1 J. Améry, Jenseits von Schuld und Sühne. Bewältigungsversuche eines Überwältigten, Stuttgart, Klett-Cotta, 1977 (trad. it. di E. Ganni, Un intellettuale ad Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1987).
2 Il tema dell’aspettativa di un imminente avvento del Regno di Dio nell’ebraismo e in Gesù sarà trattato ampiamente nel II capitolo (vedi infra, § Giovanni il Battista). Solo a quel punto sarà possibile sviluppare ciò che qui può solo essere accennato.
3 E. Käsemann, Das Problem des historischen Jesus, in Exegetische Versuche und Besinnungen, Bd. I, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1964, pp. 194, 207 (trad. it. di V. Gatti, Saggi esegetici, Casale Monferrato, Marietti, 1985, pp. 37, 50).
4 Vedi infra, § La fine.
5 Vedi infra, § Guarigioni.
6 Questo capitolo riassume brevemente quanto sviluppato più ampiamente in C. Türcke, Philosophie des Traums, München, C.H. Beck, 2008, pp. 19-100.
7 R. Otto, Das Heilige (1917), München, C.H. Beck, 1963, pp. 15, 13, 32 sg. (trad. it. di E. Buonaiuti Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, Milano, Feltrinelli, 1992, pp. 23, 21, 36-37).
8 R. Otto, Das Heilige, cit., p. 42 (trad. it., p. 42).
9 S. Freud, Jenseits des Lustprinzips, Studiensausgabe, vol. III, Frankfurt a. M., Fischer, 1975, p. 223 (trad. it. di C.L. Musatti, Al di là del principio del piacere, in S. Freud, Opere, 1917-1923, Torino, Boringhieri, 1979, p. 199).
10 S. Freud, Jenseits des Lustprinzips, cit. (trad. it. cit., pp. 198-199).
11 S. Freud, Die Traumdeutung, Studienausgabe, vol. II, Frankfurt a. M., Fischer, 1972, p. 539 (trad. it. di C.L. Musatti, L’interpretazione dei sogni, in Id., Opere 1899, Torino, Boringhieri, 1978, p. 516).
12 S. Freud, Die Traumdeutung, cit., p. 280 (trad. it. cit., p. 257).
13 S. Freud, Das Unbewußte, Studienausgabe, vol. III, cit., pp. 145 e 147 (trad. it. di C.L Musatti, L’inconscio, in S. Freud, Opere, 1915-1917, Torino, Boringhieri, 1978, pp. 70 e 72).
14 C. Türcke, Philosophie des Traums, cit., pp. 16 e 62.
15 S. Freud, Die Traumdeutung, cit., p. 307 (trad. it. L’interpretazione dei sogni, cit., p. 284).
16 Per una trattazione più ampia vedi C. Türcke, Philosophie des Traums, cit., pp. 52 sgg.
17 Anche questo particolare era per loro troppo terribile perché essi abbiano potuto inventarlo: piuttosto avevano ogni motivo di rendersi tollerabile il suo grido spaventoso e in ciò li aiutò la sua traduzione nelle parole legittimate del salmo 22 «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» Non è più comunque possibile chiarire se i discepoli avessero una conoscenza della Scrittura tale da permettere loro di operare essi stessi la traduzione, oppure se essa sia stata realizzata successivamente da cristiani che conoscevano le Scritture.
18 L’indicazione era già presente nel profeta Osea 6,2 (LXX): Il Signore «dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza». Alla base del computo vi è l’antichissima rappresentazione della «risurrezione» della luna, dopo i tre giorni bui del novilunio.
19 Naturalmente all’inizio essi non si chiamavano così. Il termine Christos è già una traduzione di Messia e comparve solo quando essi dovettero rendersi comprensibili a un pubblico che parlava greco.
20 Cefa è il nome aramaico per «pietra», in greco πέτρος (pétros). Già nella primitiva comunità cristiana è il costante soprannome del pescatore Simone, presumibilmente il primo discepolo di Gesù.
