla domanda innanzitutto tornando al modo in cui Husserl stesso ha mantenuto aperta tale possibilità. Quali sono i principi della fenomenologia husserliana? La questione è stata chiarita, dopo il mio lavoro Réduction et donation8, da Michel Henry con l’articolo Les quatre principes de la phénoménologie9. Ci sono diverse formulazioni di tali principi: la prima è quella che Husserl e Heidegger riprendono da Herbart, contemporaneo di Hegel, che nell’opera del 1806 Hauptpunkte der Metaphysik scrive: «Soviel Schein, soviel Seyn (tanto apparire, tanto essere)». Questa formula (citata da Husserl nella Quinta Meditazione Cartesiana, § 46, e da Heidegger in Sein und Zeit, § 7)10può essere utile alla fenomenologia perché dichiara che l’opposizione platonica tra l’essere e l’apparire deve essere superata a vantaggio dell’equivalersi di «essere» e «apparire», dove «apparire», evidentemente, pre-suppone già «essere»: nulla di ciò che appare è privo di essere, altrimenti non apparirebbe affatto. L’apparire può, forse, essere una versione debole dell’essere ma, in ogni caso, l’apparire «è»; e reciprocamente, l’essere non può essere senza apparire. La validità di tale principio tuttavia, è compromessa dal fatto che si limita a invertire il rapporto tra essere e apparire senza mettere in discussione il loro scarto. Perciò rimane all’interno della metafisica, dal momento che non elimina il dualismo essere-apparire (dualismo decisamente e radicalmente metafisico).
12Il secondo principio della fenomenologia individuato da Henry è nel § 2 dell’Introduzione della Prima ricerca logica e nel § 19 di Idee I: «Wir wollen auf die “Sachen selbst” zurückgehen, noi vogliamo andare alle “cose stesse”»11. Contro una filosofia che tenta di andare ai concetti, Husserl annuncia di voler tornare alle «cose stesse». Questo principio dichiara la necessità che i fenomeni siano descritti, cosa che implica la distinzione tra ciò che è effettivamente visibile e ciò che non lo è; annuncia, cioè, la necessità della riduzione. La formula impiegata, però, è imprecisa, per due motivi. In primo luogo perché dà per scontato che delle cose (Sachen) ci siano, presuppone che siano «già là». La riduzione trascendentale, perciò, non è chiamata in causa, si dà per scontato che le cose siano già costituite e che basti semplicemente tornare alle «cose stesse». è quel zurück, il tornare «verso», a dare dunque per presupposto che le cose siano «già là» e che, semplicemente, occorra tornarvi. Ma potrebbe anche darsi il caso che le cose non siano già costituite e che non sia possibile tornarvi perché non «sono già là». Potremmo dunque «andare verso» le cose senza giungervi, motivo per cui lo zurück pone non pochi problemi. Ecco allora la terza formula, molto celebre, conosciuta come il «principio di tutti i principi», che leggiamo nel § 24 di Idee I: «Ogni intuizione (Anschauung) originalmente offerente è una sorgente legittima di conoscenza, (e) tutto ciò che si dà originalmente nell’“intuizione (Intuition)” (per così dire in carne e ossa) è da assumere così come esso si dà, ma anche e soltanto nei limiti in cui si dà»12. Questo testo è stato per me una sorta di illuminazione pur rimanendo, in ogni caso, ambiguo.
13Innanzitutto «il principio di tutti i principi» può essere compreso in questo modo: esso annuncia che se un fenomeno (oggetto, cosa…) appare nell’intuizione, quest’intuizione basta legittimamente e «di diritto» (non tanto o soltanto «di fatto»!) affinché lo descriviamo e comprendiamo così come si dà. Evidentemente è un testo polemico nei riguardi di Kant e del principio kantiano secondo cui l’intuizione, senza concetto, è cieca e, viceversa, ogni concetto senza intuizione è vuoto. Se dunque l’intuizione non è ripresa, sintetizzata dal concetto, non c’è vera conoscenza, non c’è vero fenomeno. Perciò quando manca il concetto, come nel caso del giudizio estetico, non c’è un vero e proprio fenomeno, non essendovi niente da conoscere. Dicendo che l’intuizione, come tale, è sorgente «di diritto» di tutto ciò che dà e che basta l’intuizione perché vi sia un fenomeno, Husserl assume una decisa e polemica posizione anti-kantiana; posizione che va letta alla luce di quanto egli aveva già detto dell’intuizione nella Sesta Ricerca Logica, introducendo l’intuizione eidetica, o meglio, categoriale, e non parlando soltanto di intuizione sensibile. Anche i concetti e le forme logiche possono avere, dunque, un’intuizione, andando ben oltre il divieto kantiano. Ora, questo è un primo modo di interpretare il «principio di tutti i principi», lettura che ne coglie sicuramente l’importanza.
