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8. È possibile una politica maschile per il cambiamento?

p. 113-124


Texte intégral

1Se gli uomini, gli uomini eterosessuali, sono in una posizione di potere e di autorità, come possono avere un ruolo attivo nella trasformazione delle rappresentazioni e delle relazioni di genere?

2L’impegno maschile su questi temi è spesso seguito da un’aria di sospetto o sufficienza. Gli uomini che si impegnano per un cambiamento da cosa sono mossi? Dal senso di colpa per le responsabilità del proprio genere? Dalla scelta un po’ ipocrita e opportunista di adeguarsi ai dettami del politicamente corretto? Da una subalternità al femminismo che li porta a “tradire” le ragioni del proprio genere? Dal semplice aggiornamento del tradizionale modello cavalleresco di omaggio, protezione e sostegno verso il femminile e i più deboli?

3Questi sospetti derivano dalla difficoltà a concepire che un uomo bianco, sano, eterosessuale, adulto, produttivo, occidentale possa agire un cambiamento a partire dalla propria esperienza di vita e dalla propria domanda di senso, e non per un impegno etico solidale verso la condizione di discriminazione altrui.

4Possono gli uomini avere bisogno del cambiamento? La messa in discussione dei ruoli di genere che fissano attitudini e destini di donne e uomini, il riconoscimento della libertà femminile, la rottura del regime di eterosessualità normativa, possono aprire anche per gli uomini nuovi spazi di libertà e una nuova qualità nella loro vita, nelle loro relazioni e nel rapporto con se stessi?

5Per rispondere a queste domande dobbiamo in realtà chiederci se il potere e l’autorità maschile abbiano anche rappresentato un prezzo, producendo una miseria nella vita degli uomini e, soprattutto, se quel potere e quell’autorità siano ancora in grado di dare senso alle nostre vite.

6Questa ricerca di cambiamento non potrebbe nascere anche da un desiderio? Dal desiderio di liberarsi (parola impegnativa e difficile) da un destino sociale già scritto, dall’obbligo della prestazione e della competizione, dalla rimozione della complessità delle proprie emozioni? Non potrebbe essere mossa dal desiderio di vivere una sessualità che non fugga dall’intimità, di poter conquistare la ricchezza del prendersi cura e di non temere di essere oggetto di cura? E la messa in gioco di questo desiderio riguarda solo una parte degli uomini o interroga, in forme diverse, la vita di tutti?

7A partire da qui è possibile pensare una collocazione politica maschile in relazione con il femminismo e il movimento lgbt che interpreti l’esperienza di essere uomini e assuma la parzialità del maschile come risorsa per una pratica trasformativa e una ricerca teorica che mirino a svelare i condizionamenti sociali nella vita degli uomini.

Come concepiamo il potere e il conflitto

8In un testo storico del pensiero politico omosessuale Mario Mieli afferma, a proposito di una possibile partecipazione maschile eterosessuale al movimento di critica del sistema patriarcale: Non c’è soggettività senza soggezione. La soggettività rivoluzionaria o potenzialmente rivoluzionaria si coglie nella soggezione”1.

9Come osserva Teresa De Lauretis nel suo saggio a commento di una nuova edizione di quel testo2, il problema teorico con cui Mieli si scontra deriva in parte dal non aver avuto modo di confrontarsi con il pensiero foucaultiano, che evidenzia come il desiderio e la soggettività non vengano solo repressi, ma anche costruiti socialmente. Soggettivazione e soggezione sono, per Foucault, parte di un comune processo:

[Il potere]non si limita a reprimere, a limitare l’accesso alla realtà, a impedire la formulazione di un discorso: il potere lavora il corpo, penetra il comportamento, si mescola al desiderio e al piacere, ed è in questo lavoro che bisogna sorprenderlo, e questa analisi, che è difficile, è quella che va fatta.3

10Il maschile è al centro delle costruzioni linguistiche e rappresentazioni simboliche che strutturano l’esperienza sessuata e le relazioni di potere tra i sessi. La difficoltà a pensare gli uomini come soggetti di cambiamento dipende quindi dalla ambivalenza della loro condizione: avere una posizione di potere e di rilevanza simbolica, ma, al tempo stesso, essere inclusi in un sistema di disciplinamento che ne condiziona l’esperienza.

