Honoré de Balzac: gli scritti teorici
p. 53-73
Texte intégral
1Il Balzac che incarna il romanzo tradizionale, al punto di diventare poi, per alcuni, un modello negativo, è un Balzac molto ridotto. È il Balzac descritto e identificato da una parte della critica che, soprattutto nei primi decenni del Novecento, ne fa lo scrittore realista per eccellenza, estrapolando alcune affermazioni dalla grande prefazione alla Commedia umana del 1842, in cui l’autore si dichiara il segretario della storia, colui che sotto la dettatura della storia scrive una descrizione fedele della società del suo tempo. In realtà, focalizzarsi esclusivamente su questa affermazione significa considerare soltanto un momento del pensiero dell’autore, che è invece molto più vasto, molto più complesso, molto più plurale, come è stato sottolineato dalla critica recente e in particolare da Nicole Mozet, ma anche da José-Louis Diaz, Roland Chollet, Stéphane Vachon. Questi studiosi hanno messo in luce che Balzac ha scritto a partire dagli anni Venti dell’Ottocento fino alla sua morte, sopraggiunta a metà del secolo, e che su un arco di tempo così lungo la sua idea di romanzo è cambiata, ha attraversato fasi molto diverse, sfaccettate, complesse e cangianti: ridurre tutto il suo pensiero alle affermazioni espresse nel 1842 è quindi un’operazione che lo impoverisce notevolmente. Questi critici, che hanno lavorato all’incirca dagli anni Settanta del Novecento a oggi, ci hanno restituito un Balzac al plurale (per usare il titolo di un libro di Nicole Mozet, Balzac au pluriel1), un Balzac che a seconda dei vari momenti della sua carriera ha affrontato il romanzo da angolazioni diverse, con differenti intenzioni e con tecniche disparate, dunque un autore molto più complesso di quello che ha funto da capro espiatorio, soprattutto verso la metà del novecento, come incarnazione del romanzo tradizionale.
2Vorrei ora ripercorrere cronologicamente queste trasformazioni del pensiero di Balzac, mettendole in rapporto con la storia del romanzo in quanto genere letterario. Balzac nasce nel 1799 e inizia a scrivere verso il 1820. In questo momento che cosa si intende per romanzo? Esistono alcuni grandi romanzi del secolo precedente che tutti conoscono e ammirano. Uno è Clarissa Harlowe di Richardson, pubblicato in Inghilterra nel 1748, ammirato svisceratamente da Diderot – che afferma che è il più bel romanzo mai scritto, che lui leggendolo ha pianto tutte le sue lacrime, che non è possibile raccontare la realtà in modo più perfetto, preciso, attento – e tradotto in francese tra il 1751 e il 1755 da Prévost, con grande successo. Un’altra pietra miliare del genere romanzesco è La Nouvelle Héloïse di Rousseau, del 1761. Entrambi prendono il nome dalla loro protagonista, segno che il romanzo è considerato un genere in qualche modo collegato a un pubblico femminile, e raccontano le vicissitudini di un’eroina con la quale si pensa che le lettrici tendano a identificarsi: Clarissa Harlowe è una giovane donna perseguitata da un crudele dongiovanni che cerca di sedurla e stuprarla, la protagonista della Nouvelle Héloïse è invece una giovane aristocratica innamorata di un borghese ma costretta a sposare un uomo che non ama per seguire la volontà del padre. In seguito a questi romanzi c’è tutta una fioritura, alla fine del Settecento, di testi pubblicati da donne ora quasi sconosciute ma molto famose all’epoca, come Madame Cottin o Madame Riccoboni, che, seguendo i modelli di Rousseau e di Richardson, scrivevano storie basate su amori contrastati.
3Agli inizi dell’Ottocento abbiamo i romanzi di Madame de Staël, come Corinne, anch’essi incentrati sulle vicende di un’eroina, oltre ai due episodi che Chateaubriand estrapola dal Genio del cristianesimo, Atala e René, e l’Adolphe di Benjamin Constant del 1816. Pur non presentando l’impronta della letteratura femminile questi ultimi, e soprattutto René e Adolphe, sono accomunati da una caratteristica particolare: una forte presenza dell’autobiografia. Scrivere un romanzo in questo momento significa, se non raccontare la storia di un’eroina, raccontare una storia in cui la componente autobiografica è prevalente: prevale nei romanzi di Madame de Staël, prevale in Benjamin Constant, o almeno in Adolphe, ed è molto visibile nel René di Chateaubriand. A quest’altezza cronologica il romanzo è dunque un genere che ha un pubblico prevalentemente femminile e che presenta contenuti psicologici e sentimentali. Tutto ciò però cambia all’improvviso nel 1820, proprio nel momento in cui Balzac sta cercando di diventare scrittore.
4Infatti nel 1820 viene tradotto in francese Ivanhoe di Walter Scott, un romanzo storico che mette in scena il ritorno dalle crociate del protagonista e le lotte in Inghilterra tra i sassoni e i normanni, tra l’usurpatore Giovanni Senza Terra e il re legittimo Riccardo Cuor di Leone. Inaspettatamente il testo si rivela un successo assolutamente straordinario, seguito da una vera e propria moda del romanzo alla Walter Scott che invade non solo la letteratura, ma la vita stessa dei francesi: le signore eleganti vogliono avere un boudoir in stile gotico che ricordi loro l’ambientazione medievale, persino il modo di vestire riecheggia gli abiti dell’epoca. Balzac a questo punto ha vent’anni e nel 1819 ha deciso di diventare scrittore: ha lasciato la sua famiglia, che vive in un sobborgo di Parigi, si è fatto affittare dai genitori una mansarda vicino alla biblioteca che attualmente si chiama Bibliothèque de l’Arsenal e che all’epoca era la Bibliothèque de Monsieur, e qui si è trasferito per studiare e scrivere, per «conquistare la gloria» come si legge nelle sue lettere. In un primo momento Balzac è convinto che la conquista della gloria debba compiersi necessariamente attraverso un’opera teatrale, un dramma storico. Non siamo ancora al momento del dramma storico così come lo concepiranno intorno al 1830 i romantici, per cui è guardando a modelli classicheggianti come Racine e Voltaire che il giovane Balzac compone il Cromwell, una tragedia in versi giudicata da tutti come un fallimento totale al punto che un amico di famiglia, autore teatrale, suggerisce ai genitori di consentire qualsiasi carriera al giovane Balzac, purché non quella letteraria.
