5. Uomini in crisi. L’ambiguità di un luogo comune
p. 87-96
Texte intégral
1La “crisi della mascolinità”1 è insomma un luogo comune che rimanda a immagini molto diverse: gli uomini femminilizzati e quelli in depressione, la riduzione della fertilità maschile e la nuova incapacità degli uomini di corteggiare le donne, la discriminazione dei padri separati ma anche la crescita della violenza maschile che deriverebbe dalla “perdita delle doti virili dell’autocontrollo” e del tradizionale “rispetto per le donne”.
2Spesso, come abbiamo visto, la “crisi maschile” viene associata a una crisi più generale della società: il “disordine sociale” attribuito alla rottura della funzione normativa paterna, un Occidente femminilizzato e perciò esposto all’aggressione di un Islam arcaico ma virile.
3La parola “crisi”, dunque, è ambigua. Discorsi che hanno prospettive spesso divergenti fanno riferimento in modo apparentemente simile alla crisi maschile, agli uomini in crisi e alla crisi del patriarcato.
4Sono in crisi gli uomini o è in crisi un sistema di ruoli e di valori che non è più in grado di dare senso alla loro vita? Dobbiamo guardare agli spazi che questa crisi ci apre o avere nostalgia dell’universo passato?
5C’è una lettura linearmente “reazionaria”, di nostalgia di un ordine morale e simbolico perduto, di angoscia per l’erosione dei luoghi e delle pratiche che davano significato all’esperienza maschile. L’interruzione della trasmissione di modelli e valori tra generazioni diverse di uomini è rappresentata come causa dello smarrimento vissuto dagli uomini. Si tratta di un filone storicamente profondo per il quale la crisi del maschile è al tempo stesso metafora, causa e conseguenza di una crisi più generale.
6Questa lettura porta con sé la rappresentazione di una diffusa depressione maschile e di una crescita di insicurezza che rischiano di minare la virilità degli uomini, ma anche un’interpretazione dell’instabilità delle relazioni di coppia e anche della violenza maschile contro le donne, leggibile come reazione a una aggressione e alla conseguente frustrazione. L’idea che gli uomini debbano difendersi dal cambiamento avvenuto nei rapporti tra i sessi è ricorrente nei testi di autori dei movimenti che chiamerei di “recupero revanscista della perduta identità maschile”.
7C’è poi una lettura che attribuisce l’origine di comportamenti violenti e smodati maschili alla crisi della già citata “Legge del Padre”: quel dispositivo regolatorio delle pulsioni maschili rappresentato dalla norma etica paterna del limite2.
8Queste due prime letture non sono sovrapponibili ma risultano meno distanti tra loro di quanto possa sembrare. Tutte e due fanno riferimento al Maschile come funzione che regola e ordina le relazioni.
9Anche quando non viene esplicitata una nostalgia e una prospettiva di ritorno a un mitico “sistema armonico di relazione tra i sessi”, la categoria della crisi porta spesso con sé forme più o meno dissimulate di vittimismo maschile, o l’allarme per l’incrinarsi di virtù e attitudini virili, come l’autocontrollo o la capacità di autodeterminazione etica, su cui si fonda una rappresentazione dei sessi complementare e gerarchica al tempo stesso. Il maschile fondamento di un ordine, il femminile relegato nella dimensione privata della cura, della dipendenza, dell’emotività e della corporeità3.
10Una terza lettura che ricorre alla categoria di crisi maschile è quella propria di un approccio di una parte del femminismo che legge nelle relazioni e i conflitti tra i sessi il segno della “fine del patriarcato”4 e contesta quelle rappresentazioni della violenza di genere o delle relazioni di potere tra i sessi che ripropongono uno scenario di soggezione femminile in cui la presa di soggettività delle donne è rimossa5.
11Si tratta di tre accezioni della “crisi” evidentemente tra loro in relazione ma distinte. Affermare che la violenza maschile rivela la rottura di un ordine non vuol dire voler recuperare una “Legge del Padre” capace di disciplinare uomini e donne e arginare il disordine nei comportamenti maschili. Una parte del femminismo6 e una parte di intellettualità maschile parlano di “fine del patriarcato” ma non dicono la stessa cosa. Eppure molte autrici del femminismo della differenza hanno teso a dare credito ad alcune letture dominanti nel discorso pubblico leggendovi un’eco della crisi del patriarcato e dunque l’esito di una rivoluzione simbolica operata dal femminismo. L’elemento discriminante è il giudizio su questo ordine simbolico in crisi.
