3. La profezia che si autoavvera: Rappresentazioni e percezioni della “realtà”
p. 53-56
Texte intégral
1Fino a ora, più che analizzare statistiche sull’accesso al lavoro o all’istruzione, numeri della violenza maschile, o dati materiali relativi alle famiglie o ai consumi, ho provato a descrivere il modo in cui il cambiamento nelle relazioni tra i sessi e nei ruoli di genere viene descritto e percepito socialmente.
2L’ho fatto perché il modo in cui viene rappresentato il mutamento ha un’influenza decisiva sull’esperienza che come uomini facciamo di questo processo, e dunque sulle forme che le risposte maschili assumono.
3Tra i mutamenti strutturali della realtà sociale, la materialità delle relazioni e la rielaborazione del senso di questi mutamenti, la loro rappresentazione e interpretazione esiste una continua sovrapposizione: una relazione di reciprocità. Gli uni incidono sugli altri.
4Le rappresentazioni vanno, insomma, considerate “parte” del mutamento: non solo nel senso che molte rappresentazioni sono reazioni adattative o di resistenza al mutamento, ma anche nel senso più profondo che le rappresentazioni disponibili o dominanti danno forma a esso, modulando l’esperienza che ne possiamo fare. Le rappresentazioni sono costitutive della realtà perché incidono effettivamente sull’esperienza che ne facciamo1.
5Su questo nodo la riflessione sociologica si è molto applicata rivelando che l’esperienza della realtà è determinata dai significati che attribuiamo a essa e che sono frutto dell’interazione sociale. Per Gadamer2 i “preconcetti” in base ai quali le persone interpretano la realtà sono parte dei fenomeni stessi. Berger e Luckman, nell’introduzione al loro testo La realtà come costruzione sociale, ricordano che Durkheim ci dice di considerare i fatti sociali come cose3 e che Weber osserva che l’oggetto della conoscenza “è l’insieme di significati soggettivi dell’azione”4, e si chiedono: “come è possibile che i significati soggettivi diventino fattualità oggettive?” La società è una realtà sui generis5 proprio perché per comprenderla dobbiamo considerare al tempo stesso la fattualità oggettiva e il significato soggettivo che le attribuisce chi la vive. Partendo da questi spunti possiamo provare a ragionare su come le rappresentazioni sociali abbiano contribuito a dare forma all’esperienza che gli uomini fanno del cambiamento in corso.
6Se la realtà è “il risultato di uno scambio comunicativo tra diverse rappresentazioni e interpretazioni tra gli attori sociali e i sistemi di significato”6, possiamo domandarci: quale è il contesto e il quadro di significati disponibili per esprimere e rappresentare l’esperienza maschile contemporanea?
7Per Heidegger “i soggetti costituiscono la propria realtà non a partire dalla pura immediatezza della coscienza, bensì sempre a partire da un mondo di significati fondati sull’agire pratico e trasmessi tramite il linguaggio e la tradizione culturale”. La rottura avvenuta nella trasmissione di significati tra generazioni di uomini e la sua mancata elaborazione preclude la disponibilità di strumenti per “costruire” una differente esperienza maschile del cambiamento?
8Questa rottura di continuità è solo una perdita?7 O rivela la necessità (e l’opportunità) di ricostruire categorie interpretative della realtà e della propria esperienza?
9Tornando all’esperienza maschile del cambiamento, mi pare emerga che di fronte all’obsolescenza di un sistema di rappresentazione della realtà, di valori e modelli identitari, e all’assenza di nuove categorie e nuovi riferimenti, gli uomini si trovino privi di strumenti per comprendere la realtà e per elaborare una relazione più adeguata con il mutamento.
10Non c’è una distinzione rigida tra le condizioni materiali di vita e l’immaginario, il linguaggio, le aspettative e le percezioni: tutti questi elementi concorrono a determinare l’esperienza che facciamo della realtà, determinano la realtà in cui sentiamo di vivere. Ideologia, pregiudizio, stereotipo e condizioni materiali di vita sono in stretta relazione. Questo vale a maggior ragione per una dimensione come l’identità sessuata.
11Come osserva Bourdieu:
Il fondamento della violenza simbolica risiede non in coscienze mistificate che sarebbe sufficiente illuminare [ma riguarda] condizioni sociali di produzione delle disposizioni che portano i dominati ad assumere sui dominanti e su se stessi il punto di vista dei dominanti.8
12Questa definizione ha molte assonanze con la produzione di egemonia analizzata da Gramsci: l’assunzione da parte dei soggetti subalterni del punto di vista dei dominanti non è un mero fenomeno “idealistico” ma è l’esito di un complesso di relazioni sociali.
13Il nesso tra rappresentazioni, costruzioni ideologiche ed esperienza della realtà ha a che fare con relazioni di potere. Foucault considera la costruzione di sapere su di sé e sul mondo da parte degli individui come effetto costitutivo di relazioni di potere, ma riconosce al tempo stesso che i processi di soggettivazione sono processi conflittuali con quel contesto di potere.
