4. Le posture maschili di fronte al cambiamento
p. 57-86
Texte intégral
1Incontrando i ragazzi nelle scuole, partecipando a tanti incontri pubblici con uomini sulla violenza o sui modelli di genere, analizzando i periodici e le rappresentazioni pubbliche, mi sono trovato di fronte a differenti atteggiamenti maschili verso il cambiamento in atto nelle relazioni tra i sessi e nelle sue rappresentazioni. Diverse posture che dimostrano il carattere problematico e contraddittorio dell’elaborazione maschile dei processi di mutamento e l’effetto della mancanza di strumenti e categorie per dare a questo mutamento un’interpretazione “espansiva”.
2Spesso si tratta di rappresentazioni collettive, in altri casi di atteggiamenti individuali. Possono riferirsi a prospettive politiche o teoriche di ostilità al cambiamento, oppure di ricerca di collocazioni originali. Molto spesso si tratta della riproposizione in termini aggiornati di modelli tradizionali.
3Sarebbe un errore distinguerle, in modo semplicistico, tra resistenze misogine e aperture innovative: se superiamo le apparenze, infatti, troviamo che spesso queste differenti posture hanno una più profonda continuità tra loro e disegnano un scenario comune.
4Quando proviamo ad analizzarle, scopriamo che nelle nuove espressioni si celano invarianze e imprevisti ritorni indietro che rivelano come modelli e strutture profonde della mascolinità sopravvivano e si ridefiniscano nei processi di cambiamento. Allo stesso modo le espressioni ostili al cambiamento non sono mai la riproposizione lineare di un modello tradizionale gerarchico. Come abbiamo visto, il dibattito femminista propone di considerare “post-patriarcali”1, più che semplicemente “tradizionali”, comportamenti esplicitamente regressivi come la violenza maschile contro le donne perché non sarebbero il frutto lineare di retaggi arcaici, indice di un incompiuto mutamento, ma il sintomo dell’avvenuta rottura di un ordine simbolico tradizionale.
5Contemporaneamente molti cambiamenti restano invisibili in assenza di una loro adeguata rappresentazione sociale ed espressione collettiva.
6Il fatto che non siano disponibili categorie per dare nuovi significati all’esperienza maschile rischia frequentemente di confondere atteggiamenti tra loro molto diversi e di far sì che la potenzialità di spinte, seppure indeterminate, all’espressione di un disagio, o addirittura desideri di distinguersi da modelli tradizionali, vengano “risucchiati all’indietro”, subendo l’attrazione di narrazioni misogine o revansciste.
7Il nodo centrale è la fragilità del cambiamento maschile e il suo essere continuamente esposto a ritorni indietro.
L’estraneità: “voi ce l’avete con gli uomini, io non sono così”
8In una scuola media della provincia di Roma un ragazzino, considerato dagli insegnati tra i più indisciplinati, si oppone al nostro discorso sui ruoli e le discriminazioni di genere e ci dice: “Io non sono così, siete voi ad avercela coi maschi. Anche qui a scuola appena c’è un guaio – se si rompe un vetro o scompare un quaderno – le insegnanti sono subito pronte a incolpare noi. Sì, forse le donne nella storia hanno avuto meno diritti, ma qui siamo noi a essere nel mirino”.
9In questa obiezione c’è molto più di quanto sembri. Riconosce astrattamente che nella società c’è un privilegio maschile, ma nel suo contesto vede un pregiudizio ostile verso i maschi: sono considerati meno affidabili, meno diligenti, meno ubbidienti, più aggressivi, più prepotenti, meno ordinati… questo implica che l’insegnante li rimproveri più di frequente ma è, al tempo stesso, il fondamento del loro privilegio, del loro destino a competere, emergere, imporsi. Le ragazzine sono considerate più disciplinate, più miti ed empatiche, ma queste “qualità” le assegnano a un destino di cura e minorità. Il ragazzino che ci contesta coglie questa contraddizione: non farebbe mai a cambio con la scarsa “autorevolezza” delle “femmine”, non rinuncerebbe alla libertà della sua “trasgressione”, ma svela l’ipocrisia di quel rimprovero.
10L’esuberanza maschile è percepita come “naturale”, mentre chi evidenzia quei ruoli stereotipati per metterli in discussione viene percepito come chi vorrebbe inchiodare le persone a quel destino che ognuno e ognuna sente di poter superare. Questo meccanismo vale anche per le ragazzine e le ragazze delle superiori: evidenziare un sistema di disparità, di discriminazioni e relazioni di potere sembra voler negare la loro percezione di libertà.
11Ciò dipende molto da come parliamo degli stereotipi e delle discriminazioni di genere: da un lato per condannare un sistema rischiamo di rappresentarlo statico e di negare gli spostamenti e le novità, schiacciando le donne nel ruolo di vittime e nella condizione di soggezione, e gli uomini nei comportamenti di dominio e conformismo “maschilista”. D’altro lato troppo spesso le critiche alle disparità tra donne e uomini mettono in discussione solo apparentemente le rappresentazioni di genere e, anzi, ripropongono ruoli e rappresentazioni stereotipate, solo con un’apparente inversione di valore: e così troviamo insegnanti, riviste o filosofi che decantano le tradizionali virtù femminili dell’empatia, della gestione multitasking o dell’intuito, e lamentano la perdita delle virtù virili dell’autocontrollo: e rimproverano ai maschi l’incapacità di cura e la scarsa sensibilità.
12Anche in questo caso vecchio e nuovo si confondono: la critica femminista e la tradizionale “lamentazione” femminile, propria del “gioco delle parti” tra i generi, vengono sovrapposte.
13Il femminismo viene così confuso con quello che è stato definito “femminilismo”: una valorizzazione della “femminilità” che enfatizza una malintesa “essenza” femminile schiacciando i due generi nella loro rappresentazione stereotipata. Mi è capitato molte volte di incontrare donne, insegnanti o professioniste che interpretano il proprio essere “contro” il sistema patriarcale lodando le attitudini che proprio quel sistema attribuisce alle donne, salvo poi osservare che il “femminismo” avrebbe esagerato nell’attaccare gli uomini.
14Ma, a pensarci bene, la reazione di quel ragazzino non è una banale negazione: rivela una rottura che dovremmo cogliere e valorizzare. Non difende l’esistente: magari contesta i nostri discorsi, ma per farlo afferma che “non tutti i maschi sono così”, rivela di percepire una distanza tra la propria realtà esistenziale e relazionale e la rappresentazione del maschile che sente di ricevere. È una reazione ambivalente, perché contiene una resistenza a misurarsi con le letture critiche dei modelli tradizionali e uno spostamento rispetto a quei modelli.
15La riproposizione di un ordine passato come necessario e immutabile è rara.
16La percezione confusa del proprio cambiamento, posta di fronte a un discorso pubblico che conferma la critica a relazioni gerarchiche, e a modalità relazionali oppressive, non porta a collocare se stessi in questo cambiamento e a incoraggiarlo ma, paradossalmente, a percepire queste critiche degli stereotipi come esse stesse stereotipate e frutto di un pregiudizio ostile verso gli uomini, indisponibile a riconoscerne il cambiamento.
17Se mi rimandi a quello schema è perché, o vuoi riportarmi al passato, oppure vuoi colpevolizzarmi di qualcosa di cui non sono parte e non ho responsabilità.
18La protesta di estraneità alla tradizione maschile e alle sue responsabilità mostra la sua caduta misogina quando contesta la “colpevolizzazione degli uomini” per la violenza. Formalmente ci si pronuncia contro la violenza – chi, d’altronde, potrebbe dirsi a favore? – ma in realtà si ribalta questa presa di posizione in un’ostentazione di vittimismo maschile che occulta la realtà della violenza maschile contro le donne.
La manipolazione culturale ci porta altrove: non devo sentirmi un potenziale camorrista perché in tv parlano dell’omicidio di camorra, in tal caso non ho colpe “di categoria”; però devo sentirmi un potenziale assassino quando in tv parlano della donna uccisa da un uomo, in questo caso ho responsabilità “di categoria”. O meglio, di genere. C’è una Colpa Collettiva da espiare. Non solo l’uccisione, anche le percosse o i maltrattamenti ad una donna dovrebbero scatenare sensi di colpa nell’intero genere maschile. Sdegno sì, è ovvio, ma la colpa? Perché dovrei fare il mea culpa quando in tv parlano di violenza domestica, perché dovrei fare autocritica verso i miei comportamenti, le mie responsabilità, i miei atteggiamenti con l’altro sesso? Sono radicalmente e laicamente antiviolento, e ne vado orgoglioso; tale rimango anche se il vicino di casa malmena la moglie. Prendo le distanze da chiunque perseguiti, umili o maltratti qualunque persona, senza distinzioni. Non è una lettura maschilista (maschilista, altro insulto, un’ignobile onta contrapposta a femminista…), il principio è trasversale al fatto che la vittima di violenza sia uomo o donna, meridionale o settentrionale, giovane o anziana, italiana o straniera. Non mi interessa alcuna classificazione di genere, religione, età, orientamento sessuale o altro, è una persona. E in quanto persona, portatrice di diritti inviolabili. Però le mie motivazioni sono incompatibili con il sentire comune: mi indigno perché la vittima è una persona, non perché è una donna. Invece sembra che dovrei indignarmi di più proprio perché è una donna, come anche dovrei sentirmi in colpa perché è una donna. Colpa unidirezionale, ovviamente. Perché il maschio – si sa – è violento per natura, mentre il fenomeno a ruoli invertiti non esiste. Indignazione rosa imposta urbi et orbi, il diritto al dissenso non è contemplato, come il pensiero autonomo.2
19In questo intervento di un esponente della galassia revanscista maschile, l’affermazione della propria estraneità si mescola alla denuncia vittimista di un complotto antimaschile. La negazione dell’esistenza di uno specifico fenomeno di violenza maschile contro le donne viene contrabbandata come coraggiosa resistenza contro la “manipolazione culturale” dominante.
20Dirsi “contro tutte le violenze” sembra una posizione radicale ma in realtà dice: “tutte le violenze sono uguali e nessuna di queste violenze mi chiama in causa”. Mi basta dichiarare la mia estraneità e poi disinteressarmene.
21Come se la violenza fosse una furia generica che colpisce indiscriminatamente donne, stranieri, anziani, e non avesse cause e radici sociali e culturali da affrontare. Riconoscerle non vuol dire indignarsi solo quando le vittime sono donne, ma riconoscere che i maltrattamenti in famiglia, i ricatti sessuali, gli stupri o le uccisioni in seguito a separazioni non sono il frutto generico di devianti, ma di una cultura. Una cultura a cui apparteniamo, ma anche dalla quale possiamo discostarci. Così, anche se non siamo mafiosi possiamo contrastare la cultura mafiosa dal nostro contesto culturale, oppure restare nell’omertà di chi nega l’esistenza della mafia come fenomeno sociale. Ci mobilitiamo contro le uccisioni o le intimidazioni di mafia non perché consideriamo quelle vittime più meritevoli, ma perché riconosciamo la specificità del fenomeno mafioso da combattere.