12Il dualismo sessuale che assegna ai due generi funzioni complementari e ordina gerarchicamente le loro attribuzioni simboliche ha una sua “necessità”? È un paradigma ineludibile per comprendere le dinamiche psichiche umane, o è una costruzione storica da mettere in discussione dalle fondamenta? La sua crisi non è proprio indice della sua inadeguatezza e rivela la sua fondazione su un atto di potere che oggi mostra la propria insostenibilità e il proprio esito distruttivo?
13L’interpretazione dominante dice che crisi del maschile e crisi dei singoli uomini corrispondono, e dunque che la messa in discussione di modelli culturali e ruoli sociali consolidati rappresenta per i singoli uomini una minaccia e una fonte di sofferenza. In secondo luogo dice che l’identità degli uomini, anche la loro sicurezza di sé, la certezza della propria virilità, viene intaccata dalla nuova libertà femminile, dal nuovo protagonismo delle donne sul lavoro, nella società, nelle relazioni7.
14Questa costruzione porta con sé una precarietà costitutiva dell’identità maschile e mostra come le produzioni discorsive possano incidere sull’esperienza che facciamo della realtà. La categoria di “crisi della mascolinità” si rivela un elemento costitutivo e di riproposizione di un ordine simbolico che contribuisce a interdire l’elaborazione di differenti dimensioni e significati dell’esperienza maschile e la generazione di un diverso immaginario.
15Il riferimento alla crisi del maschile racconta dunque la crisi effettiva di un sistema simbolico, di un linguaggio, di una socialità maschile e di un quadro di significati in cui sono state inscritte le prospettive esistenziali degli uomini, ma le schiaccia in un universo omogeneo e uniforme, la cui crisi diventa minaccia per ogni singola prospettiva individuale.
16Proprio sovrapponendo il modello di mascolinità dominante alle singole identità degli uomini, la crisi di modelli di riferimento rende precaria la loro identità sessuata. All’esperienza maschile come esperienza plurale, in evoluzione, viene sostituito il riferimento a un Maschile che corrisponde a una funzione e a un archetipo, un modello al di fuori della storia. Questo modello si basa su virtù e attitudini proprie di una virilità fondata sul controllo di sé, sul dominio e la rimozione della corporeità e sulla negazione della relazionalità e della dipendenza in nome di una soggettività autosufficiente. Ma è un esito involutivo, un vicolo cieco.
17Poiché le differenti declinazioni della categoria di “crisi della mascolinità” agiscono sull’esperienza che gli uomini fanno del cambiamento, le categorie con cui nominiamo l’esperienza maschile non sono solo strumenti per leggerne le contraddizioni, ma diventano esse stesse parte di un ordine discorsivo che dà forma alla nostra esperienza e determina ciò che è possibile o non è possibile pensare e immaginare.
18Ma se invece considerassimo la “crisi del maschile” come il segno della crescente inadeguatezza dei modelli di riferimento della maschilità nel fornire senso alle vite degli uomini, della crisi delle forme tradizionali della socialità tra uomini, dell’impossibilità di riproporre modelli, linguaggi e prospettive di realizzazione di sé che appaiono ormai per molti versi inservibili?
19Perché non provare a pensare che la crisi del sistema di valori tradizionale possa rappresentare un’occasione per aprire spazi per dare significato alla propria esperienza per ogni singolo uomo, un’opportunità per ridefinire la propria collocazione nel mondo? Non un passaggio pacificato e indolore: una trasformazione fonte di disagio, sofferenza e disorientamento attraverso cui poter produrre nuove rappresentazioni e modalità relazionali.
20La rottura di questo sistema di significati produce una nuova percezione contraddittoria in molti uomini: il privilegio maschile permane, ma quelli che Connell ha definito i “dividendi del patriarcato” sono pagati con moneta falsa: una moneta che non ha più corso nelle nostre vite.
