Freud da L’interpretazione delle afasie al Progetto di una psicologia. Funzione e genesi del linguaggio
p. 17-86
Texte intégral
1. Psicoanalisi come filosofia
1Ciò che è in gioco in questo libro è, di fondo, la questione di un nuovo materialismo. Nuovo, perché il materialismo più frequentato nel Novecento, quello storico e marxista, appare da tempo un paradigma teorico ormai consumato e inutilizzabile, dato che nel suo meccanicismo di struttura e sovrastruttura non ha mai posto realmente la questione della soggettività, della sua costituzione e complessità. Laddove per noi si tratta di mettere al centro dell’attenzione un nuovo paradigma antropologico che, distaccandosi dall’esaltazione marxiana della prassi, cioè della celebrazione dell’homo faber quale principio unico della storia, muova dalla materialità di un soggetto umano individuale incarnato in un corpo biologico-emozionale e, a sua volta, nel corpo sociale in cui quello s’iscrive.
2Ma superare la tesi che l’individualità umana sia dissolta nella relazione sociale, nella relazione con gli altri al plurale, significa anche superare il blocco e l’interdetto, che, in primo luogo Heidegger sul versante filosofico, e poi, al suo seguito, Lacan sul versante psicoanalitico, attraverso la mediazione di Kojève, hanno imposto, a mio avviso, a ogni possibile teoria dell’individuazione nella seconda metà del Novecento, avendo preventivamente dissolto l’esistenza umana nella differenza ontologica dall’Essere o nell’alterazione inesauribile con il Grande Altro. Entrambi questi autori hanno infatti costretto l’antropologia del soggetto umano a sacrificare, sul versante dell’interlocuzione linguistica e simbolica con l’Altro da sé, ogni riferimento ai dati sensoriali e corporei dell’esperire, generando in tal modo una cultura congelata in un orizzonte segnico-ermeneutico autistico, disincarnato e autoreferenziale.
3Per questo, per ritornare a una visione materialistica dell’individuazione, questo primo capitolo narra dell’esperienza e della teoria che Freud ha elaborato nei lunghi anni dei suoi studi di neurologia prima di arrivare alla psicoanalisi. Per dimostrare come proprio in un contesto di discorso che oggi si direbbe riduzionistico, di indagine neuro-anatomica sulle patologie del linguaggio, il Freud trentacinquenne sia stato in grado invece di concepire una teoria della rappresentazione profondamente originale e innovativa quanto a sintesi di fisico e psichico, ossia di neurologia da un lato e di psicologia filosofica dall’altro.
4Perché, a ben vedere, proprio di filosofia freudiana, di filosofia in senso stretto, è d’obbligo parlare a proposito del testo sulle afasie di cui ora tratteremo. Dato che il Freud studioso dell’apparato cerebrale, su un piano anatomico e neurologico, riesce a collocare nel cuore della neurologia corporea l’istanza dell’ermeneutica e dell’individuazione psichica. Riesce cioè con la sua teoria della «rappresentazione» a trovare i modi e i luoghi di quella mediazione tra fisico e psichico, su cui la storia della filosofia da sempre ha lavorato e pensato: almeno dall’introduzione dei termini phantasia e phantasma nei testi antichi di Platone, Aristotele e degli Stoici, fino alla rappresentazione (représentation) di Descartes e di lì in tutta la storia della filosofia moderna1. Riesce insomma Freud, con la sua distinzione tra Projektion e Repräsentation, a porre le basi per una vera e propria ermeneutica del corpo, che, almeno a parere di chi scrive, getta le basi per una risoluzione fecondissima di quella quaestio per eccellenza che è la questione del rapporto tra corpo e mente.