14La questione che in realtà si pone è però sapere perché l’intuizione può assumere, e anzi assume, tale dignità. Detto altrimenti, se, come Husserl sostiene contro Kant, l’intuizione basta a dare un fenomeno, il problema diventa sapere quale sia la differenza tra l’intuizione kantiana e quella husserliana. Non basta affermare che l’intuizione per Kant è soltanto empirica o sensibile mentre per Husserl è eidetica e categoriale, ma occorre spiegare perché è eidetica e categoriale, caratteristiche che essa possiede perché in questo caso l’intuizione è d(on)atrice. In realtà l’intuizione era d(on)atrice anche per Kant, con la differenza che per quest’ultimo la donazione non ne rappresentava il carattere specifico: l’intuizione, infatti, doveva riempire il concetto e non d(on)are. Al contrario, per Husserl l’intuizione d(on)atrice ha la funzione di riempire l’intenzionalità e il problema, a questo punto, diventa definire il più esattamente possibile la natura della donazione dell’intuizione d(on)atrice. Perché l’intuizione d(on)atrice può dare più in Husserl che in Kant? Quando Husserl introduce il «principio di tutti i principi» diventa difficile rispondere alla domanda. Come noto, il «principio di tutti i principi» precede la dottrina della riduzione, che interviene soltanto nel § 30 della stessa opera. Com’è possibile dire che il «principio di tutti i principi», in fenomenologia, non sia la riduzione, ritenendo addirittura che la preceda, sottraendosi al suo controllo? Husserl non spiega perché l’intuizione dia più in lui che in Kant, né c’è riduzione nel momento in cui il «principio di tutti i principi» è presentato. È perciò possibile considerare il «principio di tutti i principi», così come è formulato nel § 24, come l’affermazione di una sorta di empirismo esteso e generalizzato, cosa che – naturalmente – non è vera. Resta sempre da chiarire quale sia il ruolo giocato dalla donazione e con quale diritto questa possa essere intesa come criterio e compimento della fenomenalità. Detto altrimenti: si dice che l’intuizione deve giustificare ogni fenomeno ma non si sa perché ogni fenomeno deve essere giustificato con l’intuizione.
15Per rispondere a questa difficoltà, alla fine di Réduction et donation, mi ero arrischiato a proporre quello che Henry, nell’articolo prima citato, ha chiamato il «quarto principio della fenomenologia», autant de réduction, autant de donation (tanta riduzione, altrettanta donazione)13, che altro non era se non un modo di riformulare il principio di Herbart ma variandolo in soviel Reduktion, soviel Gegebenheit. Perché formularlo, tuttavia? Innanzitutto per introdurre ciò che manca nel «principio di tutti i principi», ossia la riduzione. Il problema cruciale non è stabilire che la donazione sia «principio di tutti principi» né elaborare una filosofia prima della donazione, anche se, in fin dei conti, era ed è proprio questo a essere in gioco; occorreva però poterlo dimostrare, e a tal fine il punto di svolta era l’introduzione della riduzione, saldando strettamente il legame tra Gegebenheit e Reduktion. Insisto su questo punto perché talune obiezioni mosse al mio lavoro consistevano nell’obiettare che la Gegebenheit sarebbe pre-critica, renderebbe possibile il darsi di ogni dato senza prendere in considerazione un momento negativo della coscienza, una messa a distanza dell’esperienza, della costituzione concettuale dell’esperienza, ecc. Detto altrimenti, si obiettava che, concedendo questo privilegio alla Gegebenheit, si doveva ammettere una sorta di empirismo immediato. Cosa del tutto falsa, perché la Gegebenheit trae ogni sua forza dal legame che essa ha con la Reduktion. Il tratto geniale di Husserl sta nell’aver legato tra loro Reduktion e Gegebenheit individuando nella riduzione l’istanza critica per eccellenza, critica nel senso kantiano del termine. Dunque la Gegebenheit, se e quando è legata alla Reduktion, non ha niente di naïf e non possiede nessun tratto empirico. Di qui la formulazione del principio «tanta riduzione, altrettanta donazione».
16Due sono i problemi da affrontare: il primo riguarda la possibilità di trovare nei testi husserliani affermazioni che supportino questo nuovo principio; il secondo riguarda ciò che esso implica e significa. Iniziamo con il cercarne verifica nei testi husserliani. Il testo fondamentale per la mia argomentazione, ma anche il meno letto tra le opere husserliane, è Die Idee der Phänomenologie14, scritto nel 1907, in un momento critico e delicato della carriera di Husserl che, all’epoca, si trovava a Göttingen ed era stato in polemica con Frege. Husserl, in quegli anni, non riusciva a proseguire nel lavoro delle Ricerche logiche e la situazione che stava vivendo, sia per quanto riguardava il lavoro che per quanto riguardava la sfera personale, era molto difficile. Questo testo rilancia il suo pensiero ed è tanto importante da esser stato definito dal suo autore come la propria «critica della ragion pura»15. È un errore, perciò, sottovalutarlo e insisto nel dirlo giacché non pochi colleghi mi hanno rimproverato di aver dato troppo importanza a un’opera non del tutto affidabile. Affermazione, questa, totalmente falsa: Die Idee der Phänomenologie è un testo su cui si può fare affidamento, è un’opera di critica (nel senso kantiano del termine), è il testo indicativo di una svolta e che Husserl stesso presenta come la propria «critica della ragion pura». È, inoltre, un testo fondamentale nel suo percorso perché in queste pagine, per la prima volta, Reduktion e Gegebenheit (réduction e donation, riduzione e donazione) sono collegate l’una con l’altra, come molti passi confermano: «Solo attraverso una riduzione, che vogliamo appunto chiamare riduzione fenomenologica, conseguo una datità (Gegebenheit/donation) assoluta che non presenta più nulla di trascendente»16; e ancora: «La Gegebenheit (donation, datità) di un fenomeno ridotto in quanto tale è una donazione (datità) assoluta e indubitabile»17. Che cosa accade in questo legame tra riduzione e donazione? Per quale motivo più metto in opera la riduzione e più la donazione giunge a compimento? Facciamo un esempio: supponiamo che io riceva delle impressioni che mi mostrino o propongano una sala con degli arazzi e una parete di specchi. Si danno due soluzioni: o mi trovo effettivamente in questa stanza oppure sto sognando. Non so come devo assumere questi dati dell’intuizione. Posso fare, naturalmente, una riduzione che consiste nel mettere tra parentesi il giudizio di esistenza e, mettendo tra parentesi il giudizio di esistenza, posso immediatamente analizzare i dati dell’intuizione. Se non metto tra parentesi ciò che esiste non potrò mai farne una descrizione e non saprò mai se questi fenomeni sono reali o sono soltanto apparenze. Se invece metto tra parentesi il problema dell’esistenza, attenendomi a ciò che mi è veramente dato, posso procedere a una descrizione.
