1 Sulla finzione del «momento originario» e sulla circolarità tra «potere costituente» e «potere costituito» vedi O. Cayla, L’obscure théorie du pouvoir constituant originaire ou l’illusion d’une identité souveraine inaltérable, in D. de Béchillon et al. (a cura di), L’architecture du droit. Mélanges en l’honneur du professeur Michel Troper, Paris, Economica, 2006, pp. 249-265.
2 L’argomento della circolarità (il linguaggio utilizzato per statuire convenzioni riposa a sua volta su convenzioni già statuite) è una delle fonti della teoria delle convenzioni di David Lewis (vedi D. Urrutiaguer, P. Batifoulier e J. Merchier, Peut-on se coordonner sur une base arbitraire? Lewis et la rationalité des conventions, in P. Batifoulier (a cura di), Théorie des conventions, Paris, Economica, 2001, pp. 63-95).
3 C. Alès, L’ire et le désir, Paris, Karthala, 2006, pp. 38, 134-135, 166-169 e 286-288. Vedi anche Ead., Speeches and assemblies among the Yanomami. Ways for creating sociality, contributo presentato al convegno The Interplay of Polity and the Social in Native Amazonia, 52° congresso internazionale degli americanisti, Università di Siviglia, luglio 2006.
4 Le ricerche che Albert Piette ha dedicato a quello che lo studioso chiama il «modo minore della realtà» concernono proprio le tensioni tra la struttura del rituale e certi scarti la cui origine risulta spesso contingente rispetto all’attività principale in corso di svolgimento (vedi A. Piette, Ethnographie de l’action, Paris, Métailié, 1996). Un’attività di ordine pragmatico imposta dalle circostanze viene così a parassitare un’attività di ordine metapragmatico. Proprio per questo, come ha mostrato Catherine Rémy, gli scarti risultano tanto più visibili e «scioccanti» quanto più l’agire in corso di svolgimento è ritualizzato (vedi C. Rémy, Activité sociale et latéralisation. Pour une étude micro-ethnographique de la tension déterminisme-marge de manoeuvre, in “Recherches sociologiques”, vol. xxxiv, n. 3, 2003, pp. 95-114).
5 Mi si consenta di rievocare un ricordo personale. Quando ero bambino i miei genitori mi portavano a messa in chiese non riscaldate (era appena finita la guerra). Molti dei fedeli tossivano. Convinto che la tosse fosse a tutti gli effetti uno dei gesti necessari per il corretto svolgimento del rituale, io mi sforzavo di tossire a mia volta, esattamente come imitavo gli altri quando li vedevo farsi il segno della croce. La tosse aveva perso ai miei occhi il suo carattere contingente e si era integrata al rituale liturgico..
6 J. Bonhomme, Le miroir et le crâne. Parcours initiatique du Bwete Misoko (Gabon), Paris, cnrs éditions - Éditions de la Maison des sciences de l’homme, 2006, p. 19. Prendendo le mosse dallo studio dei percorsi iniziatici, Julien Bonhomme si è riproposto di sviluppare un’analisi pragmatica dei rituali in grado di metterne in luce componenti diverse da quelle su cui hanno insistito le analisi semantiche o semiotiche di ispirazione strutturalista che hanno predominato fino a pochi anni fa. Bonhomme sostituisce allo studio dei «rapporti astratti tra i simboli» lo studio dei «rapporti dinamici tra gli agenti». Questo spostamento, d’altra parte, induce a concepire lo stesso simbolismo da un punto di vista innovativo, mettendone in risalto la plasticità.
7 Élisabeth Claverie (Les guerres de la Vierge. Une anthropologie des apparitions, Paris, Gallimard, 2003) ha studiato in chiave antropologica i percorsi rituali sui luoghi di apparizioni mariane.
8 E. Goffman, Asylums: Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates, Garden City (ny), Dubleday, 1961 [trad. it. F. e F. Basaglia, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, 1972].
9 W. Benjamin, Zur Kritik der Gewalt [1921], in Id., Gesammelte Schriften, vol. ii.1, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1999, pp. 179-204 [trad. it. R. Solmi, Per la critica della violenza, in Id., Angelus novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, p. 17].
10 Nel suo commento al testo di Walter Benjamin, Jacques Derrida scrive: «Ma essa [la violenza] è, nel diritto, ciò che sospende il diritto. Essa interrompe il diritto stabilito per fondarne un altro. Questo momento di sospensione, questa epoché, questo momento fondatore o rivoluzionario del diritto è nel diritto una istanza di non-diritto. Ma è anche tutta la storia del diritto. Questo momento ha sempre luogo e non ha mai luogo in una presenza. È il momento in cui la fondazione del diritto resta sospesa nel vuoto o al di sopra dell’abisso, sospesa a un atto performativo puro che non dovrebbe render conto a nessuno e davanti a nessuno» (J. Derrida, Force de loi, Paris, Galilée, 1994, p. 89 [trad. it. F. Garritano, Forza di legge: il fondamento mistico dell’autorità, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 102-103]).