5Ma, ancor più, il testo freudiano sulle afasie è intrinsecamente filosofico, perché, forse anche oltre l’intento consapevole dello stesso Freud, mette in scena una valorizzazione delle funzioni di sintesi quali strutture portanti sia del corpo sia della mente umana che non può non richiamare, in termini analogici, la teorizzazione kantiana della soggettività come costruita essenzialmente su funzioni trascendentali di sintesi. Sottolineando che tale originaria valorizzazione della sintesi, posta a base del suo concepire fin dai primi scritti neurologici, rimarrà costante per tutta l’opera di Freud. Secondo un permanere, che ci dice in anticipo quale sarà la distanza tra l’effettiva tematica freudiana e la rilettura che poi ne farà Lacan: come si potrà ben vedere, oltre che dall’opposta valorizzazione/svalorizzazione della funzione delle sintesi, dalle opposte teorie dell’Io che connoteranno in modo opposto Freud da un lato e Lacan dall’altro. Giacché, mentre per il maestro viennese l’Io sarà nell’essere umano l’istanza fondamentale di mediazione tra mondo interno e mondo esterno, appunto un’istanza centrale e irrinunciabile di sintesi, per l’intellettuale francese l’Io sarà solo un’immagine riflessa da uno specchio, un’immagine né vera né reale, ma capace di un enorme potere di seduzione. Così come, mentre per Freud l’Io con la sua capacità di porre in comunicazione e sintetizzare piani eterogenei di costituzione dell’essere umano, sarà l’istanza psichica da sviluppare e approfondire, per Lacan l’Io, costruito e identificato sull’immagine dell’altro, dovrà essere costantemente decostruito e superato. Aggiungendo che non a caso a tale concezione, sostanzialmente opposta, della funzione dell’Io si collegherà la loro diversissima teoria del linguaggio: per Freud, come vedremo, strumento di contenimento e di legame rispetto all’invasività della pulsione, per Lacan esposizione dell’essere umano a un ordine simbolico per il quale vive in uno stato di insuperabile estraneità rispetto a se stesso.
6Peraltro va anche detto che a non chiarire tale strutturale diversità tra l’opera di Freud e la versione datane da Lacan, ha concorso la complessità e le tortuosità dell’animo dello stesso Freud, il quale, da un lato ha sempre rivendicato l’appartenenza della psicoanalisi all’ambito del sapere scientifico e dall’altro non ha mai voluto evidenziare2, quasi fosse una diminuzione dell’originalità delle scoperte propriamente psicoanalitiche, il rilievo e la continuità teorica tra le categorie e le impostazioni concettuali del suo più che ventennale periodo di studi neurologici e la sua opera matura3.
7Funzione della sintesi, a base della costituzione neuroanatomica della mente, e rilievo, in essa, dell’apparato del linguaggio sono, per quello che qui interessa sottolineare, le due tematiche che maggiormente connotano lo scritto più significativo pubblicato dal Freud istologo e neurologo: il lungo saggio, o meglio la monografia, sulle afasie, Zur Auffassung der Aphasien. Eine kritische Studie (1891)4. Il modo in cui Freud presentava se stesso nel titolo dello scritto (Privatdozent für Neuropathologie an der Universität Wien) da un lato e la dedica dall’altro al «Dr. Joseph Breuer con amichevole ammirazione», ci dicono quanto quel testo freudiano si ponga a cavallo tra le ricerche neurologiche degli anni precedenti e le prime celebri terapie già d’orientamento psiconalitico cui, con il sostegno di Breuer, Freud si sta volgendo durante i primi anni novanta. Ed è curioso ricordare, a proposito di afasie e disturbi del linguaggio, il fatto che già durante il primo anno dei suoi studi universitari (1873-1874) egli avesse frequentato un corso sulla fisiologia della voce e del linguaggio tenuto da E.W. Brücke, direttore dell’Istituto di Fisiologia di Vienna, in cui Freud era stato ammesso come allievo ricercatore alla fine del 1876.