17È una sorta di regola generale: più metto in atto una riduzione, più metto da parte le posizioni di esistenza, i giudizi legati alla temporalità o empirici, per conservare soltanto, ad esempio, nel caso della riduzione eidetica, l’εἶδος (eídos) della cosa, tanto più posso procedere alla (e nella) loro descrizione. Pensiamo alle riduzioni eidetiche, ad esempio, del rosso: ho davanti a me diverse tonalità di questo colore ma posso comunque dire che si tratta del rosso, perché astraggo la tonalità precisa di ciascuna delle sfumature per conservare soltanto l’eídos rosso; il colore rosso in sé non esiste e tuttavia ha un significato che, in un certo qual modo, può essere descritto. Il dato diventa utilizzabile perché opero la riduzione e più riduco, più libero il dato da tutto ciò che non è dato. In ogni esperienza degli enti mondani c’è sempre uno scarto tra ciò di cui faccio esperienza e ciò che è realmente dato. Ed è proprio questo scarto che mi fa credere che l’insieme di ciò di cui faccio esperienza è dato. La riduzione, invece, consiste nel chiedersi che cosa è veramente dato e nell’attenersi soltanto a ciò che è veramente dato. Essa consiste nel conservare, dell’esperienza, soltanto ciò che è dato. Ed è sulla base di ciò che è dato che posso successivamente costituire i fenomeni andando dai dati assolutamente ridotti ai dati meno ridotti, che sono veri soltanto se e nella misura in cui sono messi in paragone o in rapporto tra loro. In questo modo li ricostituisco così come si restaura e ricostituisce un’opera d’arte. Quando si restaura un’opera d’arte vengono restituite le parti originali del dipinto o dell’affresco ma con il colore bianco vengono unite tra loro le parti che non si è stati in grado di ricostruire. Il fenomeno, dopo la riduzione, è restaurato e costituito in questo modo e più la riduzione è radicale, più il dato è assoluto. Il caso esemplare di un dato assolutamente assoluto (pessima espressione che vi prego di concedermi!), al di là del quale è impossibile risalire, è l’Urimpression husserliana. L’Urimpression non può essere ridotta perché è l’atomo fenomenale originario; non è possibile ridurre l’Urimpression che rende possibile ogni coscienza, e dunque la coscienza del presente e la stessa riduzione. L’Urimpression non può essere ridotta, è vuota, non ha durata, non ha senso né significato, è interna alla coscienza, non se ne può dir nulla e perciò è assolutamente ridotta, assolutamente assoluta. Più, dunque, riduco e più giungo all’assolutezza del dato.
18La connessione di riduzione e donazione è quindi determinante ed è il punto a partire dal quale una filosofia prima può diventare nuovamente possibile. Prima di mostrare tale nuova possibilità vorrei, però, premettere un’osservazione: le caratteristiche delle due figure di filosofia prima cui avevo rapidamente accennato, la próte philosophía dell’ousía e la prima philosophía dell’ego, convergono – in un certo qual modo – nel principio autant de réduction, autant de donation, tanta riduzione, altrettanta donazione. La riduzione, infatti, è sempre messa in atto dall’ego, ma, riducendo, l’ego compie una riduzione di cui non è il «principio». Il paradosso della riduzione sta nel fatto che a compierla è l’ego ma l’ego la compie allo scopo di cogliere un dato incondizionato e assoluto che è altro rispetto a lui, che gli è al contempo esterno e interno, come l’ousía. Si dà dunque la combinazione di due elementi, ognuno dei quali aveva reso possibile una diversa figura di filosofia prima: da un lato l’ego (l’elemento cartesiano), nella riduzione, permane, dall’altro lato il dato assoluto al quale la riduzione dovrebbe dare accesso assume lo statuto (e prende il posto) della πρώτη οὐσία (próte ousía, elemento aristotelico). La nuova figura di filosofia prima, però, non è affatto metafisica: pur se, infatti, riconosciamo che il dato assoluto – in quanto fondamento – è inevitabile, vediamo anche che questo fondamento non fonda, si dà senza fondare, senza fondazione. La caratteristica della fenomenologia è che essa non fonda e se dovessi dire in che cosa la fenomenologia si differenzia dalla metafisica, risponderei che in fenomenologia non c’è fondazione. O meglio: non c’è fondamento perché il suo scopo è lasciare i fenomeni apparire in sé e da sé. E la funzione della riduzione è esattamente di liberare, portare alla luce punti di resistenza; con un esempio potrei dire che quando si corre nella sabbia non c’è niente di stabile, ma a un certo punto si trovano sassi o scogli, cose solide. E una volta che queste cose sono state trovate, non possiamo certo dire che sono state fondate dal fatto di essere state trovate. Sono state scoperte e perciò liberate, sono state portate alla luce, ossia è stata compiuta una riduzione che ha portato a manifestazione ciò che sussiste da sé e di per sé. Perciò in fenomenologia non c’è fondamento. Sono sempre rimasto affascinato dal fatto che, quando si costruisce una casa, per fare un muro occorre prima gettare le fondamenta (fondations) e spesso accade che si facciano fondamenta che non poggiano sulla roccia. Anzi, in molti casi edificare sulla roccia è addirittura impossibile e la maggior parte delle case sono costruite su fondamenta (fondations) senza fondamento (fondement). Basti pensare, ad esempio, alle case e ai palazzi di Venezia, le cui fondamenta af-fondano nel fango! Carpentieri e architetti sanno benissimo che le fondamenta (fondations) possono esser costruite su qualunque cosa, non necessariamente su un fondamento. L’architettura, perciò, non è metafisica ma è fenomenologica!