22Al fondo l’equivoco è proprio nell’ostentazione di estraneità: si contesta la colpevolizzazione di una natura maschile e si confonde il riconoscimento del carattere culturale e sociale della violenza con il “mea culpa” degli uomini come “categoria”.
23Nelle reazioni dei ragazzi osservate nelle scuole, l’insofferenza verso rappresentazioni semplificate del maschile che ne neghino complessità ed evoluzione può rivelare il desiderio di “smarcarsi” dalla rigida norma di riferimento, ma finisce non di rado col tradursi nella difesa contro una “denigrazione del maschile” o di insofferenza verso quello che viene percepito come un pregiudizio “femminista”.
24Questo doppio movimento porta paradossalmente una forma di cambiamento a essere risucchiata in un richiamo “patriarcale”.
25La percezione di una distanza tra sé e un modello tradizionale di maschile mostra la potenzialità di uno spostamento, l’assunzione di un mutamento avvenuto, ma può anche risolversi nella tradizionale ostentazione di estraneità, di rimozione.
26Non è solo questo quindicenne di provincia a lamentare un pregiudizio antimaschile. E non sono nemmeno solo le associazioni esplicitamente maschiliste e misogine: un simile comportamento si può osservare anche in uomini politicamente impegnati che rifiutano di essere accomunati ai modelli dominanti ed esprimono questa resistenza criticando “gli eccessi del femminismo”, o una politica delle donne ancorata al passato. Questa risposta confonde la denuncia di una cultura dominante e pervasiva con l’accusa rivolta a una presunta “natura maschile”, e corre ad affermare la propria estraneità. Un docente universitario, attorno ai sessanta anni, mi dice:
Considerati i tuoi assunti ti sembrerà dissonante sentire che – nella mia cinquantennale esperienza di relazioni con l’altro genere – quasi mai ho avuto la sensazione che i conflitti con le mie partner fossero dovuti principalmente a un’esibizione, a un esercizio eccessivo, della mia virilità, con ricadute oppressive: forse, paradossalmente, si potrebbe anzi sostenere il contrario. […] e non penso che la formazione della mia “identità sessuata” sia stata un’eccezione. [Rivendico] una convinta estraneità rispetto al modello generalizzato di maschio che tu descrivi.
27Anche in occasione di incontri tra donne e uomini basati su una ricerca di relazioni più libere e consapevoli, e dunque frequentate da uomini impegnati in una riflessione critica sulla propria maschilità, emerge spesso una sorta di insofferenza maschile verso quella che sentono come un’accusa immeritata che non riconosce il proprio percorso di cambiamento. Affermando la propria estraneità ai modelli dominanti, molti uomini tendono a rimproverare alle donne l’attaccamento a una mascolinità o a una forma di corteggiamento stereotipati in cui non si riconoscerebbero più. Al tempo stesso il desiderio di un’assunzione di responsabilità maschile da parte delle donne appare a volte come una richiesta di un riconoscimento di colpa, di una riparazione a quanto vissuto nella propria vita. Così gli spostamenti reciproci non producono necessariamente un mutamento delle relazioni ma le riportano indietro nella dinamica della reciproca recriminazione. Considerandosi oltre il modello tradizionale maschile, si pensa di affermare la propria originalità contro “i pregiudizi femminili”, invece che in conflitto con quel modello.
28Franco La Cecla3 contesta al “femminismo” una forma di essenzialismo contro gli uomini: “la stessa per cui i tedeschi sono tutti potenzialmente nazisti, cioè una forma di razzismo, se questo significa attribuire a una parte dell’umanità un’attitudine fissa e costante”. Ma è proprio la confusione tra “natura maschile” e cultura patriarcale a creare l’equivoco. Paradossalmente la “coscienza di gruppo di uomini che si sentono stanchi di essere etichettati come cattivi” non produce l’espressione esplicita di una rottura e un’alterità rispetto ai modelli dominanti ma, al contrario, un ritorno indietro. La reazione si può riassumere così: io non sono un violento oppressivo, ma un pregiudizio contro gli uomini porta a denigrarli descrivendoci tutti come violenti, quindi più che contrastarne le espressioni violente devo difenderne “il buon nome”.
29La mancata elaborazione dei diversi significati può portare dunque a sovrapporre atteggiamenti tra loro molto diversi, e far sì che spinte indeterminate all’espressione di un disagio o addirittura alla distinzione da modelli tradizionali vengano “risucchiate all’indietro” e subiscano l’attrazione di letture misogine o reattive.
30In questa “postura vittimistica” La Cecla ricorda:
Chi scrive è un maschio, bianco, occidentale, anzi peggio, europeo, non indigeno, non appartenente a fedi religiose orientali, di mezza età, single, con un’educazione occidentale, anzi classica, – che altro devo dire per anticipare con i distinguo le classificazioni bio-politiche senza le quali non ho diritto a parlare di questa faccenda?
31Ma siamo sicuri che il femminismo parli di una “natura maschile” originaria e chieda agli uomini di tacere sulle relazioni di potere tra i generi che si sono consolidate nei secoli? E se invece riconoscessimo come uomini una domanda che non possiamo più rimuovere sul nostro immaginario, le forme del nostro desiderio, il nostro modo di stare al mondo, e provassimo a prendere parola proprio a partire dalla nostra esperienza?
32Se considero la rappresentazione del maschile una caricatura, se credo che gli uomini non siano per natura superficiali, oppressivi, perché non provare a dirlo e far valere nel mondo un modo diverso di essere? Forse perché appena ce ne discostiamo ci accorgiamo di non avere a disposizione altre rappresentazioni e che ogni espressione differente viene stigmatizzata come ridicola, “buonista”, effeminata o ipocrita.
33Non si tratta di contrapporre nuove norme, o la predica ipocritamente corretta alla “trasgressione” della spontaneità dei comportamenti maschili, ma, al contrario, di svelare le regole invisibili, non scritte ma ferree, che disciplinano i nostri comportamenti, le nostre relazioni ma anche i nostri desideri.
La sottrazione
34Guardando alla difficoltà con cui noi uomini cerchiamo di esprimere il nostro spostamento rispetto alle generazioni precedenti e ai modelli dominanti di mascolinità e le relative aspettative sociali, viene in mente la famosa poesia di Eugenio Montale che si conclude con questi versi:
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti | sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. | Codesto solo oggi possiamo dirti, | ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.4
35Non riconoscersi in un ruolo, in una tradizione, in un linguaggio e non disporre di un nuovo linguaggio e un diverso modo di rappresentare se stessi e i propri desideri: è una difficoltà che incontro di frequente e che spesso porta a non agire il cambiamento ma a sottrarsi. La vedo nei ragazzi delle scuole che mi chiedono: “Ma come posso essere diverso dai modelli maschili che non mi piacciono? Come si fa a essere un uomo che non agisce violenza?” Spesso queste domande cercano una “ricetta”, un modello che riempia un vuoto e risolva l’indeterminatezza di una condizione a metà tra un vecchio in cui non ci si riconosce e un nuovo che non si sa definire.
36Nella stessa esperienza delle associazioni maschili antisessiste e nei gruppi di condivisione maschile, il timore di cadere nei vizi tradizionali del maschile da cui si è cercato di distanziarsi (il gregarismo, la ricerca narcisistica della visibilità, la competizione per il successo e l’affermazione pubblica, la competizione, l’assunzione di logiche di appartenenza, la pulsione a “governare” la realtà) porta paradossalmente a sfuggire pratiche collettive e visibili socialmente e dunque a sottrarsi da un conflitto con il discorso maschile dominante nello spazio pubblico.
37Più in generale molti uomini, non riuscendo a riconoscersi in modalità relazionali e ruoli attribuiti socialmente al modello di mascolinità, tendono a sottrarsi alle dinamiche competitive maschili vissute nel mondo del lavoro e della socialità, all’obbligo della performance e del conseguimento di risultati economici e professionali, alle continue richieste di conferma della propria mascolinità.
38Ma anche questa scelta della “sottrazione” è segnata da ambiguità e ambivalenze. Anche in questo caso il vecchio e il nuovo si mescolano e si confondono: la sottrazione a un ruolo sociale in cui non ci si riconosce può diventare sottrazione alle proprie responsabilità e all’impegno nelle relazioni. Il gesto di resistenza rischia paradossalmente di riprodurre il luogo comune della fuga maschile dalle responsabilità della cura e delle relazioni.
39Il riferimento al senso comune per analizzare il cambiamento finisce col sovrapporre la tradizionale “inaffidabilità maschile” nelle relazioni alla novità di una sottrazione maschile figlia di un rifiuto di modelli, ruoli e riferimenti simbolici tradizionali; o, peggio, col riproporre la retorica sulla “fine” e la scomparsa degli uomini. Gli uomini non ci sono più, non si può fare affidamento su di loro, non si mettono in gioco, non sanno più divertirsi e corteggiare. Simone Perotti, in un libro dal titolo emblematico Dove sono gli uomini? attraversa tutte le forme di assenza, sottrazione e inadeguatezza maschile e osserva:
Le quarantenni di oggi sono il frutto di una semina avvenuta negli anni settanta […] Le loro madri, e talvolta le sorelle maggiori […] hanno prodotto una rivoluzione […] chi non ha molto da compiacersi sono i padri dei quarantenni di oggi […] non hanno contribuito a nessuna rivoluzione di genere, hanno messo al mondo e allevato una genia di uomini disorientati incapaci di stare al passo con le loro madri e soprattutto con le donne che avevano come sorelle, amiche e amanti. Sono quelli che sono rimasti indietro in questa lunga storia.
40Anche il testo di Perotti, sempre sul filo della confusione tra luogo comune e riflessione sul maschile, si conclude proponendo che:
Forse è il tempo per una rivoluzione maschile. [ma per compierla gli uomini] per primi devono ammettere la loro condizione di spaesamento, il loro bisogno di riscrivere un’identità troppo debole e confusa per funzionare e risultare attuale. Sono gli uomini a doversi analizzare come genere, a dover ammettere il fallimento o almeno l’inattualità del modello, a dover far pace con la frustrazione professionale, a doversi concedere nuovi sogni e il coraggio per perseguirli. Se gli uomini non si riconoscono nell’idea di mascolinità e umanità con cui vengono giudicati, lo dicano.5
41Ma, a questo proposito, cita Iaia Caputo6:
Mai come in questo momento gli uomini sembrano non avere le parole per “dire” la loro paura e il loro smarrimento, la loro fragilità e i loro desideri.
