Le tre logiche della mente di Freud
p. 65-86
Texte intégral
1. Pulsione, pensiero senza linguaggio, pensiero con linguaggio
1A) Rappresentazione come «Triebrepräsentant» (rappresentante pulsionale); B) rappresentazione come «Sachvorstellung» o «Ding-vorstellung» (rappresentazione di cosa)1; C) rappresentazione come «Wortvorstellung» (rappresentazione di parola).
2Questi sono nello svolgimento dell’intera opera freudiana le tre componenti che concorrono a formare quell’atto elementare della vita della mente che Freud chiama generalmente «rappresentazione» (Vorstellung). Tre componenti, o è meglio dire tre funzioni, che nella diversità del loro agire, nella diversità delle loro tre logiche, spiegano per Freud la mente dell’essere umano come sintesi, come abbiamo già visto, di due relazioni che sono rispettivamente la relazione verticale della mente con il proprio corpo e la relazione orizzontale della stessa mente con un’altra mente.
3A) Il Triebrepräsentant (o nel lessico freudiano anche Triebrepräsentanz), sta a significare l’Affektbetrag, ossia l’importo o il carico di affetto, che si lega a una qualsiasi scena rappresentata e pensata della mente. L’ambito dell’affetto costituisce per Freud l’ambito che più propriamente coincide con il corpo: ma, si badi, con un corpo che è già anche avvertito come risonanza emozionale, psichica, interna a una mente. Si può definire tale natura originariamente bina, duale – perché al confine tra corpo e mente – dell’affetto o pulsione, come l’ambito intermedio tra quantità e qualità, ossia come l’ambito della traduzione di variazioni quantitative di energia cinestetica, elettrofisica ed elettrochimica, di natura somatica, in processi qualitativi avvertiti dalla mente come emozioni, nel senso etimologico di ciò che muove.
4La Triebrepräsentanz, o rappresentazione pulsionale, è dunque una «rappresentanza», la quale traduce, in termini di sentimenti, processi e modificazioni di natura somatica. Scandita, per dirla schematicamente, secondo i due estremi, del piacere e del dispiacere, dell’attrazione e della repulsione, costituisce, secondo la prospettiva freudiana che qui stiamo ricostruendo, il luogo e la fonte del senso, nel significato di sentire se stessi. È l’ordine del sentire, e non del rappresentare, propriamente detto, o del pensare, perché ci viene dato e imposto da quel corpo che è l’esteriorità della nostra interiorità e come tale è la vera fonte inesauribile del significato del vivere: nella sua inesauribilità e verità mai completamente riducibile alla mente. Il Triebrepräsentant può dunque essere interpretato, nei termini del linguaggio filosofico, come il luogo e la genesi materialistici della trascendenza: del trascendersi di una soggettività all’interno di sé. Rispetto alle altre due funzioni rappresentative della mente, citate all’inizio, esso può essere definito come un ordine della mente di natura né eidetico-percettiva né linguistica. Infatti l’affetto pulsionale, nel complesso dell’opera freudiana, vive essenzialmente secondo il modo idraulico della diffusione: ossia, per la sua base originariamente quantitativa, esso si muove e si trasforma lungo scale di diminuzione o di crescita non sottoponibili a segmentazioni o articolazioni discontinue. È il luogo dell’energia emozionale, che Freud caratterizza come «energia libera» (freie Energie), che corre liberamente, e quanto più rapidamente possibile, verso il soddisfacimento del piacere o verso la fuga precipitosa dal dispiacere.
5B) Se nella Vorstellung freudiana il Triebrepräsentant è strutturato sul senso interno, la funzione che Freud definisce Objektvorstellung, Dingvorstellung o Sachvorstellung è la funzione della mente strutturata sui cinque sensi esterni, capace di dar vita a rappresentazioni percettive di varia natura, con una dominanza, nella prospettiva freudiana, eidetico-visiva. Questo tipo di funzione rappresentativa, basata su materiale sensoriale-percettivo, è priva di linguaggio: produce rappresentazioni cosali senza la presenza di rappresentazioni e simboli verbali. Come abbiamo visto sostenere dal Freud preanalitico dell’Auffassung der Aphasien, la stessa rappresentazione d’oggetto risulta essere a sua volta un complesso associativo delle più diverse rappresentazioni di natura visiva, acustica, tattile, cinestetica e ancora d’altro genere: un complesso associativo in cui appunto ciò che non è presente è la rappresentazione di parola.
6Ma non è solo la mancanza di linguaggio ciò che connota la Sachvorstellung. È anche l’essere, come l’ha definita Freud, una rappresentazione «aperta». In altre parole, la mente attinge il contenuto di una rappresentazione, la consistenza di una cosa, valendosi, oltre che delle percezioni in atto, anche e soprattutto dell’attesa e dell’anticipazione delle percezioni possibili che l’esperienza passata ha in qualche modo già connesse con quel contenuto percettivo.
Dalla filosofia apprendiamo che la rappresentazione d’oggetto non contiene niente di più, e che la parvenza di una «cosa», delle cui diverse «proprietà» parlano quelle impressioni sensoriali, sorge solo perché, nella serie delle impressioni sensoriali ricevute da un oggetto, includiamo nella medesima catena associativa anche la possibilità di una vasta serie di nuove impressioni (J. Stuart Mill)2.
7Di nuovo, potremmo aggiungere, un ulteriore e pressoché micrologico fattore di sintesi nel discorso freudiano, secondo il quale è più la proiezione/attesa del passato sul futuro, con l’innumerevole darsi dei possibili a definire l’identità e i contorni di un contenuto rappresentato che non la circoscrizione delimitata delle sensazioni presenti e reali. Cioè, assai più costruzione e sintesi nell’attività rappresentativa di cosa, nella Sachvorstellung, e assai meno rilievo e funzione assegnata all’intuizione e a un preteso accoglimento diretto e passivo del contenuto sensoriale-percettivo. È quanto Freud accoglieva, anche qui, dalla teoria della rappresentazione di John Stuart Mill, a testimonianza di quanto anche nella tradizione epistemologica dell’empirismo inglese potesse darsi una filosofia del conoscere basata certamente sulla sensazione, quale si era data in tutta la filiera da Hobbes a Locke, da Hume a Berkeley, ma che, nella specificità della versione milliana, nella percezione del sensibile sottolineava assai più la funzione attiva che non quella passiva. Nel capitolo XI del testo citato in nota da Freud infatti John Stuart Mill scrive:
Le sensazioni, malgrado siano l’originale fondamento dell’intero processo, devono essere considerate come una sorte di accidente dipendente da noi. Le possibilità sono molto più reali che non le sensazioni attuali, anzi quelle sono le vere realtà di cui queste sono solo rappresentazioni, apparenze o effetti. Quando si è giunti a questo stato della mente, da allora in poi noi non siamo mai consapevoli di una sensazione attuale senza istantaneamente riferirla a uno dei gruppi di possibilità in cui quella specifica sensazione rientra a far parte3.