21La grande e contraddittoria trasformazione innescata dall’irruzione nella storia, e nelle singole storie degli uomini, della libertà femminile, dell’autonoma ricerca di senso delle donne, la loro rivendicazione del desiderio e del piacere, possono dunque essere lette come una minaccia per gli uomini, oppure rappresentare un’opportunità per risignificare la loro esperienza. Così l’entrata in crisi di modelli tradizionali, la rottura di un ordine discorsivo apre un vuoto che è però lo spazio per produrre pratiche collettive ed esperienze individuali differenti.
22Per divenire davvero un’occasione per ripensarsi, questo mutamento richiede di trovare nuove parole per rendere visibile un vissuto differente, e pensabili una conoscenza e una comunicazione non più fondate su una presunta complementarietà tra i sessi, ma capaci di elaborare in forme nuove il confronto con l’alterità. La produzione di parole capaci di dare conto di dimensioni dell’esperienza umana che le rappresentazioni oggi a disposizione degli uomini non sono in grado di esprimere può rompere la solitudine di una soggettività autistica e aprire la possibilità di un diverso sguardo su se stessi.
23L’emersione di differenti collocazioni maschili nel cambiamento dipende dunque dalla disponibilità di differenti letture dell’ambivalenza del concetto di crisi del maschile.
La crisi maschile: un fantasma ricorrente
24Il richiamo alla “crisi maschile” non è un allarme recente ma, al contrario, un tema ricorrente in tempi e ambiti diversi. La categoria della crisi del maschile è ciclicamente fonte di spinte revansciste e reazionarie, ispirate alla ricostruzione di un ordine perduto, messo in discussione dalla modernizzazione della società, dalla secolarizzazione e dall’irruzione di nuove soggettività.
25Si tratta di un riferimento che attraversa ciclicamente i periodi di mutamento sociale, mostrando quanto sia intima la connessione tra identità maschile e ordine sociale, ma anche come sia precaria questa costruzione che spinge continuamente a produrre pratiche discorsive e istituzioni sociali per riaffermare il riferimento egemonico della virilità.
26La ricerca storica ricorda come i nazionalismi europei di inizio Novecento abbiano basato una parte fondamentale delle proprie retoriche proprio sul mito della virilità e sull’allarme per una presunta devirilizzazione dei popoli. Un testo di riferimento a questo proposito è la riflessione di George Mosse8. L’ideale virile individuato da Mosse si compone di elementi come la forza e l’equilibrio, l’autocontrollo di un corpo armonico. Un modello che si istituisce come novità nel passaggio tra Settecento e Ottocento, ma che assume come riferimento la fusione di forza e controllo propria della classicità greca.
27Mosse ci mostra come in questo modello il corpo sia centrale e valga, prima della forza, l’esercizio del suo disciplinamento come virtù virile. Il dominio sul corpo e sulle emozioni esercitato dagli uomini ne legittima l’autorità nella dimensione civile e pubblica, relegando il femminile nella dimensione privata degli affetti.
28Un modello che necessita continuamente di un contraltare: l’emotività femminile o la deviazione dell’ebreo, o dell’omosessuale e del negro.
29La femminilizzazione della società, rappresentata nella sua doppia dimensione di crescita femminile in ruoli tradizionalmente maschili seguita alla prima guerra mondiale, e di crescita di masse “volubili e prive della qualità virile dell’autodisciplina”, diviene un contraltare di riferimento nelle ideologie su cui si sono fondati i nazionalismi.
30Lo “stereotipo virile” e il suo complementare femminile, lo spettro della sua crisi e della sua degenerazione, richiamano gli uomini a un continuo sforzo di autodisciplinamento. L’affermazione di una “naturale” centralità maschile nell’ordine gerarchico tra i sessi si accompagna sempre, in modo solo apparentemente paradossale, a una percezione del corpo maschile come nodo problematico, incerto, precario. In quel contesto culturale, il disagio che investiva le forme di costruzione della mascolinità trova delle interpretazioni “scientifiche”, organiciste con l’idea della “degenerazione”. La rappresentazione della degenerazione, la minaccia di crisi e lo spettro della devianza sono continuo riferimento di questa costruzione9. L’instabilità dell’identità maschile non è determinata solo dal rischio dell’effeminatezza, dell’omosessualità o della devirilizzazione, ma anche dal rischio della riemersione di una pulsione prestorica e precivile di violenza. Potenza e autocontrollo si uniscono in un modello di virilità in cui la rispettabilità è un elemento costitutivo.