8L’importanza del testo sulle afasie, ben poco considerata dalla critica fino a qualche tempo fa, è stata progressivamente riconosciuta. Va detto, non solo sul piano più propriamente teorico, ma anche quale testo in cui si dà vita a un’accuratissima ricostruzione di storia delle idee relative all’argomento che negli ultimi trent’anni dell’Ottocento era divenuto il luogo d’incontro e di confronto di più discipline scientifiche, mediche e non: anatomia e neurologia del sistema nervoso, fisiologia e patologia medica, psicologia e linguistica. Si era formata infatti un’intera comunità internazionale di studiosi e ricercatori di elevatissimo livello scientifico (tra cui Theodor Meynert, Henry C. Bastian, John Hughlings Jackson, Adolf Kussmaul, James Ross, Carl Wernicke, Ludwig Lichteim, Berthold Delbrück) che, a partire dalla celeberrima relazione di Broca (1861) sulla connessione tra facoltà del linguaggio e lobo anteriore sinistro5, scriveva e argomentava sul tema delle afasie, con una discussione molto approfondita e prolungata tra i suoi diversi membri.
9Freud ricostruisce con competenza e maestria, fino all’acribia, quel dibattito scientifico, collocandosi, senza timore alcuno, al medesimo livello dei suoi interlocutori, anzi al livello superiore di colui che presume di padroneggiare l’intera materia, di averla indagata secondi i diversi contributi scientifici, e di averla condotta a coerenza secondo le categorie e le soluzioni più adeguate. Del resto, come ben testimoniano le lettere a Wilhelm Fliess scritte al riguardo, la consapevolezza del valore, che egli attribuisce a questa sua fatica, è quanto mai evidente6. E converrà dunque capire subito qual è la trama concettuale di cui Freud rivendica la paternità e l’originalità.
10È il concetto di rappresentazione – concetto che sappiamo quanto sia denso e pesante, attraversato com’è da tutta la storia della filosofia e della gnoseologia – a introdurci, e da subito a sorprenderci, nell’interpretazione freudiana. Giacché, accanto alla più generale e consueta Vorstellung, qual è il termine tedesco che più tradizionalmente e più diffusamente anche Freud usa in questo testo, si accampa quello, assai meno usato nel lessico epistemologico tedesco, di Repräsentation.
11Questo termine infatti nella lingua tedesca, oltre a significare la presenza di un qualsiasi contenuto alla coscienza, indica – con un significato profondamente diverso che attiene, non all’ambito logico-gnoseologico, ma a quello politico-amministrativo – la «rappresentanza», ossia un corpo minore di delegati che, nelle istituzioni dello stato, a diversi livelli, rappresentano ed esprimono gli interessi, i convincimenti e i valori di un corpo sociale ben maggiore di sudditi o ceti o cittadini. In tale specifico significato Repräsentation entra nel lessico tedesco tra il Seicento e il Settecento, quando i principi o i sovrani dei multiformi stati tedeschi concedono, assegnando loro potere non legislativo ma solo consultivo, Diete o Assemblee, nelle quali i vari ordini o ceti della società premoderna inviano delegati per far conoscere al principe, signore e padre dell’intero stato, le esigenze e i problemi delle diverse realtà. La Repräsentation, o Repräsentanz – nella sua funzione di esprimere i bisogni dei sudditi a un sovrano che è Dominus ma anche Vater – è dunque una delle istituzioni tipiche della società cetuale germanica nel passaggio da una concezione feudale dello Stato, proprietà assoluta del principe, a una realtà sociale più policentrica, dove hanno acquistato potere e riconoscimento ordini e corporazioni. Ma appunto la Repräsentation è l’istituzione amministrativo-politica che consente al Principe di mantenere la centralità e l’unità del suo potere assoluto tenendo conto, nello stesso tempo, della varietà e dell’articolazione in ordini e ceti del proprio stato territoriale7.
12Ed è appunto, curvando il significato maggiormente psicologico e gnoseologico di Repräsentation con tale senso peculiare estraibile dal lessico giuridico-politico, che Freud utilizza tale termine in un passaggio chiave del suo testo afasiologico: esattamente quando si trova a discutere e a rifiutare, si torna a dire senza tentennamenti e timori, la tesi fortemente localizzazionista del suo maestro all’Università di Vienna, Theodor Meynert, professore di malattie del sistema nervoso.