5Messo da parte il Cromwell arriviamo al 1820, esce la traduzione di Ivanhoe e Balzac decide di dedicarsi al romanzo. A quel tempo sta già tentando di scriverne uno, intitolato Sténie, seguendo il modello di Madame de Staël e di Rousseau: è la storia di un amore contrastato, con un finale tragico e lunghe dissertazioni filosofiche in cui i personaggi principali discutono per lettera sull’immortalità dell’anima come nel romanzo di Rousseau discutevano sul suicidio, sul matrimonio e così via. Il progetto viene però abbandonato e, sotto l’influsso di Walter Scott, Balzac intraprende la scrittura di due frammenti di ambientazione medievale con alcuni personaggi in comune, intitolati, dai nomi delle eroine, Aghatise e Falthurne. Essendo situati in un’Italia meridionale di cui Balzac non sa assolutamente niente e dove non andrà mai, questi frammenti presentano una ricostruzione sommaria e poco fondata: per questo l’autore, consapevole della propria insufficienza, capisce di dover trovare un sistema per prevenire le critiche dei lettori increduli. Crea allora un dispositivo metaletterario ispirato alle prefazioni di Walter Scott, nelle quali l’autore introduceva dei personaggi inventati, che a volte fungevano poi da narratori del romanzo, presentandoli come le fonti delle vicende raccontate. Per Aghatise e Falthurne, ai quali attribuisce il titolo generale Opere dell’Abate Savonati, Balzac immagina un primo narratore, l’Abate Savonati, italiano e contemporaneo di Michelangelo, che avrebbe redatto le due storie basandosi su antichi documenti e facendo sfoggio di uno stile tendente al sublime, pieno di passione e di eloquenza. Immagina però anche che le Opere siano state ritrovate da un soldato napoleonico e tradotte in francese da suo zio, un maestro di nome Matricante, un narratore molto meno colto di Savonati che non esita a inserire nel discorso numerosi commenti nei quali mette in dubbio con petulanza la credibilità dell’autore che sta traducendo. Dunque Matricante ironizza, per esempio, sull’onniscienza del narratore, chiedendosi come Savonati potesse conoscere i discorsi dei banditi nascosti in una caverna senza avere avuto egli stesso contatti con i malviventi. Questo contrappunto tra le voci di Matricante e Savonati sottopone l’illusione realista a una costante corrosione dall’interno: chi legge non può prendere sul serio la narrazione di Savonati, perché questa è continuamente messa in dubbio dal commento del secondo narratore, Matricante. Vediamo quindi che il Balzac esordiente comincia la sua carriera creando un complesso dispositivo che, facendo notare le inverosimiglianze della sua opera, mette in dubbio e smonta dall’interno il racconto realista. Le Opere dell’Abate Savonati non saranno mai pubblicate e tuttavia Balzac le conserverà accuratamente, permettendo oggi ad alcuni studiosi di analizzarle con grande attenzione e di metterne in luce l’interesse in quanto fasi dell’apprendistato del romanziere.
6Tra il 1821 e il 1824 Balzac scrive sotto pseudonimo moltissimi romanzi, per lo più di imitazione scottiana, destinati ai cabinets de lecture. All’epoca sono pochissimi i lettori che comprano effettivamente i romanzi: la maggior parte del pubblico piccolo e medioborghese li prende in prestito da queste biblioteche, che rappresentano la maggior parte di un mercato del libro ancora piuttosto ristretto (anche se un romanzo ha fortuna, la tiratura non supera comunque alcune centinaia di copie). In quest’ambito i romanzi di Balzac hanno molto successo, sono anche recensiti sulla stampa; tuttavia, non considerandoli ancora pienamente soddisfacenti, l’autore rifiuta di firmarli. Nel 1824-1825, dopo tanti romanzi di avventure, Balzac compone un grande romanzo sentimentale intitolato Wann-Chlore che però, pur essendo letterariamente di livello molto più alto, da un punto di vista commerciale si rivela un fallimento completo: la delusione è tale che per tre o quattro anni l’autore si ritira dalla scrittura per intraprendere la carriera di tipografo e editore.
7Balzac per tutta la vita si occuperà intensamente dei problemi del libro e dell’editoria, ma in questa sede ci limiteremo a dire che da un punto di vista commerciale la sua attività di editore e stampatore è un altro grande insuccesso: non perché egli sia uno sprovveduto, ma perché vuole anticipare troppo i tempi, per esempio producendo edizioni economiche dei classici che il mercato non è ancora pronto ad accogliere. Il 1828 segna dunque il fallimento della sua stamperia, con conseguenze economiche così gravi che i debiti da lui contratti a questa data lo accompagneranno per tutta la vita.