11Per pensare una possibile collocazione degli uomini per il cambiamento è necessario, allora, approfondire le categorie con cui concepiamo le relazioni di potere, il conflitto e i processi di trasformazione. E, in particolare, quella peculiare forma di potere, e quelle pratiche trasformative, che riguardano l’immaginario sessuale, i ruoli di genere e le relazioni tra i sessi.

12Le immagini di lotta contro il potere di cui disponiamo sono l’assalto al Palazzo d’Inverno o la presa della Bastiglia, i contadini che occupano le terre del possidente, i manifestanti che si fronteggiano con la polizia: un potere posto fuori di noi e l’estraneità ad esso delle moltitudini, l’oppressione violenta e la soggezione. Ma, guardando alle relazioni tra i sessi, abbiamo scoperto di aver bisogno di una idea più complessa del potere.

13Carla Lonzi osservava: “Terribile non è il giogo dell’oppressione sociale, economica, giuridica, politica. Ma quello dell’amare, del dedicare all’altro la propria forza, senza la quale lui non può realizzare l’opera”4.

14E Lea Melandri, in un testo in cui analizza le tante sovrapposizioni tra amore e violenza, riprende il testo di Bourdieu sul “dominio maschile” in cui il sociologo francese si chiede:

L’amore è un’eccezione, la sola, anche se di prima grandezza, alla legge del dominio maschile, una messa tra parentesi della violenza simbolica, o la forma suprema, perché la più subdola, la più invisibile, di tale violenza?5

15Allo stesso tempo la costruzione della mascolinità è a fondamento della gerarchia tra i sessi, ma produce illibertà degli uomini. A partire dalla relazione con la propria corporeità. Come osserva Osvaldo Pieroni:

Le polarità dicotomiche che plasmano il nostro modo di stare al mondo e di pensarlo: maschile/femminile, attivo/passivo, pubblico/privato, razionale/emotivo, mente/corpo biologico/culturale […] parlano di un soggetto che attraverso queste opera un dominio sull’altra e sull’altro, sulla natura, ma anche che paga questo dominio con una scissione dalla propria corporeità, con un’alienazione. Il dominio sul corpo è nel medesimo tempo alienazione dal corpo.6

16Il potere non si limita a opprimere, ma conferisce un’identità anche agli oppressi, offre loro un senso e gratificazioni, influisce sul loro modo di pensare. Il potere non è mero dominio né esclusiva costruzione istituzionale, ma rete di relazioni che costruiscono desideri e aspettative fino a trasformare la nostra stessa esperienza corporea.

17Leggere la relazione di potere in questi termini ci permette di affrontare il rapporto tra il sistema patriarcale e le concrete esistenze degli uomini in cui non è possibile presupporre né un’estraneità, né una mera corrispondenza.

18Per affrontare questa complessità e pensare un conflitto con un ordine di cui siamo parte, che non ci permette di dirci estranei, dobbiamo ripensare il nostro modo di concepire il potere, il conflitto e, quindi, il cambiamento.

Mascolinità egemoni o egemonia della maschilità?

19La domanda che molti e molte si fanno è dunque: “Che interesse avrebbero gli uomini a mettere in discussione la loro posizione di potere?” Ho provato a dare alcune risposte. Ma è anche necessario considerare che non tutti gli uomini sono collocati in questo sistema di potere allo stesso modo. Connell, concludendo un libro che è stato una pietra miliare della riflessione sul maschile, individua “gruppi distinti” di uomini con differenti interessi e sembra rassegnarsi all’impossibilità di un “movimento maschile” di liberazione.