13Il localizzazionismo, verso cui tendeva la maggior parte delle ricerche anatomo-neuropatologiche dell’epoca, mirava a definire una topologia quanto più possibile precisa, ampia e differenziata, delle varie località cerebrali in connessione con le diverse attività fisiologiche e patologiche dell’essere umano. In tale ambito era stata proprio la ricerca anatomo-neurologica sul cervello svolta da Meynert, dal 1870 professore straordinario di Psichiatria all’Università di Vienna e direttore della prima Clinica Psichiatrica, a proporre il darsi di una relazione simmetrica e puntuale – da 1 a 1 – tra la corteccia cerebrale e la periferia del corpo umano. Vale a dire che a ogni percezione possibile, sensoriale o motoria, su qualsiasi parte del corpo umano corrispondeva, secondo Meynert, un luogo corrispondente della corteccia, verosimilmente una cellula, che racchiudeva la trascrizione, l’immagine in termini neurologici, della percezione della superficie corporea.
14A questa concezione dell’attività cerebrale come conseguenza di una «proiezione» della periferia sulla corteccia, Freud oppone il suo concetto singolarissimo di un’immagine nella corteccia cerebrale che si accende non attraverso Projektion quanto invece attraverso Repräsentation.
15«Ebbene come si forma l’immagine corporea nella corteccia cerebrale collegata alla periferia mediante tali vie?», si domanda Freud, «Meynert chiama questa immagine “proiezione”, e alcune sue osservazioni inducono a pensare che egli ipotizzi una proiezione vera e propria, vale a dire l’esistenza nella corteccia di un’immagine punto per punto del corpo»8.
16Alla proiezione di Meynert, legata a una visione atomistico-speculare del percepire e del rappresentare, va invece opposta per Freud una concezione dell’immagine neurologica fondata sul rappresentare, nel senso peculiarmente politico che si diceva: tradotta cioè, nell’orizzonte neurologico del suo scritto, come un’attività di associazione e di sintesi connessa alla riduzione del numero di fibre in uscita dal midollo spinale rispetto a quelle in entrata.
Credo si possa dimostrare la confutabilità dell’ipotesi di una proiezione in senso stretto del corpo nella corteccia, ossia sotto forma di un’immagine completa e topograficamente simile. Parto qui da un punto di vista che anche Henle ha preso in considerazione quando si è occupato di quest’argomento, cioè quello della riduzione del numero di fibre nel passaggio attraverso sostanze grigie. Infatti se si confronta il numero di fibre in ingresso nel midollo spinale col numero di fibre dei cordoni bianchi che se ne dipartono per collegarsi con parti superiori del cervello, troviamo che il secondo non costituisce che una frazione del primo. Secondo un calcolo di Stilling, a 807 738 fibre delle radici nervose corrispondevano solo 365 814 fibre di una sezione trasversale del midollo cervicale superiore. I rapporti del midollo con il corpo sono dunque di tipo diverso da quelli delle sostanze grigie superiori. Solo nel midollo spinale (e nelle sostanze grigie a esso analoghe) sono presenti le condizioni per una proiezione [Projektion], senza lacune della periferia del corpo; a ciascuna unità d’innervazione periferica può corrispondere nel midollo spinale un pezzo di sostanza grigia, e in caso estremo un unico elemento centrale. Ma a causa della riduzione delle fibre di proiezione attraverso la sostanza grigia del midollo spinale, un elemento di sostanza grigia superiore non può più corrispondere a una sola unità periferica, ma deve corrisponderne a più d’una. Ciò vale anche per la corteccia cerebrale, ed è perciò opportuno distinguere con nomi diversi anche questi due tipi d’immagine centrale. Se chiamiamo proiezione [Projektion], l’immagine nella sostanza grigia midollare, sarà forse opportuno chiamare rappresentanza [Repräsentation] l’immagine nella corteccia cerebrale, e dire che la periferia del corpo non è contenuta elemento per elemento nella corteccia, ma rappresentata in modo meno dettagliato attraverso fibre scelte9.
17Una mossa teorica, si potrebbe dire, assai semplice, questo scarto freudiano da proiezione a rappresentazione, ma invece assai pregna di futuro, perché la ritroveremo, nel passaggio dalle ricerche neurologiche alla fondazione della psicoanalisi, con la definizione, riguardo alla nozione di pulsione, di Triebrepräsentanz: ossia di ciò che porta il corpo nella mente, che lo rappresenta, essendo esso medesimo non direttamente il corpo, ma solo il suo rappresentante nella psiche10.