8Dato che la mente umana è capace di attesa (Expectation) e di associazione (Association), essa forma, oltre a quella in atto, delle sensazioni possibili, il cui contenuto atteso e anticipato è dato delle associazioni per contiguità e successione che si sono date nell’esperienza passata. Per cui, sottolinea Mill, più che di intuizione si tratta di acquisizione, appropriazione di un contenuto secondo le proprietà della mente.
In base a questa proprietà della mente, la mia concezione del mondo in un momento dato consiste, solo in una piccola proporzione, di sensazioni in atto. Di queste attualmente io posso non averne affatto e in ogni caso esse sono la più insignificante porzione di ciò che apprendo. La concezione, che io mi formo del mondo esistente, comprende, insieme alle sensazioni che io percepisco, una innumerevole possibilità di sensazioni: [cioè l’intero ambito di quelle sensazioni che osservazioni passate mi dicono che potrei esperire ora, date determinate circostanze: insieme a una indefinita e illimitabile moltitudine di altre che io potrei avere in circostanze a me sconosciute, senza che io sappia di poterle avere]4.
9La logica associativa che costituisce l’ambito del rappresentare cosale, a dominanza eidetico-visiva, non è quella quantitativo-diffusiva dell’affetto, bensì quella della combinazione-articolazione-sconnessione qualitativa di figure e dati sensibili, quali: suoni, odori, sensazioni tattili, immagini visive, che si determinano, si relazionano, si associano e si oppongono tra loro, attraverso contiguità spaziale o temporale, attraverso analogie o discordanze di forma, attraverso concordanze di colori, attraverso gradi e intensità di suoni.
10In mancanza della combinazione con la logica ulteriore della mente linguistica, la logica economica della pulsione, con la sua quantità di energia, si combina con la logica onirica della rappresentazione in modi singolarissimi, che Freud ha disvelato e teorizzato fin da L’interpretazione dei sogni, evidenziando, com’è ben noto, soprattutto i due processi inconsci della condensazione e dello spostamento: cioè le modalità di un pensare che, nel primo caso, è in grado di unire e sintetizzare molteplici catene associative e che, nel secondo caso, è in grado di spostare con estrema facilità l’investimento energetico da una rappresentazione ad altre rappresentazioni. Ma è proprio questo diverso tipo di pensiero che conferma la relativa indipendenza tra pulsione e rappresentazione, tra l’impatto di affetto e la scena del suo soddisfacimento, perché appunto è proprio l’appartenenza dell’emozione a un contesto al limite tra somatico e psichico e la sua non riduzione o traduzione nella rappresentazione interamente psichica – a componente prevalentemente visiva avrebbe specificato Freud – a far sì che l’energia affettiva si possa staccare dalla rappresentazione, scorrere lungo vie associative e dar luogo alle combinazioni più che bizzarre dell’inconscio. È cioè la struttura del modo di pensare dell’inconscio, con la peculiarità della sua logica, distinta profondamente dalla logica linguistico-discorsiva, a conferma che v’è un sostrato corporeo energetico che viene postulato nella visione freudiana come luogo di un’economia, che non è ovviamente quella dei fattori quantitativi che stanno a base di tutte le operazioni del nostro apparato psichico.
11C) Infine la Wortvorstellung, o rappresentazione di parola, identifica la funzione simbolico-linguistica della mente. La logica che la governa e la struttura è quella che procede attraverso nessi e sintesi grammaticali-sintattiche. Essa crea catene e connessioni di parole che hanno lo scopo di agganciare il prodotto delle due precedenti logiche (rappresentante pulsionale e rappresentazione d’oggetto), sollevandolo a un livello d’elaborazione psichica superiore che lo sottrae all’obbligo immediato della scarica. Il sollevamento e la presa di distanza simbolica dagli ordini psichici inferiori consentono a questo terzo ordine psichico di raffreddare e mitigare la portata dell’Affektbetrag attraverso un’opera di relativizzazione che coincide con l’attività del pensiero. Il pensiero discorsivo, o processo secondario, sottrae infatti il processo del desiderio, o processo primario, al suo isolamento allucinatorio legandolo e relativizzandolo, attraverso le parole-simbolo che ne consentono la presenza virtuale, a tutta una serie di elementi e considerazioni che attengono al piano della realtà. La simbolicità del linguaggio pubblico e ordinario si connette così intrinsecamente alla simbolicità verticale dell’essere umano, quale corpo che si fa presente a una mente, e il pensiero-linguaggio esplicita in tal modo tutta la sua origine, non contemplativa, ma pratico-esistenziale, il che significa contemplare e conoscere il mondo al solo fine di dare soddisfacimento alle proprie richieste emozionali: insomma per dar vita a un conoscere che sia al servizio del sentire.
12Cosicché, potremmo aggiungere noi, a muovere dall’esposizione che abbiamo proposto delle tre logiche freudiane, ogni possibile teoria del linguaggio non potrà che confrontarsi, oltre che ovviamente con lo studio sia dell’ordine sintattico-sintagmatico della lingua sia con quello dell’ordine semantico, anche e necessariamente con lo studio della sua funzione di adesione o lontananza, d’implicazione o rimozione, emozionale. A conferma di una dimensione, come si diceva, sempre insieme pubblica e privata del linguaggio, che torna a smentire la configurazione solo culturale e socio-pubblica assegnata da Lacan all’ordine del simbolico linguistico.
2. Psiche e linguaggio
13Ma dunque, a ben vedere, Kant più Hegel. Giacché questa è la coppia autorevolissima che in queste pagine io ho provato a utilizzare, al fine di esplicitare al meglio quello che, a mio avviso, risulta dalla riflessione di Freud sul linguaggio. Non perché questi due eroi eponimi della storia della filosofia moderna risultino tra le fonti della formazione freudiana o tra le letture approfondite della sua maturità. Ma perché ciò che qui si è utilizzato è, al di là della filologia, la valenza e la sollecitudine chiarificatrice dell’analogia.
14Freud costruisce infatti, analogamente alla distinzione kantiana delle facoltà, tre luoghi o funzioni della mente, che obbediscono rispettivamente a tre logiche diverse, strutturate secondo distinzione ed eterogeneità, e non secondo opposizione: la logica quantitativo-diffusiva della pulsione affettiva, la logica qualitativo-associativa attraverso nessi empirico-sensoriali della messa in scena degli affetti, la logica discorsiva del pensiero cosciente attraverso connessione di parole. Quando la sintesi di queste tre logiche si dà coerentemente ha luogo la fisiologia, la sanità dell’esperienza emotiva, attraverso il conseguimento di un suo soddisfacimento, non fittizio e illusorio, ma effettivo e reale. Ma appunto aggiungendo che, se tale struttura delle tre stanze della mente, per la sua compresenza di eterogenei, guarda al modello kantiano, il perseguimento del processo mostra analogie profonde con la Aufhebung hegeliana, con la teoria del superamento-compimento di Hegel. Perché qui, nella sintesi freudiana, non si dà opposizione tra pathos e logos, né conseguentemente repressione da parte del pensiero delle movenze del desiderio, ma appunto loro elevazione e, insieme, conservazione. Nel senso che viene superata la dimensione immediata e corriva del desiderio, destinata nella sua astrazione dal principio di realtà a naufragare nella disillusione e nella sofferenza. Ma che, invece, nella processualità fisiologica della psiche, viene superata per essere conservata e salvata (proprio come insegna la lezione dell’aufheben hegeliano): giacché solo il sollevamento e la relativizzazione attraverso il pensiero discorsivo traducono quell’astrazione rovinosa nella concretezza di un risultato.