Il movimento di liberazione non può applicarsi al gruppo che detiene una posizione di potere. Così scrive Tolson, “in un certo senso noi eravamo degli imperialisti in una ribellione di schiavi”. La base strutturale [del movimento di liberazione maschile] era il femminismo, non già un gruppo di uomini socialmente definibile. Non è quindi sorprendente che il risultato sia stata una discussione nervosa e involuta sui rapporti tra uomini antisessisti e movimento femminile [e che sia stato] facilmente spodestato dal movimento di terapia della mascolinità, che invece si fonda su una forma particolare di maschilità, e che esprime gli interessi di un vasto gruppo di uomini.
Il problema strutturale di una politica anti sessista condotta dagli uomini deve essere formulato in modo chiaro, perché è un problema che viene continuamente eluso. Le forme di politica radicale che più ci sono familiari si fondano su una mobilitazione della solidarietà intorno a un interesse comune. Ciò vale, per esempio per la politica della classe operaia, per i movimenti di liberazione nazionale, per il femminismo, e per il movimento di liberazione gay. Ma non può in alcun modo essere la forma primaria di una politica anti sessista maschile, perché il progetto di giustizia sociale nei rapporti tra i generi è diretto contro gli interessi che gli uomini hanno in comune, non a favore di essi. In generale, una politica antisessista è necessariamente una fonte di divisione fra gli uomini e non di solidarietà.7

20Ma forse uno dei motivi di questa impasse a cui Connell si riferisce è proprio quello di assumere come modello di conflitto “le forme di politica radicale che ci sono più familiari” e che si basano “sulla solidarietà intorno a un interesse comune”.

21Anche in questo caso è utile un riferimento al femminismo della “seconda ondata”, sviluppatosi a partire dagli anni Settanta in poi del secolo scorso, che non fa riferimento alle donne come gruppo sociale svantaggiato di cui rivendicare la mera emancipazione con l’accesso a diritti sociali e politici. Le prospettive teoriche più radicali del femminismo assumono il conflitto con il maschile non come espressione di una categoria che difende dei propri interessi, ma come riferimento per mettere in discussione un ordine simbolico pervasivo8. Così Carla Lonzi, per il gruppo Rivolta Femminile, affermava: “La donna non è un gruppo sociale ma l’altro dell’uomo e l’uomo e l’altro della donna”9. Si tratta di una lettura che mira a esprimere una più profonda radicalità nella critica dell’ordine gerarchico tra sessi e generi, non limitandosi a rivendicare l’inclusione, ma sottoponendo a critica i suoi fondamenti.

22Anche per questo il femminismo non ha mirato a costruire una “solidarietà” tra donne in quanto soggetti oppressi (modello a cui sembra riferirsi Connell), ma ha esplicitato i conflitti tra donne, ha sottoposto a critica quei “dividendi” che il patriarcato distribuiva loro, svelando la competizione tra donne in relazione allo sguardo maschile.

23La stessa prospettiva queer nasce superando le tentazioni presenti nel movimento lgbt di ricercare un’inclusione sociale per delle minoranze sessuali considerate come categorie svantaggiate, per proporre una critica complessiva della rappresentazione dell’eterosessualità obbligatoria.

24Sempre Connell osserva con pessimismo che “il semplice calcolo degli interessi in gioco basterebbe a prevedere che un movimento maschile contro la maschilità egemone è condannato a essere debole”. Ma aggiunge: Ciò nonostante questi interessi, per formidabili che siano, sono percorsi da crepe […] Vi sono divergenze e tensioni tra la maschilità egemone e quella complice; opposizioni tra maschilità egemone e le maschilità subordinate e marginalizzate”10.

25Ma anche il riferimento a interessi comuni è figlio delle “forme politiche che ci sono più familiari”. Lia Cigarini11 affermava: “Le donne sono un sesso e non un gruppo sociale omogeneo – mentre la rappresentanza politica presuppone bisogni e interessi comuni”. Allo stesso modo per Maria Luisa Boccia “le donne non sono una minoranza da rappresentare, bensì la metà della popolazione, e come tali non possiedono interessi comuni perché svolgono mestieri differenti, sono madri oppure no, sono giovani, anziane, di destra e di sinistra”12.

26Questi differenti punti di vista propongono quindi, non di rappresentare gli interessi di una componente, ma un punto di vista sulla società a partire da una parzialità.

27Se assumiamo lo schema che considera “mascolinità egemoni” e maschilità subalterne o marginali come distinti gruppi maschili, l’unica forma di conflitto con la maschilità egemone può quindi essere agita da “una specifica categoria di uomini” che sia portatrice di un interesse specifico conflittuale con quell’ordine. Per esempio gli uomini omosessuali che subiscono una stigmatizzazione e una discriminazione, non corrispondendo alla norma eterosessuale.