42Ripiegamento e sottrazione si intrecciano come segni di un disagio a interpretare il proprio ruolo sociale e a stare nelle modalità conosciute di relazione tra i sessi. In un gruppo di condivisione tra uomini questa contraddizione viene espressa con un riferimento al femminile solo implicito:
Vengo rimproverato di essere egoista, inconcludente e inaffidabile, ma io mi sono stancato di dover essere quello che risolve tutto.
43Sempre nei dialoghi svolti in un gruppo maschile di condivisione, emerge come questo spostamento non riguardi solo l’assunzione di responsabilità o la gestione dei conflitti con le donne, ma anche le dinamiche di seduzione e corteggiamento: una sottrazione dalle relazioni affettive o dalle dinamiche di seduzione che porta molti uomini alla prolungata solitudine.
Posso dire che avviare una riflessione su di me, cercare di essere più consapevole, mi ha anche creato dei problemi con le donne. No… Ho moltissimi rapporti bellissimi con amiche e anche con ex. Ma è come… se avessi perso la spontaneità, la spensieratezza che vedo in altri quando si tratta di corteggiare una donna che ti piace. Mi guardo e… non riesco a crederci, mi sento ridicolo a interpretare la maschera dell’uomo… E però non so inventare un modo diverso che non sia pesante… vorrei essere capace di mostrare il mio desiderio senza essere volgare, essere divertente senza essere ridicolo. E anche le donne… quando si tratta di quella fase del corteggiamento… sembra che cerchino quel modello di uomo di cui si lamentano quando la relazione c’è…: gli piace il bel tenebroso, il galante, lo sbruffone, quello che la sa lunga… tutte caricature che se le guardi da fuori non puoi restare serio…
44Oltre l’eterna paura di inadeguatezza, che ogni generazione di donne e uomini ha affrontato nel confronto con la sessualità e l’affettività, emerge una specifica difficoltà a fare ricorso a modalità comunicative e relazionali di cui si percepisce confusamente l’obsolescenza o la dissonanza con la propria soggettività. Il senso di inadeguatezza e la percezione di non disporre delle risorse “epistemologiche” per affrontare la dinamica della seduzione, in cui più esplicitamente ci si misura con modelli codificati di relazione tra i generi, risulta paralizzante. Anche in questo caso non va confusa la nostalgia per riferimenti identitari e comportamentali perduti con il suo opposto, e cioè l’impossibilità di riprodurre modelli e posture maschili tradizionali che percepiamo come non più credibili.
45Similmente il rifiuto del modo tradizionale di essere padri, e più in generale di essere uomini adulti, può portare a restare figli. E nelle coppie questa sottrazione può incontrare un atteggiamento femminile di ricerca di controllo e di non affidamento nella cura dei figli. La rinegoziazione dei ruoli incontra così, ancora, molte difficoltà per una reciproca difficoltà a riconoscere il cambiamento dell’altra/o e a ridefinire la propria identità sociale e relazionale.
46Ovviamente questa tensione non sempre si risolve nell’abdicazione maschile a una responsabilità: è il caso di insegnanti ed educatori uomini che ho incontrato nelle scuole e che mettono in gioco una responsabilità pedagogica e al tempo stesso una consapevolezza critica, provando quotidianamente a reinventare strategie relazionali e comunicative7. La consapevolezza del fatto che il proprio universo maschile di riferimento sia per molti versi non riproponibile, privato di autorevolezza e credibilità innanzitutto agli occhi di se stessi, non porta a sottrarsi totalmente al ruolo pedagogico, ma a rideclinarlo di continuo facendo ricorso all’ironia e allo spostamento.
47Questa sensazione di non poter riproporre modalità consolidate nel mondo del lavoro e nelle relazioni, la tendenza a sfuggire da modalità competitive, e la difficoltà a trovare codici di comunicazione nelle relazioni, si esprimono soprattutto nella “generazione” di mezzo, a cavallo tra i quaranta e i cinquant’anni. La generazione precedente degli uomini ha vissuto l’entrata in crisi del modello maschile dei propri padri e ha sperimentato direttamente il conflitto aperto dalle donne nella società, ma anche nelle relazioni personali.
48Per le generazioni più giovani, lo stesso nodo delle relazioni sessuali e affettive si pone probabilmente in forme differenti, innanzitutto per una differente postura femminile, e la precarietà è uno scenario dato, e il rapporto con il lavoro come elemento di verifica o definizione della propria identità è forse meno esplicitamente presente.
49Di “sottrazione maschile” si parla anche in modo ricorrente nelle “indagini di costume” dei periodici dove torna il luogo comune dalla recriminazione femminile per “uomini inaffidabili” o che non stanno al passo:
Perché gli uomini non si trovano? Carina brillante […] senza uno straccio di fidanzato […] nel suo libro, date-onomics, spiega perché: ci sono tante donne laureate e single ma negli Usa come in quasi tutti i paesi occidentali non ci sarebbero abbastanza uomini con laurea per soddisfare la richiesta del mercato femminile. (“Cosmopolitan”, 9.12.2014)
50La sottrazione nelle relazioni da parte delle donne è rappresentata soprattutto come indice di una ricerca di autonomia, e la separazione femminile è raccontata come il frutto di una delusione e di un’insoddisfazione per un maschile che resta indietro:
“Ti amo ma non voglio vivere con te”. Aumentano le giovani donne che, pur fidanzate, scelgono di non convivere. Per dedicarsi alla carriera? No. Per salvaguardare autonomia e libertà. Una rivoluzione silenziosa, che sta cambiando i modelli tradizionali. […] Secondo i dati raccolti dal sito di dating Parship.com, meno di un terzo dei single sogna la convivenza o il matrimonio. L’indagine svela altri particolari inaspettati sulle giovani single: il 18 per cento vuole sì essere fidanzata, ma non desidera condividere la casa. Solo l’8 per cento degli uomini, invece, vuole mantenere la propria indipendenza domestica. Il modello classico è cambiato. Oggi è la donna a tirarsi indietro.
Antonella, vive felicemente da sola. “Il mio incubo in un rapporto di coppia? Vivere con un uomo che si aspetta di tornare a casa e trovare la cena pronta. Nessuno lo direbbe mai ad alta voce, ma nei fatti è un’aspettativa di molti più uomini di quanto si pensi. Abito per conto mio da 15 anni, sono abituata a organizzarmi da sola e a decidere se e quando stare in compagnia. …Alcune mie amiche mi dicono che è un pensiero… ‘da maschio’, ma è ancora una distinzione che ha senso oggi?”
Carmen Leccardi, ordinario di Sociologia della cultura all’Università di Milano Bicocca, si sofferma su questo cambiamento sociale e temporale. “Poter scegliere è sempre un vantaggio. Le giovani donne sono consapevoli che l’esplorazione dei propri desideri non debba essere ingabbiata in una relazione con il partner. Vogliono avere tempo e spazio per sé, e non seguire passivamente la tradizione. I confini della coppia sono meno oppressivi, ora c’è spazio per le amicizie e per la solitudine. È un grande passo in avanti. […] Vivere per conto proprio è un fenomeno sempre più diffuso”. Questa scelta”, sottolinea Klinenberg, “promuove valori moderni come la libertà e la realizzazione personale”. (“D”, 12.9.2014)
51Allo stesso modo la ricerca di relazioni fluide tra donne è dettata da un desiderio trasgressivo e di sperimentazione, mentre la scelta maschile di “separazione” appare frustrata, rabbiosa e rancorosa:
C’eravamo tanto amati. Poi dev’essere successo qualcosa. Cito a caso: il femminismo, o la sua coda lunga. La crisi dei modelli maschili. La crisi dei modelli in genere, penso a Zygmunt Bauman con la sua “modernità liquida” dove tutto è effimero, a partire dai sentimenti. Magari c’entrano anche gli eccessi del politicamente corretto, che alla fine – come un farmaco mal dosato– genera effetti-paradosso. Insomma ha tante cause, e di molte nemmeno sappiamo, la nuova diffidenza tra uomini e donne che raccontiamo questa settimana: ma il risultato è un voluto separatismo sessuale, maschi coi maschi, femmine con femmine. I primi intenti a circoscrivere perimetri pignoli col movimento Mgtow, cercando di tenere ben lontane donne che non sopportano più. Le seconde, più spensieratamente, a esplorare percorsi “women’s only” soprattutto erotici, nei nuovi skirts club di Londra. […], comunità underground per sole donne che vogliono esplorare se stesse e “giocare” con altre donne. (“D”, 9.1.2015)
52La “tendenza” degli uomini che si sottraggono a relazioni significative con le donne viene presentata da “D di Repubblica” e successivamente da “Panorama”, poi da “il Foglio del lunedì” e in seguito sul sito “dagospia”: si tratta dei Mgtow (acronimo inglese per “uomini che se ne vanno per la loro strada”). Se “Panorama” esplicita la postura conflittale e revanscista, “D di Repubblica” enfatizza l’espressione di una fragilità maschile.
Uomini che odiano le donne. Hanno deciso di tagliare i ponti con il mondo femminile. […] E aumentano in tutto il mondo, Italia compresa. Intanto le donne si attrezzano per la propria (altrettanto rigida) autonomia.
Stanno crescendo, e sono tutti maschi […] ed è solo la più massiccia delle espressioni del disagio di un esercito di centinaia di migliaia di uomini. “mgtow è una dichiarazione di autoappartenenza, per cui l’uomo moderno preserva e protegge la propria sovranità sopra ogni cosa. Rifiuta d’inginocchiarsi per avere l’opportunità di essere trattato come un servizio disponibile. E vive secondo i propri interessi in un mondo che preferirebbe non lo facesse.” Un disagio profondo, potente, inarrestabile.[…] i codici di comportamento mgtow non sono omogenei né rigidi. Alcuni somigliano agli “erbivori” giapponesi (asessuali, passivi e votati al lavoro: l’ultimo sondaggio mostrava che il 40 % dei maschi sposati in Giappone non aveva rapporti sessuali da oltre un mese), altri ai misogini di antica stirpe. A un estremo il monk mode ovvero un voto di celibato totale, all’altro quelli che hanno una relazione ma impongono limiti alla compagna come il non avere figli (perché in caso di separazione perderebbero ogni diritto su di loro). (“Panorama”, 2.12.2014)
“Dal buio alla luce” annuncia l’inquietante speaker maschile dell’ultimo video postato sul sito del movimento (Mgtow.com). Stanno aumentando. E appartengono a tutte le generazioni, dalla X ai Millennials. Non a caso il video di cui sopra si chiama The awakening, il risveglio. […] Al cinema, Katniss di Hunger Games è solo l’ultima delle eroine e i maschi soffrono: “Perché non ci facciamo il nostro supereroe visto che anche Marvel li sta femminilizzando tutti? Lo chiamiamo Migtowan”. […] “Ciao a tutti, sono Alessandro. Sono Mgtow da qualche anno, da quando la mia ultima relazione si è sfaldata (come tutte quelle precedenti) e ho deciso che non ne volevo più sapere né di donne né di relazioni tradizionali. Il distacco è stato progressivo […] Sono passato a letture più incentrate su una crescita personale, molto mi hanno aiutato anche i podcast di show radiofonici made in Usa incentrati sulla vera natura femminile. Il distacco dal ginocentrismo è stato completato, anche se in realtà viviamo immersi in un regime misandrico/femminista a tutti gli effetti”. […]
“Il fenomeno che io colgo e che sta crescendo almeno da tre anni in Italia e in Europa è distacco, difesa e fuga nel rapporto col genere femminile” spiega Giorgio del Mare, fondatore di Methodos ed esperto di culture organizzative. “Il confronto con la donna è percepito come non conveniente dal punto di vista psicologico, profondo, emozionale. Il che non riguarda l’output dei gusti sessuali ma l’atteggiamento: mancanza di desiderio nell’investire, disinteresse nel conoscere l’altro genere. Oggi nessuno più direbbe che le donne sono più emotive e meno razionali: il trend comune vincente, anche professionale, è femminile e la sconfitta culturale ripetuta porta il maschio ad arretrare in difesa. Penso che questo fenomeno si allargherà”.