31Due capitoli del volume di Mosse sono significativamente dedicati al “controtipo” (l’ebreo, l’omosessuale …) e a “la Mascolinità in crisi, i decadenti”, dove si affronta, tra l’altro, il dibattito medico sviluppatosi nell’Ottocento attorno al tema della degenerazione e la diffusione nella stampa dell’allarme per “la percezione sempre più diffusa dell’esistenza di uomini deboli di costituzione”10, e, in ultimo, la reazione al movimento delle donne rappresentato come una minaccia che, però, si confonde con una più generale potenza minacciosa archetipica del femminile, di cui sono esempi il potere crudele della femme fatale e la violenza isterica della “Salomè che balla con la testa recisa di Giovanni Battista”11.
32La riflessione storiografica ci racconta come questa ansia di smarrimento della mascolinità, di rischio di degenerazione, abbia segnato le nostre società in periodi di crisi e di come abbia trovato risposta in prospettive regressive autoritarie e identitarie, il cui naturale esito sono stati i nazionalismi e le culture belliciste. Gli uomini europei di fine Ottocento-primi Novecento, privati di quell’universo culturale simbolico in cui la loro identità sessuata trova fondamento e conferma, cercano nella guerra, nell’appartenenza a una comunità capace di conferire identità (la Patria, la Nazione), nella partecipazione a una sorta di corpo maschile collettivo, l’occasione per rifondare un ordine e al tempo stesso, per ogni uomo, di verificare e ricostituire la propria virilità12.
33Se la modernità stava gradualmente producendo in tutta l’Europa sviluppata lo sfaldamento delle strutture identitarie maschili, e quindi la concreta possibilità di far precipitare i maschi nel vuoto interiore, la guerra e il cameratismo sembravano le soluzioni più efficaci per evitare questa catastrofe13.
34Come osserva Mosse, questo richiamo è trasversale e riguarda differenti culture politiche, differenti aree sociali e differenti gruppi maschili:
Lo stereotipo non era legato ad alcune delle grandi ideologie politiche del secolo precedente: non sostenne solo i movimenti conservatori, come spesso si ritiene, ma anche quelli dei lavoratori […] persino dell’uomo bolscevico si diceva che era saldo come una roccia. Fin dagli esordi la mascolinità moderna fu cooptata dai nuovi nazionalismi ottocenteschi, ma poteva esistere anche sullo sfondo cosmopolita dell’Illuminismo14.
L’ideale maschile aveva superato il momento di maggiore crisi alla fine dell’Ottocento […] Radicatosi profondamente ben prima della grande guerra, era poi riuscito ad affermarsi insieme come simbolo e come elemento essenziale al funzionamento della società. Anche gli esclusi lo avevano interiorizzato. […] in una pubblicazione ebraica degli anni venti […] l’ebreo nuovo doveva “denunciare la favola menzognera dell’ebreo curvo e deforme, la nostra gioventù deve maturare in buona salute […] uomini che si svegliano presto, e non si stancano prima del calar del sole, mente chiara, stomaco solido, muscoli di ferro”15.
35Colpisce che anche in un contesto culturalmente e storicamente molto differente come la Cina, la retorica sulla perdita di mascolinità torni proprio in relazione al nodo dell’identità nazionale16.
36La mascolinità, dalla cultura tradizionale, attraverso la fase rivoluzionaria e il modello maoista, fino all’attuale economia di capitalismo di stato, è continuamente intrecciata con la costruzione dell’identità nazionale. Il tema della crisi della mascolinità giunge a diventare oggetto di discussione degli organismi politici. Conseguentemente nel sistema educativo è stato lanciato un programma di rafforzamento delle differenze di genere e di rafforzamento della virilità.
37Alla base del dibattito discorsivo sugli uomini effeminati e una crisi di mascolinità c’è la necessità di rafforzare lo stato-nazione. Si ritiene che per rilanciare e rafforzare la nazione sia necessario costruire una forte virilità e affinare i ruoli di genere maschile. I distinti ruoli di genere sono considerati cruciali nella salvaguardia della sicurezza della nazione e sono supportati e controllati attraverso il discorso dei media. Il potere e l’autorità dei media offrono alla narrazione “scientifica” degli esperti e del sapere medico un impatto di vasta portata nell’ambiente sociale.