14Non c’è, dunque, un Potere che produce deterministicamente rappresentazioni ideologiche imposte ai soggetti. Il potere è una relazione pervasiva, ma non un’entità sovraordinata alla società e agli individui. Così la costruzione “ideologica” della realtà è per Althusser insopprimibile, ma questo non vuol dire rinunciare alla sua critica e limitarsi alla sua descrizione: l’analisi e la destrutturazione delle rappresentazioni è anzi parte dei processi di conflitto e trasformazione.
15Nelle rappresentazioni e nelle forme di sapere sul mondo proprie degli individui dobbiamo riconoscere il segno delle relazioni di potere, senza considerarle una semplice costruzione ideologica. Rimuovere questa dimensione di potere ci porterebbe a una visione naturalizzata, neutra e fatalista delle costruzioni sociali. Riconoscere il carattere ideologico di queste rappresentazioni, nel senso proposto da Marx dell’ideologia intesa come falsa coscienza9, prodotto di un rapporto di potere, tiene aperto uno spazio di conflitto e di trasformazione.
16Anche nella prospettiva marxista, molto plurale al proprio interno, la cultura, le rappresentazioni sociali, le forme di conoscenza della realtà, non sono una mera sovrastruttura prodotta deterministicamente dalla dimensione economica, e la cultura egemone non è una semplice costruzione ideologica.
17Al contrario, proprio lo spazio che resta in tensione tra struttura sociale e coscienza apre un varco al conflitto e la produzione di strumenti di conoscenza e (auto)rappresentazione sono parte dei processi di trasformazione.
18La prospettiva marxista e le prospettive critiche femministe e queer hanno così un punto d’incontro nella critica alla naturalizzazione delle costruzioni sociali a giustificazione di rapporti di potere.
19Per ciò che riguarda il nostro ragionamento dobbiamo svelare la presunta naturalità delle forme di relazione tra le persone e delle attitudini e funzioni attribuite ai due sessi contestando il senso comune ma anche la presunta neutralità scientifica dei saperi esperti.
20Tornando allo specifico della nostra riflessione, mi interessa osservare come i modi in cui descriviamo l’evoluzione delle relazioni tra i sessi diventino parte dell’esperienza che gli uomini fanno di questo processo e ne determinano la forma.
21In questo processo il linguaggio va considerato almeno in due dimensioni: la prima è che l’assenza, la non disponibilità, di diverse forme di rappresentazione della propria esperienza influisce sulla mancata emersione di nuovi desideri, di nuovi riferimenti valoriali, di nuove risorse relazionali.
22Una seconda riguarda l’effetto che le rappresentazioni dominanti esclusivamente in termini di “crisi” hanno nel plasmare l’esperienza maschile. Quello che viene chiamato “potere illocutorio del linguaggio”10.
23Il tema del linguaggio riguarda quindi non solo l’assenza di forme per esprimere la realtà di un’esperienza, ma la capacità di precludere la stessa evoluzione di questa esperienza: l’assenza di nuovi riferimenti, forme linguistiche e rappresentazioni finisce con l’impedire una diversa espressione maschile del cambiamento. Anzi di farne anche un’esperienza diversa da quella che ci viene proposta come unica possibile.
Notes de bas de page
1 “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”: William I. Thomas, Source Book for Social Origins, Chicago, The University of Chicago Press, 1909, p. 17.
2 H. George Gadamer, Verità e metodo [1960], Milano, Bompiani, 1983.
3 Émile Durkheim, Les régles de la méthode sociologique, Paris, Alcan, 1895; trad. it. Le regole del metodo sociologico, Milano, Comunità, 1963, p. 10.
4 Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr, 1922; trad. it. Economia e società, Milano, Comunità, 1961, vol I, p. 4.
5 Peter L. Berger, Thomas Luckmann, The Social Construction of Reality, Garden City, N.Y., Doubleday and Co, 1966; trad. it. La realtà come costruzione sociale, Bologna, il Mulino, 1969, p. 35.
6 Franco Crespi, Fabrizio Fornari, Introduzione alla sociologia della conoscenza, Roma, Donzelli, 1998, p. 124.
7 Da Émile Durkheim a Merton torna la nozione di anomia intesa anche come carenza di risorse cognitive per interpretare un’esperienza.
8 Pierre Bourdieu, La domination masculine, Paris, Seuil, 1998; trad. it. Il dominio maschile, Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 51-53.
9 Karl Marx, Friedrich Engels, L’ideologia tedesca: critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, a cura di C. Luporini, Roma, Editori Riuniti, 1983.
10 Nella teoria di John Langshaw Austin (Quando dire è fare [1962], Genova, Marietti, 1974) si esplicita l’idea del linguaggio come azione attraverso il quale si opera un cambiamento del contesto Gli atti illocutori espositivi possono rappresentare enunciazioni che sortiscono un effetto, hanno carattere performativo.
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