8Il 1828 segna però anche il ritorno di Balzac al romanzo, con un’opera che è insieme influenzata da Walter Scott e ricca di elementi innovativi inizialmente intitolata Le Gars (il giovane), dal soprannome di un capo degli Chouans. Le Gars vuole essere un romanzo storico, non però ambientato nel lontano e sconosciuto medioevo di Aghatise e Falthurne, bensì nella Bretagna del 1799 – anno in cui Balzac è nato – e racconta le lotte tra i ribelli bretoni monarchici, favorevoli all’ancien régime, e il regime del direttorio. Dopo numerose riscritture e trasformazioni il progetto è pubblicato nel 1829 con il titolo Le Dernier Chouan e poi inserito nella Commedia umana come Les Chouans. Per scriverlo Balzac soggiorna per un periodo in una cittadina della Bretagna, dove può osservare da vicino la natura e i costumi e impregnarsi dell’atmosfera del luogo: evidentemente è un tipo di documentazione molto diverso rispetto ai primi tentativi. Di questo testo è particolarmente interessante la prefazione, L’Avertissement du Gars: rimasta inedita insieme alle prime versioni del romanzo, è considerata dagli studiosi una delle fonti più importanti per studiare la genesi dell’estetica balzachiana. Seppur apparentata alle prefazioni di Walter Scott in virtù della presenza di un narratore immaginario, un eteronimo di Balzac chiamato Victor Morillon, questa prefazione non è per nulla ironica e scherzosa. È invece una sorta di piccolo romanzo nel romanzo, molto serio, che racconta la storia di Morillon, un giovane cresciuto nella profonda provincia francese, orfano e autodidatta, che dopo aver letto un’opera di Scott lascia tutti stupefatti cominciando a scrivere bellissimi romanzi ambientati nel passato. Coloro che lo circondano scoprono così che Morillon ha il dono di un’immaginazione straordinariamente feconda, che Balzac definisce «immaginazione fantasmagorica»2: un’immaginazione che sa ricreare il passato. In questa prefazione sono incluse dichiarazioni in cui Morillon elogia Walter Scott dicendo: «Sotto i pennelli di Walter Scott la storia diventa familiare. Dopo averlo letto si comprende meglio un periodo storico, egli ne riproduce lo spirito e in una sola scena ne esprime l’essenza e la fisionomia»3. Da queste parole capiamo ciò che Balzac ammira della scrittura scottiana: la capacità di rendere familiari ai lettori i periodi storici del passato, di riprodurne lo spirito, l’essenza, la fisionomia.
9Morillon ha studiato molto, ha letto opere storiche, si è documentato, ma se è in grado di entrare in competizione con Walter Scott è grazie a questo dono di un’immaginazione creatrice straordinaria, una sorta di ispirazione che non nasce dalla ragione. L’immaginazione del poeta è un «miroir concentrique»4 – uno specchio che concentra – afferma Balzac con una formula che utilizza poi in molti altri contesti e che sostiene di aver tratto dalle opere del filosofo Leibniz. In realtà, malgrado ricerche molto accurate, in Leibniz quest’espressione riferita all’arte o alla letteratura non è mai stata trovata: quello che dice il filosofo è che ognuna delle monadi che secondo lui formano l’universo è lo specchio dell’universo intero, per cui è verosimile che Balzac si sia ispirato a questa idea dei piccoli frammenti di universo che rispecchiano l’insieme e l’abbia applicata alla letteratura. Cosa vuol dire allora specchio concentrico? In altre opere Balzac suggerisce che significhi uno specchio che concentra la realtà: non rappresentandola tale e quale per produrne un doppio scarsamente interessante, ma trattandola in modo tale che se nella realtà ci sono molti individui che rappresentano l’avarizia, la leggerezza o un altro vizio evidente, in letteratura compariranno i tipi dell’avaro e dell’uomo leggero, nei quali questi tratti sono concentrati. Pensiamo per esempio ai personaggi di Molière, che per Balzac è un grande modello: l’avaro, il malato immaginario, l’ipocrita, non sono individui riprodotti con le loro caratteristiche, bensì un concentrato delle caratteristiche individuali che, passando attraverso il miroir della letteratura, compongono il tipo; nella prefazione a La Comédie humaine Balzac spiegherà proprio che il suo proposito è di presentare dei tipi, delle figure tipiche.
10Accanto all’immaginazione fantasmagorica, componente ineliminabile della letteratura che caratterizzerà sempre l’estetica balzachiana, troviamo un secondo elemento fondamentale. Victor Morillon, elogiando Walter Scott, afferma che è necessario che il romanzo storico sappia «disegnare gli immensi dettagli della vita dei secoli»5. In questa frase è presente un ossimoro: immensi dettagli. Il dettaglio di per sé è una cosa piccola, ma i dettagli su cui si concentra il romanziere sono immensi. Perché? Perché sono gli elementi più importanti, sono ciò che mancava all’arte classica, per esempio alla tragedia o alla commedia del Seicento, dove la realtà era presentata nelle sue grandi linee. Chi ha introdotto i dettagli nel romanzo? Walter Scott, che nei suoi scritti ha inserito ogni sorta di particolare linguistico, legale, dell’abbigliamento, dell’architettura. Il romanziere deve quindi farsi anche storico, deve connotare i suoi personaggi, situarli, curarne il linguaggio: in alcune prefazioni degli anni seguenti Balzac sottolinea che l’importanza del particolare è andata crescendo con la modernità, cioè dopo la rivoluzione francese, quando la società è diventata più uniforme, il modo di vita dei ricchi borghesi ha cominciato a confondersi sempre di più con quello degli aristocratici e i piccoli borghesi hanno potuto copiare i ricchi borghesi. In questa società postrivoluzionaria uniforme e livellata, nella quale il nobile e il borghese ricco vanno dallo stesso sarto, ciò che è interessante conoscere sono i particolari in quanto essi soli, insiste Balzac nel Traité de la vie élégante (sorta di codice del dandysmo dell’epoca pubblicato nel 1830) consentono di distinguere le varie classi sociali.