15Quando, al contrario, la sintesi delle tre istanze non ha luogo, matura la malattia e la scissione, perché si hanno o tutte le forme nevrotico-psicotiche di una mente che desidera, rappresenta e agisce senza l’uso e l’ausilio della funzione simbolica o, all’altro estremo, di un pensiero che pensa il mondo e discorre linguisticamente nell’astrazione e nella separazione da una propria interna risonanza e significanza emotiva. Di nuovo basti pensare analogicamente, per quest’ultimo caso di pensiero disincarnato dall’affetto, a cosa accade nella Critica della ragion pura di Kant quando l’intelletto vuol far funzionare la mente in assenza di una datità sensoriale, abbandonando la certezza della scienza per l’incertezza e la dismisura delle idee metafisiche.
16Del resto è proprio il radicamento e la fondazione corporea della capacità di pensiero che ci dice quanto per Freud la funzione del linguaggio, nel suo coincidere con l’attività della coscienza, sia strutturalmente duale, perché istituita su una doppia valenza simbolica. Da un lato il linguaggio come funzione comunicativa pubblica, che utilizza i simboli semantici secondo una convenzione sociale, e dall’altro il linguaggio come funzione simbolizzatrice privata, che consente all’emozione di essere riconosciuta dalla mente e di farsi così simbolo, in essa, delle esigenze del corpo e dei livelli emozionali primari.
17Né si può sottacere il fatto che la radicalità e l’originalità di tale concezione del linguaggio in Freud sia tale da rimanere costante per tutto lo svolgimento del suo pensiero e da costituire, si potrebbe dire, la metacategoria dell’intera sua opera.
18Come abbiamo già visto, Freud ha cominciato a occuparsi esplicitamente dei problemi del linguaggio fin dal 1891, quando redige la voce «Afasia» per il primo volume del Dizionario Medico del Villaret e quando compone il testo di Zur Auffassung der Aphasien, che abbiamo in precedenza esaminato e dove viene teorizzata per la prima volta la relazione tra Objektvorstellung e Wortvorstellung quale la connessione più delicata, e più esposta a fratture, di una mente (qui ancora cervello) che rappresenta e pensa attraverso sintesi di composti. E nel Progetto del 1895 ci ha detto chiaramente – quando si domanda come possa nascere il pensiero osservante, ossia la coscienza che deve connettere ambito pulsionale interno e attenzione verso la realtà – che tale funzione è legata alla capacità del linguaggio di legare l’energia pulsionale del processo primario attraverso investimenti laterali che fanno entrare in gioco immagini verbali sonore e motorie.
19Vent’anni dopo, nel 1915, nel saggio L’inconscio (das Unbewusste) che include nella sua Metapsicologia, Freud concettualizza di nuovo in modo esplicito la distinzione, nella psiche, tra l’ordine rappresentativo con linguaggio e l’ordine rappresentativo senza linguaggio, teorizzando, senza ombra di dubbio, che è la presenza o meno di linguaggio che segna al livello della prima topica la differenza più chiara tra Inconscio e Preconscio-Conscio: secondo una teorizzazione pressoché opposta, anche qui, a quanto avrà poi a sostenere Lacan, che rovescerà, com’è ben noto, la tesi di Freud nella concezione dell’inconscio strutturato come un linguaggio5.
Ciò che abbiamo potuto chiamare la rappresentazione conscia dell’oggetto si scinde ora nella rappresentazione di parola e nella rappresentazione di cosa; quest’ultima consiste nell’investimento, se non delle dirette immagini mestiche della cosa, almeno delle tracce mnestiche più lontane che derivano da quelle immagini. Tutto a un tratto pensiamo di aver capito in che cosa consista la differenza fra una rappresentazione conscia e una rappresentazione inconscia. Contrariamente a quanto avevamo supposto, non si tratta di due diverse trascrizioni dello stesso contenuto in località psichiche differenti, e neanche di due diverse situazioni funzionali dell’investimento nella stessa località; la situazione è piuttosto la seguente: la rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più la rappresentazione della parola corrispondente, mentre quella inconscia è la rappresentazione della cosa e basta. Il sistema Inc contiene gli investimenti che gli oggetti hanno in quanto cose, ossia i primi e autentici investimenti oggettuali; il sistema Prec nasce dal fatto che questa rappresentazione della cosa viene sovrainvestita in seguito al suo nesso con le relative rappresentazioni verbali. Abbiamo il diritto di supporre che siano tali sovrinvestimenti a determinare una più alta organizzazione psichica, e a rendere possibile la sostituzione del processo primario con il processo secondario che domina nel Prec. A questo punto siamo anche in grado di indicare con precisione cos’è che la rimozione ricusa nelle nevrosi di traslazione alla rappresentazione respinta: le ricusa la traduzione in parole destinate a restare congiunte con l’oggetto6.
20Sembra non esservi dubbio nell’argomentare di Freud. Il passaggio tra le due diverse tipologie di relazione della mente agli affetti del proprio mondo pulsionale, che Freud ha definito rispettivamente «processo primario» e «processo secondario», è scandito dall’intervento del linguaggio, dalla funzione cioè della Wortvorstellung, la quale è in grado d’immettere e tradurre il complesso pulsionale-rappresentativo da un modo di funzionare del pensiero più arcaico ed elementare a una modalità più articolata ed elevata.
21Ma cosa accade, è lecito domandarsi, a tale funzione centrale assegnata da Freud al linguaggio nella connessione/distinzione tra pensiero conscio e pensiero inconscio quando, a partire dagli anni venti, con la nuova teoria delle pulsioni, e con l’inclusione nel campo pulsionale della pulsione di morte, Es, Io e Super-io ridisegnano in modo nuovo la struttura dell’apparato psichico rispetto alla precedente articolazione in Inconscio, Preconscio e Conscio? Quando l’inconscio non coincide più unicamente con il rimosso ma affonda sempre più, come Es, le sue radici nel soma, nella biologia del corpo e di lì detta le sue movenze originarie all’Io? Quando, a segno della profondità del passaggio dalla prima alla seconda topica, anche la censura si autonomizza a funzione specifica della psiche, traducendosi nell’istanza del tutto inconscia del Super-io? Ma quando soprattutto la pulsione di morte riscrive la natura del desiderio, caricandolo di componenti destrutturanti e distruttive?
