1 È l’espressione di cui si serve Michel Serres nel suo commento alla tavola del Carpaccio che rappresenta la lotta di San Giorgio e il drago (Esthétiques sur Carpaccio, Paris, Hermann, 1975, p. 34 [trad. it. A. Serra, Carpaccio. Studi, Firenze, Hopefulmonster, 1990, p. 34; il dipinto del 1502 è conservato nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia]).
2 Ho definito la nozione di «assetto di compromesso» [arrangement] nel senso in cui me ne servo in queste pagine nel mio La condition foetale. Une sociologie de l’engendrement et de l’avortement, Paris, Gallimard, 2004 [trad it. L. Cornalba, La condizione fetale. Una sociologia della generazione e dell’aborto, Milano, Feltrinelli, 2007]. Il tipo di ragionamento svolto è lo stesso, dato che il tema alla base de La condizione fetale era una contraddizione generica che risultava al tempo stesso incarnata e dissimulata da arrangement diversi.
3 L’aggettivo, come è noto, ricorre in É. Durkheim, Les règles de la méthode sociologique [1895], Paris, puf, 1963 [trad. it. M. Prospero, Le regole del metodo sociologico, Roma, Editori Riuniti, 1996], ma lo si ritrova anche in Axel Honneth, che parla di «patologie del sociale» (vedi A. Honneth, Pathologien des Sozialen, Frankfurt am Main, Fischer, 1994 [trad. it. Patologie del sociale, in “Iride”, n. 18, 1996, pp. 295-328]).
4 Il tema è sviluppato in A. Esquerre, La manipulation mentale. Sociologie des sectes en France, Paris, Fayard, 2009.
5 Per un quadro d’insieme di una società che contempla una pluralità di mondi vedi L. Boltanski e L. Thévenot, De la justification. Les économies de la grandeur, Paris, Gallimard, 1991.
6 Vedi L. Boltanski, L’espace positionnel, in “Revue française de sociologie”, a. xiv, n. 1, 1973, pp. 3-20.
7 P. Descola, Par-delà nature et culture, Paris, Gallimard, 2005.
8 Secondo Philippe Descola la possibilità della metamorfosi dipende dalla capacità riconosciuta agli esseri di mutare il loro aspetto esteriore pur restando interiormente identici, oppure (caso molto più frequente nelle nostre società) di mantenere identico il proprio aspetto fisico pur alterando la propria interiorità. Secondo Hans Blumenberg, Wirklichkeitsbegriff und Wirkungspotential des Mythos, in M. Fuhrmann, Terror und Spiel. Probleme der Mythenrezeption, in “Poetik und Hermeneutik”, vol. IV, München, Fink, 1971, pp. 11-66 [trad. it. G. Leghissa, Il futuro del mito, Milano, Medusa, 2002], la tradizione biblica e successivamente il cristianesimo hanno condotto una lotta senza quartiere contro la possibilità della metamorfosi, colonna portante della mitologia greca, reprimendo il riemergere di quella tematica nelle eresie. Viene comunque da pensare che il fatto della metamorfosi costituisca una sorta di evidenza difficile da negare, dal momento che il tema torna in auge nel xii secolo dell’era cristiana, per esempio nel motivo del lupo mannaro, e in teologia in certi tentativi (falliti) di interpretare la transustanziazione in termini di metamorfosi (vedi C.Walker Bynum, Metamorphosis and Identity, New York, Zone Books, 2005).
9 B. Latour, Nous n’avons jamais été modernes. Essai d’anthropologie symétrique, Paris, La Découverte, 1991 [trad. it. G. Lagomarsino, Non siamo mai stati moderni: saggio di antropologia simmetrica, Milano, Eleuthera, 1995].
10 «L’aspetto ignominioso di questa autorità – che è avvertito da pochi solo perché le sue attribuzioni bastano di rado agli interventi più massicci, ma possono operare tanto più ciecamente nei settori più indifesi e contro le persone accorte da cui le leggi non proteggono lo Stato –, consiste in ciò che, in essa, è soppressa la divisione fra violenza che pone e violenza che conserva la legge. Se si esige dalla prima che mostri i suoi titoli nella vittoria, la seconda è soggetta alla limitazione di non doversi porre nuovi fini. La polizia è emancipata da entrambe le condizioni. Essa è potere che pone – poiché la funzione specifica di quest’ultimo non è di promulgare le leggi, ma qualunque decreto emanato con forza di legge –, ed è il potere che conserva il diritto, poiché si pone a disposizione di quegli scopi» (W. Benjamin, Per la critica della violenza cit., p. 14).