Un disagio verso le donne trasformate da mezzo secolo di femminismo in quelle che loro chiamano “femminazi”. […] addio, donne. Ce ne andiamo per la nostra strada. […] Non temute, ma allontanate. Non combattute ma fatte scivolare nell’ombra: i Mgtow dicono di voler raggiungere verso le donne l’indifferenza. […] “Ciao, ho 40 anni, sono un sostenitore sfegatato del Mgtow” racconta hunter_75 al forum “maschile radicale”. “Da 15 anni sono felicemente single. A parte il divertimento con una simpaticissima scopamica, per il resto ho perso interesse per l’universo femminile. […] troppi uomini ancora addormentati e pecoroni che continuano a farsi mettere i piedi in testa dall’altro sesso, convinti che la via esistenziale giusta da seguire sia lo zimbello socialmente precostituito di farsi fregare da quella mostruosa truffa femminista chiamata Matrimonio”. (“Panorama”, 26.11.2015)
53Come si vede gli spunti sono tanti e anche la confusione: il matrimonio una truffa femminista, il vittimismo, la percezione di un complotto anti maschile. Il luogo del potere seduttivo femminile, la sottrazione come ripiegamento amoroso. Il desiderio maschile di separazione dal femminile trova una lettura meno contingente in un commento di Natalia Aspesi:
Gli uomini sono veri quando stanno tra di loro. Era da molti 8 marzo che gli uomini non avevano sentito il bisogno o il dovere (o l’ipocrisia) di esprimersi quasi in massa in favore delle donne. Questa volta tutti a trovarle fantastiche e meglio dei maschi. A questo punto forse è arrivato il momento di fissare una data per celebrare anche gli uomini (tralasciando la festa del papà) che da un po’ di tempo paiono tornati agli anni ’70, quando facevano autocoscienza contro i loro peccati maschilisti, e oggi si ritrovano se non pentiti, almeno portati alla riflessione, sempre più confusi e insicuri. E finalmente vorrebbero capirle le donne, cosa che ben pochi hanno tentato di fare nei secoli; e anche quei pochi hanno spesso sbagliato ritenendole come loro le pensavano, come volevano che fossero, come dovevano essere, senza provare a chiedersi; ma chi sei veramente, cosa vuoi, come vorresti che io fossi? […] Però anche noi non ci siamo mai chieste veramente, al di là dei nostri bisogni e sentimenti, chi sono davvero, cosa vogliono, cosa pensano che noi pensiamo di loro, come vorremmo che fossero e non sono. […] Ammesso, naturalmente, che anche loro si siano capiti e abbiano trovato il bandolo della loro verità e la capacità di svelarsi; non come individui ma come appartenenza al genere maschile. […] Nei paesi occidentali le donne sono ormai dappertutto, anche in mondi un tempo sigillati come l’esercito, e da noi la separazione netta resiste solo nella chiesa cattolica (suore e sacerdoti, i soli con possibilità di “carriera”) e nello sport. […] Questo però non ci aiuta a capire di più gli uomini, mentre un film come l’americano Foxcatcher ci conferma un sospetto: esiste e forse esisterà sempre una società maschile impenetrabile, che si sente più libera e sicura tenendo fuori le donne anche quando le amano moltissimo, la madre, la compagna, l’amante, come un accessorio indispensabile al loro benessere, alla loro completezza e felicità. Il bel film di Bennett Miller ci racconta di questa squadra di campioni di lotta libera che vivono insieme per prepararsi alle olimpiadi, nella villa di un solitario miliardario che ama quello sport povero. Quando gareggiano, i loro corpi si uniscono in una specie di armonia, i loro silenzi affratellano, la violenza li placa. (“D”, 21.3.2014)
54In questa lettura di Aspesi, l’identità maschile, oscura agli stessi uomini, si fonda su una socialità basata sul non detto e che necessita di luoghi separati per ritrovarsi e proteggersi dal femminile. I saperi, le genealogie e i riferimenti identitari maschili si producono nella separatezza, e la stessa violenza più che esercizio di un dominio è indice di una fragilità.
55La sottrazione maschile appare dunque anch’essa un “fenomeno” controverso che contiene forme vecchie e stereotipate (la sottrazione dalle relazioni, “l’inaffidabilità” degli uomini, la costruzione di spazi separati di omosocialità…) e nuove espressioni o di ostilità al cambiamento (la chiusura rancorosa e vittimistica verso le donne) o di rottura con i modelli dominanti (il rifiuto a ripercorrere ruoli e modelli conosciuti, la perdita di credibilità di linguaggi e modalità stereotipati).
56Il senso di inadeguatezza può essere vissuto come limite personale, che porterà a un esito paralizzante o a ricercare nuove sicurezze in luoghi o culture identitarie maschili, oppure essere vissuto come rivelazione dell’obsolescenza dei modelli dominanti che può aprire una nuova domanda sul proprio stare al mondo.
La trasgressione conformista
57Quando entri in una classe per parlare di violenza maschile o di stereotipi di genere, sai già che sarai accolto dal sospetto e dal fastidio verso chi è venuto a “fare una predica” e a propinare i dettami del “politicamente corretto” sul rispetto, la dignità delle donne, ecc. Diffidenza accresciuta dal fatto che, se è un maschio a dire certe cose, certamente nelle sue parole ci sarà una buona dose di ipocrisia.
58I comportamenti e i linguaggi dei ragazzi, il loro modo di scherzare, le battute volgari, gli insulti, vengono percepiti come frutto di vitalità e “spontaneità”: trasgressioni alle norme della buona educazione, alle regole imposte dal mondo degli adulti. Questo atteggiamento non riguarda solo i ragazzi: anche i colleghi o gli amici che alzano gli occhi al cielo se non trovano l’attesa complicità per la battuta un po’ sessista, misogina o omofoba, o per l’apprezzamento pesante sul corpo della donna che passa accanto. Proprio mentre scrivo mi è capitato di essere “bannato” da un noto economista progressista per non aver apprezzato una sua “innocente battuta” sui social. Sono noiose “le femministe”, e ancor più gli uomini pedanti che “non sanno scherzare”. L’insofferenza verso questo presunto conformismo moralista emerge anche da parte di uomini appartenenti ad associazioni, centri sociali, partiti o sindacati, quando vengono chiamati a discutere di questi temi.
59Ma dov’è davvero la “trasgressione”? Chi trasgredisce veramente le regole sociali? E quali sono queste regole? Quelle del famigerato “politicamente corretto”, o quelle più profonde, e per questo invisibili, del sessismo, tanto invisibili da non essere percepite come imposizione ma come frutto della nostra “natura”?
60Se proviamo a osservare con più attenzione, scopriamo che nella “trasgressione” c’è molto più conformismo di quanto appaia.
61Innanzitutto la trasgressione è, per gli uomini, un obbligo prima che uno spazio di libertà: dai 13 anni in poi devi dire e fare cose schifose, devi fare cose pericolose, devi dire battute “sporche” per mostrare di essere maschio e, nel gioco delle parti tra i sessi, le ragazzine devono dirsi schifate e infastidite per maschi che mettono le dita nel naso, schiacciano animaletti o fanno scherzi violenti. Più avanti ubriacarsi, scavalcare muri, superare i limiti di velocità, fare gare di rutti e sfidare divieti saranno tutte pratiche per confermare socialmente la propria mascolinità. La trasgressione conferma l’osservanza all’obbligo dell’esuberanza maschile.
62Ma non solo. Anche le “parolacce” – per definizione trasgressive rispetto a un linguaggio corretto – possono essere oggetto di richiami da parte degli “adulti”, ma funzionano molto di più come richiamo invisibile, come “dispositivo di disciplinamento”, per i comportamenti di ragazze e ragazzi. Il gruppo di “bulli” che umilia e isola un ragazzo chiamandolo “checca” o “finocchio”, non si limita ad aggredire quel singolo e a denigrare chi ha un diverso orientamento sessuale, ma avverte tutti i maschi presenti dei rischi che comporta trasgredire le norme invisibili della mascolinità8: non puoi esprimere vulnerabilità, devi essere un po’ strafottente, stare alla battuta e alla competizione ritualizzata tra maschi, non devi avere troppa intimità con altri uomini… L’azione del gruppo stigmatizza chi esce dal recinto della virilità, producendo così conformismo e gregarismo.
63Allo stesso modo l’insulto verso una donna che si veste o “si comporta come una troia” non è solo un’aggressione volgare. Produce, anche in questo caso, un dispositivo di disciplinamento della sessualità e della presenza femminile nello spazio pubblico: la tua libertà sessuale, il modo di gestire il tuo corpo nello spazio hanno regole precise anche se implicite, diverse da quelle che riguardano i maschi, e l’insulto conferma queste regole.
64Uscendo dalle scuole ed entrando nel mondo della politica, dei media, troviamo continuamente la confusione che contrappone la virilità tradizionale alle buone maniere, la volgarità trasgressiva al politicamente corretto, la “naturale” complementarietà tra i sessi all’imposizione istituzionale delle “pari opportunità”.
65La riproposizione più o meno consapevole di un vecchio ordine viene così spacciata, e percepita, come resistenza a un “nuovo conformismo”.