22È il caso di rivolgerci al Compendio di psicoanalisi, l’ultima opera sistematica di Freud, per considerare la questione. Di quanto appunto la funzione linguistica, anche dopo la svolta del 1920, rimanga per Freud consustanziale o meno alla funzione della coscienza, e di contro assente o minoritaria nella vita inconscia della mente. Giacché anche qui, ancora una volta, troviamo inalterata la riproposizione da parte del maestro viennese della sostanziale coincidenza tra funzione linguistica e larga parte del pensiero conscio, insieme alla definizione del linguaggio come cerniera di confine e di transito tra vita conscia e vita inconscia della psiche. Anche nel Compendio, infatti, Freud distingue due fonti della coscienza. Da un lato le informazioni che attraverso le percezioni e le modificazioni degli organi di senso che derivano dal mondo esterno. «Il divenire cosciente è legato innanzitutto alle percezioni che i nostri organi di senso ricavano dal mondo esterno. Dal punto di vista topico, dunque, è un fenomeno che si verifica nello stato corticale più esterno»7. E dall’altro le informazioni che derivano «dall’interno del corpo, dai nostri sentimenti, i quali influenzano la nostra vita psichica perfino più imperiosamente che non le percezioni esterne»8.
23Ma affinché il mondo interno riesca a giungere alla coscienza è necessario anche qui che le scene emozionali e il pensiero del desiderio si connettano a rappresentazioni verbali che appunto costituiscono il medium percettivo con cui il mondo inconscio giunge a farsi conscio.
Processi consci alla periferia dell’Io –, scrive Freud – e tutto il resto che è nell’Io inconscio: sarebbe questa la situazione più semplice che dovremmo supporre. Può darsi che in effetti le cose stiano così per gli animali, ma per gli uomini si aggiunge una complicazione in virtù della quale anche alcuni processi interni dell’Io possono acquistare la qualità della coscienza. Ciò è opera della funzione linguistica, la quale stabilisce uno stretto collegamento fra i contenuti dell’Io e i residui mnestici delle percezioni visive, e più ancora con quelli delle percezioni auditive9.
24Del resto a proposito di quanto tale concezione del linguaggio costituisca, come dicevo, la metacategoria di tutta l’opera freudiana – la teoria dell’ordine del linguaggio nel suo rapporto con gli altri ordini della psiche – non si può non concludere considerando quanto già il Freud della Traumdeutung avesse concepito, come in nessun altro luogo della sua opera, sulla modalità inconscia di produrre pensieri senza linguaggio e su quanto la logica di composizione del pensare onirico differisca profondamente dalla logica del pensare propria della mente conscia-discorsiva.
25Il sogno com’è noto è per Freud la realizzazione di un desiderio attraverso allucinazione e sospensione del confronto con la realtà esterna. Tale sospensione del principio di realtà, e della conseguente ricerca del soddisfacimento del desiderio attraverso il ricorso al mondo esterno, comporta per Freud il prevalere della raffigurabilità sulla discorsività, ossia il darsi di un pensiero che si serve essenzialmente di sintesi figurative e sensoriali, più che non sintesi discorsive e articolate linguisticamente.
Nel sogno – dirà poi Freud nelle Lezioni di introduzione alla psicoanalisi – si sperimentano ogni sorta di fatti, e a essi ci si crede […]. Prevalentemente si vive il sogno in immagini visive; possono esservi anche sentimenti, qua e là anche pensieri; anche gli altri sensi possono esperire qualcosa, ma in prevalenza si tratta di immagini.
26La modalità espressiva del sogno si struttura secondo quello che Freud definisce «riguardo per la raffigurabilità» [Rücksicht auf Darstellabarkeit]: ovvero la capacità di mettere in scena un contenuto psichico essenzialmente concreto, fatto di materiale sensibile tra cui prevalgono le immagini visive, e di eliminare contemporaneamente ogni nesso di sintesi e di connessione mediato dai concetti astratti.
I pensieri onirici latenti – scrive Freud ancora nello stesso testo – vengono quindi trasformati in una somma di immagini sensoriali e di scene visive. Lungo questo cammino avviene in essi ciò che ci appare tanto nuovo e sorprendente. Tutti i mezzi linguistici con i quali vengono espresse le relazioni di pensiero più sottili – le congiunzioni e le proposizioni, i modi della declinazione e della coniugazione – vengono meno, mancando per essi i mezzi di raffigurazione; come in un linguaggio primitivo privo di grammatica, solo il materiale grezzo del pensiero viene espresso, quello astratto viene ricondotto al concreto che ne costituisce il fondamento10.
27Sulla tesi per cui il pensiero onirico si struttura come una modalità di pensiero che associa e compone fondamentalmente senza linguaggio, Freud in L’interpretazione dei sogni mi sembra del resto esprimersi con estrema chiarezza. Con l’attività del sogno, al pensiero capace di concettualizzazione e discorsività subentra un sistema associativo fatto di immagini e percezioni sensoriali. «Chiamiamo regressione il fatto che nel sogno la rappresentazione si ritrasforma nell’immagine sensoriale da cui è sorta in un momento qualsiasi»11. Il processo primario, quale si esprime attraverso il sogno, appare curvato e concluso in un orizzonte fondamentalmente percettivo-sensoriale, a dominanza rappresentativo-visiva. Ma proprio ciò implica che il pensiero senza linguaggio dell’inconscio possieda un linguaggio specifico e determinato. Ossia che il tipo peculiare di pensiero che si forma nella parte inconscia della mente utilizzi metodi peculiari e specifici di costruzione, di associazione e di sintesi, che non sono quelli propri della verbalizzazione.
Se guardiamo al processo onirico come a una regressione all’interno dell’apparato psichico da noi adottato, possiamo senz’altro spiegare il fatto, stabilito per via empirica, che nel lavoro onirico tutte le relazioni logiche dei pensieri onirici vanno perdute o trovano soltanto espressione travagliata. Secondo lo schema, queste relazioni logiche non sono contenute nei primi sistemi Tmn, ma in altri situati più avanti, e nella regressione sino alle immagini percettive sono costrette a rinunciare alla loro espressione. Nella regressione, la struttura dei pensieri del sogno viene disgregata nella sua materia prima12.
28Insomma nella parte inconscia della psiche, per il Freud della Traumdeutung, vengono meno le relazioni del logos, ossia del pensiero che lega e raccoglie attraverso catene linguistiche, e rimane un contenuto che va legato e composto altrimenti. Tant’è che lo stesso linguaggio quando è presente nell’attività del sogno compare per Freud solo nei termini di una scenografia immaginifico-rappresentativa che tratta i significanti verbali, le rappresentazioni di parole, alla stregua di rappresentazioni di cose e che tratta perciò le parole, ogni singola parola, secondo modalità associative che risultano del tutto eterogenee rispetto alle catene semantico-sintagmatiche del linguaggio vero e proprio.
Per quanti discorsi e controdiscorsi possano esserci nei sogni, assurdi o sensati che siano l’analisi ci mostra ogni volta che il sogno ha colto semplicemente dai suoi pensieri frammenti di discorsi effettivamente fatti o uditi, procedendo poi con essi in modo estremamente arbitrario. Non soltanto li ha strappati dal loro contesto e ridotti a frammenti, accogliendone uno e scartandone un altro, ma spesso li ha anche connessi in modo nuovo, cosicché il discorso del sogno, apparentemente coerente, all’atto dell’analisi si scompone in tre o quattro frammenti. In questa nuova utilizzazione esso ha spesso lasciato da parte il significato che le parole avevano nei pensieri del sogno ed è riuscito a ricavare dal testo un significato completamente nuovo13.