21 Due assaggi: «In questo casto ritegno il racconto neotestamentario si distingue nettamente dalla narrazione più tarda del vangelo apocrifo di Pietro. Il cui autore, nel ii secolo d.C., compie il tentativo di descrivere la risurrezione di Gesù […]. Mentre questa narrazione vorrebbe penetrare nel mistero e tenta di vedere la risurrezione, i vangeli trasmettono solo la parola dell’annuncio; poiché essi sanno che la risurrezione di Gesù Cristo dai morti resta nascosta ai nostri occhi» (E. Lohse, Die Auferstehung Jesu Christi im Zeugnis des Lukasevangeliums, Neukirchen, Neukirchener Verlag, 1961, p. 19). Non meno carino: «Aver “visto il Signore” o formulazioni analoghe restano costantemente in lui [Paolo] indicazioni lemmatiche che si astengono dal voler sostituire una descrizione almeno a grandi linee concreta». «Con la sua discrezione nel caso detto Paolo è in piena armonia con le tradizioni testimoniali. […] La coincidenza è tutto fuorché priva di importanza. Particolarmente centrale è il tratto comune per cui non viene descritta la realtà celeste, in cui Gesù vive e che egli rappresenta a partire dalla Pasqua. La posizione particolare di Gesù in Dio viene piuttosto interpretata così da essere rinviata alla sua efficacia attuale sperimentabile in occasione della vocazione dei singoli, nella comunità e nei campi di missione e al suo agire in vista del compimento sperato a favore della comunità» (J. Becker, Die Auferstehung Jesu Christi nach dem Neuen Testament, Tübingen, Mohr-Siebeck, 2007, pp. 109, 134 sgg.).
22 P. Tillich, Systematische Theologie, vol. 1, Stuttgart, Evangelisches Verlagswerk, 1956, pp. 19 sgg. (trad. it. di R. Bertalot, Teologia sistematica, I, Torino, Claudiana, 1996, p. 25).
23 Un’altra questione è se egli sia stato davvero il primo a compierla. Perché tutti e quattro gli Evangelisti cominciano il racconto pasquale con donne della cerchia di Maria Maddalena? In un contesto patriarcale, gli uomini non avevano alcun motivo per inventare un simile dettaglio, alcune ragioni piuttosto per minimizzarlo, nel caso fosse effettivamente accaduto così. Donne quali testimoni privilegiati? Era qualcosa di inconcepibile. La testimonianza delle donne non contava, sino a che non era convalidata da un maschio. Le prime «testimoni» compaiono infatti unicamente nel ruolo di portatrici di aromi per il cadavere e compiono un tipico lavoro femminile in caso di morte. Se anche questo lavoro può interpretarsi in un modo significativamente più profondo – porre il cadavere di Gesù nella condizione superiore dell’Unto (= Cristo) – l’acquisto di specifici aromi per ungere un cadavere già sepolto, senza sapere inoltre chi avrebbe rimosso la pietra sull’ingresso del sepolcro non è una particolare dimostrazione di affidabilità. Le donne, del resto, possono vedere, anziché il Risorto, solo la tomba vuota – e ricevono dal «giovane» che siede sul sepolcro il compito di dire «ai suoi discepoli e a Pietro» che lo «vedranno» in Galilea (Mc. 16, 5 sgg.). Un racconto astruso, del tutto incredibile che è comunque chiaro nel suo senso polemico: non spetta alle donne essere apostoli. Il loro ruolo è semplicemente quello di comunicare «ai discepoli e a Pietro» o nella terminologia paolina «a Cefa e ai Dodici» il luogo in cui lo «vedranno». Lo stato d’animo delle donne nella primissima fase del cristianesimo è difficile da ricostruire e per questo non lo si indaga qui ulteriormente, anche perché l’«inspiegabile svolta» di cui trattiamo difficilmente ha potuto assumere un andamento essenzialmente diverso da quello verificatosi nei discepoli maschi.