66Questa confusione nasce anche dal fatto che il discorso istituzionale sulle relazioni tra i sessi, la violenza maschile contro le donne, la mercificazione dell’immagine del corpo femminile, o la mancata condivisione del lavoro di cura, assume spesso una modalità normativa che sembra proporre l’adozione di nuove regole anziché la rottura di ruoli e modelli di genere. La denuncia di sistemi di oppressione, discriminazione o di rappresentazioni del corpo femminile umilianti e oggettivanti, la denuncia del sistema di scambio di sesso, denaro e potere tra i sessi, rischiano di riproporre una minorità femminile e di essere risucchiate in una critica moralista che non sovverte ruoli e modelli stereotipati di genere.
67La rappresentazione pubblica, inoltre, spesso confonde il femminismo con le regole tradizionali delle “buone maniere” o, peggio, con l’intrusione istituzionale nelle vite individuali, generando un’ulteriore confusione tra vecchio e nuovo, tra conformismo e rottura.
68Così la resistenza a mettere in discussione comportamenti e linguaggi consolidati, e, soprattutto, a riconoscere la propria internità a un sistema rigidamente normativo e gerarchico che regola le relazioni tra i sessi, viene in realtà espressa (e in larga parte percepita) come “trasgressione” rispetto al “conformismo ipocrita e perbenista”. La forza, e la contraddittorietà, di queste argomentazioni stanno proprio nel proporsi come “anticonformiste” ma, al tempo stesso, nel fare riferimento a un senso comune condiviso e radicato. Considerando naturale quello che detta il “buon senso” sulla spontaneità dei comportamenti e le dinamiche tra i sessi, si giunge al paradosso di liquidare come ideologica la critica all’ideologia dominante. Il senso comune è dunque un terreno di conflitto. Per Gramsci9,
[si] dovrebbe partire dalla analisi e dalla critica della filosofia del senso comune, che è la “filosofia dei non filosofi”, cioè la concezione del mondo assorbita acriticamente dai vari ambienti sociali in cui si sviluppa l’individualità morale dell’uomo medio. (Q 8, 173, 1045)
una filosofia della prassi non può presentarsi inizialmente che in atteggiamento polemico, come superamento del modo di pensare preesistente. Quindi come critica del “senso comune”. (Q 8, 220, 1080-1081)
Il senso comune afferma l’oggettività del reale […] in realtà non è realmente “oggettivo”, perché non sa concepire il “vero” oggettivo; per il senso comune è “vero” che la terra è ferma e il sole con tutto il firmamento le gira intorno ecc. (ivi, 467)
[ma le critiche che produciamo del senso comune] Non devono […] né apparire fanatiche o soverchiamente partigiane: devono porsi nel campo stesso del “senso comune” distaccandosene quel tanto che permette il sorriso canzonatorio, ma non il disprezzo o la superiorità altezzosa. (Q 1, 65, 75-76, A)
69Il senso comune è dunque una forma di “naturalizzazione” del reale, degli assetti di potere: si presenta come postura “spontanea”, ma ciò deriva dal fatto che è una visione del mondo inconsapevole, assorbita acriticamente e che corrisponde al modello dominante. La critica del senso comune non può, però, assumere la forma dell’altezzosa affermazione di un modello normativo superiore.
70Denunciare i limiti del “politicamente corretto” non vuol dire tornare al “politicamente indecente”, ma, al contrario, andare oltre: non accontentarsi delle “buone maniere” e cercare una critica più radicale, non un ritorno indietro. Tra il perbenismo delle buone maniere e la battuta arrogante, tra l’omaggio e il comportamento predatorio, c’è spesso molto più in comune di quanto non si creda: l’accettazione del gioco delle parti tra i sessi, la rappresentazione di un femminile angelicato o debole, la rimozione del desiderio femminile e la rappresentazione del desiderio maschile come una pulsione bassa e violatoria.
71Dobbiamo allora sforzarci di leggere le invarianze, il ritorno sotto mentite spoglie di un immaginario tradizionale in modelli di consumo, linguaggi e comportamenti apparentemente trasgressivi.
72Per questo è sempre utile ricordare come la virilità sia composta di polarità tra loro complementari: il richiamo sociale agli uomini a mostrare la propria vitalità e la propria soggettività attraverso la trasgressione e l’insofferenza alle regole, contrapposto al richiamo alle donne a mantenere un comportamento composto e timorato; e la virilità come virtù dell’autocontrollo, del disciplinamento del corpo e delle emozioni contrapposta a un femminile preda delle emozioni.
73Il disciplinamento non consiste meramente nell’obbligo di adeguamento a un modello egemone, quanto nell’assunzione e declinazione dei riferimenti propri del sistema complesso della mascolinità o, per meglio dire, delle attribuzioni proprie della mascolinità nel sistema di genere. Questa adesione al sistema della virilità può assumere in alcuni casi la forma dell’ostentazione paternalistica di una capacità di autocontrollo, contrapposta a un femminile emotivo e irrazionale, e in altri l’espressione di un’esuberanza maschile insofferente alle regole, e ai limiti, contro un femminile mite e ubbidiente.
74Un esempio di questa contraddizione è stato il caso Berlusconi: giudicarlo per la sua immoralità libertina o contestare il modello tradizionale e misogino che rappresentava? È significativo in questo senso il già citato manifesto del Partito Democratico che non metteva in discussione la cultura “sessista” veicolata dal leader del centrodestra ma, al contrario, faceva appello proprio all’ideale di virilità, affermando che “un uomo che non sa governare se stesso non può governare il Paese”. A queste contestazioni Berlusconi replicava contestando un’ipocrisia moralista dei suoi critici. A questo proposito, alcune esponenti del femminismo italiano, nel testo Sesso e politica nel post-patriarcato10, osservavano:
Il disprezzo verso le donne è stato coperto con le accuse al “moralismo dei parrucconi”. Come rilanciare il senso politico della libertà femminile, strappandola al suo stravolgimento in libertà di competere sul mercato del corpo?
75L’insofferenza per la critica ai modelli tradizionali di virilità può insomma essere contrabbandata, forse anche inconsapevolmente, con una trasgressiva indisponibilità a osservare il rispetto delle norme imposte dalle buone maniere11 e dal processo di “civilizzazione” del maschile imposto dalla modernità.
76Ma non c’è, come ho detto, una semplice resistenza strumentale. Emergono anche le contraddizioni delle strategie mainstream di reazione ai comportamenti violenti o molesti maschili. Il femminismo italiano, per esempio, a partire da Tamar Pitch, ha segnalato da sempre i rischi della torsione penale di campagne come il Me Too che, partendo dalla denuncia della diffusione delle molestie e dei ricatti sessuali, hanno visto approcci tutti incentrati sulla definizione di nuove regole e strumenti di punizione e controllo.
77Queste contraddizioni sono spesso impugnate da intellettuali avvertiti che non possono essere liquidati come meramente misogini o “maschilisti”, ma che rivelano proprio la confusione tra piani diversi: natura e costruzione culturale, critica della cultura dominante e “perbenismo”, senso comune e “spontaneità”. Franco La Cecla, un antropologo che ha scritto testi di grande interesse sui rituali di costruzione dell’identità maschile nelle nostre società, paventa, per esempio, una cultura che deprima e interdica il desiderio12:
Il sesso è diventato tutto intriso di violenza reale o potenziale e quindi tutto strumento per il potere. Il sesso è diventato l’arma del ricatto e non solo il sesso, ma anche il campo delle molestie e il campo del desiderio – che può essere denunciato come molestia. Il solo fatto di essere oggetto del desiderio di qualcuno diventa una molestia […] La rivoluzione sembra essere affidata alle vie legali e in questo, come ogni campagna, somiglia al maccartismo o a qualunque tipo di santa inquisizione. In fin dei conti i processi agli eretici erano pur sempre processi, e alla loro base stava l’abitudine alla delazione, la lotta per il potere travestita da religione, denunciare chi è più potente, più attraente, chi ha fatto successo o soldi, chi è emerso dalla massa sconosciuta. Non è un caso che l’accanimento delle denunce di molestie è sempre fatto nei confronti di chi ce l’ha fatta, ha avuto successo – salvo poter infierire proprio quando ha un rovescio economico e da lui non si può ottenere più nulla.
La violenza di chi vuole sesso in cambio di posti di lavoro, di parti in film o nell’arte, corrisponde al ricatto di chi minaccia di denunciare di molestie chi questi favori non li concede. E nei mondi del potere accademico una buona denuncia per molestie leva di mezzo un concorrente scomodo: una famosa antropologa indiana che insegna in un’università scandinava ha usato questo metodo per fare ostracizzare qualcuno che non voleva nel proprio dipartimento. […] È stato l’inizio delle denunce di massa da parte delle donne, anche se subito dopo sono emerse quelle da parte di uomini nei confronti di altri uomini e di uomini nei confronti di donne (ad es. Mariah Carey che chiede sesso al suo bodyguard). Le denunce fanno sospettare che non basti il maschilismo e il patriarcato, ma che ci sia una questione più generale di potere, forse anche nei sacrosanti lgbt ci sono questioni simili.
78Contestando gli eccessi normativi della denuncia del sistema dei ricatti e delle molestie sessuali, rischia di porre tutti sullo stesso piano: è un ricatto pretendere una prestazione sessuale, ma è un ricatto anche denunciare una molestia, quella pretesa è un atto di potere ma la sua denuncia è anch’essa parte di una strategia di potere. E il sesso diviene “intriso di violenza e potere” per la rappresentazione che ne fa chi denuncia e non per un sistema di relazione tra i sessi, di rappresentazione simbolica preesistente. Le relazioni di potere nell’ordine di genere diventano neutre: anche “i sacrosanti lgbt” oggetto di stigma e discriminazione hanno rapporti di potere.
79La Cecla denuncia:
È questa “volontà di sapere” che sembra si sia scatenata come un’isteria collettiva, questa volontà di dissezionare la vita sessuale propria e di tutti. Nel fatto stesso di avere una vita sessuale c’è qualcosa di sospetto, perché il desiderio non è mai innocente, soprattutto se è maschile, ma è complice se è femminile, perché si fa irretire da qualcosa che non gli appartiene. […] Viene il sospetto che questa non sia già più una battaglia femminista o femminile, ma una resa dei conti di altro tipo, una rivoluzione per la presa del potere biopolitico. […] Lo diceva anche Freud, un ributtante maschio europeo: “Il desiderio è un eccesso”. Il desiderio c’entra poco con la democratica trattativa sul desiderio.
80Con la contestazione di una presunta pulsione normativa, si finisce col proporre una “naturalizzazione” del desiderio maschile (“il desiderio è un eccesso”). In questo modo si occulta il fatto che le forme del desiderio, della seduzione sono (anche) costruite socialmente. Non si tratta di “dissezionare” la vita sessuale per un desiderio inquisitorio, ma, al contrario, di mettere in discussione la naturalità delle relazioni tra i sessi per aprire uno spazio alla loro trasformazione e liberazione.