28Come ho provato a descrivere fin qui, l’ordine della mascolinità egemonica implica per tutti gli uomini, anche quelli in una collocazione subalterna, non solo una subordinazione ma anche il conferimento di identità, un riferimento simbolico condiviso, e agisce vincolando anche l’esperienza degli uomini che corrispondono (in realtà mai compiutamente) alla mascolinità egemone.

29La categoria di mascolinità egemoni, proposta da Connell e altri nel 198513, ha assunto un ruolo centrale nel dibattito sociologico nella ricerca sulla maschilità.

30Connell e altri hanno elaborato questa categoria per dare conto della pluralità delle maschilità e delle differenti relazioni di potere e conflitto tra queste. La maschilità, dunque, non come universo omogeneo, ma articolato e dinamico nel tempo e nello spazio, in relazione ai contesti sociali di riferimento.

31Ma la costruzione del sistema di maschilità egemoni, se intesa in modo troppo schematico, risulta un ostacolo per pensare una collocazione degli uomini nei processi di cambiamento e nella costruzione di una pratica politica maschile di trasformazione.

32Il concetto di mascolinità egemonica è esplicitamente riferito da Connell, sin dal principio, a Gramsci.

La maschilità egemone […] garantisce (o si presume garantisca) la posizione dominante degli uomini e la subordinazione delle donne. […] Il segno distintivo dell’egemonia è, infatti, l’autorità reclamata e ottenuta, più che la violenza diretta.14

33Possiamo provare a integrare le categorie gramsciane applicate agli studi sulla mascolinità con gli strumenti teorici offerti dal pensiero di Foucault15. Ciò che accomuna i due autori è proprio una lettura non semplificata del Potere e una lettura delle dinamiche relazionali, delle resistenze e delle continue riconfigurazioni delle dinamiche di potere che permette una lettura articolata della maschilità come sistema complesso e plurale.

34La categoria gramsciana di egemonia rimandava a una relazione tra classi e alla produzione di istituzioni sociali di costruzione del consenso. Se assunta come riferimento per le relazioni di genere, deve misurarsi con la dimensione individuale e con la stessa esperienza del corpo. Misurarsi con le relazioni di potere, e dunque con i conflitti, nella dimensione corporea e psichica, e non esclusivamente nell’ambito sociale o istituzionale, vuol dire anche immaginare differenti processi di soggettivazione e di conflitto con l’ordine dominante.

35In questo caso il concetto di egemonia non rimanda solo all’egemonia culturale delle classi dominanti su quelle subalterne, ma all’incorporazione di una visione, di una percezione di sé e della realtà: le proprie aspettative, la stessa esperienza del proprio corpo, dei propri desideri e delle proprie emozioni sono frutto, non linearmente determinato, di un processo di costruzione sociale.

36L’elaborazione del concetto di egemonia da parte di Gramsci non riguarda esclusivamente i meccanismi di esercizio del potere, ma cerca di definire processi di costruzione delle soggettività e quindi del conflitto. La riflessione gramsciana connette, infatti, la lettura del potere inteso non come mero dominio, con una teoria della rivoluzione che supera il modello tradizionale di presa del potere statuale attraverso un isolato atto di forza (la presa del Palazzo d’Inverno), e propone una costruzione molecolare di istituzioni sociali e saperi e dunque l’elaborazione di quelle che Foucault chiama strategie di “soggettivazione”. Questa rappresentazione è importante perché determina differenti posture in relazione a un sistema di potere. Non la mera “resistenza” da parte di soggetti oppressi ed estranei a esso, ma il continuo riconoscimento della propria internità alle relazioni di potere e dunque il riconoscimento che desideri, linguaggi e relazioni, sono dimensioni mai compiutamente libere e autentiche, ma neanche linearmente determinate:

noi apparteniamo a dei dispositivi e agiamo in essi. […] In ogni dispositivo, bisogna distinguere ciò che siamo (ciò che non siamo già più) e ciò che stiamo divenendo: ciò che appartiene alla storia e ciò che appartiene all’attuale.16

37Possiamo allora ripensare la mascolinità egemonica come contesto pervasivo, superando la semplice distinzione tra soggettività egemoni e marginali o subalterne. Insomma intendere una più generale egemonia della e non nella maschilità, leggendo criticamente i riferimenti simbolici che strutturano, in forme diverse, tutte le maschilità.