11 Per un esempio di «decostruzione» del rituale, reinterpretato in termini di dominio, vedi C. Bell, Ritual Theory, Ritual Practice, Oxford, Oxford University Press, 1992.
12 Sulla storia delle forme di protesta si possono vedere gli studi di Charles Tilly, nello specifico La France conteste, de 1600 à nos jours, Paris, Fayard, 1986 e Id., From Mobilization to Revolution, New York, Addison-Wesley, 1978.
13 Vedi F. Tricaud, L’accusation. Recherche sur les figures de l’agression éthique, Paris, Dalloz, 1977.
14 Vedi L. Boltanski, La dénonciation publique des injustices, in Id., L’amour et la justice comme compétences. Trois essais de sociologie de l’action, Paris, Métailié, 1990.
15 Ringrazio Bruno Karsenti, l’osservazione è sua. Questo aspetto affiora in modo particolarmente evidente nella commemorazione, una delle attività nelle quali le istituzioni svolgono le loro funzioni con maggiore acribia e impegno, ma è implicito in tutti gli atti istituzionali (vedi G. Namer, La commémoration en France de 1945 à nos jours, Paris, L’Harmattan, 1987).
16 Vedi in proposito C. Castoriadis, L’institution imaginaire de la société, Paris, Seuil, 1975 [trad. it. F. Ciaramelli e F. Nicolini, L’istituzione immaginaria della società, Torino, Bollati Boringhieri, 1995].
17 L. Boltanski, La dénonciation publique des injustices, in Id., L’amour et la justice comme compétences. Trois essais de sociologie de l’action, Paris, Métailié, 1990.
18 R. Descimon, Les ligueurs de l’exil. Le refuge catholique français après 1594, Seyssel, Champ Vallon, 2005.
19 C. Jouhaud, Mazarinades. La fronde des mots, Paris, Aubier, 1985.
20 É. Claverie, Procès, affaire, cause cit.
21 M. Angenot, La parole pamphlétaire. Typologie des discours modernes, Paris, Payot, 1983.
22 Gli studi che François Berthomé ha dedicato ai dispositivi cerimoniali di «regolamentazione delle dispute» forniscono esempi particolarmente pertinenti del ruolo giocato dalle emozioni in situazioni di questo tipo (vedi F. Berthomé, Remarques sur trois dispositifs cérémoniels de «règlements de disputes», in corso di stampa). Vedi anche T. Scheff, Catharsis in Healing, Ritual and Drama, Berkeley, University of California Press, 1980.
23 F. Héran, L’institution démotivée. De Fustel de Coulanges à Durkheim et au-delà, in “Revue française de sociologie”, vol. xxviii, n. 1, 1987, pp. 67-97.
24 Vedi per esempio S. Hanley, Le «Lit de justice» des rois de France. L’idéologie constitutionnelle dans la légende, le rituel et le discours, Paris, Aubier, 1991. Per altri esempi di tipo più vario vedi soprattutto A. Dierkens e J. Marx (a cura di), La sacralisation du pouvoir. Images et mises en scène, Bruxelles, Éditions de l’Université libre, 2003. Per alcuni esempi contemporanei vedi J.-W. Dereymez, O. Ihl e G. Sabatier (a cura di), Un cérémonial politique: les voyages officiels des chefs d’État, Paris, L’Harmattan, 1998.
25 M. Hénaff, «La condition brisée des langues»: diversité humaine, altérité et traduction, in “Esprit”, n. 323, 2006, pp. 68-83.
26 Cercare di spiegare ciascuna di queste parole e ciascuno di questi gesti secondo la logica della causalità esterna non avrebbe alcun senso, perché quelle parole e quei gesti rimandano gli uni alle altre e presentano quindi un carattere autoreferenziale (vedi a questo riguardo la postfazione di Jacques Bouveresse a L. Wittgenstein, Remarques sur le Rameau d’or de Frazer, Paris, L’Âge d’Homme, 1990).