Lo dice anche Eva Illouz, che dopo avere parlato dell’importanza del sesso consensuale si chiede se questo “dire” e “pre-dire” cautelativamente tutto ciò che si vorrebbe fare e che l’altro vorrebbe aver fatto, si domanda se tutto ciò non spenga il desiderio. […]
E recentemente un articolo su “The Guardian” di Laura Penny, ripreso da “Internazionale”, metteva in guardia proprio le donne rispetto al proprio consenso, invitandole a dubitare della loro sessualità, del loro stesso desiderio. Una certa linea simile a questa vuole che sulla sessualità in generale si stenda un velo di dubbio. Essa è “sbagliata” sia quella maschile che quella femminile. Con modi che somigliano alle battaglie degli Ugonotti o alle prediche puritane del 1600. La Chiesa, le chiese, hanno sempre invitato i propri fedeli ad avere in sospetto le proprie istintive emozioni e soprattutto il campo del desiderio. Se il desiderio maschile è qui alla sbarra, vergognoso, impudico, porco, incapace di contenersi, quello femminile è altrettanto in crisi perché si fida o si abbandona troppo.
81Serughetti13 replica a questa posizione proprio contestando la “naturalità” e spontaneità delle forme di desiderio e seduzione e il gioco delle parti tra i sessi:
La distinzione tra sesso come piacere e sesso come potere/sottomissione, tra corteggiamento e predazione sessuale, tra avances e violenza non è fatta propriamente di sfumature. Nella maggioranza dei casi non occorre scomodare la complessità dell’umano desiderio. Non voglio farla facile, ma quando la differenza tra il consenso estorto e il consenso libero non è chiara è perlopiù perché resta opaca la struttura di potere in cui ci si trova ad agire sessualmente.
[…] La necessità di riscrivere le regole delle relazioni tra uomini e donne, e più in generale tra esseri umani, può effettivamente offrire una sponda a interventi legislativi che moltiplichino le ipotesi di reato per rispondere a una presunta domanda femminile di protezione. […] da una parte l’ideologia neoliberale che, prescindendo dalle strutture di potere esistenti, finisce per far ricadere la responsabilità interamente sull’individuo più vulnerabile (tua la libertà di dire sì o no, tua la responsabilità delle conseguenze); dall’altra, il paternalismo del diritto che si assume compiti di natura morale.
Ma il rischio di un’ondata di moralizzazione e disciplinamento viene meno se, al posto dell’ottica della repressione e della protezione, assumiamo la prospettiva della liberazione della sessualità dalle regole patriarcali. Queste regole, di cui sono espressione i modi consueti di pensare la seduzione e il corteggiamento, costruiscono il desiderio come una relazione tra un soggetto e un oggetto. Non sarebbe più interessante se, anziché lagnarci della loro perdita, cogliessimo questa opportunità storica per immaginare come possono darsi delle relazioni libere tra due soggetti? E se mettessimo l’accento, anziché sul desiderio (maschile) da disciplinare, sul desiderio (femminile) da riconoscere, esplicitare, rendere protagonista, con tutto – anche l’incertezza e il rischio di rifiuto – che ciò comporta?
82Così La Cecla, elencando i rischi degli eccessi della volontà di intromettersi con dispositivi di controllo nelle relazioni tra le persone denuncia:
Nella civilissima Francia qualcuno vuole introdurre il “reato di sguardo per strada”. Un certo “eye contact” sarebbe automaticamente considerato al pari di una molestia. Qualcosa che arriva direttamente dagli Stati Uniti e dal puritanesimo sempre riemergente, anche se travestito da femminismo o da correttezza politica.14
83Eppure potremmo provare a non fermarci all’alternativa tra considerare “naturali” e spontanee le posture di donne e uomini, innocenti e neutri gli sguardi, oppure normare ogni gesto e disciplinare ogni relazione. Potremmo riconoscere che gli sguardi non sono neutri e che è possibile e necessario mettere in discussione ruoli sessuali e linguaggi della seduzione.
84La prospettiva non è dunque regolamentare i comportamenti – La Cecla, citando Žižek, ricorda che “alcune femministe hanno osservato parecchio tempo fa che se cerchiamo di immaginare un corteggiamento in tutto e per tutto politicamente corretto arriviamo curiosamente vicini a un normale contratto commerciale” –, ma riconoscere che nei codici del corteggiamento non c’è nulla di naturale: si tratta di codici costruiti storicamente e socialmente su cui è possibile un lavoro di consapevolezza e denaturalizzazione.
85La trasformazione non avviene solo sul terreno delle norme e dei diritti ma anche su quello dell’immaginario, delle rappresentazioni, ed è un processo che non impone nuove norme ma tenta di destrutturare quelle esistenti. Dunque tutto l’opposto di ciò che paventano Žižek e La Cecla.
86Ma anche qui non si può non notare in queste obiezioni un’ambiguità: quella di riproporre, sotto mentite spoglie, il ricorrente vittimismo maschile che paradossalmente contesta il vittimismo femminile:
Viene il dubbio che quello che sta avvenendo sia il trionfo di un politically correct proprio come ideologia di un nuovo regime, di un’ideologia delle nuove classi dominanti. […]
Lo fa notare in un articolo Slavoj Žižek, un altro maschio che non avrebbe diritto a parlare (i maschi possono parlare solo se si allineano alla crociata). C’è nella costruzione del vittimismo – di una metà del mondo, quella rappresentata dalle donne, la dimissione totale di soggettività, di essere agenti della storia, il trasformare le donne in oggetto passivo della storia, il non capire che le società si fanno con una negoziazione continua tra uomini e donne. Il vittimismo è la tentazione di trasformarsi in “minoranza” quando si è invece maggioranza.
“La caratteristica fondamentale della soggettività di oggi è proprio la bizzarra combinazione del soggetto libero che si ritiene responsabile ultimo del suo destino e del soggetto che fonda l’autorità del suo discorso sul proprio status di vittima di circostanze fuori del suo controllo. Ogni contatto con ogni essere umano viene vissuto come una potenziale minaccia: se l’altro fuma, se l’altro mi lancia uno sguardo carico di desiderio mi sta già facendo male” (Žižek).
87Questa osservazione sulla propensione al vittimismo e sul paradosso di un soggetto che si propone al tempo stesso come vittima e come padrone di sé viene ribaltata sulle rivendicazioni femminili, ma interroga in prima istanza proprio gli uomini. Forse si può concludere con la nettezza della domanda di Serughetti: “E se dicessimo una volta per tutte che il politically correct è solo uno spauracchio per conservare intatte le relazioni di potere?”15.
Il rancore e il vittimismo, o il complotto contro gli uomini
88Nella narrazione delle storie individuali, ma anche nella traduzione politica delle dinamiche conflittuali tra i sessi da parte degli esponenti del revanscismo maschile, emerge un malcelato rancore verso le donne. È una tensione che emerge da una zona d’ombra dove si mescolano lo smarrimento per la mancanza di riferimenti, l’impossibilità di riproporre i modelli tradizionali di mascolinità e la ricerca di autoassoluzione. Risentimento verso donne che non corrispondono alle proprie aspettative ma anche, paradossalmente, che esprimono aspettative a cui non si può, o non si vuole più, corrispondere. È un rancore figlio del cambiamento ma, allo stesso tempo, posto alle radici profonde della costruzione del potere maschile istituito anche in conflitto con il potere generativo femminile16. Potere femminile che riemerge nella seduzione e che viene rappresentato da molti uomini come insopportabile rottura del mito dell’autosufficienza. Il desiderio, e poi l’assenza, la separazione, mostrano la finzione del bastare a se stessi. Il gioco delle parti tra i sessi, la rimozione del desiderio femminile divengono indice di un opportunismo manipolatorio delle donne. Gli uomini scoprono che non si sono fatti da soli, che sono dipesi e dipendono dalle cure di una donna e che non amministrano la propria vita e le proprie scelte, padroni razionali del proprio destino. Questa vulnerabilità, che può aprire a una nuova valorizzazione della dimensione relazionale della propria soggettività, si ripiega in risentimento. Un sentimento, dunque, molto ambiguo: frutto del mutamento e al tempo stesso indice di “invarianze” che si ripropongono in forme nuove, espressione di una resistenza maschile alle trasformazioni in atto nelle relazioni tra i sessi, ma anche sintomo di un desiderio confuso di libertà, di affrancamento da ruoli e rappresentazioni stereotipate il quale, non trovando parole per esprimersi, si rivolge a narrazioni misogine e frustrate.
89Molti uomini condannati per violenza attribuiscono alle donne stesse la responsabilità di averli resi violenti, una responsabilità che, tautologicamente, giustificherebbe la violenza. La violenza maschile si mostra anche come esito della carenza di riferimenti e strumenti per esprimere e attraversare il disagio del cambiamento, l’esperienza rimossa della dipendenza, e l’intollerabilità del confronto inedito con un femminile che non corrisponde alle attitudini e alle posizioni di accoglienza e oblatività attese.
90Nella lettura di una specifica modalità di reazione maschile risulta utile la categoria di rappresentazione paranoica. È interessante notare il comune tratto paranoico che si ritrova nelle retoriche dei movimenti maschili revanscisti, nelle rivendicazioni delle associazioni di padri separati, ma anche in espressioni dello sciovinismo xenofobo che attraversa l’Europa.
91Un elemento comune di queste rappresentazioni è la “violenza delle vittime” o meglio il ricorso al vittimismo nel sostenere culture violente e aggressive.