38Alcune caratteristiche costitutive del modello di maschilità egemone non solo variano da contesto a contesto, ma non possono nemmeno essere sempre attribuite in modo netto ed esclusivo ad alcuni gruppi. Non possiamo limitarci ad analizzare le relazioni gerarchiche tra esperienze di maschilità, ma dobbiamo riconoscere che esistono un contesto simbolico e un immaginario di riferimento che attraversano e plasmano, in forme diverse, anche le maschilità marginali e stigmatizzate.

39La mascolinità egemone non va dunque intesa come l’esercizio da parte di uno specifico gruppo maschile con una posizione dominante su altri, ma come un campo simbolico che produce un’egemonia che struttura tutti i soggetti e disciplina (e assoggetta) anche l’esperienza delle maschilità considerate, nello schema di Connell, egemoni e fungendo da riferimento anche nelle rappresentazioni e percezioni delle maschilità considerate marginali o subalterne. L’eterosessualità normativa e l’ordinamento gerarchico tra maschile e femminile, con tutti i loro effetti consequenziali sulla rappresentazione dei corpi e dei desideri di donne e uomini, agiscono dunque come riferimento su tutti.

 

40Se utilizziamo il concetto di mascolinità egemone attribuendo attitudini e caratteristiche distinte a differenti gruppi discreti e separati, giungiamo a delle apparenti contraddizioni. Ne è un esempio l’analisi che Connell fa del caso di Steve Donoughue, campione di surf:

[Il suo corpo è] capace di stupefacenti imprese di precisione e resistenza […] ma vive uno sdoppiamento: il campione di surf non poteva fare le cose proprie della maschilità egemone (ubriacarsi, fare a botte, fare sesso…). […] ciò che nella cultura dei suoi pari veniva definito maschile gli era proibito […] e così l’azione corporea riflessa, che era quella che creava la maschilità egemone di Steve, distruggeva quella stessa maschilità egemone.17

41Se, invece, analizziamo la mascolinità egemone come un complesso contesto pervasivo di riferimento, comune a differenti posizioni maschili, possiamo riconoscere come questa sia costituita proprio dalla polarità tra una pulsione vitale e trasgressiva (indice di una potenza fallica) e dalla capacità di dominarla (indice della virtù virile dell’autocontrollo e del dominio razionale del corpo). La compresenza degli elementi di questa polarità può essere declinata in forme diverse, nel tempo e nei contesti sociali, generando modelli “locali” di mascolinità solo apparentemente contraddittori: l’esuberanza trasgressiva e l’insofferenza verso i dettami del “politicamente corretto”, l’ostentazione di una sessualità compulsiva che prescinde dalle relazioni, e la postura razionale, o l’affermazione di una norma paternalistica, la “costruzione e manutenzione della macchina-corpo” e la stessa dimenticanza del corpo, l’inseguimento della competizione per la realizzazione pubblica, l’ostentazione di autosufficienza rispetto alle relazioni affettive.

 

42Questa polarizzazione non distingue tra loro maschilità differenti (per quanto evidentemente assuma differenti declinazioni e articolazioni) e la compresenza di queste polarità non mostra una contraddizione, ma è costitutiva di una costruzione simbolica che organizza in modo gerarchico l’ordine di genere. La rappresentazione egemone della maschilità contiene in sé una relazione tra corpo e soggettività che è solo apparentemente contraddittoria: un corpo maschile portatore di una soggettività composta da un’esuberanza e un potente desiderio, e al tempo stesso dalla capacità di dominare le emozioni, cui fa da contraltare un corpo femminile di cui è stata socialmente rimossa l’espressione di un desiderio autonomo e la cui dimensione emotiva precluderebbe l’espressione di un esercizio etico. Il corpo degli uomini è rappresentato come espressione e strumento di una soggettività attiva, il corpo femminile è rappresentato come vincolo che preclude una piena soggettività delle donne.

43Fra i tratti salienti della costruzione della mascolinità vi è il riferimento a un modello di soggettività fondato sull’autosufficienza e sull’essere artefici di se stessi.

44Molti hanno contestato il concetto di mascolinità egemonica considerandola un’astrazione in quanto corrispondente a un concetto inafferrabile e, soprattutto, che nessun uomo può incarnare. Questa contraddizione vale solo se ci attendiamo che essa corrisponda a uno specifico gruppo di uomini in una posizione gerarchica su altri, ma può invece risultare un utile strumento analitico se assunto come riferimento simbolico pervasivo che ordina e struttura differenti espressioni di maschilità.