11E tuttavia, all’interno della teoria balzachiana il dettaglio isolato, ridotto allo stato di frammento insignificante, rappresenta il fallimento dell’arte. Facciamo un esempio preciso. Nel 1831 Balzac scrive Le Chef-d’œuvre inconnu, un romanzo ambientato tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento che ha come protagonista un pittore chiamato Frenhofer. Questo Frenhofer per molti anni della sua vita si accanisce a perfezionare un quadro che non fa vedere a nessuno, il capolavoro sconosciuto che dà il titolo al racconto e che dovrebbe rappresentare una donna nuda distesa sotto un baldacchino. Ogni giorno dà qualche pennellata in più al quadro, lo corregge, lo ritocca, rifiutando categoricamente di mostrarlo perché ancora imperfetto, ma assicurando che alla fine sarà impossibile notare la differenza tra il dipinto e la realtà circostante. Un giorno, dopo molte insistenze, due colleghi riescono a farsi ammettere nell’atelier ad ammirare quest’opera meravigliosa. Quando Frenhofer però li porta davanti al cavalletto e toglie il telo che copre il quadro rimangono sconcertati, perché invece di vedere un dipinto assolutamente perfetto vedono un confuso caos di colori. A furia di ritoccare la sua tela, Frenhofer l’ha trasformata in un qualcosa di incomprensibile, un ammasso di colori, «una muraglia di pittura»6 scrive Balzac. Frenhofer però guarda il suo quadro con ammirazione: lui lo vede, lui vede il quadro che ha voluto dipingere, laddove i colleghi non trovano che un caos. In questo caos privo di forma sopravvive un unico particolare perfetto: in un angolo spunta un piedino, dipinto con una tale maestria da far capire che Frenhofer sarebbe un pittore eccelso se la sua opera non fosse naufragata nell’incomprensibile. Questo fallimento ha per Balzac valore paradigmatico. Se il dettaglio è isolato in un contesto indecifrabile non ha alcun valore: esso deve essere inserito nella catena delle cause, deve essere decifrato e offerto al lettore, e solo allora può diventare la chiave di volta del romanzo moderno.
12C’è un personaggio reale che funge per Balzac da punto di riferimento per illustrare la sua concezione del dettaglio: lo scienziato Cuvier, il grande fondatore dell’anatomia comparata e della paleontologia, il quale aveva ritrovato dei frammenti ossei appartenenti ad animali preistorici ed era stato in grado, da quei frammenti, di ricostruire l’aspetto dell’intero animale. Procedendo per analogie e deduzioni logiche, Cuvier riusciva a ricostruire esseri che nessuno aveva mai visto e a ipotizzare le specie che erano esistite nel passato e i loro modi di vita. Il suo operato diventa allora il modello di ciò che deve fare il romanziere: come il paleontologo da un pezzetto d’osso ricostruisce l’intero dinosauro senza averlo mai visto, così il romanziere dai particolari deve ricostruire la mentalità, i costumi, le abitudini, la psicologia dei suoi personaggi. Nel romanzo La Recherche de l’absolu del 1834 Balzac scrive: «Un mosaico rivela tutta una società come uno scheletro di ittiosauro sottintende tutta una creazione»7, e aggiunge: «Tutto si deduce, tutto è concatenato, la causa fa indovinare l’effetto come l’effetto permette di risalire alla causa»8. In La Peau de chagrin, del 1831, Balzac esplicita il suo paradigma di riferimento: «Cuvier è il più grande poeta della nostra epoca, ha ricostruito interi mondi con qualche osso sbiancato, ha ripopolato mille foreste di tutti i misteri della zoologia grazie a qualche frammento di carbon fossile»9. Cuvier sa impadronirsi di un frammento per ricostruire tutta una creazione perché grazie al suo operato il particolare è reintegrato in un sistema unitario, cessa di essere isolato, insignificante, fine a se stesso, per diventare un gradino verso la comprensione e la rappresentazione del tutto; è proprio dal frammento decifrato e integrato in una visione unitaria che nasce La Comédie humaine, nella quale nessun dettaglio sarà mai insignificante. Si tratta per Balzac di interpretare la vita degli esseri umani decifrandone i segni. In una delle sue prime opere, Physiologie du mariage, leggiamo: «L’uomo, la cui anima agisce con forza, è come una povera lucciola che a sua insaputa si lascia sfuggire la luce da tutti i pori, si muove in una sfera brillante di cui ogni suo sforzo modifica la luminosità, e disegna i suoi movimenti con lunghe tracce di fuoco»10. Questa parola, tracce, è qui molto importante: la traccia è come il dettaglio, è come il frammento, è quello che il romanziere deve sapere interpretare. E, scrive Balzac, l’abbigliamento dell’uomo è il testo della sua esistenza, è l’uomo fatto geroglifico. Cosa vuol dire? Che come gli egittologi decifrano la scrittura degli antichi egizi, così si può leggere il modo di vestire dei personaggi, deducendone l’appartenenza sociale, le intenzioni, i desideri segreti, le aspirazioni. Quindi, lucciola o geroglifico, il protagonista della vita sociale del xix secolo offre al romanziere una messe di segni estremamente istruttiva: la città stessa, Parigi, diventa oggetto di decifrazione.