19Per comprendere meglio l’operazione tentata da Husserl sarebbe opportuno metterlo a paragone con altri autori. Quando ho scritto Réduction et donation non conoscevo qualcosa che, da un punto di vista storico, è invece essenziale (probabilmente non lo è affatto, ma quando si scopre qualcosa si dice sempre che è «essenziale»!). In Die Idee der Phänomenologie, Husserl arriva a una conclusione che permette di parlare di filosofia prima: «L’assoluta donazione/datità è un che di ultimo»18, ossia un termine ultimo che è anche primo. Questo testo avalla la tesi prima esposta, che cioè il concetto di filosofia prima è fenomenologico. Husserl lo dice e la sua affermazione è pienamente giustificata e giustificabile perché propone una donazione ridotta. Il risultato di questa tesi generale sulla donazione (donation, Gegebenheit), che è ultima e dunque prima, è chiarita dalla seguente affermazione: «Allora importerà mettere in luce i diversi modi della Gegebenheit/donation/datità autentica, la costituzione dei diversi modi dell’oggettualità (Gegeständlichkeit) e i loro rapporti reciproci»19. Segue una lista di Gegebenheiten: in primo luogo la Gegebenheit della cogitatio, che di fatto è l’Urimpression, il flusso di coscienza colto nell’istante. Il secondo caso è la donazione della cogitatio che sopravvive o post-vive nel ricordo più immediato, ossia la ritenzione; quindi il flusso di coscienza che si temporalizza. Terzo caso, la donazione dell’unità del fenomeno nel flusso fenomenale che perdura. Si tratta sempre della descrizione del flusso fenomenale, del quale Husserl dice che l’istante t1, quando è seguito dall’istante t2, viene sussunto da questo secondo, quasi fatto sprofondare da quest’ultimo; l’istante t3 sussume il precedente che, perciò, sprofonda anch’esso. La profondità, che accade per il successivo inabissarsi dei diversi istanti, definisce l’insieme dei momenti dell’oggetto, o del fenomeno. E dunque, man mano che il flusso della coscienza si svolge in tal modo, i fenomeni vanno a fondo, sprofondano. In questa durata accade una sorta di costituzione del fenomeno che è parallela o proporzionale al darsi del flusso di coscienza, come Husserl afferma. Detto altrimenti, il fenomeno si costituisce man mano che si costituisce il flusso di coscienza e dunque è dato così come è dato il flusso di coscienza. Husserl aggiunge poi «sono date la Gegebenheit/donation/datità del suo mutamento (ossia del fenomeno), la Gegebenheit della cosa nella percezione “esterna”, nelle diverse forme di immaginazione e rimemorazione, come pure in opportuni contesti di molteplici percezioni e altre rappresentazioni che si unificano sinteticamente». Abbiamo dunque la donazione dell’Urimpression, della ritenzione, e di tutte le forme di oggettivazione del fenomeno. E aggiunge: «Naturalmente sono date anche le Gegebenheiten logiche, Gegebenheiten dell’universale, del predicato, dello stato di cose»; quindi è data anche la Gegebenheit di tutte le forme e categorie logiche (ossia la predicazione, l’universale, il rapporto tra il predicato e il soggetto). Ma non è finito (ed è questo il punto che mi interessa): «È data anche la donazione del controsenso, della contraddizione e del nulla». Ora, il controsenso è «Cesare è verde», la contraddizione è «il cerchio è quadrato», e il nulla è la non-esistenza. La tesi di Husserl è che sono dati il flusso di coscienza, l’oggetto che vi si costituisce, le forme logiche, la logica stessa, fino ad arrivare a ciò che sfugge alla logica ma che di fatto è dato perché (e dal momento che) possiamo parlarne. Conclusione: «Sempre la donazione, sia che si tratti della semplice rappresentazione o di un ente vero e proprio, di qualcosa di ideale o qualcosa di reale, di qualcosa di possibile o impossibile, è donazione nel fenomeno di conoscenza, nel fenomeno di un pensiero inteso nel senso più ampio del termine e sempre bisogna assumerla in questa correlazione di senso, correlazione ammirabile, meravigliosa». Correlazione ammirabile, meravigliosa è il termine che Husserl utilizza spesso per dire che c’è una correlazione fondamentale tra ciò che accade nella coscienza e ciò che accade nel mondo, o meglio, per dire che ciò che accade nella coscienza accade anche nel mondo. In questo caso, ad esempio, le donazioni sono sempre donazioni nel fenomeno di conoscenza ma tali donazioni nel fenomeno di conoscenza sono donazioni della cosa stessa. Ecco in che cosa consiste la correlazione meravigliosa: si tratta della correlazione dell’intenzionalità e dell’oggetto dell’intenzionalità, è la correlazione di νόησις (nóesis) e νόημα (nóema).