45Utilizzando dunque la notazione di mascolinità egemonica proposta da Connell non tanto come collocazione gerarchica in un ordine di genere o come riferimento mainstream, ma come indicativa di un simbolico e un immaginario pervasivo, acquisiamo utili strumenti per leggere in modo dinamico il mutamento maschile.

Il prezzo del potere

46Sarebbe troppo facile limitarsi a dire che il potere maschile ha i suoi prezzi. Anzi, si rischierebbe l’ambiguità della lamentazione più o meno vittimistica per “il peso del privilegio” per cui, in fondo, siamo tutti sulla stessa barca, dominanti e dominati, stigmatizzati e autorevoli, discriminati e competitori.

47Osvaldo Pieroni18 individua lo spazio di una possibile pratica maschile critica del patriarcato e di un’analisi delle maschilità che non rimuova il potere detenuto dagli uomini, nel riconoscere gli effetti di alienazione che ha sull’esperienza maschile, in cui è proprio la percezione del corpo maschile segnato dal dominio a renderlo estraneo e alienato.

L’arma, dunque, come rappresentazione potente del proprio corpo maschile ridotto a Fallo e il corpo stesso usato come arma. Un corpo strumento che non si riconosce più. [Ma] il corpo-arma comporta da ultimo una violenza contro il proprio corpo. […] La separazione di soggetto (umano) e ambiente (non umano) così come quella tra soggetto e oggetto (anche nel caso siano entrambi umani) appaiono come la struttura fittizia che dà origine al dominio sul mondo e sugli altri. Il corpo maschile appare come luogo colonizzato. Il maschio egemone, in fondo, non è corpo.

48Pieroni evidenzia il nesso tra potere, simbolico fallico e atrofizzazione del corpo maschile:

Nella preoccupazione per la potenza dello strumento fallico è tutta la disperata fragilità della sessualità maschile, che non accetta un corpo emotivo ambivalente, tenero e ribelle al contempo. […] è un nodo cruciale[quello] che riguarda l’esperienza maschile del corpo, anzi, meglio, l’esperienza corporea dei maschi: […] la riflessività maschile dovrà farsi carico della ricerca di nuove esperienze positive, di nuovi modi di sentire, mostrare, vivere il corpo maschile. […] risvegliando nel corpo […] ciò che l’anestesia della logica fallica ha reso insensibile.

49Un altro riferimento si può trovare in Bourdieu, dove il potere maschile viene al tempo stesso letto come “trappola”, come carico:

Se le donne, sottomesse a un lavoro di socializzazione che tende a diminuirle, a negarle, si formano e si addestrano alle virtù negative dell’abnegazione, della rassegnazione e del silenzio, anche gli uomini restano prigionieri e subdolamente vittime della rappresentazione dominante. Il privilegio maschile è anche una trappola e ha la sua contropartita nella tensione e nello scontro permanenti, spinti a volte sino all’assurdo, che ogni uomo si vede imporre dal dovere di affermare in qualsiasi circostanza la sua virilità. La virilità, intesa come capacità riproduttiva, sessuale e sociale, ma anche come attitudine alla lotta e all’esercizio della violenza è prima di tutto un carico.19

Il potere non è mai totalizzante

50La consapevolezza del fatto che siamo immersi in un contesto pervasivo di relazioni di potere (il potere è ovunque), rischia però di giungere a una visione totalizzante che finisce col negare articolazioni, conflitti, evoluzioni e spostamenti possibili. Non sarebbe cioè possibile uscire da un contesto totalizzante di relazioni strutturate dal potere. In un’intervista rilasciata nel 1978 Foucault risponde esplicitamente a questa lettura:

Non c’è un panopticon frutto di un controllo totalizzante, ma una diffusione lenticolare delle dinamiche di potere […] ho immediatamente fatto vedere che si trattava appunto di un’utopia che non aveva mai funzionato così com’era. […] tutte queste indicazioni ruotavano attorno al tema del potere come una serie di relazioni complesse, difficili, mai funzionalizzate, e che in un certo senso non funziona mai. Il potere non è onnipresente, onnisciente. Al contrario! […] Innanzitutto, io non uso mai la parola potere con la P maiuscola […] non c’è Potere, ma relazioni di potere che nascono incessantemente, come effetto e condizione di altri processi.20