11 Vedi G. Agamben, Il Regno e la gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo, Torino, Bollati Boringhieri, 2009 e le osservazioni a margine in B. Karsenti, Agamben et le mystère du gouvernement, in “Critique”, n. 744, 2009.
12 O.E. Williamson, The Economic Institutions of Capitalism, New York, Free Press, 1985.
13 Alcune forme gestionali del potere statale sono descritte in A. Ogien, L’esprit gestionnaire, Paris, Éditions de l’ehess, 1995.
14 A. Hirschman, Deux siècles de rhétorique réactionnaire, Paris, Fayard, 1991.
15 W. Ryan, Blaming the Victim, New York, Vintage Book, 1988.
16 É. Hache, La responsabilité, une technique de gouvernementalité néolibérale?, in “Raisons politiques”, n. 28, 2007, pp. 49-66.
17 P. Bourdieu e L. Boltanski, La production de l’idéologie dominante, in “Actes de la recherche en sciences sociales”, vol. II, n. 2, 1976 (oggi edito in volume: Paris, Demopolis - Raisons d’agir, 2008).
18 Uno dei primi studi di lingua francese che hanno analizzato questa nuova concezione della politica è quello di B. Jobert, Le tournant néo-libéral en Europe: idées et recettes dans les pratiques gouvernementales, Paris, L’Harmattan, 1994.
19 L. Boltanski e È. Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme, Paris, Gallimard, 1999, pp. 71-73 (per la definizione del concetto).
20 A. Hirschman, Shifting Insolvements. Private Interest and Public Action, Oxford, Martin Robertson, 1982 [trad. it. J. Sassoon e M.L. Bassi, Felicità privata e felicità pubblica, Bologna, il Mulino, 2013].
21 M. Callon (a cura di), The Laws of the Markets, Oxford, Blackwell, 1998. Vedi anche D. MacKenzie, F. Muniesa e L. Siu, Do Economists Make Markets?, Princeton, Princeton University Press, 2007.
22 L’affermazione di approcci di questo tipo è stata agevolata delle brecce aperte nel positivismo e nel behaviorismo da alcune correnti metodologiche la cui influenza, almeno in Europa, ha agito soprattutto negli anni 1975-1990: l’etnometodologia, gli science studies, la sociologia storica della statistica e delle scienze camerali… Nel caso dell’economia ha contribuito anche il rinnovato interesse per l’opera di Karl Polanyi, tardivamente e solo parzialmente tradotta in francese negli anni Ottanta (K. Polanyi, The Great Transformation, New York, Rinehart and Co., 1944 [trad. it. R. Vigevani, La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974]).
23 Sul modo in cui quel processo si è concretizzato in Gran Bretagna nel ventennio 1980-2000 vedi P. Le Galès e A. Scott, Une révolution bureaucratique britannique? Autonomie sans contrôle ou «free markets, more rules», in “Revue française de sociologie”, vol. xlix, n. 2, 2008, pp. 301-330.
24 Sulla funzione assunta dalle classifiche e dagli strumenti di benchmarking nei dispositivi di gestione e di potere sono particolarmente utili gli studi di Alain Desrosières, soprattutto Historiciser l’action publique. L’État, le marché et les statistiques, in P. Laborier e D. Trom, Historicités de l’action publique, Paris, puf, 2003, pp. 207-221. In W. Espeland e M. Sauder, Rankings and reactivity: How public measures recreate social worlds, in “American Journal of Sociology”, vol. cxiii, n. 1, 2007, pp. 1-40 si può leggere un’eccellente descrizione di quei processi a partire da uno studio monografico degli effetti sortiti dalle classifiche sulla trasformazione delle Law School negli Stati Uniti. Un altro esempio estremamente pertinente è quello dell’orientamento della ricerca a livello europeo (il cosiddetto «processo di Lisbona») studiato in I. Bruno, À vos marques, prêts… cherchez: la stratégie européenne de Lisbonne. Vers un marché de la recherche, Paris, Éditions du Croquant, 2008.