18Ancora due anni più tardi, nel saggio intitolato Quelques considérations pour une étude comparative des paralysies organique et hystérique (1893), Freud confermerà la distinzione tra Projektion e Repräsentation già presentata in Zur Auffassung der Aphasien, argomentando che mentre nelle paralisi periferico-spinali c’è corrispondenza puntuale tra paralisi di un luogo periferico del corpo e luogo puntuale del midollo spinale – perché in tal caso si dà una proiezione perfetta, punto per punto, della superficie corporea sul midollo – nelle paralisi cerebrali viene colpito, non un singolo punto del corpo, quanto invece un’intera area della periferia somatica: a conferma della funzione sintetica dell’attività cerebrale, di contro a qualsiasi teoria empirista della sensazione, quale attingimento di un contenuto semplice, puntuale e univoco.
A ogni elemento periferico corrisponde un elemento del midollo […]; la periferia è, per così dire, proiettata sulla sostanza grigia del midollo, punto per punto, elemento per elemento. Io ho proposto di chiamare paralisi di proiezione [paralysie de projection] la paralisi détaillée periferico-spinale. Diversamente avviene per quanto si riferisce alle relazioni tra gli elementi del midollo e quelli della corteccia. Il numero delle fibre conduttrici non sarebbe più sufficiente a fornire una seconda proiezione della periferia sulla corteccia. Si deve quindi supporre che ciascuna delle fibre che va dal midollo alla corteccia non rappresenti più un solo elemento periferico, ma piuttosto un gruppo di questi, e che, a sua volta, un elemento periferico possa corrispondere a diverse fibre spino-corticali. […] Io affermo perciò che la periferia non è fedelmente riprodotta sulla corteccia punto per punto, cioè non vi è proiezione vera e propria, ma vi è una relazione mediata da fibre per così dire rappresentative, e propongo quindi che, per la paralisi cerebrale, venga usato il termine di paralisi di rappresentazione [paralysie de représentation]11.
19Peraltro che l’attività cerebrale implichi una costante sintetizzazione di quanto avviene nell’estensione della superficie corporea – e che dunque già qui, in termini neurologici, si fondi l’implicito kantismo di Freud, nel senso della valorizzazione dell’attività mentale come riproduzione non mimetica, e di conseguenza come funzione non associazionistica, bensì come funzione sintetica di un molteplice – è testimoniato, sempre nel saggio sulle afasie, dalla confutazione di un’altra tesi di Meynert. Per questi infatti l’attraversamento, nel cervello, da parte di fibre cariche di sollecitudine nervosa di zone di sostanze grigie cerebrali, non modificava la natura del messaggio, o carica, veicolato dalla fibra in questione. Per Freud invece nell’attraversare una zona di sostanza grigia la fibra vede trasformare la sua funzione, perché nell’attraversamento si associa con altri stimoli sensoriali, uscendo in tal modo con un significato funzionale mutato.
Prendiamo uno degli esempi a noi meglio noti: una fibra del nervo ottico veicola un’impressione retinica fino ai tubercoli quadrigemini anteriori; qui trova una terminazione provvisoria, e in sua vece si diparte dalla sostanza del ganglio un’altra fibra diretta verso la corteccia occipitale. Nella sostanza dei tubercoli quadrigemini ha però avuto luogo l’associazione dell’impressione retinica con la cinestesi oculomotoria; è perciò molto probabile che, fra i tubercoli quadrigemini e la corteccia occipitale, la nuova fibra non trasmetta più un’impressione retinica, bensì l’associazione di una o più di tali impressioni con sensazioni di movimento12.