13Vorrei tornare ora all’Avertissement du Gars per sottolinearne i tre concetti centrali. Il primo è quello dello specchio concentrico, dell’immaginazione fantasmagorica. Il secondo punto, che ho trattato ora, è l’importanza dei particolari da decifrare. Il terzo punto, cui Victor Morillon accenna appena, è la necessità di fare del romanzo un genere molteplice, al cui interno coesistano scienza, storia, elementi drammatici, filosofia e poesia. Il romanzo, per Victor Morillon, deve impadronirsi degli strumenti di tutti gli altri generi: mutuare il dialogo dal teatro e la capacità di dipingere la realtà dalla pittura, appropriarsi dell’erudizione storica e mescolare tutto questo creando un genere nuovo.
14Ho cominciato questa lezione parlandovi del romanzo qual era prima del 1820 e sottolineandone le componenti fondamentali: la psicologia e lo studio dei sentimenti. È evidente che nel periodo compreso all’incirca tra il 1820 e il 1830 Balzac si fa portavoce dell’esigenza di un romanzo che si arricchisca, che non si limiti più alla psicologia e ai sentimenti, ma che interpreti i segni della vita sociale, incorpori l’erudizione storica, imiti il teatro e la pittura: un romanzo che quasi esca da se stesso per assimilare una quantità di altri generi, impadronirsene, sfruttarli, assimilarli.
15Ciò su cui vorrei soffermarmi ora è un singolo romanzo al cui interno la teoria del romanzo stesso è lungamente sviluppata. Si intitola Illusions perdues ed è pubblicato da Balzac a più riprese: nel 1836 esce la prima parte, nel 1839 la seconda, nel 1843 l’ultima. La scelta di pubblicare le opere per tranches successive è molto attaccata dai critici dell’epoca, che la trovano destabilizzante; a Balzac invece consente di riprendere i personaggi a distanza di tempo variandone la rappresentazione e producendo interessanti cambiamenti di prospettiva. I brani che analizzeremo sono tratti dalla sezione del 1839, intitolata «Un grand homme de province à Paris». Illusions perdues racconta la vicenda di un aspirante romanziere chiamato Lucien Chardon, il quale però per parte di madre discende da una famiglia aristocratica, i Rubempré. Uno degli scopi di Lucien è liberarsi del cognome paterno e ottenere dal re l’autorizzazione a usare il più nobile nome di Lucien de Rubempré. Ma il giovane aspira anche a un’altra cosa: alla gloria letteraria. In provincia, ad Angoulême dove è cresciuto, era considerato una sorta di genio in quanto unico poeta della città: complice anche la sua straordinaria bellezza, tutti restavano a bocca aperta davanti alle poesie che egli componeva imitando i poeti romantici dell’epoca. Quando decide di tentare la fortuna a Parigi si trova però in una condizione totalmente diversa: mentre ad Angoulême era l’unico brillantissimo enfant prodige, a Parigi i ragazzi di talento come lui sono migliaia e tutti sgomitano per raggiungere la celebrità.
16Notiamo questa data: è verso il 1821 che arriva a Parigi, proprio negli anni in cui ha iniziato a scrivere Balzac. Qui l’autore ricostruisce il periodo dei suoi esordi, quando scriveva romanzi per i cabinets de lecture, che è anche il momento chiave in cui il grande successo di Walter Scott cambia le condizioni del commercio dei libri: ormai le persone non vogliono più solamente prenderli in prestito, ma comprarli. Gli editori devono però saper scegliere i titoli giusti se vogliono scongiurare il rischio che il libro diventi un rossignol e se ne rimanga invenduto sullo scaffale come un usignolo su un ramo: si tratta dunque di fare grandi tirature che vadano esaurite, indovinando i desideri del pubblico. È questo momento importante nell’evoluzione della letteratura e dell’editoria che Balzac si sforza di raccontare in Illusioni perdute. Lucien è e non è un alter ego di Balzac. Lo è perché incarna un giovane che vuole raggiungere a tutti i costi la gloria, ma mentre Balzac è molto fiero della propria energia, Lucien è un essere con poca forza di volontà, un po’ passivo, ondivago, incapace di fedeltà autentica agli amici, benché di grande talento. A Parigi porta con sé una raccolta di poesie e un romanzo, naturalmente ispirato a Scott, e incontra un gruppo di giovani intellettuali un po’ più grandi di lui che conoscono meglio la realtà parigina e che si riuniscono intorno allo scrittore Daniel D’Arthez. D’Arthez è veramente un alter ego di Balzac, più del fragile Lucien, perché è un giovane aristocratico (come Balzac avrebbe voluto essere anche se non lo era), povero come il Balzac degli esordi, ma con idee molto chiare e grande determinazione, forza di volontà e capacità di restare fedele ai propri ideali e alle proprie idee. C’è una pagina importante di Illusions perdues in cui Lucien gli sottopone il suo romanzo L’arciere di Carlo IX, una storia evidentemente ambientata nel periodo delle guerre di religione, e D’Arthez commenta: «Voi siete su una bella e buona via, ma la vostra opera è da rimaneggiare. Se non volete essere la scimmia di Walter Scott dovete crearvi una maniera diversa, e voi l’avete imitato. Voi cominciate, come lui, con delle lunghe conversazioni per ben situare i vostri personaggi; quando questi personaggi hanno parlato fate arrivare la descrizione e l’azione»11. Infatti questa è la tecnica narrativa di Walter Scott: in Ivanhoe, nella prima scena ci sono due personaggi del popolo, un guardiano di porci e un buffone, che parlano tra di loro, e dalla loro conversazione il lettore capisce quale sia la situazione di partenza del romanzo. D’Arthez consiglia: «Rovesciate i termini del problema. Sostituite queste lunghe conversazioni, che in Scott sono magnifiche ma nella vostra opera sono prive di colore, con delle descrizioni alle quali si presta così bene la nostra lingua. Che nella vostra opera il dialogo sia la conseguenza attesa che corona i vostri preparativi»12. Dunque non cominciare col dialogo, ma con la descrizione. «Entrate immediatamente nell’azione. Prendete il vostro argomento a volte per traverso, a volte per la coda; insomma variate i vostri piani per non essere mai lo stesso»13. Cosa vuol dire prendere l’argomento per traverso o per la coda? Vuol dire cominciare dai dettagli o addirittura dal fondo, non seguendo l’ordine cronologico. È quello che Balzac farà, per esempio, nel suo romanzo La Duchesse de Langeais, che inizia dall’ultima scena: l’eroina è morta, qualcuno getta il suo cadavere in mare e poi si torna indietro e si racconta tutto ciò che è successo in precedenza. Si tratta di variare la cronologia del racconto, di introdurre quelle che i narratologi definiranno poi nel Novecento delle anacronie. «Sarete nuovo adattando alla storia di Francia la forma del dramma dialogato dello Scozzese»14: il romanzo deve impadronirsi del teatro e dell’erudizione storica. «Walter Scott è senza passione, la ignora, o forse gli era vietata dai costumi ipocriti del suo paese»15. L’Inghilterra dell’epoca è molto più prude della Francia, e di conseguenza nei romanzi inglesi non sono descritte passioni trasgressive; Lucien però non deve seguire questo esempio, ma raccontare senza censure. «Per Scott la donna è il dovere incarnato. A parte rare eccezioni le sue eroine sono sempre le stesse, per loro lui ha un solo modello, per usare l’espressione dei pittori. Derivano tutte da Clarissa Harlowe»16. Clarissa Harlowe è la donna virtuosa per eccellenza, che non cede mai al libertino Lovelace benché ne sia innamorata.