20Riassumendo, c’è una correlazione ammirabile che caratterizza e appartiene alla donazione, e si tratta del fatto che la donazione è sempre donazione nel fenomeno di conoscenza e la conoscenza è il luogo della donazione delle cose stesse. La donazione, infine, interessa i dati di coscienza, gli oggetti del mondo esterno, i dati delle forme logiche e i dati dell’impensabile. Prima di procedere oltre voglio fermarmi ancora sul termine Gegebenheit, parola che nella lingua tedesca è addirittura banale. Gegebenheit è ciò che si trova a essere dato (il termine è composto, infatti, dal suffisso heit e da gegeben): il gegeben, il dato/donato, nel senso più banale del termine è questo. Traducendo il termine con donation non ho fatto niente di nuovo, perché in francese è la tradizione più diffusa (come ha fatto anche Suzanne Bachelard, che ha tradotto Gegebenheit con mise en présence e donation, indifferentemente). Credo quindi che la traduzione più immediata e spontanea sia proprio donation/donazione. Ora, a partire dal dibattito aperto dal Tournant théologique de la phénoménologie française di Dominique Janicaud20, il termine donation/donazione, è diventato una sorta di mina pericolosa, dal momento che tutti sanno che non sono un ateo militante, e se dunque dico che il fenomeno viene da una donazione ciò vuol dire che è donato. E da chi è donato? Indovinate! Dunque il discorso non regge, viene forzata l’interpretazione dei testi husserliani, e così via dicendo.
21In realtà ho inteso e intendo sostenere che il dato fenomenologico è caratterizzato dal fatto di non essere d(on)ato da nessuno ed è per questo motivo che a chiare lettere Husserl può affermare l’esistenza di un dato assoluto. Il dato che risulta da una donazione non è d(on)ato da nessuno e il termine d(on)ato, donné, non sta a indicare un’origine ma è piuttosto l’indice di un modo di apparire. In questo senso il termine Gegebenheit potrebbe essere tradotto, come suggerisce Jean-François Lavigne, donnéité, che significa «apparire come dato»21. Se dovessimo attenerci alla lettera, la traduzione sarebbe eccellente. La Gegebenheit non vuol indicare l’origine del fenomeno, che in Berkeley sarebbe donato direttamente da Dio, il quale darebbe anche le idee che non dipendono dalla mia volontà (è forse opportuno ricordare che in Berkeley vi sono due tipi di idee: quelle che io produco direttamente e quelle che trovo in me e che mi sono date direttamente da Dio, come in Malebranche. Non è certamente questo il senso della Gegebenheit husserliana!). La Gegebenheit/donazione dei fenomeni, in Husserl, non dà alcuna indicazione circa l’origine dei fenomeni ma riguarda soltanto il loro modo d’apparire: i fenomeni appaiono nel modo del «dato». E che cosa caratterizza il modo proprio del dato? Il fatto che è dato nel senso in cui si usa l’espressione «i dati di un problema matematico». Il dato di un problema è ciò che mi è assolutamente imposto, e il fatto che sia dato da un professore non cambia affatto le cose. Questo dato si impone e, per risolvere il problema, devo riceverlo così come si impone. Quando si dice: i dati di una crisi, i dati di un problema, o quando si guarda un bel panorama, tutto questo appare come dato; il che non significa che qualcuno, necessariamente, ce lo abbia dato, ma vuol dire che ciò che ci appare come fenomeno deve essere vissuto e accolto come qualcosa che non posso né produrre né possedere. «Dato» vuol dunque dire ciò che non produco, che non possiedo, che non posso costituire, che non è il risultato di una mia sintesi. «Dato» vuol dire: ciò di cui non sono il soggetto trascendentale, e questo è già molto.
22È inoltre possibile muovere una critica alla critica dell’ambiguità della donazione. Quando Janicaud (che era un grande amico!) mi rimproverava il fatto che, dicendo donation, lasciavo supporre l’esistenza di un donatore, mi muoveva un rimprovero molto naïf perché presupponeva un’interpretazione metafisica della donazione, partendo dall’assunto che non esiste effetto senza causa. Ma il «dato» della fenomenologia non è un effetto e non ha causa: perciò la riduzione è tanto importante. L’interesse della fenomenologia sta nel fatto che ha liberato il fenomeno dal suo essere inteso come effetto di una causa, cosa che Kant ancora pensava (egli parlava sempre di causa o Grund del fenomeno; infatti, a un certo punto del suo criticismo, la cosa in sé, il noumeno è chiamato Grund del fenomeno). Il fenomeno, fino a Kant, è ancora prodotto, ed è questa l’ipotesi che la fenomenologia si propone di superare una volta per tutte. Questo è quanto volevo indicare e precisare a proposito della traduzione di Gegebenheit con donation.
23C’è però anche un altro punto sul quale ritengo sia utile tornare. Dopo questa polemica e le discussioni cui ha dato luogo, ho scoperto che il problema della donazione era già un problema di Husserl, interno al suo pensiero e che è possibile ritracciarne la genesi storica risalendo fino a Brentano. Di più, la polemica sulla Gegebenheit/donation/donazione ha fatto sì che molti studiosi si interessassero alla storia della Gegebenheit, risalendo fino alle origini della fenomenologia nell’opera di Brentano e, prima ancora, di Bolzano.