51Riconoscere il carattere complesso, pervasivo e ambivalente delle dinamiche con cui i soggetti assumono i riferimenti dominanti che ne vincolano l’espressione e l’esperienza, non deve condurre, quindi, né a rimuovere le disparità di potere tra i generi, né a una concezione totalizzante del dominio. Anzi, questo punto di vista permette di aprire nuovi spazi di soggettivazione e conflitto rispetto a modelli di genere dominanti da parte di donne e uomini con differenti orientamenti, e un dialogo con nuove potenzialità tra differenti esperienze esistenziali e affettive.

52Bourdieu deriva proprio dalla propria nozione di “violenza simbolica” l’apertura di uno spazio per una “lotta cognitiva sul senso delle cose del mondo e in particolare delle realtà sessuali e una possibilità di resistenza contro l’effetto dell’imposizione simbolica”:

Quando i dominati applicano a ciò che li domina schemi che sono il prodotto del dominio o, in altri termini, quando i loro pensieri e le loro percezioni sono strutturati conformemente alle strutture stesse del rapporto di dominio che subiscono, i loro atti di conoscenza sono, inevitabilmente, atti di riconoscenza, di sottomissione. Ma per quanto sia stretta la corrispondenza tra le realtà o i processi del mondo naturale e i principi di visione e di divisione a essi applicati, c’è sempre posto per una lotta cognitiva sul senso delle cose del mondo e in particolare delle realtà sessuali […] una possibilità di resistenza contro l’effetto dell’imposizione simbolica.21

Notes de bas de page

1 Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 239.

2 Teresa De Lauretis, La gaia scienza, ovvero la traviata Norma, in Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 265.

3 Michel Foucault, Asili. Sessualità. Prigioni [1975], in Prigioni e dintorni. Detti e scritti tratti dall’“Archivio Foucault”, a cura di Alessandro Dal Lago, Milano, Feltrinelli, 1997.

4 Carla Lonzi, Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, Milano, Scritti di Rivolta Femminile, 1980.

5 Lea Melandri, Amore e violenza cit., p. 10.

6 Osvaldo Pieroni, Pene d’amore. Alla ricerca del pene perduto cit., p. 10

7 Raewyn W. Connell, Masculinities, Cambridge, Polity Press, 1995; trad. it. Maschilità: Identità e trasformazioni del maschio occidentale, Milano, Feltrinelli, 1996, pp. 171 e 172..

8 Aa. Vv., Il maschile come valore, Gruppo Demau, 1970.

9 Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel cit., p. 21.

10 Raewyn W. Connell, Maschilità cit., p. 175.

11 Lia Cigarini, La separazione femminile, “Sottosopra blu”, 1987.

12 Maria Luisa Boccia, La differenza politica. Donne e cittadinanza cit., p. 136.

13 Tim Carrigan, Raewyn W. Connell, John Lee, Toward a new sociology of masculinity, “Theory and Society”, 5, 1985, pp. 551-604. Connell ricorda che il termine è comparso per la prima volta nel 1982 in Sandra. Kessler et al., Ockers and disco-maniacs, Sydney, Inner City Education Center, 1982.

14 Raewyn W. Connell, Maschilità cit., pp. 68-69.

15 Richard Pringle, Masculinities, sport, and power: A critical comparison of Gramscian and Foucauldian inspired theoretical tools, “Journal of Sport and Social Issues”, 2005, 29 (3), pp. 256-278.

16 Gilles Deleuze, Che cos’è un dispositivo? cit., p. 27.

17 Raewyn W. Connell, Maschilità cit., p. 60.

18 Osvaldo Pieroni, Pene d’amore. Alla ricerca del pene perduto cit.

19 Pierre Bourdieu, Il dominio maschile cit.

20 M. Foucault, Precisazioni sul potere. Risposta ad alcuni critici, ora in Id., Poteri e strategie, a cura di Pierre Dalla Vigna, Milano, Mimesis, 2014, pp. 33, 34.

21 Pierre Bourdieu, Il dominio maschile cit., p. 22.

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