Riconducendo queste eroine tutte a una stessa idea, Scott non poteva far altro che stampare tanti esemplari di uno stesso tipo, differenti solo per una colorazione più o meno vivace. La donna porta il disordine nella società attraverso la passione. La passione ha infinite varietà. Dipingete dunque le passioni, avrete le immense risorse di cui si è privato quel gran genio per essere letto in tutte le famiglie della puritana Inghilterra. In Francia, troverete le incantevoli colpe e i brillanti costumi del cattolicesimo da contrapporre alle cupe figure del calvinismo nel periodo più appassionato della nostra storia17.
17Il cattolicesimo è meno puritano del protestantesimo perché dispone del sacramento della penitenza, attraverso il quale il peccatore può sperare di ottenere il perdono delle sue colpe: per questo nei paesi cattolici c’è meno l’ossessione delle trasgressioni passionali. Secondo Balzac il romanziere deve approfittarne ed è esattamente ciò che farà lui stesso, affrontando spessissimo passioni adulterine e poi mettendo in scena il personaggio di Vautrin, che è omosessuale e un grande malfattore, e che nel seguito di Illusions perdues sarà il protettore di Lucien, divenuto non un grande romanziere ma un dandy della Parigi elegante. La loro alleanza finirà poi male perché Vautrin verrà smascherato e Lucien si impiccherà in carcere dopo essere stato accusato di un delitto non commesso. Vautrin rappresenta una passione che nel romanzo inglese dell’epoca non poteva assolutamente essere rappresentata, cioè l’attrazione omosessuale.
Ogni regno autentico, a partire da Carlo Magno, richiederà almeno un’opera, a volte quattro o cinque, come per Luigi XIV, Enrico IV o Francesco I. Farete così una storia di Francia pittoresca nella quale dipingerete i costumi, i mobili, le abitazioni, gli interni, la vita privata, dando lo spirito del tempo invece di raccontare faticosamente dei fatti già noti18.
18Ora questa storia di Francia pittoresca è un progetto di Balzac: egli stesso, nel periodo tra il 1824 e il 1828, pensava di scrivere un ciclo di romanzi storici intitolato Storia di Francia pittoresca. Anche se non realizzato, il progetto fa parte della preistoria della Commedia umana in quanto ne rivela un’idea fondamentale: il romanzo isolato non basta a raccontare la realtà. Per questo Balzac comincia già dal 1830 a progettare studi sociali e di costume che poi approderanno nel 1842 alla grande Commedia umana. Alla fine del discorso D’Arthez suggerisce a Lucien di tentare delle interpretazioni non convenzionali dei personaggi storici, rovesciando i luoghi comuni:
Avete modo di essere originale correggendo gli errori popolari che sfigurano la maggior parte dei nostri re. Nella vostra prima opera osate riabilitare la grande e magnifica figura di Caterina De’ Medici che avete sacrificato ai pregiudizi che ancora gravano su di lei. Infine dipingete Carlo IX com’era e non come l’hanno descritto gli scrittori protestanti. In capo a dieci anni di ostinazione avrete gloria e fortuna.19
19Siamo qui in uno dei più espliciti momenti autoriflessivi de La Comédie humaine. Le lunghe descrizioni, le sapienti anacronie, lo studio spregiudicato delle passioni, la struttura ciclica: ciò che emerge dalle parole di D’Arthez è proprio il modello balzachiano di romanzo.