24Partiamo, dunque, da un problema classico di Brentano, ripreso dal § 67 della Wissenschaftlehre di Bolzano22, dove si parla delle rappresentazioni. Per Bolzano una rappresentazione ha sempre un oggetto e ogni conoscenza suppone una rappresentazione. Ci sono però casi in cui la rappresentazione non ha oggetti. Bolzano lo esemplifica analizzando la parola «nulla». C’è una rappresentazione del nulla ma non vi sono oggetti per questa rappresentazione, come alcuni esempi mostrano: il nulla come tale, ossia l’assenza, il niente, il triangolo rotondo e la virtù verde. Se pensiamo alla lista delle Gegebenheiten citate da Husserl, vediamo che la virtù verde corrisponde al controsenso, il triangolo rotondo alla contraddizione e, infine, il nulla. La tesi di Bolzano, dunque, è che vi sono rappresentazioni senza oggetti. Il titolo del § 67 è Es gibt auch gegestandlose Vorstellung; es gibt, il y a, ci sono, sono date anche rappresentazioni senza oggetto. Brentano ne parlerà senza soffermarvisi troppo, ma è interessante la storia di questa formulazione. A tal proposito vorrei citare due autori. Il primo è Twardowski, che pubblica nel 1894 la sua Zur Lehre vom Inhalt und Gegenstand der Vorstellungen (Sulla teoria dei contenuti e degli oggetti delle rappresentazioni)23, dove riprende il problema di Bolzano sostenendo la possibilità che si diano rappresentazioni senza oggetti. C’è sempre un oggetto di rappresentazione e il controsenso, la contraddizione o il nulla sono oggetti, ma oggetti non esistenti. Per ogni rappresentazione c’è un oggetto rappresentato, a prescindere dalla sua esistenza. Il problema è il medesimo posto da Brentano, ma alla questione della gegestandlose Vorstellung è sostituita la Vorstellung di un Gegenstand che può non esistere. Diventa allora necessario sapere se vi siano oggetti esistenti e non-esistenti. La tappa successiva della storia della questione riguardante gli oggetti non-esistenti o le rappresentazioni senza oggetto è svolta dal secondo autore cui voglio far riferimento, Meinong. Il quale, dieci anni dopo Twardowski, pubblica le sue ricerche sulla teoria dell’oggetto, la Gegenstandstheorie24. Egli discute di nuovo la questione già posta da Brentano e Twardowski, per arrivare ad affermare paradossalmente (§ 3 di questo testo) che «ci sono, si danno (es gibt) oggetti dei quali è lecito dire che questi non ci sono e non si danno (nicht gibt)». Es gibt, ça donne, «ci sono, si danno oggetti dei quali è lecito dire che “ciò” (es, ça) non dà i suoi oggetti». L’argomento, lo ribadisco, è corretto: ci sono oggetti (ossia il nulla, il controsenso, la contraddizione) che sono dati in modo tale che dobbiamo dire che non ci sono. Una contraddizione è data perché posso distinguerla da un controsenso, un cerchio quadrato è una contraddizione ma non un controsenso, dal momento che riusciamo a cogliere perfettamente che cosa sia cerchio quadrato, distinguendolo da un cerchio o una virtù verde. «Cesare è rosso» non è una contraddizione ma è un controsenso. Possiamo perciò chiaramente distinguere la contraddizione dal controsenso e dal nulla. La contraddizione non è un nulla, o meglio: è un nulla nell’esistenza ma non nell’essenza; è un caso particolare di essenza, un’essenza sminuita, che però rientra comunque tra i casi dell’essenza.
25Tutte queste rappresentazioni ci danno perciò oggetti che non esistono né possono esistere e in tal senso non sono dati. Forse sarebbe più corretto dire che vi sono casi di Gegebenheiten in cui è data la rappresentazione di oggetti che non possono esser mai dati nell’esistenza. È quindi corretto dire «ci sono, si danno (es gibt) oggetti dei quali è lecito dire che questi non ci sono (nicht gibt)»: è il paradosso della donazione. Ovvero: ci sono oggetti dei quali è lecito dire che non ci sono. Non insisto sulla dottrina del «dato» in Meinong, ma insisto sul fatto che egli parla esplicitamente di Gegebenheit, come leggiamo nel § 6 della sua opera: «Non c’è nessun oggetto che non sia oggetto di conoscenza, almeno a titolo di possibilità. Il modo d’essere di ciò che è conoscibile è l’es gibt, ça donne, dà; oppure, poiché si ha l’abitudine di dire es gibt quando si tratta di un ente o di un esistente, sarebbe forse preferibile dire che tutto ciò che è conoscibile è dato, dato perché sia conosciuto. E nella misura in cui tutti gli oggetti sono conoscibili (anche gli oggetti non esistenti), la Gegebenheit può esser loro attribuita come una proprietà universale; attribuita a tutti, senza alcuna eccezione, né importa che essi siano o meno». La posizione di Meinong è chiara: tutto ciò che è pensabile è dato, tutti gli oggetti sono pensabili e tutti i pensabili sono oggetti; dunque la Gegebenheit è una proprietà universale anche se il pensabile o il pensato potrà non esistere mai.
26Meinong, perciò, estende la Gegebenheit a tutto il pensabile e quando Husserl dichiara che in ogni fenomeno di conoscenza c’è Gegebenheit parla, in un certo qual senso, nel linguaggio di Meinong. Con una differenza essenziale, però: in Meinong queste proprietà universali conducono all’aporia, alla contraddizione dell’es gibt di oggetti dei quali è lecito dire che non ci sono, affermazione che contraddice la Gegebenheit stessa. Ribadisco che l’originalità di Husserl non sta nell’aver parlato di Gegebenheit; perché, di fatto, Meinong ne ha parlato prima di lui. La sua originalità sta nell’aver sostituito a un’aporia una soluzione. All’epoca di Réduction et donation non avevo ancora colto il fatto che l’originalità di Husserl non sta nell’esser stato colui che ha «inventato» la questione della Gegebenheit, ma di esser stato colui che l’ha ripresa risolvendone l’aporia, dicendo che ci sono modi diversi della Gegebenheit, tra loro organizzati in una sorta di gerarchia e non contraddittori perché ci sono diversi gradi di riduzione. È la riduzione a specificare i diversi modi di donazione, permettendo di dire che tutto è dato ma, anche, di dire che tutto ciò che è dato non ha lo stesso statuto. Meinong non poteva distinguere gradi diversi di Gegebenheit perché non praticava la riduzione, mentre la genialità di Husserl, in Die Idee der Phänomenologie, è stata proprio nell’aver legato la donazione (Gegebenheit) alla riduzione. Il che chiarisce molte altre cose.