29«Condensazione» e «spostamento» (Verdichtung/Verschiebung) agiscono non solo sulle rappresentazioni visive ma anche su quelle auditive: visto che ogni immagine sensoriale, quale che sia la sua natura, nel suo slegamento dal piano concettuale, è utilizzabile dalla processualità inconscia.
Il lavoro di condensazione dei sogni riesce particolarmente evidente quando sceglie a suoi oggetti parole e nomi. Infatti il sogno tratta spesso le parole come cose e le sottopone alle medesime combinazioni delle rappresentazioni di cose. Ne risultano creazioni verbali bizzarre e inconsuete14.
30Su tale assenza generalizzata di logos, quale pensiero attraverso il linguaggio, si fonda dunque per Freud la natura alogica ma non illogica del lavoro onirico e di quelle sue due funzioni fondamentali che concorrono a produrre la scrittura geroglifica del sogno e che, abbiamo appena detto, sono, rispettivamente, la condensazione e lo spostamento. La prima, come è noto, unisce più contenuti rappresentativi e mentali secondo un modo per sovrapposizione e per giustapposizione che non è quello appunto per generalizzazione e astrazione concettuale e che sembra operare invece soprattutto attraverso una logica della somiglianza; mentre il secondo procede lungo catene associative che sembrano privilegiare la dimensione della contiguità.
31A conferma di tutto ciò deriva per Freud la negazione, per quanto riguarda il pensiero non discorsivo, del principio di non contraddizione. Tale principio, posto, com’è noto, nel libro quarto della Metafisica di Aristotele a base del pensiero discorsivo, e di lì divenuto principio originario dell’intera logica occidentale15, è dichiarato da Freud valevole per la sola parte conscia della mente, lasciando luogo, con il suo limite, a un’altra, o più, logiche e a un altro modo di funzionare del pensiero. Il principio di non contraddizione non si può estendere all’attività inconscia della mente, teorizza Freud, perché qui è appunto possibile proprio per il lavoro della Verdichtung e della Verschiebung, diversamente dal pensiero retto dal logos, che in una stessa immagine e nella medesima unità di tempo siano compresenti due contrari o, se si vuole, due catene ideative di significato opposto o, ancora, che una medesima scena stringa insieme uno o più significati, l’uno più esplicito e palese, gli altri più inconsueti e obliqui16.
32Ed è proprio su questo punto fondamentale che a mio avviso va appuntata l’attenzione per comprendere l’innovazione profondisssima cui ha dato luogo l’opera di Freud nell’ambito della cultura occidentale. Freud infatti non solo ha scoperto l’inconscio, accompagnandosi ad altri che, a dire il vero, lo avevano preceduto in vario modo nella sua scoperta, ma soprattutto ha codificato la struttura, le leggi, di questo modo di essere della psiche, che non sono quelle che governano il pensiero cosciente. Ha proposto cioè l’inconscio non come luogo di assoluto caos e privo dunque di ogni possibile ordine né quale luogo di una volontà assolutamente cieca e irrazionale, alla Schopenhauer. Bensì ha teorizzato l’inconscio come modo di funzionare della mente strutturato secondo legalità e principi: ma appunto legalità e principi che sono paradossalmente altri ed eterogenei rispetto alla struttura delle leggi del pensiero cosciente.
33A partire da L’interpretazione dei sogni Freud ha assegnato infatti all’inconscio le seguenti caratteristiche che ne improntano la struttura e che rimangono invariate nel pensiero del maestro viennese anche attraverso il passaggio dalla prima alla seconda topica:
assenza di tempo;
traduzione dall’astratto al concreto e assenza di rapporti logici;
assenza del principio di contraddizione;
assenza della negazione.
34L’esperienza del tempo quale successione cronologica e quale susseguirsi di presenti, in cui il futuro si fa subito passato, appartiene solo ai processi mentali coscienti dell’essere umano. L’inconscio è infatti il luogo in cui la realtà psichica è la sola realtà: nel quale cioè la realtà mentale si scambia immediatamente con la realtà in quanto tale e in cui perciò non fa il suo ingresso quel principio di realtà la cui identità con la percezione del tempo nella teoria di Freud abbiamo già esposto. L’inconscio è senza tempo perché in esso non c’è il confronto con la realtà esterna della percezione ma solo con la realtà della percezione interna cosicché in tale regno dell’economia pulsionale scene e fantasmi legati a una profondità emozionale non possono che vivere di un’attualità e di una permanenza psichica senza tempo.
35L’assenza di tempo implica che nell’inconscio – per eccellenza nell’attività del sogno – non si possa dare per Freud la consecutio temporum, ossia la relazione tra il prima e il dopo, tra la causa e l’effetto, tra un agire e il suo scopo, tra la protasi e l’apodosi del periodo ipotetico, giacché nell’inconscio non sono presenti «i “se, perché, come se, benché, o-o” – e tutte le altre preposizioni senza le quali non possiamo comprendere una frase e un discorso»17. L’inconscio ha una modalità processuale per Freud essenzialmente figurativa e per tale icasticità concreta le relazioni, necessariamente più astratte, tra i concetti non possono essere espresse. «L’apparente pensare del sogno riproduce il contenuto dei pensieri del sogno, non i loro reciproci rapporti, nella cui istituzione consiste il pensare»18.
36Così nell’ambito di tale assoluto prevalere del pensiero concreto sul pensiero astratto, del pieno sul vuoto, è il «no» che non può aver luogo, come espressione e simbolo di un’assenza, di una opposizione, di una contraddizione. «Ho affermato poco fa che il sogno non ha alcun mezzo per esprimere la relazione della contraddizione, del contrasto, il “no”»19. Nell’universo del concreto e della sua continuità non v’è spazio alcuno per la raffigurabilità di qualcosa di assente, di non immediatamente percepibile, che invece nella coscienza discorsiva si viene a esprimere attraverso il simbolo linguistico del non, della negazione. Anche perché non a caso è proprio nell’uso della negazione, come capacità di esprimere ciò che non è presente nella realtà o ciò che è solo falso, che esemplarmente si riassume la capacità simbolica del linguaggio. Per cui il venir meno del principio di contraddizione, che nel pensiero cosciente vieta di congiungere opposti e contrari nell’unità di una sola rappresentazione, come la scomparsa dell’uso della negazione, bene esplicitano quanto la logica dell’inconscio comandi un modo di pensare i pensieri che è radicalmente altro dalla modalità linguistico-discorsiva20.
3. Ambivalenza pulsionale e univocità scientifica
37Nel capitolo precedente è stato sottolineato quanto il primo scritto freudiano sulle afasie rivelasse la profonda influenza che l’opera di John Hughlings Jackson ha avuto sulla prima impostazione della ricerca freudiana. La teoria della rappresentazione come ri-presentazione, elaborata dall’autore di Evolution and Dissolution of the Nervous System, abbiamo visto, ritorna nel saggio afasiologico attraverso l’introduzione del concetto, fondamentale non solo per la neurologia ma per la psicoanalisi freudiana, di Umordnung (riordinamento, risistemazione). Ogni evento psichico viene ri-significato e ri-contestualizzato a seconda della stanza o funzione psichica in cui la sua presenza viene scritta o ri-scritta. Stanze o istanze, che corrispondono darwinianamente a tappe successive dell’evoluzione e che regrediscono da contesti di sintesi superiore a contesti inferiori quando la patologia impedisce il percorso fisiologico della catena evolutiva.