25 Vedi P. Lascoumes e P. Le Galès (a cura di), Gouverner par les instruments, Paris, Presses de Sciences Po, 2005.
26 Sull’importanza assunta dalla contabilità tra gli strumenti di governo si vedano gli studi di Ève Chiapello, in particolare Les normes comptables comme institution du capitalisme. Une analyse du passage aux normes ifrs en Europe à partir de 2005, in “Sociologie du travail”, n. 47, 2005, pp. 362-382 e È. Chiapello. e K. Medjad, Une privatisation inédite de la norme: le cas de la politique comptable européenne, in “Sociologie du travail”, n. 49, 2007, pp. 46-64.
27 L. Thévenot, Un gouvernement par les normes. Pratiques et politiques des formats d’information, in B. Conein e L. Thévenot (a cura di), Cognition et information en société, Paris, Éditions de l’ehess, 1997, pp. 205-242.
28 Vedi G. Kessler e S. Sigal, Survivre. Réflexion sur l’action en situation de chaos. Comportements et représentations face à la dislocation des régulations sociales: l’hyperinflation en Argentine, in “Cultures & Conflits”, nn. 24-25, 1997, pp. 37-77.
29 Sulla funzione pedagogica delle crisi vedi F. Neiburg, Inflation: economists and economic cultures in Brazil and Argentina, in “Comparative Studies in Society and History”, a. xlviii, n. 3, 2006, pp. 604-633.
30 Si vede bene quanto siano ingenue certe concezioni dell’agire politico che fondano la speranza rivoluzionaria solo ed esclusivamente sui momenti di disgregazione dell’ordine sociale dominante, presentati come occasioni storiche ed eccezionali. Quei momenti possono racchiudere circostanze propizie alla manifestazione della critica e all’espressione di una dissidenza, questo si capisce, ma dal momento che il più delle volte coincidono con i momenti di crisi dei quali si nutre un regime di dominio propriamente detto, quei gesti rischiano di venire ogni volta inglobati dalla logica di un ordine che si autoperpetua per mezzo del cambiamento. A meno che essi non intervengano al termine di un lungo lavoro critico fondato in primo luogo sulla messa in discussione delle verifiche di realtà vigenti, e quindi su un’esperienza quotidiana della rivolta in grado di restituire alle persone (a livello individuale e collettivo) una certa presa sull’agire e la capacità di formulare attese fondate su una riappropriazione riflessiva delle loro verifiche esistenziali.
31 Il modo in cui il dominio esercitato dagli esperti e in particolare dagli economisti è riuscito a svuotare la politica di qualunque contenuto critico (cioè di qualunque contenuto in generale) è analizzato nella brillante tesi di dottorato di Marana Heredia sulle forme assunte da quel processo in Argentina nel corso degli ultimi trent’anni (M. Heredia, Les métamorphoses de la représentation. Les économistes et la politique en Argentine (1975-2001), tesi di dottorato in sociologia, Parigi, ehess, 2007).
32 Thomas Angeletti ha studiato il funzionamento del Conseil d’analyse économique istituito nel 1997 allo scopo di affiancare il governo francese nelle sue scelte in materia economica. Tra i membri del Consiglio ci sono economisti afferenti a diverse cosiddette «correnti», tra le quali dovrebbe instaurarsi un «dibattito». Nel suo studio Angeletti mostra come questo aeropago, che si voleva pluralista, non abbia prodotto in realtà che note e pareri uniformi e in tutto e per tutto conformi al mainstream dell’economia neoclassica. Le posizioni degli economisti detti «eterodossi» non hanno goduto di alcuna rappresentanza. Questi ultimi, in effetti, si sono trovati di fronte a una difficile alternativa: servirsi dei modelli e dei formalismi dominanti per rendere riconoscibile la propria posizione, e quindi soggiacere a un inevitabile effetto di omogeneizzazione procedendo all’autocensura di una parte del loro messaggio, oppure autocensurarsi del tutto evitando di assumere posizioni chiare in merito ad alcuni problemi o tacendo del tutto (vedi T. Angeletti, (Se) rendre conforme. Les limites de la critique au Conseil d’analyse économique, in “Tracés”, n. 17, 2009, pp. 55-72).