38L’ideale della virilità, insomma si rivela trasversale alle culture e ritorna nel tempo, offre agli uomini un riferimento identitario, ma al tempo stesso li sottopone continuamente a una pressione che ne mette in discussione l’identità; propone una risposta allo smarrimento derivante da momenti di grande cambiamento, ma una risposta che si rivela regressiva e distruttiva.
La crisi maschile: una retorica strumentale o un dato costitutivo?
39Il fatto che ciclicamente si tornino a lanciare allarmi per la crisi maschile non è dunque un dato neutro o casuale. Molti notano che, anche se la rappresentazione di una mascolinità in crisi è pervasivamente presente nella cultura occidentale dalla fine del xix secolo, questa sia riesplosa con il passaggio di millennio: sin dai primi anni Novanta i testi di scienze sociali, e in particolare di psicologia, partono dall’idea di una pervasiva crisi della mascolinità e questo fenomeno cresce a partire dal 2000. John Benyon, un ricercatore dell’Università di Leicester, autore del libro Masculinities and culture, definisce quella del 2000 “l’estate della crisi della mascolinità”17.
40Un ricercatore canadese, Jason Stefan Lieblang, afferma che il riferimento al valore della “mascolinità” e alla sua “crisi” sia stata una costruzione discorsiva per rafforzare l’egemonia maschile, e che questo ricorso alla retorica della crisi del maschile dal 2000 in poi sia parte di un processo di rinegoziazione delle identità. Lieblang, analizzando rappresentazioni della crisi del maschile nella Germania di Weimar e nel Nord America degli anni Cinquanta e Sessanta, afferma che sia la mascolinità che la sua crisi sono dei costrutti discorsivi, nessuno dei quali rivela alcunché di vero sull’identità. La crisi della mascolinità, insomma, sarebbe una rappresentazione e non una realtà obiettiva18.
Quindi, la virilità è sempre in crisi. Perché? La retorica della crisi non è forse un modo per sostenere il privilegio della critica? Il privilegio si rappresenta come vittima, si vede in crisi e quindi ha bisogno di riaffermare il proprio potere. Il ricorso retorico perpetuo alla crisi maschile funziona per sostenere – in modo continuo e insidioso – il privilegio maschile dalla critica.19
41Le rappresentazioni della mascolinità in crisi sono in effetti spesso segnate da una nota vittimistica e al tempo stesso paternalistica, al fine di rinsaldare un ruolo di privilegio e predominio. Ma questa interpretazione mostra solo un aspetto e forse il più superficiale della dinamica.
42Il carattere perpetuo, ricorrente e pervasivo della crisi della mascolinità non è un mero artificio retorico per difendere un privilegio, ma l’indice di un carattere costitutivo della mascolinità, e cioè il suo essere una costruzione basata sul disciplinamento del corpo, degli impulsi, dei desideri e delle emozioni. E perciò uno status sempre precario e sempre alla prova.
43Il maschile come ideale da raggiungere attraverso uno sforzo di disciplinamento affonda le proprie radici nella storia antica. Foucault fa del dispositivo della città ateniese il luogo in cui s’inventa un modello di soggettività basato sulla padronanza e il dominio di sé: la città, secondo la definizione che egli ne dà, inventa una “linea di forze” che passa attraverso la rivalità degli uomini liberi. Ora, da questa linea, lungo la quale un uomo libero può comandare su altri, ne parte un’altra, seguendo la quale chi comanda su uomini liberi deve essere padrone di sé 20. Si tratta di un riferimento esplicito alla virilità come modello corrispondente all’ideale di soggetto: artefice di se stesso, padrone di sé, libero perché capace di disciplinare il corpo; una costruzione a fondamento della gerarchia tra i sessi.