I francesi sedotti dal partito dell’odio. Il Fronte Nazionale è riuscito a fare proseliti celando la parte più violenta della propria ideologia. Ma prima o poi emergerà ancora. La macchina da guerra del Fronte Nazionale continua a mietere successi, elezione dopo elezione […] Come la storia ci ha insegnato, la crisi economica comporta sempre una conseguenza politica: il ripiegamento verso gli estremi e la fabbricazione di capri espiatori. È normale, se pensiamo che hanno un duplice vantaggio: oltre ad aver avuto molto tempo per mettere a punto il proprio discorso […], godono di uno stato oggi assai apprezzato: quello di vittime. Vittime dei media, per essere stati a lungo ostracizzati, dei benpensanti, che li avrebbero criminalizzati, della crisi, dell’Europa, dei musulmani, dell’immigrazione, delle élite. In breve, vittime: ed è questo che conta. È chiaro che la condizione di vittima conferisce al giorno d’oggi un supplemento di legittimità. In altre parole, ciò che il Fronte Nazionale rimprovera all’anti-razzismo, ovvero questa preoccupazione per le “vittime”, lo recupera a proprio vantaggio facendosi portavoce delle “vittime”, ma di altre vittime. Ci troviamo così di fronte a una deformazione storica e politica del cittadino, che da uomo che vive con impegno il proprio destino è diventato “vittima”. (“D”, 27.6.2015)
92Un vittimismo molto simile lo ritroviamo nelle retoriche del revanscismo maschile:
Il Maschio Pentito oggi consiglia, promuove e pratica quell’autodafé per maschi che è il processo al maschio. […] L’imputato è naturalmente colpevole, infatti si processa la sua natura di maschio. Il processo consiste in una sequenza ormai proceduralizzata che prevede nell’ordine: accusarsi in quanto maschio pubblicamente di ogni infamia trascinando solidarmente nella colpa tutti gli altri maschi, con a seguire la dichiarazione di vergogna e abiura della propria identità, la promessa di cambiarla in base al nuovo modello del giorno meglio se suggerito da una donna psicologa, che normalmente propone una specie di collezione estate inverno dell’identità maschile, la dichiarazione di superiorità delle donne in tutti i campi e l’invocazione finale alla futura città delle donne, nuovo e ultimo nonché unico paradiso realizzabile in Terra.[…] Tuttavia non basta, e a convincere che indietro non si torna, ovvero maschi non si è proprio più, ci vuole anche una serie di atti di degradazione. […] similmente ai forzati del pentimento di ogni tempo e di ogni identità, nel passato politica o sociale o religiosa o di razza, oggi di genere, pensionati anticipati alle prese con centrini, poveracci che per arrotondare si spogliano in pubblico fra i gridolini di eccitazione delle donne, maschi letteralmente demoliti psicologicamente ed esibiti con fierezza dalla “Donna liberata che ha impostato un nuovo rapporto con il partner anch’esso liberato”, castrati psicologici di tutti i tipi e motivazioni che hanno rinunciato a ogni recupero e ben si prestano a far professione di quella tragica e vergognosa resa e rinuncia a se stessi come maschi e padri che la cultura e il potere di oggi chiede loro.17
93Il vittimismo e il rifiuto dei “benpensanti” e del “politicamente corretto” è molto presente nelle narrazioni proprie di pubblicazioni e siti del revanscismo maschile, in cui appare un femminismo nemico degli uomini e alleato della società consumistica in una guerra finalizzata alla distruzione del maschile. Il testo seguente prende le mosse per la sua argomentazione dai casi di tortura e umiliazione sessuale ai danni dei prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib che vide protagoniste anche molte donne dell’esercito americano.
La tortura ha sempre come finalità la distruzione della capacità del torturato di mantenersi in uno stato di autonomia, di libertà e di intimità con se stesso. È il demoniaco obiettivo del torturatore di possedere l’anima del torturato dimostrando che ha perso l’anima, il proprio io. C’è da domandarsi quante di queste dinamiche non siano presenti e attivate, volontariamente e non, dalle attuali legislazioni che intendono imporre in Occidente l’eliminazione di ogni spazio maschile e colpevolizzare ogni richiesta di spazi che garantiscano l’autonomia e l’intimità del maschile. E c’è da domandarsi quanto nella teorizzazione e nell’agire femminista sia consapevole o meno questa finalità distruttiva del maschile. […] non c’è aspetto dell’autonomia del maschile che non sia oggetto di una sistematica denigrazione, di un pianificato assalto da parte della legislazione e da parte del pensiero e della prassi ispirati dal femminismo. […] Si impongono con modifiche costituzionali, violando i fondamenti stessi del diritto, quote riservate alle donne anche laddove, evidentemente, non essendoci alcun ostacolo alla presenza femminile ed essendo le donne elettrici in maggioranza, nemmeno le donne ci vogliono andare. […] Una domanda nasce spontanea. A noi maschi occidentali ci stanno rifilando un trattamento alla Guantanamo? Più esplicitamente: in Occidente è in corso una guerra non dichiarata contro i maschi? con finalità distruttive del maschile?18
94In queste posizioni emerge, senza alcuna ironia, una sorta di rappresentazione paranoica di un sistema di persecuzione che genererebbe quelle che vengono percepite come rappresentazioni pretestuose, distorte e frutto di ostilità preconcetta verso gli uomini.
Cosa vuole uomini 3000? Porre fine al pestaggio morale antimaschile. Da decenni il genere maschile è sottoposto a una campagna permanente di colpevolizzazione, denigrazione e dileggio. Sulla base di una storia e di una cronaca ricostruite a quel fine gli uomini nascono già colpevoli e debitori. Sono perciò chiamati a saldare questa colpa di Genere in tutti gli aspetti della vita e in tutte le forme. Alla colpa inventata si aggiungono la denigrazione, la derisione e la squalifica del loro modo di vivere, di sentire, di pensare e di agire. Dei loro sentimenti e delle loro passioni, delle loro creazioni e della loro sessualità. Dei loro successi e dei loro fallimenti, indifferentemente. A quella criminalizzazione e a questo dileggio deve essere posto termine sin d’ora e da subito va proclamato che anche gli uomini nascono innocenti.19
95È interessante osservare che quello che viene riproposto in tutte queste argomentazioni esplicitamente misogine e revansciste non è la presunzione di una superiorità (anche per questi uomini evidentemente improponibile in modo lineare) ma piuttosto una posizione vittimistica. Lo schema, reiterato ossessivamente, è basato su un ribaltamento di ruoli: denunciare la violenza delle donne, evidenziare il sessismo di chi denuncia la violenza di genere perché non contrasterebbe tutte le forme di violenza, attribuire l’intento di alimentare odio a chi denuncia comportamenti e ruoli oppressivi.
96Il vittimismo mostra il carattere strumentale che molte associazioni fanno del disagio dei padri separati. Si può prendere per esempio un comunicato della Gesef 20 che, andando ben oltre le rivendicazioni relative all’affidamento familiare, propone una lettura ideologica dei rapporti tra i sessi molto più ampia21:
Fermiamo la Violenza Femminista. Stop alla Propaganda Terroristica di Dati Falsi e Mistificati. Tale propaganda mira a radicare nell’immaginario collettivo l’idea di un ambiente domestico scenario di delitti e terribili violenze, dove vittima è sempre e solo la donna mentre il carnefice è esclusivamente di sesso maschile. […] Cosicché l’attenzione sessuale diventa molestia, l’esercizio del dovere coniugale dal parte del partner diventa stupro, un banale litigio diventa violenza fisica, una critica al vestito o alla pettinatura é considerata violenza psicologica, un blando rifiuto diventa limitazione della libertà personale, la necessità di chiarire situazioni ambigue diventa violazione della privacy, la richiesta di una equa distribuzione delle risorse familiari diventa ricatto economico. […] Al tempo stesso si tace della violenza femminile e materna: […] il 10% delle violenze domestiche sono rappresentate da mogli che picchiano i mariti. […] nell’ambito del conflitto separativo un marito su tre è fatto oggetto di denunce per abuso sessuale sui figli o sulla partner, finalizzate ad allontanarlo definitivamente dai figli. Denunce che risultano sistematicamente false, ma la cui prassi giudiziaria provoca conseguenze devastanti sia sul piano psicologico che economico degli accusati. […] In tutto il mondo infanticidio e figlicidio restano primato assoluto delle donne. [Lo] scopo è quello di porre ciascun uomo – anche delle future generazioni – in una condizione di sudditanza psicologica, emotiva e morale di fronte al potere indiscutibile della percezione femminile, in base alla quale viene definita la liceità o meno di qualunque comportamento maschile. Condizione che – stante l’assenza di contraddittorio e possibilità di difesa – induce alla disperazione i soggetti più deboli e ne fomenta risposte incontrollate e brutali. […] L’arma della colpevolizzazione […] è finalizzata invece ad alimentare l’odio sociale, la guerra tra i sessi, l’insicurezza delle donne da poter così convogliare sotto la “tutela” di avvocate e psicologhe dei centri antiviolenza, l’annichilimento degli uomini da “rieducare”, l’isolamento affettivo degli individui.22
97Che bisogno ha un’associazione per la bigenitorialità di negare la realtà della violenza maschile contro le donne? A cosa serve questa competizione per definire quale sesso sia per sua natura più violento? La violenza maschile presentata come la reazione dei più deboli a una vessazione subita. Le iniziative di contrasto alla violenza parte di un complotto antimaschile per colpevolizzare e denigrare gli uomini.
98A piegare le esperienze personali di sofferenza a una lettura ideologica spesso misogina finalizzata a una proposta politico-culturale espressamente conservatrice, non ci sono solo le associazioni. È a questo proposito significativa l’argomentazione di Claudio Risé che prende posizione contro il divorzio, rappresentandolo come strumento teso al tempo stesso a disgregare il sistema familiare tradizionale e a colpire indiscriminatamente gli uomini.