38Ma la teoria complessiva della rappresentazione, quale permane in tutto lo svolgersi dell’opera di Freud, implica, come abbiamo già visto, oltre l’originaria matrice biologico-evoluzionistica, un forte valore filosofico, di profonda analogia con la Critica della ragion pura di Kant. Perché Freud, abbiamo detto, è stato capace di costruire una teoria della mente come sistema organico di tre logiche differenziate e di ricondurre tutti i fenomeni della psiche alla processualità di una corretta integrazione, o, viceversa, di patologica scissione, di tale apparato sistemico. Per dire insomma che è necessario attribuire intrinseco valore filosofico alla metapsicologia freudiana, se per filosofia si intende, come deve essere a mio avviso, un sapere che assume la prospettiva della totalità, quale capacità di ricostruzione coerente di un campo di esperienza, senza contraddizione o parzialità alcuna. E in tal caso dire che Freud è un filosofo non significa dire che la psicoanalisi debba apprendere dalla filosofia ma che, viceversa, la filosofia, che spesso è filosofia di un pensiero astratto e scorporizzato, deve imparare dalla specifica filosofia propria della psicoanalisi.
39Per altro, quanto la concezione freudiana dell’apparato psichico e delle tre logiche, di cui abbiamo detto, rimandi, nella sua autonomia e originalità, non intenzionalmente ma analogicamente, alla dottrina kantiana delle facoltà, come complesso di istanze e funzioni mentali l’una non riducibile alle altre, è stato messo in luce nel dibattito psicoanalitico di terza generazione soprattutto per merito, com’è noto, di Wilfred R. Bion. Lo psicoanalista inglese ha infatti costruito, sulla scia del kantismo implicito nella concezione freudiana delle tre logiche, una cosiddetta «griglia» che teorizza una struttura assai composita e articolata di attività della mente, che dal cosiddetto pensiero concreto, dalla percezione elementare e immediata di impressioni sensoriali e di esperienze emotive, giunge, attraverso gradi progressivi di raffreddamento pulsionale, alla messa in opera di funzioni con capacità diversamente complesse di simbolizzazione e di astrazione, fino alle forme più elevate di scienza e conoscenza. Ma soprattutto, per quello che interessa specificamente il nostro discorso, Bion – andando in questo ben al di là di Freud – ha proposto un modello quanto mai fecondo sul funzionamento, normale o patologico, della mente umana, che ne esplora, oltre il vettore verticale della connessione tra corpo emozionale e mente rappresentativa-pensante, anche quello orizzontale della costituzione intersoggettiva, e del ruolo, giocato in essa, dall’alterità.
40L’aspetto che maggiormente colpisce nella concezione bioniana della mente è infatti che i pensieri vengono considerati come precedenti, dal punto di vista sia genetico sia epistemologico, alla capacità di pensare, come precedenti cioè alla formazione dell’apparato del pensiero. Giacché la nascita di quest’ultimo dipende paradossalmente dalla possibilità della mente in questione di essere accolta, contenuta e riconosciuta da un’altra mente. I «protopensieri», coerentemente con la teoria freudiana del processo primario come modalità del pensare finalizzata a liberare la mente nei termini più immediati dall’eccesso di stimoli che la invadono, possono rimanere non elaborati nella condizione di meri oggetti – «cose in sé» alla Kant, come le chiama Bion, per riferirsi a qualcosa che rimane estraneo e inconoscibile –, alle quali corrisponde un pensiero che agisce, invece di pensare. Nel senso che evacua ed espelle fuori di sé i pensieri-oggetti cattivi per la loro impellenza e invasività. Un apparato per pensare vero e proprio, che possa effettivamente mantenere dentro di sé e trasformare i pensieri epistemologicamente pre-esistenti, nasce infatti – ritiene Bion – solo se la mente in questione, specificamente quella del bambino, può proiettare e collocare le proprie emozioni e i propri bisogni in un’altra mente, capace della funzione materna, che li riceve, li metabolizza, in qualche modo li identifica e li riconosce, restituendoli tollerabili e trasformati alla prima mente21. Così in questo quadro bioniano la mente può funzionare:
come un muscolo che scarica continuamente pensieri-oggetto rimasti allo stato di cariche energetiche intollerabili;
come un apparato che riesce a pensare i pensieri, avendo appreso attraverso l’opera di cura e di riconoscimento di altre menti, a entrare in contatto con le proprie emozioni, senza il terrore di esserne invaso.
41In tal modo con tale teoria del pensiero quale apparato per pensare i pensieri e quale attività della mente umana, che origina dall’interagire di fattori verticali e orizzontali della personalità, lo psicoanalista inglese ha fatto fare, io credo, un ulteriore passo in avanti a una filosofia della mente che tenga conto di un’etica della relazione, o del riconoscimento/disconoscimento, come condizione intrinseca e necessaria dell’istituirsi della capacità gnoseologica e logica del conoscere. Tanto che si può ben dire, a mio avviso, che Bion, accogliendo ed elaborando il progresso clinico e teorico già compiuto a sua volta da Melanie Klein con i concetti di «identificazione proiettiva» e dell’interazione dinamica fra la «posizione schizo-paranoide» e la «posizione depressiva», riscrive, con la sua teoria, possiamo dire, di una mente al quadrato le pagine hegeliane della Fenomenologia dello spirito dedicate al «riconoscimento», nel verso di una teoria epistemologico-relazionale della genesi del pensiero.
42In una concezione come quella bioniana, di un apparato di pensiero che inizia a funzionare solo se contenuto da un altro contenitore mentale, l’alterità, la presenza e la funzione di un’altra mente, è esplicitamente fattore originario di costituzione e di costruzione dell’identità soggettiva. Quello che si può definire il «fattore-Hegel», la relazione di riconoscimento o di disconoscimento da parte di un «altro-Da-sé», è altrettanto importante di quello che si può definire il «fattore-Kant», cioè il grado di capacità della mente di operare una sintesi verticale rispetto alle sue diverse funzioni emozionali e rappresentative o «altro-Di-sé». E se già il fattore-Kant ci parla della necessità di un’integrazione verticale del Sé, che è assai critica di una concezione empiristica della mente (alla Hume), quale supposto fascio di percezioni, è in verità il fattore-Hegel che, con la dipendenza strutturale dall’altro-Da-sé, colloca l’alterità nel cuore della soggettività e contribuisce a far comprendere come il dubbio, l’ambivalenza, la contraddittorietà costituiscano lo statuto di base del fondo emozionale della nostra soggettività, esposta all’aiuto indispensabile di un alter-ego, che, per definizione irriducibile all’ego, può farsi, da alterità integrativa e soccorrevole, alterità altra e ostile. E come di conseguenza la pretesa fondativa dell’empirismo, che ogni sensazione-percezione nel suo atomismo sia in sé univoca e semplice, cioè che l’esperienza umana si costruisca nello sviluppo e nel transito dal semplice al complesso, non possa essere accolta da una epistemologia della mente concepita alla luce della psicoanalisi.