20Se Meynert teorizzava che una fibra bianca che proveniva dal midollo spinale, passando attraverso i nuclei grigi del cervello, non veniva alterata nella sua identità e funzione, per cui proiettava sulla corteccia direttamente lo stimolo della periferia del corpo, per Freud il fatto che i nuclei grigi ricevono ramificazioni da altre aree cerebrali implica invece che la fibra uscente dal nucleo, a seguito dell’attraversamento del nucleo e della connessione con altre provenienze, sia diversa dalla fibra entrante.
Per Meynert, che in tema di decorso delle fibre dà risalto soprattutto al dato della connessione corticale, una fibra o un fascio di fibre conserva sempre la propria identità, per quante sostanze grigie abbia attraversato. […] Noi non possiamo più sostenere questo punto di vista […] dobbiamo accettare l’idea secondo cui una fibra, nel suo decorso verso la corteccia cerebrale, abbia mutato il proprio significato funzionale ogni volta che riemerge da una sostanza grigia13.
21Per cui sono proprio questi luoghi di sintesi e interconnessione, le sostanze grigie, ad apparire come i veri centri dell’attività cerebrale, «sono le sostanze grigie e non più i fasci di fibre a sembrarci i soli organi del cervello»14. Vale a dire, insomma, che a una concezione topologica dell’attività cerebrale, basata sulla continuità proiettiva da un luogo del corpo a un luogo della corteccia, deve subentrare una concezione sintetico-funzionale, per la quale Freud usa termini non a caso come Verbindung (congiungimento) e Verknüpfung (annodamento), che nel lessico tedesco rimandano a tipologie di connessione non accidentali ma intrinseche e strutturali. Tanto che a proposito della trasformazione che la riproduzione della sensazione della superficie corporea subisce attraversando le varie aree del cervello e ridisegnandosi a seconda delle connessioni in cui entra e da cui esce – a proposito cioè delle trasformazioni di significato che un elemento apparentemente semplice come la fibra nervosa acquisisce – Freud, anche qui non casualmente in un testo sulle patologie del linguaggio, usa un singolare quanto efficace paragone con l’alfabeto, il cui numero limitato di lettere di base dà luogo a un numero infinito di combinazioni.
Notiamo solo che le fibre, giungendo alla corteccia cerebrale dopo aver oltrepassato le sostanze grigie, mantengono ancora un rapporto con la periferia del corpo, è vero, ma non possono più darne un’immagine topicamente simile. Per prendere in prestito un esempio dall’argomento di cui ci stiamo occupando, esse contengono la periferia del corpo come una poesia contiene l’alfabeto, in un riordinamento [Umordnung] che serve altri scopi, in una molteplice concatenazione dei singoli elementi topici, dei quali alcuni possono essere rappresentati più volte, mentre altri non lo sono affatto. Se si potesse seguire in dettaglio questo riordinamento che dalla proiezione spinale procede fino alla corteccia cerebrale, probabilmente si troverebbe che il suo principio è puramente funzionale e che i momenti topici sono mantenuti solo nella misura in cui coincidono con esigenze funzionali15.
22Così alla prima sintesi, che già avviene nel midollo spinale attraverso la riduzione del numero delle fibre in uscita rispetto al numero di quelle in entrata, nel saggio freudiano si aggiungono e si avvicendano le sintesi, che accadono per moltiplicazione delle connessioni, attraverso le sostanze grigie del cervello: in un quadro complessivo che ci parla della natura profondamente elaborata e processuale che l’attività neurologica e mentale possiede per questo primo Freud.