27In primo luogo, chiarisce lo statuto delle Ricerche Logiche, opera in cui troviamo un’importante estensione della nozione di dato, gegeben e di Gegebenheit. Qui Husserl considera come dati non soltanto le intuizioni ma anche i concetti, i significati e le intenzionalità logiche. Anche le forme logiche sono, cioè, gegeben. Inoltre, Husserl estende la nozione di intuizione all’intuizione categoriale e definisce la verità come evidenza. È interessante vedere che quest’estensione dell’intuizione all’intuizione categoriale, o questa definizione della verità come evidenza equivalgono al concetto di Gegebenheit; a un concetto di Gegebenheit che, però, non è ancora stato sottomesso alla Reduktion. Husserl, esattamente come Meinong, era partito col dare alla Gegebenheit uno statuto universale ma in lui accade una svolta, una rottura, un cambiamento. Di solito si dice che, dopo le Ricerche Logiche, questa svolta si profila come svolta trascendentale nella quale lo statuto di neutralità metafisica e ontologica delle Ricerche Logiche è abbandonato. Roman Ingarden è stato il primo ad aver posto la questione della svolta trascendentale di Husserl e, ripercorrendone le diverse tappe, Jean-François Lavigne ha scritto la sua storia della riduzione. Ora, tutto questo è vero. Io suggerisco, però, l’esistenza di una svolta che, nell’opera di Husserl, è ancora più importante. Essa accade nel 1907 ed è il momento in cui la donazione viene legata alla riduzione, la quale, ai miei occhi, diventa interessante nel momento in cui prende a proprio carico la donazione; reciprocamente, la donazione diventa ai miei occhi interessante nel momento in cui è presa a proprio carico dalla riduzione. Questo fa di Husserl un fenomenologo a sua volta interessante, che ha permesso alla fenomenologia di risolvere l’aporia individuata da Meinong.
28Sullo sviluppo della nozione di Gegebenheit in altri autori potrebbero esser dette tante cose. La Gegebenheit, infatti, è anche al centro dell’opera di Rickert Der Gegenstand der Erkenntnis. Einführung in die Transzendentalphilosophie25, dove si parla di una forma universale di Gegebenheit e di «fattualità» (Tätlichkeit) («forma universale» è la stessa formula che ricorre in Meinong). Ora, Rickert è stato, come tutti sanno, il Dissertationvater di Heidegger. D’altronde la nozione di Gegebenheit, gegeben, è utilizzata da Paul Natorp in Allgemeine Psychologie nach kritischer Methode26, dove è criticata la nozione di Gegebenheit. Emil Lask, che muore nella guerra del 15/18 e al quale Heidegger rende omaggio, nel suo Zum System der Philosophie27 evoca la nozione di Gegebenheit e di es gibt: «Es gibt nicht “Gegenstände” sondern nur jenes Etwas, das kategorial gefaßt Gegenstand wird», ossia il Gegenstand non è dato come tale, ma è dato ciò che, in quanto Etwas, può diventare, costituirsi (direbbe Husserl) come un oggetto.
29Tutti questi autori in un certo senso possono essere riassunti in un testo stupefacente, che è il primo corso dato da Heidegger, il seminario tenuto subito dopo la guerra, nell’inverno del 1919. Era un corso speciale tenuto per gli studenti che avevano fatto la guerra e non erano morti. Heidegger, che non aveva fatto la guerra e non era morto, tiene un corso sulla nozione di filosofia della Weltanschauung, nel corso del quale parla di es gibt e Gegebenheit, contro Natorp, con Lask, sulla scia di Rickert. Mi interessa il fatto che non rimanda mai (e a torto!) a Husserl, che invece nel 1919 scriveva molte cose su questo tema. A essere indubitabile è invece che la Gegebenheit può essere una determinazione essenziale della fenomenalità. Non dico una determinazione essenziale della fenomenologia, poiché non c’è fenomenologia se non quando la Gegebenheit è vincolata, legata, connessa alla riduzione.
30Ancora un’osservazione. Scrivendo Réduction et donation, nel 1989, ignoravo del tutto la genealogia del problema della Gegebenheit/donation/donazione e non conoscevo quanto avevano scritto coloro che ne avevano trattato prima di Husserl. Ma pur non conoscendo questa genealogia della donazione non ero stato tanto ingenuo, come Janicaud mi rimproverava, da dire che la fenomenologia era ed è la Gegebenheit/donation/donazione, giacché fin da allora sostenevo che questa risiede nel rapporto di riduzione e donazione. E avevo ragione, malgrado la mia ignoranza. La questione che realmente mi interessa, però, è che a partire da una lettura corretta della Gegebenheit, vincolandola cioè alla Reduktion, la fenomenologia poteva e può, in un certo qual modo, rivendicare il titolo di filosofia prima. Una filosofia prima non metafisica, senza fondamento e senza ontoteologia (perché se non c’è fondamento non c’è neppure ontoteologia). Ora, credo che la Gegebenheit sia proprio ciò che rende possibile la liberazione del fenomeno dalla necessità del fondamento, dunque dall’ontoteologia e dalla metafisica. La fenomenologia, perciò, può candidarsi al titolo di filosofia prima senza esserne una figura metafisica. E questo era il mio scopo.