43Vale a dire che, oltre l’analogia con il kantismo, è una forte ispirazione dialettica, per altro anch’essa mai consapevolmente esplicitata da Freud, che appare essere al fondo, della tematizzazione psicoanalitica. Non solo nel senso orizzontale dell’implicazione tra alterità e identità che abbiamo appena considerato. Ma anche nel verso verticale del dualismo pulsionale. Come ben si rivela non tanto nella prima topica freudiana, secondo la quale la pulsione sessuale si distacca e si autonomizza dalle funzioni di autoconservazione, quanto nella seconda topica dove il Todestriebe, la pulsione di distruzione e di dissoluzione delle relazioni, si oppone, si intreccia e si mescola costantemente con la pulsione erotica di costruzione e di difesa dei legami e dove appunto la natura di opposti delle diverse disposizioni emotive è assai più dialetticamente connotata che non nel precedente dualismo tra pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io.
44Perché a ben pensare deve collocarsi proprio qui, nella strutturazione dialettica della materia psicoanalitica, il confine, il limen, di distinzione e separazione tra psicoanalisi e neuroscienze e uno dei motivi, se non il più determinante, secondo cui Freud ha dovuto metter da parte il suo Progetto di una psicologia del 1895 col suo intento di ridurre tutti gli atti mentali a processi cerebrali. Quella fondazione dialettica sta cioè nella messa a tema, dopo gli anni del Progetto, da parte dello stesso Freud della strutturale ambivalenza o complessità dei processi affettivi e pulsionali. Perché l’ambivalenza, che già il Freud della Traumdeutung sperimenta in prima persona in occasione della morte del padre e che gli apre il sentiero di senso della costellazione edipica, rivela un impasto pulsionale, la compresenza cioè, nello stesso momento di vita di un identico soggetto e riguardo al medesimo termine, di sentimenti di amore e di odio, la cui intrinseca contraddittorietà non è immediatamente trascrivibile né nell’atomismo fisiologico della struttura neuronica né nel linguaggio quantitativo della scienza né nell’atomismo gnoseologico dell’empirismo. Per dire cioè che è sempre l’al di là del principio di contraddizione a confermarsi come il passaggio che apre la distanza, di cui oggi particolarmente si discute, tra statuto della psicoanalisi e teoria dell’apparato mentale che ne deriva, da un lato, e, dall’altro, tra statuto delle neuroscienze e teoria dell’apparato cerebrale. Tanto più quando, nell’evolversi e nel complicarsi della biografia intellettuale di Freud, con l’Al di là del principio di piacere le pulsioni di vita s’intrecciano, come si diceva, indissolubilmente con il Destruktionstrieb. Né a caso il progresso più serio nella teoria e nella clinica psicoanalitica è avvenuto, dopo Freud, con la scuola inglese di quella Melanie Klein che ha fatto dell’aggressività e dell’invidia preedipica, quali riformulazioni appunto della freudiana pulsione di morte, un fattore ineliminabile nella formazione della soggettività umana.
45È la compresenza del fattore-Kant e del fattore-Hegel, dell’asse verticale e dell’asse orizzontale dell’esistenza, dunque che ci dice che per principio la soggettività non è mai identità semplice e puntuale, trascrivibile nel linguaggio non-contradditorio della scienza. E ciò proprio a partire dalla sorta di trascendenza interiore rispetto a se stessa che costantemente la struttura, alimentata dall’alterità del proprio corpo intrecciata con l’alterità del riconoscimento (o disconoscimento) dell’alter-ego: in un intreccio in cui l’oggetto del soddisfacimento e dell’amore è in pari tempo sempre anche potenzialmente sfuggente ed estraneo.
46Ma ancor più, di questa irriducibilità dell’umano al semplice, al lineare e al non-contraddittorio, dà conto il carattere originariamente e strutturalmente dialettico del bisogno-desiderio umano, istituito sempre sulla compresenza di atti d’incorporazione e di atti d’espulsione, di atti di affermazione e di atti di negazione.
47Per cui, considerando l’enorme progresso compiuto dalle neuroscienze grazie alle tecnologie digitali negli ultimi quarant’anni, va indubbiamente riconosciuto che il loro sviluppo ha fatto avanzare assai la nostra conoscenza della struttura e del funzionamento del sistema nervoso, in particolare con lo studio della genesi e delle funzioni delle reti neuronali, che ha aumentato enormemente la possibilità d’intervenire su patologie neurologiche. Ma a tutti coloro che lavorano a un progetto riduzionistico di naturalizzazione della mente e che, volendo tradurre il sistema rappresentazionale della mente in un sistema di processi elettro-chimici, combattono il dualismo di mente e corpo, quale presunta e vieta riaffermazione delle distinzioni metafisiche tra materia e spirito, va riproposta criticamente, io credo, proprio l’esperienza teorica di Freud nel suo trascorrere dalla neurologia alla psicoanalisi e nella tematizzazione della contraddittorietà pulsionale.
48Dire ciò significa, naturalmente, affermare che il mondo-della-vita precede ed è più ampio di quello del logos e della conoscenza scientifica. E significa contemporaneamente che sentire non è conoscere.
49Questo non certo per acconsentire a irrazionalismi e a vitalismi antiscientifici, ma per proporre una concezione del senso dell’esperienza umana nella quale criterio ultimo di ogni nostro decidere e agire – il senso appunto del nostro vivere – non può collocarsi nel significato logico-scientifico, pubblico e condiviso, delle rappresentazioni, idee e concetti che a vario grado di astrazione vengono accolti e concepiti nella nostra mente, quanto invece nella forza assertoria delle emozioni e dei sentimenti che a essi si accompagnano. Giacché, per tutto quello che si è detto fin qui, se è ovvio che l’impeto dell’emozione va frenato perché possa nascere e funzionare la mente, fino alle sue prestazioni più elevate, quali le generalizzazioni della scienza e le leggi della matematica, l’emozione, in quanto fisicità o corporeità della mente, è ciò che è irriducibile al logos e alla misurazione scientifica, e proprio per tale distanza dalla delimitazione e dalla definizione del pensiero, essa rimane, io credo, la fonte e il criterio, mai esauribile, del senso del nostro esperire.
50Nell’impianto psicoanalitico d’ispirazione freudiano-bioniana il corpo costituisce la traduzione biologico-materialistica del noumeno di Kant, come già aveva compreso lo Schopenhauer del Mondo come volontà e rappresentazione, pur nei limiti del suo estremismo antirazionalistico. Il fenomeno di tale noumeno, o di tale «oggetto originario concreto», è il sentire: il Triebrepräsentant nella misura in cui viene accolto e avvertito nel mondo percettivo della mente. Questo significa che il noumeno corporeo non può essere, in quanto noumeno, né rappresentato né conosciuto ma può essere percepito e sentito. Quando questo non avviene, quando l’essere umano vive in una condizione di dissociazione di corpo e mente, immaginazione e pensiero, privi di un centro psico-sensoriale interno, producono menzogne, o illusioni e astrazioni: con la nascita di un conoscere che lavora su linguaggi e simboli non contaminati e puri da referenze emotive, un conoscere autistico e autoreferenziale che non attinge e non apprende dall’esperienza.