24 H. von Kleist, Über die allmähliche Verfertigung der Gedanken beim Reden, in Sämtliche Werke und Briefe, vol. III, München, Hanser, 1982, pp. 319-320 (trad. it. di Anna Maria Carpi, Sulla graduale produzione dei pensieri durante il discorso, in Opere, Milano, Mondadori, 2011, pp. 990-991).
25 Per il rapporto tra Giovanni il Battista e Gesù vedi infra, § Giovanni il Battista.
26 Vedi infra, § Nazareth.
27 Anche se verosimilmente non dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme, come si afferma in At. 9, 2. Le loro disposizioni sicuramente non si estendevano fino a Damasco.
28 G. Lüdemann, Paulus, der Gründer des Christentums, Lüneburg, zu Klampen, 2001, p. 99.
29 G. Lüdemann, Paulus, der Gründer des Christentums, cit., p. 173.
30 R.M. Rilke, Duineser Elegien, Stuttgart, Reclam, 1997, p. 7 (trad. it. di G. Baioni e A. Lavagetto, Elegie duinesi, in Poesie, II, (1908-1926) Torino, Einaudi-Gallimard, 1995, p. 55).
31 F. Nietzsche, Morgenröthe I, § 68, KSA, vol. 3, p. 65 (trad. it. di F. Masini, Aurora, in Opere, V, I, Milano, Adelphi, 1964, p. 50).
32 Il sospetto che gli Atti abbiano inventato la cittadinanza romana di Paolo perché in generale parlano bene dei romani capovolge la realtà. Se, a differenza degli ebrei, negli Atti i romani sono trattati bene, è perché Paolo stesso era un cittadino romano.
33 Strabo, Geografia 14, 5, 13, cit. in G. Lüdemann, Paulus, der Gründer des Christentums, cit., p. 115.
34 G. Lüdemann, Paulus, der Gründer des Christentums, cit., p. 129.
35 E. Käsemann, Paulus und der Frühkatholizismus, in Exegetische Versuche und Besinnungen, vol. II, cit., p. 244 (trad. it. Saggi esegetici, cit., p. 158).
36 Illuminanti le osservazioni sulla circoncisione come mnemotecnica nel saggio di F. Maciejewski, Psychoanalytisches Archiv und jüdisches Gedächtnis. Freud, Beschneidung und Monotheismus, Wien, Passagen, 2002.
37 Su questa chiara posizione di Paolo e sulle contorsioni dei biblisti per schivarla, per leggere al suo posto nelle lettere paoline i diritti umani, la democrazia o persino il socialismo, vedi C. Türcke, Zum ideologie-kritischen Potential der Theologie, Lüneburg3, zu Klampen, 1990, pp. 46 sgg.
38 G. Roth, Das Gehirn und seine Wirklichkeit. Kognitive Neurobiologie und ihre philosophischen Konsequenzen, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1994, p. 186.
39 Vedi infra, § Banchetti.
40 È lì che tale formula viene ancora sempre collocata dal più antico rituale che si sia conservato (Didaché, 10, 6 redatta verso il 100 d. C.), anche se come elemento sconnesso.
41 Cosa abbia spinto Paolo a fare questa affermazione è un enigma. Racconta una frottola semplicemente per conferire alla liturgia l’enfasi desiderata, oppure essa è divenuta a tal punto parte della «razione K» della sua fede, ch’egli ha ormai dimenticato di averla appresa da altri al momento del suo ingresso nella comunità di mensa cristiana?