44Richiamando questa antica radice storica di corrispondenza tra modello di mascolinità e modello di soggettività tout court, Foucault pone al centro il tema della “cura di sé”, del continuo sforzo di approssimazione al modello di riferimento di soggettività basato sul disciplinamento di sé che attraversa “l’insieme della società ellenistica e romana”, divenendo “una sorta di matrice dell’ascetismo cristiano”, fino ad arrivare “di fatto a costituire un momento decisivo nella storia del pensiero, un momento in cui, cioè, risulta coinvolto anche il nostro stesso modo di essere soggetti moderni”. Lo stesso Foucault richiama “la tecnica del pilotaggio come paradigma di governabilità”, innanzitutto del proprio corpo21. L’esortazione alla “cura di sé” – come paradigma interpretativo della soggettività – apre a un’ambivalenza: richiama il mito del soggetto artefice e padrone di sé, impedisce di elaborare la propria vulnerabilità, riconduce alla colpevolizzazione dell’individuo nel contesto neoliberale, ma entra anche in tensione con l’invito maschile alla rimozione della propria corporeità per una soggettività disincarnata e con la rappresentazione del corpo come destino fissato. Il rapporto col proprio corpo e il riconoscimento dell’impossibilità di prescindere dalle relazioni sono due nodi critici del modello maschile che ci è stato consegnato.
45Non si tratta dunque di negare una crisi nel maschile. La crisi è nella percezione che molti uomini hanno dell’incapacità dei modelli tradizionali di fornire senso alle proprie vite, nel vuoto che segna troppo spesso la socialità tra uomini, nella impossibilità a riproporre modelli, linguaggi e prospettive di realizzazione di sé che il mondo del maschile offre e che appaiono ormai per molti versi inservibili. Non più credibili.
Notes de bas de page
1 Michael Kimmel, The contemporary “crisis” of masculinity in historical perspective, in The Making of Masculinity, a cura di Harry Brod, Boston, Allen & Unwin, 1994, pp. 121-153.
2 Massimo Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna cit.
3 Id., Patria senza padri. Psicopatologia della politica italiana, a cura di Christian Raimo, Roma, Minimum fax, 2012
4 Aa. Vv., È accaduto non per caso cir.
5 Si veda il già citato documento Sesso e politica nel post-patriarcato, di Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamar Pitch, Bianca Pomeranzi e Grazia Zuffa.
6 Ida Dominijanni, Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, Roma, Ediesse, 2014.
7 Un esempio di questa lettura, non casualmente inserito nell’approccio culturale delle politiche per le pari opportunità, fu l’iniziativa assunta nel 2007 dalla ministra norvegese Karita Bekkemellem che istituì un comitato di 32 “saggi” per generare una discussione pubblica sui diritti degli uomini e sulla loro condizione di disagio di fronte alla crescita di emancipazione femminile.
8 George L. Mosse, The Image of Man cit.
9 Lorenzo Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo. L'omosessualità nell’esperimento totalitario fascista, Milano, Feltrinelli, 2005.
10 Ivi, p. 110.
11 George L. Mosse, The Image of Man cit.; trad. it., p. 135.
12 Catia Papa, L’Italia giovane dall’Unità al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 2013
13 Angelo Ventrone, La seduzione totalitaria. Guerra, modernità, violenza politica (1914-1918), Roma, Donzelli, 2003, p. 185.
14 Sandro Bellassai, La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del PCI (1947-1956), Roma, Carocci, 2000, p. 8.
15 George L. Mosse, The Image of Man cit.; trad. it., pp. 201, 202.
16 Cfr. Tiantian Zheng, Masculinity in crisis: effeminate men, loss of manhood, and the nation-state in postsocialist China, “Etnográfica, Revista do Centro em Rede de Investigação em Antropologia”, vol. 19 (2), 2015 pp. 347-365.
17 Cit. in Jason Stefan Lieblang, The Representation of Masculinity in Crisis: An Interrogation of Its Roots and Reason, University of Toronto, 2015, p. 11.
18 Ivi, p. 6.
19 Ivi, p. 199.
20 Gilles Deleuze, Che cos’è un dispositivo? [1989], Napoli, Cronopio, 2007, p. 18.
21 Michel Foucault, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982), Milano, Feltrinelli, 2003, pp. 10, 11, 217 e ss.
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Maschi in crisi?
Ce livre est cité par
- Ciccone, Stefano. (2023) Categorie interpretative, rappresentazioni implicite e resistenze di fronte alla violenza nelle relazioni. Una lettura di genere situata al maschile. Ricerca Psicoanalitica, 34. DOI: 10.4081/rp.2023.756
- Stagi, Luisa. Benasso, Sebastiano. Guzzetti, Luca. (2022) The sovereign meal of the male leader. Anthropology of food. DOI: 10.4000/aof.13390
Maschi in crisi?
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