51La psicoanalisi che propone il corpo come principio gravitazionale dell’essere umano avanza dunque una nuova prospettiva materialistica alla filosofia e a tutte le scienze umane: in primis, come cercherò di argomentare nel seguito del mio discorso, alla filosofia politica. Il nuovo vertice di osservazione di questo rinnovato materialismo muove dall’assunto che l’esperienza dell’essere umano non è riducibile in termini simbolici, che l’essere umano non può essere ridotto e risolto in una relazionalità sociale e discorsivo-comunicativa, a meno di non intendere la simbolicità nel senso verticale del corpo che offre od occulta il senso e la direzione del vivere alla mente22.
52Ora si tratta di assumere, con tutta la serietà che impone, questo nuovo vertice e provare a ridisegnare l’intero quadro di una rinnovata antropologia etico-politica, oltre a altre istanze, anche in base alla sua luce.
Notes de bas de page
1 In Zur Auffassung der Aphasien (1981) Freud ha usato il termine di Objektvorstellung. Quello di Dingvorstellung appare nella Traumdeutung, mentre l’espressione analoga Sachvorstellung compare prevalentemente in Das Unbewusste.
2 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 101.
3 J. Stuart Mill, An Examination of Sir William Hamilton’s Philosophy and of the Principal Philosophical Questions Discusses in his Writings, a cura di J.M. Robson, London-Toronto, University of Toronto Press - Routdledge & Kegan Paul, 1979, p. 181 (Ma cfr. l’intero cap. XI: The Psychological Theory of the Belief in an External World, pp. 177-187).
4 Ivi, p. 179.
5 Su ciò mi permetto di rinviare ai miei saggi Riflessioni sparse su identità, negazione, alterità, in F. Migliorino (a cura di), Scarti di umanità, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2011, pp. 13-35; Materialismo «contra» spiritualismo. Sigmund Freud e Jacques Lacan, “Bollettino studi sartriani”, 2013, anno IX, biblink editori, pp. 111-129.
6 S. Freud, L’inconscio, tr. it. in Opere [1915-1917], vol. 8, Torino, Boringhieri, 1976, p. 85.
7 S. Freud, Compendio di psicoanalisi, tr. it. in Opere cit., vol. 11, p. 588.
8 Ibidem.
9 Ivi, p. 589.
10 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (Nuova Serie), tr. it. in Opere cit., vol. 11, p. 135.
11 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, tr. it. in Opere cit., vol. 3, p. 496.
12 Ibidem.
13 Ivi, p. 383.
14 Ivi, p. 274.
15 «È impossibile che la stessa cosa, a un tempo, appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto. […] Infatti è impossibile a chicchessia di credere che una stessa cosa sia e non sia. […] non è possibile che i contrari sussistano insieme in un identico soggetto». Queste sono le tre formulazioni che nella stessa pagina Aristotele dà del principio che constata l’impossibilità della contraddizione (Metafisica, 1005b 20-35, tr. it. a cura di G. Reale, Napoli, Loffredo, 1978, I, p. 298).
16 Ancora nel 1933 , nella Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie) cit., Freud ripeteva che «Le leggi del pensiero non valgono per i processi dell’Es, soprattutto non vale il principio di contraddizione» (p. 185). Ma già nella Traumdeutung scriveva, sottolineando fortemente la cosa, che «il sogno non ha alcun mezzo per esprimere la relazione della contraddizione, del contrasto, del “no”» (L’interpretazione dei sogni cit., p. 300).
17 Ivi, pp. 287-288.
18 Ivi, p. 288.
19 Ivi, p. 300.
20 Accanto all’opera di Bion, è al lavoro di Ignacio Matte Blanco (The Unconscious as Infinite Sets. An Essay in Bi-Logic, 1975) che si deve nel secolo scorso il rilievo di maggior vigore assegnato nella letteratura psicoanalitica alla diversità delle logiche che reggono rispettivamente la parte conscia e la parte inconscia della mente.«La fondamentale scoperta di Freud non è quella dell’inconscio, anche nel suo significato dinamico (pur così importante), ma quella di un mondo – che egli sfortunatamente chiamò l’inconscio – retto da leggi completamente diverse da quelle da cui è retto il pensiero cosciente» (L’inconscio come insiemi infiniti: saggio sulla bi-logica, tr. it. a cura di P. Pria, Torino, Einaudi, p. 105). Ma accanto alla messa in evidenza, quanto mai acuta e opportuna, delle leggi che danno ordine e struttura a quella che lo psicoanalista argentino ha definito la logica simmetrica dell’inconscio, l’interpretazione di Matte Blanco conclude in un dualismo metafisico-religioso che contraddice, a mio avviso, le sue acquisizioni preziose in campo epistemologico e che iscrivono la bi-logica della mente umana in un’opposizione tra mondo finito e mondo infinito, tra mondo visibile e discreto delle qualità e mondo invisibile e indifferenziato dell’Uno, che piega e deforma la psicoanalisi nel verso degli arcaismi dell’antica fiosofia eleatica e dell’opposizione parmenidea tra sfera dell’Essere e sfera del Molteplice. Sull’opera di Matte Blanco, cfr. M. Failla, Il linguaggio scientifico dell’inconscio in Matte Blanco. Una logica mista?, in G. Gallo (a cura di), Scienza e linguaggio nel Novecento italiano, Villa Santa (MB), Limina Mentis, 2012, pp. 207-221; R. Lombardi, Formless Infinity. Clinical Explorations of Matte Blanco and Bion, London, Routledge, 2017.
21 Per questo aspetto della prospettiva teorica di Bion considera in particolare Una teoria del pensiero, in W.R. Bion, Analisi degli schizofrenici e metodo analitico, tr. it. di S. Bordi, Roma, Armando, 1970; ma anche Id., Gli elementi della psicoanalisi, tr. it. di G. Hautmann, Roma, Armando, 1979 e La griglia, in Il cambiamento catastrofico, Torino, Loescher, 1981. Della smisurata bibliografia su Bion, cfr. R. Lombardi, Il corpo nella teoria della mente di W.R. Bion, “Consecutio temporum”, n. 2, 2012, www.consecutio.org.
22 È ai testi di Antonio Damasio che è d’obbligo fare riferimento per una prospettiva neurobiologica che, oltre quella psicoanalitica valorizzata in queste pagine, affermi quanto sia indispensabile la presenza del corpo a che vi sia attività cerebrale, e che i processi mentali trovino la loro base nelle mappe del corpo presenti nel cervello (A. Damasio, L’errore di Cartesio, tr. it. di F. Macaluso, Milano, Adelphi, 1995; Emozioni e coscienza, tr. it. di S. Frediani, Milano, Adelphi, 2000; Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, tr. it. di I. Blum, Milano, Adelphi, 2007).

Le texte seul est utilisable sous licence Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
La legittimità democratica
Imparzialità, riflessività, prossimità
Pierre Rosanvallon Filippo Domenicali (trad.)
2015
Filosofia sociale e politica
Lezioni in Cina (1919-1920)
John Dewey Federica Gregoratto (dir.) Corrado Piroddi (trad.)
2017