42 Freud seguiva assolutamente la pista giusta quando osservava nella Cena cristiana un’involontaria ripresentazione dell’originario sacrificio umano fondatore della cultura. Il suo punto debole: il potersi rappresentare la fondazione della cultura solo come un dramma della gelosia sessuale, come uccisione del violento padre originario che pretendeva per sé tutte le donne dell’orda primitiva, non permettendo ad altri di accostarvisi, così da frustrare a tal punto i «figli» dell’orda da indurli alla fine a ucciderlo e a divorarne il cadavere – per poi, tormentati dal senso di colpa per il loro atto, rinunciare proprio alle donne, a causa delle quali si erano ribellati e per cercarsi le loro mogli in altre orde (S. Freud, Totem und Tabu, Studiensausgabe, vol. IX, 1974, pp. 425 sgg.; trad. it. di C.L. Musatti, Totem e tabù, in S. Freud, Opere 1912-1914: Totem e tabù, VII, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 145 sgg.). Sicuramente non è così che si è giunti alla cultura. La tensione sessuale, nello stato di natura, non possiede in nessun modo sufficiente forza traumatizzante per spingere gli ominidi a istituire rapporti culturali (cfr. C. Türcke, Philosophie des Traums, cit., pp. 139 sgg.). Dalla favola del padre dell’orda primitiva come modello originario del Dio Padre monoteistico deriva poi una favola ulteriore: quella della «religione del Figlio». «Quando il cristianesimo cominciò la sua penetrazione nel mondo antico, si scontrò con la concorrenza della religione di Mitra, e per un certo periodo fu dubbio quale delle due divinità sarebbe riuscita a spuntarla. […] Possiamo forse dedurre dalle raffigurazioni di uccisioni di tori compiute da Mitra, che egli rappresentava il figlio che eseguì da solo il sacrificio del padre liberando in tal modo i fratelli dall’opprimente correità derivante dal comune misfatto. C’era un’altra via per alleviare questo senso di colpa, e fu la via che imboccò per primo Cristo. Egli venne e sacrificò la propria vita, redimendo così la schiera dei fratelli dal peccato originale». Con ciò certamente «anche il figlio raggiunge lo scopo dei suoi desideri contro il padre. Diventa egli stesso Dio accanto, anzi propriamente al posto del Padre. La religione del Figlio si sostituisce a quella del Padre. In segno di questa sostituzione viene richiamato in vita l’antico pasto totemico in forma di Comunione, nella quale la schiera dei fratelli consuma la carne e il sangue del Figlio, non più del Padre» (S. Freud, Totem und Tabu, cit., pp. 436 sg.; trad. it. cit., pp. 156-157). Di chi parla qui propriamente Freud? Con il Gesù storico le affermazioni citate di Freud non hanno nulla a che fare. Gesù, come si vedrà subito nel prossimo capitolo, aveva in mente tutt’altro che sacrificare «la propria vita» allo scopo di «redimere la schiera dei fratelli dal peccato originale» oppure allo scopo di «diventare egli stesso Dio accanto, anzi propriamente al posto del Padre». Freud parla dunque dell’originaria comunità cristiana? Parrebbe. Soltanto che essa ha sì interpretato la morte di Gesù come un sacrificio per l’umanità, ma neppure per cenni ha tentato di porre il suo Cristo al posto del Dio d’Israele. Al contrario. Lo stesso Paolo esige che i pagani riconoscano il Dio d’Israele come unico e immaginino il Cristo Gesù come suo figlio. E infine, una «religione del figlio» in cui il Figlio prende il posto del Padre, si limita semplicemente a prolungare la religione del Padre con una nuova persona. È la mitologia greca a fornire il migliore esempio al riguardo. Lo Zeus che evira il padre Crono è in tutto e per tutto un figlio ribelle. Ma non appena si insedia al suo posto e stabilisce un nuovo ordine del mondo, diventa, come dice del tutto esattamente Esiodo «degli dèi padre e degli uomini» (Esiodo, Teogonia, Milano, bur, 1984, p. 67, v. 47). Freud ha elaborato lo schema religione del Padre / religione del Figlio unicamente allo scopo di cogliere il rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Ma il suo schema non funziona.