33 L. Daston, Objectivity and the escape from perspective, in “Social Studies of Science”, vol. xxii, n. 4, 1982, pp. 597-618.
34 Sulla storia e gli usi sociali del concetto di «manipolazione» vedi A. Esquerre, La manipulation mentale cit.
35 L. Boltanski e È. Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme cit.
36 Vedi M. Mann, The autonomous power of the State: its origins, mechanisms and results, in “Archives européennes de sociologie”, vol. xxv, n. 2, 1984, pp. 185-213.
37 Vedi Z. Bauman, Wasted Lives. Modernity and its Outcasts, Cambridge, Polity, 2004 [trad. it. M. Astrologo, Vite di scarto, Roma-Bari, Laterza, 2005].
38 Vedi M. Callon, P. Lascoumes e Y. Barthe, Agir dans un monde incertain. Essai sur la démocratie technique, Paris, Seuil, 2001.
39 Vedi L. Blondiaux e Y. Sintomer, L’impératif délibératif, in “Politix”, vol. xv, n. 57, 2002, pp. 17-35 e Y. Sintomer, Le pouvoir au peuple. Jurys citoyens, tirage au sort et démocratie participative, Paris, La Découverte, 2007.
40 «Una parola ad evitare possibili malintesi. Non ritraggo per niente le figure del capitalista e del proprietario fondiario in luce rosea. Ma qui si tratta delle persone solo in quanto sono la personificazione di categorie economiche, che rappresentano determinati rapporti e determinati interessi di classe» (K. Marx, Das Kapital, vol. I, prefazione all’edizione tedesca del 1867 [trad. it. D. Cantimori, Il capitale. Critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, vol. i, pp. 31-35]).
41 Ringrazio Ève Chiapello per avere richiamato la mia attenzione sulla distinzione tra seguire le regole e perseguire un obiettivo, discriminazione fondamentale nelle teorie del controllo legate al management. A proposito di questa differenza vedi anche le diverse modalità dell’agire in base a un piano analizzate in L. Thévenot, L’action au pluriel: sociologie des régimes d’engagement, Paris, La Découverte, 2006.
42 Vedi A.-C. Wagner, Les classes sociales dans la mondialisation, Paris, La Découverte, 2007. L’eccellente studio di K. Medjad, Droit international des affaires, Paris, Armand Colin, 2005, una delle cui importanti lezioni consiste proprio nel dimostrare l’inesistenza di un simile diritto, mostra con chiarezza come la realizzazione di collage economici internazionali (pratica di assoluto rilievo nel funzionamento delle odierne economie) presuppone innanzitutto l’acquisizione di una grande destrezza nel maneggiare le regole, le norme e gli usi. Questi ultimi, spesso contraddittori, dipendono dai corpus giuridici di volta in volta in vigore nei singoli territori nazionali. La loro molteplicità eteroclita conferisce alla regolamentazione una plasticità che viene sfruttata dagli operatori come una risorsa. Lo studio di Béatrice Hibou sulla Tunisia contemporanea fornisce una descrizione particolarmente lucida e pertinente del modo di dominazione che poggia sul gioco con le regole (nazionali e internazionali) in contesti fortemente asimmetrici. La classe dominante tunisina sfrutta a propria discrezione un sistema di testi giuridici spesso contradditori che essa si riserva di invocare o meno a seconda delle circostanze. Béatrice Hibou definisce questo modalità di governance «Stato dei diritti» per distinguerlo dallo «Stato di diritto» (B. Hibou, La force de l’obéissance. Économie politique de la répression en Tunisie, Paris, La Découverte, 2006).
43 O. Mannoni, Je sais bien, mais quand même…, articolo pubblicato per la prima volta nel 1964 e riproposto di recente dalla rivista “Incidence” (n. 2, 2006, pp. 167-190).
44 M.-A. Hermitte, Le sang et le droit. Essai sur la transfusion sanguine, Paris, Seuil, 1998.
45 Vedi J. Assouly, La mise en place des normes déontologiques et la question de la vérité de la finance (documento di lavoro) e Id., Que vaut la valeur fondamentale des actions calculées par les analystes financiers? (di prossima pubblicazione in “Sociologie du travail”).