La minaccia più grande, non tanto per la vita dei padri, ma per la stessa sopravvivenza della famiglia, nell’Occidente contemporaneo è infatti il funzionamento marcatamente antipaterno, di quella che noi chiameremo la Fabbrica Dei Divorzi. Un organismo multiforme, dotato di enorme potere e influenza, che impiega e muove una buona fetta del reddito nazionale per disperdere le famiglie esistenti. [negli USA] nel 2000, nell’80% dei giudizi, le madri hanno ottenuto la custodia esclusiva, privando i padri del loro diritto costituzionale di prendersi cura, custodire e nutrire i loro bambini. Eppure, secondo le procedure del no fault divorce, divorzio incolpevole, accordato automaticamente dopo pochi mesi di separazione tra i genitori, non erano stati accusati di aver fatto nulla di male. Semplicemente, le loro mogli non li volevano più.23
99Ma questo posizionamento maschile si presenta sempre come “dissidente” rispetto a un presunto ordine dominante. Lo stesso “gioco delle parti tra i sessi”, basato come abbiamo visto sulla rimozione del desiderio femminile e su una polarizzazione tra i due sessi che attribuisce al maschile il ruolo attivo nella seduzione e la detenzione del potere economico, si ribalta nel suo opposto: al riconoscimento della crisi del dominio maschile l’associazione degli “Uomini beta”, che peraltro si presenta come orientata a una cultura “progressista”, associa la denuncia di un opportunismo femminile. Anche in questo caso ci si presenta come in conflitto con un ordine gerarchico dominante:
Il Movimento degli Uomini Beta affonda le sue radici nei valori dell’eguaglianza, della libertà, della democrazia e del superamento di ogni forma di oppressione e discriminazione di genere, di classe, di razza e di religione; il Movimento degli Uomini Beta ritiene che, nell’attuale contesto sociale, culturale e storico del mondo occidentale, gli uomini non appartenenti alle élite dominanti, sia maschili che femminili, siano il gruppo sociale e di genere che vive una condizione di oppressione e subordinazione sia nei confronti delle suddette elite che della grande maggioranza della popolazione femminile.24
100L’asimmetria di potere tra donne e uomini – asimmetria che si sostanzia sia nel potere maschile di disporre dei corpi femminili, ma anche nella rimozione sociale del desiderio femminile e dunque nella negazione di una sessualità femminile autonoma, non limitata a sessualità di servizio25 – viene ribaltata in una lettura rancorosa verso la strumentalità, l’opportunismo e la furbizia femminile nell’uso delle armi della seduzione. Come in uno degli “editoriali” del sito www.uominibeta.org:
Reciprocità e spontaneità sono due concetti che la grande maggioranza delle donne non sa neanche cosa siano. Per lo meno per quanto riguarda il rapporto con i maschi non dominanti (beta), cioè la grande maggioranza degli uomini, che è quello che a noi interessa. Tradotto in parole ancora più povere, se gli uomini (beta) non si proponessero, non andassero di loro propria iniziativa verso le donne, l’incontro fra i due sessi non avverrebbe mai, non avrebbe neanche luogo. […] nel rapporto fra uomini e donne non c’è alcuna reciprocità. Nella grande maggioranza dei casi sono gli uomini ad andare verso le donne. È molto raro che accada il contrario e quando ciò accade significa che l’uomo o gli uomini in questione sono maschi alpha, cioè uomini appartenenti alle élite dominanti. […] Noi riteniamo che questo aspetto dell’ontologia e/o della cultura e del modo di essere femminile, che normalmente viene considerato dalla grande maggioranza degli uomini come un fatto più o meno naturale, scontato e dato per acquisito, sia in realtà uno dei più significativi, e anche dei più gravi, del manifestarsi delle donne nel mondo. Ma cosa nasconde l’incapacità/non volontà/riluttanza/diffidenza/fastidio/ e il più delle volte addirittura l’insopportabilità, per le donne, ad andare verso gli uomini? Innanzitutto l’incapacità di relazionarsi con l’altro da una posizione di parità. Pretendere che sia sempre e solo l’altro a fare il primo passo significa porsi automaticamente in una posizione di potere nei confronti dell’altro. Se l’altro si muove è evidente che sta già manifestando un interesse nei confronti dell’altra e quindi le sta già di fatto conferendo un potere. […] Non solo. Nel momento in cui è l’uomo, sempre e comunque, a proporsi, è la donna che si trova oggettivamente nella posizione di chi decide. […] Ma non è tutto. Non solo l’uomo ha l’obbligo (anche se non scritto) di proporsi ma lo deve fare anche secondo schemi e modalità gradite alla controparte. […] Ma non è finita. Quali saranno i criteri di selezione che la donna, nella grande maggioranza dei casi, sceglierà di seguire per decidere un eventuale partner? Naturalmente quelli dell’ordine sociale dominante. E ci sentiamo di affermare con una notevole dose di certezza, sia pur empirica, che tra un uomo più vicino per una serie di caratteristiche di ordine sociale, economico o di provenienza familiare alla categoria dei dominanti (alpha), e un uomo decisamente appartenente alla categoria dei non dominanti (beta), ella sceglierà nella quasi totalità dei casi, il primo. […] se la reciprocità e la spontaneità sono state assassinate, è altrettanto evidente che il delitto è stato perpetrato anche nei confronti della possibilità di una relazione autentica fra gli uomini e le donne. Che infatti al momento, tranne le solite rare eccezioni che confermano la regola, non esiste. […] nell’amicizia non è previsto lo scambio sessuale né lo scambio di alcun genere. Non vige insomma la regola del do ut des che è stata invece applicata alla relazione fra i generi.26
101Uomini alfa e beta, pur disponendo di differenti opportunità di potere e quindi di differenti risorse nella conquista delle donne, sarebbero accomunati dall’obbligo a far ricorso al potere o al denaro per sollecitare l’interesse femminile. Il simbolico fallico rivela il proprio esito frustrante: il potere di affermare il proprio desiderio come unico motore delle relazioni tra i sessi si rivela un dono avvelenato che condanna gli uomini a costruire potere o ad accumulare denaro per poter accedere al corpo femminile e conquistare lo sguardo femminile. Il backlash, la nostalgia, la tentazione di rifugiarsi in un mito che confermi il senso perduto dello stare al mondo come uomini, anche quando dissimulati nelle forme di una moderna “ribellione al politicamente corretto”, imprigionano gli uomini in una prospettiva frustrata e frustrante di resistenza al cambiamento.
102Le stesse espressioni politico-culturali più misogine e “patriarcali”, a fronte di un mutamento in corso, espresso e rappresentato esclusivamente nella categoria della crisi, assumono la forma della frustrazione, del vittimismo del rancore, e non dell’affermazione sicura del dominio maschile e della sua legittimità.
103È interessante notare come queste posizioni interpretino la crisi come un fenomeno derivante da un attacco, definito con un neologismo “misandrico”, portato avanti dal femminismo e dalle donne, e non da un’inadeguatezza di un sistema simbolico e di significati su cui il maschile ha costruito la propria identità sociale.
104Anche se le forme tradizionali di mascolinità vengono assunte come una realtà semplificata da cui distanziarsi a fronte di presunte rappresentazioni pregiudiziali, permane la narrazione secondo cui quell’universo di significati messo in discussione fosse portatore di un ordine, di una moralità, di una capacità di regolazione delle vite di donne e uomini la cui perdita genererebbe non un’evoluzione, ma un disordine distruttivo e moralmente inferiore.
105I pregiudizi tradizionali e i luoghi comuni di un femminile opportunista, egoista in quanto incapace di farsi carico di una responsabilità generale oltre gli affetti e le relazioni private, tornano come risorsa per una narrazione di supporto al vittimismo e alla nostalgia maschile. La lettura del processo storico-sociale si confonde quindi con la naturalizzazione di attitudini e vizi attribuiti al femminile.
106Queste rappresentazioni si collocano necessariamente nello scenario della crisi, la tematizzano come elemento polemico conflittuale, ma al tempo stesso la rimuovono.
107Esse mostrano in che misura l’universo di simboli, linguaggi, rappresentazioni della corporeità, modelli di soggettività, saperi e poteri oggi a disposizione degli uomini siano in grado di fornire gli strumenti per elaborare e interpretare la propria condizione e le proprie esperienze o, al contrario, conducano in vicoli ciechi generando esiti involutivi e frustrati.
108Non si tratta, dunque, di liquidare la sofferenza e il disagio maschile di fronte al cambiamento – sofferenza e disagio che producono violenza, reazioni revansciste, posture oppositive al cambiamento – ma di riconoscere queste dinamiche anche per cogliere in esse possibili risorse per una differente rappresentazione dell’esperienza maschile nel cambiamento e dunque anche una sua differente elaborazione possibile.
Notes de bas de page
1 Irene Strazzeri, Post-patriarcato. L’agonia di un ordine simbolico. Sintomi, passaggi, discontinuità, sfide, Roma, Aracne, 2015.
2 Fabio Nestola, Il condizionamento delle coscienze. Analisi della comunicazione distorta dai pregiudizi di genere. p. 158, http://www.adiantum.it/ckfinder/userfiles/files/10_short.pdf.
3 Franco La Cecla, Chi scrive è un maschio. Questione “Weinstein”, http://www.doppiozero.com/materiali/chi-scrive-e-un-maschio, 29.11.2017.
4 “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato | l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco | lo dichiari e risplenda come un croco | Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro, | agli altri e a se stesso amico, | e l’ombra sua non cura che la canicola | stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti | sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. | Codesto solo oggi possiamo dirti, | ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato, 1923).
5 Simone Perotti, Dove sono gli uomini? Perché le donne sono rimaste sole?, Milano, Chiarelettere, 2013, p. 183.
6 Il silenzio degli uomini, Milano, Feltrinelli, 2012.
7 Salvatore Deiana, Massimo M Greco (a cura di), Trasformare il maschile. Nella cura, nell’educazione, nelle relazioni, Assisi, Cittadella Editore, 2012.
8 C. Burgio, Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità, Milano-Udine, Mimesis, 2012.
9 Guido Liguori, Senso comune, in Dizionario gramsciano, a cura di Guido Liguori, Pasquale Voza, Roma, Carocci, 2009, pp. 759-761.
10 Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamar Pitch, Bianca Pomeranzi, Grazia Zuffa, Sesso e politica nel post-patriarcato, «il manifesto», 10.10.2009.
11 Claudio Risé, Il maschio selvatico. Ritrovare la forza dell’istinto rimosso dalle buone maniere, Roma, Red Edizioni, 1993.
12 Franco La Cecla, Chi scrive è un maschio. Questione “Weinstein” cit.
13 Giorgia Serughetti, #MeToo, il contrattacco e lo spauracchio della fine del desiderio, https://femministerie.wordpress.com/2017/12/18/metoo-il-contrattacco-e-lo-spauracchio-della-fine-del-desiderio/, 18.12.2017.
14 Franco La Cecla, Chi scrive è un maschio. Questione “Weinstein” cit.
15 Giorgia Serughetti, #MeToo, il contrattacco e lo spauracchio della fine del desiderio cit.
16 Giuditta Lo Russo, Uomini e Padri. L’oscura questione maschile cit.
17 Il maschio pentito, http://archivio.maschiselvatici.it/index.php/2013-08-01-15-47-50/accade-oggi/113-la-condizione-maschile/932-il-maschio-pentito.
18 C.B. Guantanamo femminista. Come distruggere l’autovalore dei maschi di due civiltà, http://www.uomini3000.it/72.htm.
19 http://www.uomini3000.it/228.htm.
20 Associazione Genitori Separati dai Figli
21 A questo proposito vedi M. Deriu, Disposti alla cura? Il movimento dei padri separati tra rivendicazione conservazione, in Elena Dell’Agnese, Elisabetta Ruspini (a cura di), Mascolinità all’italiana. Costruzioni, narrazioni, mutamenti, Torino, Utet, 2007.
23 Claudio Risé, Il padre. L’assente inaccettabile, Cinisello Balsamo (MI), Edizioni San Paolo, 2003, pp. 71-83.
24 I principi, http://www.uominibeta.org/articoli/i-principi/, 29.11.2009.
25 Paola Tabet, La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico cit., pp 157 ss.
26 http://www.uominibeta.org/articoli/reciprocita-e-spontaneita/, 8.5.2012.
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Maschi in crisi?
Ce livre est cité par
- Ciccone, Stefano. (2023) Categorie interpretative, rappresentazioni implicite e resistenze di fronte alla violenza nelle relazioni. Una lettura di genere situata al maschile. Ricerca Psicoanalitica, 34. DOI: 10.4081/rp.2023.756
- Stagi, Luisa. Benasso, Sebastiano. Guzzetti, Luca. (2022) The sovereign meal of the male leader. Anthropology of food. DOI: 10.4000/aof.13390
Maschi in crisi?
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