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De docta ignorantia

p. 36-38


Texte intégral

1Ce la farà la Vecchia Signora a risorgere? Tra pochi mesi, con le elezioni europee 2019, sapremo se il futuro dell’Europa sarà quello di una vera ripresa, di una ripresina o, in modo più o meno mascherato, di una paradossale Eurexit. Paradossale sì, ma non impensabile.

2Un tale pessimismo avrebbe le basi per poter dire che si tratta di un futuro possibile? Personalmente ritengo di sì. E lo ritengo possibile per il fatto che si assiste, in molti paesi europei, a una specie di scaricabarile fra le diverse forze politiche circa le problematiche che assillano questa o quest’altra nazione per non dire l’intera eurozona.

3Dare la colpa alle incapacità dei governi attuali – paradossalmente poco importa se di destra, di sinistra, di centroqualcosa, di populisti, sovranisti, nazionalisti – incapacità molte volte di un’evidenza accecante –, non giustifica coloro che si erano arroccati al potere per decenni in forme più o meno democratiche, ma sovente di chiara tendenza oligarchica nelle situazioni migliori, di malcelata ispirazione “incuicista” nelle situazioni correnti, per non dire – almeno in Italia – di inconfessabili intrighi e depistaggi che rivelano all’ignaro cittadino manovre di forze potenti ma occulte. In poche parole, se quelli attuali non vanno bene, nemmeno quelli di prima andavano bene.

4A questo si aggiunga che le prese di posizione di organismi ad hoc non sono state praticamente mai all’altezza di individuare e di risolvere il problema. Per far paura oggi basta agitare lo spettro della Troika, che riporta a miglior consiglio qualunque Consiglio dei Ministri.

5Mi sembra di poter dire che il mio pessimismo sia giustificato.

 

6Che fare davanti a uno scenario simile?

7La risposta che si danno gli stessi che si imputano reciprocamente la colpa è classica: il ricorso all’ideale. L’amore e l’odio sarebbero in prima fila per portare la soluzione: se questa Europa si farà paladina di un ideale, allora l’ameremo (a condizione che questo ideale ci convenga); se questa Europa si arroccherà su un altro ideale, allora la odieremo (evidentemente se constatiamo che quest’altro ideale non ci conviene affatto). L’anfibologia del termine risiede su questo dato: l’ideale non risponde al Sommo Bene, il quale sarebbe quello di tutti e di ognuno, come un tempo si pensava o si credeva. Siamo nell’epoca dell’Altro che non esiste, in un mondo in cui le segregazioni simboliche si sgretolano e al contempo si drizzano quelle reali – «effettività reale, troppo reale», commenta Lacan nella sua Proposta del 9 ottobre 19671.

8Forse, allora, non è tanto all’amore e all’odio, a queste passioni a cui occorre volgersi, dato che l’amore prende troppo spesso la via della passione immaginaria e non già quella del dono attivo in cui dovrebbe consistere sul piano simbolico, e l’odio per giustificarsi si riveste nel nostro discorso comune di una quantità di pretesti e di «razionalizzazioni estremamente facili», commenta ancora, alla fine del Seminario I, Lacan2.

9Non ci rimane che volgersi verso la passione dell’ignoranza. Ossia, verso quella passione in cui ci si mette, ognuno e collettivamente, in posizione di ricerca della via verso un sapere che, senza alcun pregiudizio, metta in evidenza il reale in gioco.

10Ricorrerò a Lacan per puntualizzarne due.

11La prima investe la comunità umana in quanto tale, pur rivelando in ogni epoca, anche quindi nella nostra, dei risvolti legati alle situazioni contingenti. L’affermazione di Lacan nel suo testo Joyce il sintomo che «la storia non è niente di più che una fuga, di cui si raccontano solo degli esodi» e che «solo i deportati partecipano alla storia»3, è uno squarcio rispetto a ogni irenismo idealistico e ci fa vedere uno spaccato inedito in cui muri, steccati e mari risultano in ultima analisi effimeri rispetto al corso della storia umana, sebbene essi siano i nomi in cui oggi si materializza quella segregazione reale a cui Lacan dà il nome di campi di concentramento.

12Ma questa incapacità di leggere la storia è condizionata da un altro fattore, anche questo puntualizzato a più riprese da Lacan. Si tratta del fatto che l’intrusione della scienza moderna pone dei problemi del tutto nuovi alle funzioni del potere, soprattutto nell’epoca del capitalismo. La scienza moderna è una valida alleata della realtà capitalista, la quale, per suo tramite, sa operare o manipolare il sapere. Ma il capitalismo ha completamente cambiato le abitudini del potere, le quali, se da un lato sono forse diventate più abusive, hanno comunque introdotto «qualcosa che non si era mai visto: il cosiddetto potere liberale»4. Questo potere liberale vuol semplicemente dire che colui che è al potere può rivelarsi un bravo o un inetto burocrate, dare le dimissioni o cambiare di casacca per farsi avvocato delle istituzioni che aveva prima contrastato, ma non sarà mai all’altezza affinché qualcosa cambi. Questo vuol dire, se leggo bene Lacan, che «il potere è altrove»5. Il vero potere è nelle mani della scienza. Tuttavia noi tutti saremo sempre più imbarazzati perché anche «dalla parte della scienza avviene qualcosa che supera le sue capacità di padronanza»6, dice Lacan nel suo Seminario Da un Altro all’altro.

Notes de bas de page

1 J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola (1967), in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 255.

2 Id., Il Seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud (1953-1954), Torino, Einaudi, 2014, p. 326.

3 Id., Joyce il Sintomo (1979), in Altri scritti cit., p. 561.

4 J. Lacan, Il Seminario, Libro XVI, Da un Altro all’altro (1968-1969), Torino, Einaudi, 2019, p. 235.

5 Ivi, p. 236.

6 Ibidem.

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