31Infine, vorrei tornare sul rapporto tra la fenomenologia e la metafisica. Ho detto che la fenomenologia si libera dalla metafisica. Perché, tuttavia, Heidegger non lo aveva detto? Il fatto che Heidegger non lo abbia detto non significa che non sia vero (anche se occorre sempre fare attenzione quando si dice che Heidegger non aveva ragione!). Propongo, allora, di attenerci a una definizione precisa di metafisica, che Heidegger stesso, tra l’altro, ci ha consegnato, ossia la metafisica come ontoteologia. C’è metafisica quando c’è ontoteologia, e c’è ontoteologia quando c’è un concetto di ente e fondamento. Da parte mia ritengo che, rigorosamente parlando, la nozione di metafisica compare per la prima volta con Duns Scoto e penso che prima di questo autore non sia lecito parlare di metafisica. E c’è metafisica finché la questione del concetto di ente e la questione del fondamento restano centrali, ossia fino a Nietzsche. Nietzsche ridiscute sempre il concetto di ente e di fondamento, e parlare di metafisica quando non c’è più né un concetto di ente né la questione del fondamento, mi sembra cosa alquanto discutibile. È stato uno dei punti di disaccordo con Derrida, che utilizzava un’accezione a mio avviso troppo ampia di metafisica; quando l’estensione di un concetto aumenta, reciprocamente ne diminuisce la comprensione, motivo per cui ogni qualvolta Derrida parla di metafisica, nessuno sa che cosa intenda dire, né egli mai lo spiega. Aveva ogni diritto di condurre la polemica contro la metafisica, e io stesso l’ho fatto; occorre però condurre la polemica contro una metafisica reale e la metafisica è una dottrina storicamente identificabile, che ha i suoi punti di forza e le sue debolezze, ma non è un oggetto di polemica ideologica e teologica. Ecco perché ritengo che sia necessario individuarne un’accezione precisa e, in questo caso, mi pare si possa dire che la fenomenologia, o almeno una parte della fenomenologia, non appartiene alla metafisica.
Notes de bas de page
2 Per i passi citati qui e in seguito cfr. Aristotele, Metafisica, 1025b-1026a. Le note sono dei curatori delle singole sezioni.
3 Si veda E. Husserl, Erste Philosophie, Husserliana VIII.
4 Cfr. E. Levinas, Totalité et infini. Essai sur l’extériorité, La Haye, Nijhoff, 1971; trad. it. a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano, 1977.
5 R. Descartes, Lettera a Mersenne, 11 novembre 1640, in AT III, p. 245, 15-18 e p. 239, 2-7.
6 E. Husserl, Erste Philosophie, Husserliana VIII, I, § 1.
7 Ibid.
8 J.-L. Marion, Réduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie, Paris, Puf, 1989.
9 Pubblicato nella «Revue de Métaphysique et de Morale» (1991).
10 Cfr. rispettivamente Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Husserliana I; trad. it. F. Costa, Milano, Bompiani, 1997, p. 124 e Sein und Zeit, Tübingen, M. Niemeyer, 1927; trad. it. a cura di F. Volpi rivista da P. Chiodi, Milano, Longanesi, 2001, pp. 43 ss.
11 Rispettivamente: E. Husserl, Logische Untersuchungen, T. 1, [Husserliana XIX]; trad. it. G. Piana, Milano, il Saggiatore, 1988, p. 271; Id., Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. I: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie (1913), Husserliana III; nuova ed. it. a cura di V. Costa, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Libro primo: Introduzione generale alla fenomenologia pura, Torino, Einaudi, 2002, p. 43.
12 Ivi, pp. 52-53.
13 J.-L. Marion, Réduction et donation, cit., pp. 303-305.
14 E. Husserl, Die Idee der Phänomenologie, Husserliana II; trad. it. G. Vasa e M. Rosso, Milano, Il Saggiatore, 1981.
15 La citazione, tratta dall’introduzione al testo tedesco, è a p. 7.
16 Ibid., trad. it., p. 77.
17 Ibid., trad. it., p. 82.
18 Ibid., trad. it., p. 92.
19 Per i passi che seguono, cfr. ivi, trad. it., pp. 102 ss., con l’avvertenza che il termine datità della traduzione italiana è sempre reso da Marion con donazione.
20 Cfr. D. Janicaud, Le tournant théologique de la phénoménologie française, Combas, Eclat, 1991.
21 Jean-François Lavigne ha proposto questa traduzione del termine Gegebenheit in Husserl et la naissance de la phénoménologie (1900-1913). De Recherches logiques aux Ideen: genèse de l’idéalisme transcendantal phénoménologique, Paris, Puf, 2005.
22 Cfr. B. Bolzano, Wissenschaftlehre, herausgegeben von J. Berg, Stuttgart, Cannstatt, 1987, § 67.
23 Cfr. K. Twardowski, Zur Lehre vom Inhalt und Gegenstand der Vorstellungen, Wien-München, Philosophia Verlag, 1982.
24 Cfr. A. Meinong, Über Gegenstandstheorie, herausgegeben von J. Werle, Hamburg, Meiner, 1988.
25 Cfr. H. Rickert, Der Gegenstand der Erkenntnis. Einführung in die Transzendentalphilosophie, Tübingen, Mohr, 1904.
26 P. Natorp, Allgemeine Psychologie nach kritischer Methode, Tübingen, Mohr, 1912.
27 Cfr. E. Lask, Zum System der Philosophie, in Gesammelte Schriften, herausgegeben von E. Herrigel, Tübingen, Mohr, 1924, vol. II, pp. 180-181.
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Volontà, destino, linguaggio
Filosofia e storia dell’Occidente
Emanuele Severino Ugo Perone (éd.)
2010
Estraneo, straniero, straordinario
Saggi di fenomenologia responsiva
Bernhard Waldenfels Ugo Perone (éd.)
2011