20Questo discorso è completato, nella parte centrale di Illusioni perdute, dall’episodio emblematico delle successive e contraddittorie recensioni che Lucien si trova a scrivere di un romanzo recente. A un certo punto della narrazione Lucien si distacca da D’Arthez perché questi gli dice di lavorare ostinatamente restando povero e sconosciuto fino a che non avrà perfezionato la sua arte, mentre lui ambisce a diventare famoso il giorno dopo, avere belle donne, denaro, abiti eleganti. Come si può trovare questa fortuna immediata? Gettandosi nel giornalismo. In questa parte centrale di Illusions perdues Balzac ne dà un quadro così severo, con tanto di retroscena di piccoli ricatti in cui i giornalisti stroncano un autore per poi farsi pagare per riabilitarlo, da essere poi a sua volta stroncato in modo violentissimo dai recensori. È un mondo peculiare che Balzac, conoscendolo molto bene dall’interno, descrive in modo realistico. Dunque Lucien per diventare ricco e famoso si getta nel giornalismo, si distacca da D’Arthez e dal Cenacolo, che hanno una concezione più severa del lavoro letterario, e comincia a frequentare dei giornalisti alla moda, in particolare Lousteau e Blondet. Lousteau, poeta deluso che non è riuscito ad avere successo, è un personaggio di estremo cinismo, mentre Blondet, che ritornerà in molti altri romanzi, è un uomo molto realista, di grande intelligenza e lungimiranza. Contrariamente a Lousteau, che è un piccolo avventuriero della letteratura che sopravvive giorno per giorno, Blondet è un giornalista serio e rappresenta il volto migliore di un mondo comunque rappresentato negativamente. Uno scrittore amico di D’Arthez, Nathan, pubblica un romanzo con lo stesso editore che ha rifiutato una raccolta di poesie di Lucien; Lousteau suggerisce allora a Lucien di far pressione sull’editore stroncando molto violentemente questo romanzo di cui noi non conosciamo né l’argomento, né il titolo, ma che Balzac ci fa capire essere molto moderno, coerente con quel modello di romanzo che incorpora aspetti poetici, pittorici e drammatici. Ai dubbi di Lucien su come parlare male di un libro così bello Lousteau risponde:
Non ci vuole niente a stroncare un libro bello: devi innanzitutto buttargli in faccia tutti i morti del passato, dire ma cos’è quest’opera paragonata a quelle di Voltaire e di Rousseau! Utilizzi la letteratura del passato per criticare la letteratura del presente. Fai vedere che la letteratura del Settecento era ricca di idee e che quella del presente è ricca solo di immagini, e poi dici che la letteratura del Settecento era essenziale, asciutta, incisiva, invece questa qui ha troppo drammatizzato il romanzo, finendo per abbandonare l’incisività e essenzialità del settecento che dovrebbe essere il nostro modello20.
21Lucien obbedisce e scrive una stroncatura tanto brillante quanto efficace: scoperta l’identità dell’autore dell’articolo, l’editore acconsente a pubblicare la raccolta di poesie di Lucien a patto che questo scriva un altro articolo per rivalutare il libro di Nathan. Il giovane ringrazia scrivendo anonimamente una recensione positiva, poi Blondet gli suggerisce di pubblicare un terzo articolo: prima la stroncatura anonima, poi la rivalutazione anonima, poi un articolo, firmato invece col suo nome, in un giornale più autorevole, nel quale rendere conto di tutta la polemica e finalmente dire ciò che pensa in positivo del romanzo di Nathan, riacquistando quindi anche la sua stima e amicizia. È Blondet stesso a suggerire gli argomenti a favore del romanzo: «Caro mio, ti credevo più forte!» dice a Lucien:
Guardando la tua fronte ti dotavo di un’onnipotenza simile a quella delle grandi intelligenze, tutte costituite in modo abbastanza robusto da poter considerare ogni cosa nella sua doppia forma. Carino mio, in letteratura ogni forma ha il suo dritto e il suo rovescio; nessuno può prendersi la responsabilità di dire qual è il rovescio. Tutto è bilaterale nel campo del pensiero. Le idee sono doppie: Giano è il dio della critica e il simbolo del genio. C’è solo Dio che è triangolare! Ciò che mette Molière e Corneille al di sopra di tutti non è forse la loro capacità di far dire sì a Alceste e no a Philinte, a Octave e a Cinna?21.
22Cioè, il grande scrittore rappresenta una realtà complessa, personaggi che sono su posizioni antitetiche: in letteratura tutto è doppio. «Rousseau nella Nouvelle Héloïse ha scritto una lettera a favore e una contro il duello, tu ti prenderesti la responsabilità di determinare qual è la sua vera opinione? Chi si potrebbe pronunciare tra Clarissa e Lovelace, tra Ettore e Achille? Omero sta dalla parte di Ettore o di Achille?»22. Sta dalla parte di tutti e due, è doppio. Il romanzo, l’opera letteraria è plurale. «La critica deve contemplare le opere sotto tutti i loro aspetti. Siamo autori di rapporti»23, cioè dobbiamo fare un rapporto in cui emergano tutti gli aspetti diversi della realtà. «Ecco come puoi cavartela, ragazzo mio» spiega Blondet:
L’invidia, che attacca tutte le opere belle come il verme attacca i frutti migliori, ha cercato di mordere questo libro, dirai. Per trovarvi dei difetti la critica è stata costretta a inventare delle teorie a proposito di questo libro, a distinguere due letterature: quella delle idee e quella letteratura delle immagini. E a questo punto, caro mio, dirai che il grado più alto dell’arte letteraria è imprimere idea nell’immagine. Cercando di dimostrare che l’immagine è tutta la poesia, ti lamenterai della poca poesia che c’è nella nostra lingua, parlerai dei rimproveri che ci fanno gli stranieri sul positivismo del nostro stile24.
23Qui positivismo vuol dire aderenza alla realtà positiva, in contrapposizione ad autori stranieri come Hoffman in Germania o Mathurin in Inghilterra. «Elogerai Canalis e Nathan per i servizi che rendono alla Francia rendendo il suo linguaggio meno prosaico. Distruggi la tua argomentazione precedente, facendo vedere che siamo in progresso rispetto al xviii secolo. Inventa il progresso (un’adorabile mistificazione da fare ai borghesi)!»25. Qui Blondet è ambiguo, perché da un lato afferma che il progresso non esiste, ma dall’altro si impegna in una difesa convinta e appassionata di quella giovane letteratura degli anni Trenta che rispecchia molto da vicino la poetica di Balzac.