27 In certi casi la formula può inscriversi in strutture dialogiche (si risponde a una formula per mezzo di un’altra formula), ma ciò non toglie che una delle caratteristiche della formula, in quanto forma, sta nel fatto di non poter essere oggetto di commenti o glosse composti nella stessa forma. Per commentare una formula bisogna cambiare forma e servirsi del discorso argomentativo. In questo senso la formula si apparenta alla poesia, che non può venire commentata o glossata in forma poetica, un po’ come per commentare un brano musicale è necessario uscire dal linguaggio della musica e servirsi delle lingue naturali, pur potendosi avvalere di esempi musicali (suonati al pianoforte nel caso di una conferenza o riprodotti come estratti di partiture in un saggio a stampa). È sempre possibile, invece, commentare un testo sociologico o filosofico senza cambiare forma, nel linguaggio stesso della sociologia o della filosofia, probabilmente perché si tratta di testi concepiti in partenza per aprirsi alla possibilità di una critica. La formula, pur essendo una forma caratteristica del registro metapragmatico della conferma, non è autoriflessiva nel senso della riflessività argomentativa posta in opera dalla critica.
28 «Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi, con strade diritte e regolari, e case uniformi», L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, i, § 18, Oxford, Blackwell, 1953 [trad. it. M. Trinchero e R. Piovesan, Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1968, p. 11].
29 Come osserva Tomaso Vitale, le mobilitazioni trasformano dei «problemi privati» e delle «esperienze compiute dagli individui» in «problemi pubblici» che concernono la collettività nel suo insieme (vedi T. Vitale, Le tensioni tra partecipazione e rappresentanza e i dilemmi dell’azione collettiva nelle mobilitazioni locali, in Id. (a cura di), In nome di chi? Partecipazione e rappresentanza nelle mobilitazioni locali, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 9-40). Nel caso della Francia si potrebbe citare l’esempio della mobilitazione a favore degli immigrati cosiddetti «irregolari», che nel corso degli ultimi quindici anni è riuscita a sostituire alla qualifica di «clandestini» utilizzata dai poteri pubblici e dai mass media quella di «sans papiers» [immigrati senza documenti], e più di recente quella di «lavoratori senza documenti» (ringrazio per questo esempio Jean-Claude Amara dell’associazione Droits Devant!!!).
30 Vedi L. Boltanski e L. Thévenot, Les économies de la grandeur, Paris, Gallimard, 1991 cit.
31 Nel senso in cui in antropologia cognitiva si parla di «categorie tacite» (vedi B. Berlin, D.E. Breedlove e P.H. Raven, Covert categories and folk toxinomies, in “American Anthropologist”, vol. lxxii, n. 2, 1968, pp. 290-299).
32 Si possono fare osservazioni simili a partire dall’analisi del modo in cui il feto viene designato dal medico nel corso dell’esame. Il corpo del feto identificato dall’ecografia può fungere da oggetto di riferimento comune pur venendo investito di significati diversi a seconda che la persona incinta abbia deciso di proseguire la gravidanza o di espellerlo dal suo corpo (vedi L. Boltanski, La condition foetale: une sociologie de l’engendrement et de l’avortement, Paris, Gallimard, 2004, pp. 171-178 [trad. it. T. Vitale e L. Cornalba, La condizione fetale, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 146-152]).
33 L. Boltanski, La souffrance à distance. Morale humanitaire, médias et politique [1993], Paris, Gallimard, 2007 (nuova edizione ampliata).
34 Mi rifaccio alle ricerche in corso di Delphine Moreau, dedicate ai famigliari e agli amici di giovani ai quali è stata diagnosticata una forma di schizofrenia, in particolare al modo in cui i famigliari e gli amici hanno iniziato a sospettare che certe «eccentricità» che li lasciavano perplessi fossero in realtà i sintomi di una malattia mentale. Vedi D. Moreau, Faire interner un proche? Le travail sur l’autonomie en contexte de troubles psychiatriques, Paris, cnaf, in “Dossiers d’études”, n. 94, 2007 (disponibile sul sito della cnaf).
35 Vedi D. Linhardt, Guerrilla diffusa. Clandestinité, soupçon et provocation dans le conflit entre organisations révolutionnaires subversives et l’État ouest-allemand (années 1970), in “Politix”, n. 74, 2006, pp. 75-102.
36 Bisogna comunque osservare che questo tipo di critica può tentare di prendere corpo radicandosi in una «realtà» idealizzata ma distante, e quindi facilmente mitizzabile, nel senso che essa viene ricostruita in modo immaginario a partire da frammenti sconnessi di «testimonianze» scritte o orali, al punto che coloro che la invocano o la fanno valere come un argomento non ne hanno mai avuto un’esperienza diretta. Proprio perché quella «realtà» non è mai stata esperita (nessuna verifica di realtà la incorpora) le critiche che la invocano presentano un carattere al tempo stesso artificiale, rigido e incontestabile, a prescindere dagli oggetti di volta in volta presi di mira.