La nostra giovane letteratura procede per quadri nei quali si concentrano tutti i generi, la commedia e il dramma, le descrizioni, i caratteri, il dialogo tenuti insieme dai nodi brillanti di un intreccio interessante. Il romanzo, che esige il sentimento, lo stile e l’immagine, è la più immensa creazione moderna. Succede alla commedia, che con i costumi moderni non è più possibile con le sue vecchie regole. Abbraccia il fatto e l’idea nelle sue invenzioni che esigono lo spirito di La Bruyère e la sua morale incisiva, i caratteri trattati come li intendeva Molière, le grandi macchine di Shakespeare e la pittura delle sfumature più delicate della passione, unico tesoro che ci abbiano lasciato i nostri predecessori. Così il romanzo è ben superiore alla discussione fredda e matematica, all’arida analisi del xviii secolo. Il romanzo, dirai sentenziosamente, è un’epopea divertente. Cita Corinne, fondati su Madame de Staël. Il xviii secolo ha messo tutto in discussione, il diciannovesimo ha l’incarico di trarre le conclusioni; e così conclude con delle realtà; ma con delle realtà che vivono e che camminano26.
24Queste realtà che vivono e che camminano sono i personaggi vivi: la caratterizzazione del romanzo qui abbozzata dalle parole di Blondet anticipa allora a tutti gli effetti le idee che Balzac svilupperà nel 1842 nella prefazione de La Comédie humaine.
25La critica balzachiana degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento ha costantemente insistito sul carattere coerente e unitario del pensiero balzachiano. Sulle orme del grande critico tedesco Ernst-Robert Curtius, che ristampò ampliato nel 1951 il suo importantissimo Balzac27 del 1923, studiosi come Pierre-Georges Castex, Maurice Bardèche, Per Nykrog misero allora in luce la presenza, nel cuore dell’opera narrativa di Balzac, di un vero e proprio sistema filosofico solidamente strutturato. A questa tendenza esegetica è subentrata, negli anni Ottanta del Novecento, una tendenza apparentemente contraria. Roland Chollet, Nicole Mozet, José-Luis Diaz, gli specialisti più attenti al Balzac giornalista, all’eclettico narratore degli esordi, all’autore di capricciose œuvres diverses come la Théorie de la démarche o il Traité de la vie élégante, hanno privilegiato il carattere multiforme, versatile, policentrico dell’ispirazione balzachiana, aperta a tutte le suggestioni dell’età romantica e di un’industria culturale allora in vertiginosa crescita. Considerando però da vicino e con attenzione l’insieme della produzione balzachiana, l’apparente contrapposizione di queste due tendenze interpretative viene meno, ed esse si rivelano piuttosto complementari. È vero che, sin dai suoi primi tentativi letterari, Balzac ha individuato i grandi temi che per tutta la vita sarebbero stati al centro della sua riflessione: la natura del pensiero, il patrimonio energetico degli individui, i diritti del genio, la decifrazione delle grandi leggi della natura e della società. È ugualmente vero, però, che con questi temi egli si è confrontato sui più diversi terreni e nei generi più disparati; per questo il risultato davvero decisivo della sua lunga ricerca non è tanto il “sistema” monolitico esibito nell’Avant-propos del 1842, quanto la straripante ricchezza di intuizioni, suggerimenti, proposte, osservazioni specifiche disseminata nell’intero corpus della sua opera edita e inedita, dai manoscritti giovanili sino alle ultime prove narrative e agli ultimi interventi pubblici. Ogni ricerca, ogni studio sulla poetica di Balzac, sulla sua teoria letteraria, deve dunque tener conto da un lato della continuità di un pensiero fortemente originale, che negli anni va sviluppandosi intorno a un immutato nucleo originario; dall’altro, dell’importanza dei mille rivoli accidentali nei quali questo pensiero prende forma, reagendo di volta in volta a effimere mode culturali, a opere di particolare rilievo, a critiche ostili, a osservazioni polemiche sul ruolo sociale dell’artista. Non si può che rinunciare a racchiudere in una formula esauriente questo mondo di idee così frastagliato e vitale, refrattario a ogni chiusura; e disporsi a interrogarlo pazientemente su quanto ha ancora da dirci riguardo alle origini della modernità.
Notes de bas de page
1 N. Mozet, Balzac au pluriel, Paris, PUF, 1990.
2 H. de Balzac, La Comédie humaine, Paris, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»), 1977, t. VIII, p. 1674.
3 Ivi, p. 1678.
4 Ivi, p. 1675.
5 Ivi, p. 1680.
6 H. de Balzac, La Comédie humaine, Paris, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»), 1979, t. X, p. 436.
7 Ivi, p. 658.
8 Ibidem.
9 Ivi, p. 75.
10 H. de Balzac, La Comédie humaine, Paris, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»), 1980, t. XI, p. 1045.
11 H. de Balzac, La Comédie humaine, Paris, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»), 1977 , t. V, p. 312.
12 Ivi, pp. 312-313.
13 Ivi, p. 313.
14 Ibidem.
15 Ibidem.
16 Ibidem.
17 Ibidem.
18 Ibidem.
19 Ibidem.
20 Ivi, p. 443.
21 Ivi, p. 457.
22 Ibidem.
23 Ibidem.
24 Ivi, p. 459.
25 Ibidem.
26 Ivi, pp. 459-460.
27 E. R. Curtius, Balzac, Bern, A. Francke, 1951.
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