2. Un corpo ermeneutico e simbolo a se medesimo
23Ma per comprendere più adeguatamente in qual modo già per il Freud neurologico il corpo è in un certo senso una struttura ermeneutica che seleziona e ritraduce costantemente la propria interiorità, contestualizzandola, a seconda dei diversi ambiti del proprio sistema nervoso, secondo livelli distinti di sintesi e di funzione, è necessario, a mio avviso, rifarsi in particolare all’influenza esercitata sul Freud studioso delle afasie da John Hughlings Jackson, un protagonista anglosassone della storia della neurologia, che, seguace dell’insegnamento di Herbert Spencer, derivava da quest’ultimo la valorizzazione e l’estensione a tutti gli ambiti del sapere della teoria dell’evoluzionismo darwiniano. Coerentemente con il programma spenceriano Hughlings Jackson, applicando la dottrina di Darwin al sistema nervoso16, era giunto infatti a teorizzare la divisione dell’apparato nervoso in una gerarchia di ambiti che andavano da gradi di strutture e funzioni più semplici, più automatiche e meno specializzate, a strutture e funzioni più elevate, più specializzate, più complesse e meno automatiche (in termini anatomici rispettivamente il midollo spinale, il mesencefalo e il telencefalo)17. Da tale tripartizione anatomo-funzionale, connessa dalla scala evolutiva, ne aveva dedotto una teoria ricorsiva e reiterata della rappresentazione, secondo la quale una rappresentazione senso-motoria al livello più arcaico del sistema nervoso rappresentava in modo pressoché diretto le parti del corpo interessate, mentre il secondo e il terzo livello, rispettivamente ri-rappresentavano e ri-ri-rappresentavano, quella rappresentazione originaria, risignificandola e riadattandola alle loro funzioni superiori18.
24Ma ancor più Hughlings Jackson ne derivava una concezione delle malattie e delle patologie di natura neurologica, quali in primo luogo le afasie, da intendersi come «dissoluzione», come un tornare indietro nel percorso evolutivo, come cioè un passare da un ordine di funzioni superiori a uno inferiore: dato che è appunto nella natura stessa dell’evoluzione, del progredire, che è contenuta la possibilità dell’involuzione e del regredire19. «L’affermazione “subire una dissoluzione” è del tutto equivalente all’affermazione “essere ridotto a un livello più basso dell’evoluzione”»20.
25La malattia, teorizzava Hughlings Jackson, non è questione di bene o di male, di ciò che è regolare o irregolare, bensì è questione di strutture che si mantengono e di strutture che si disgregano, cedendo il passo a strutture più arcaiche, che per la loro minore complessità hanno un grado più elevato di coesione. Si tratta di un processo regressivo, nel quale il paziente si trova a vivere secondo modalità che, per quanto stravaganti e assurde, al ricercatore si palesano come funzioni e prestazioni iscritte in una logica che in quanto logica non è patologica: ma che appunto è la logica di funzioni e modalità di vita pregresse dell’evoluzione.
Io affermo che la malattia produce sintomi mentali negativi solo rispondendo alla dissoluzione e che tutti i sintomi mentali positivi (illusioni, allucinazioni, delusioni e condotte stravaganti) sono l’esito dell’attività di elementi nervosi che non vengono investiti da nessun processo patologico: nascono infatti solo dall’attività che si svolge al livello più basso persistente dell’evoluzione. […] Affermo che i sintomi mentali positivi dell’insanità del paziente sono la sopravvivenza dei suoi stati [un tempo] più adeguati: ossia la sopravvivenza del più basso, ma che un tempo è stato il più alto, livello dell’evoluzione. L’attività mentale più assurda e le più stravaganti azioni nelle persone malate sono la sopravvivenza di loro stati più adeguati. Dico “più adeguato”, non “ottimo”: perché in tale ambito l’evoluzionista non ha nulla a che fare con il bene o il male. Non ci dobbiamo meravigliare che il malato creda in ciò che noi chiamiamo le sue illusioni. Esse sono le sue percezioni. Le sue illusioni… non sono causate dalla malattia, ma sono il risultato dell’attività di ciò che è rimasto di lui (di ciò che la malattia ha risparmiato), di tutto ciò che c’è di lui. Le sue illusioni… sono la sua mente21.
26Il Freud delle afasie è stato profondamente influenzato dalle teorie jacksoniane, pur se nella composizione del suo scritto vi sono certamente altre influenze dominanti come quella di H.C. Bastiat in primis, di A. Kussmaul, di J. Ross, di B. Delbrück. Ma qui quello che più preme dire, riguardo al debito che egli ha consumato con Hughlings Jackson, è che, mentre il neurologo britannico appare aver guardato assai più alla consistenza e alla struttura dei diversi livelli evolutivi del sistema nervoso, mettendo in rilievo quanto le ultime acquisizioni evolutive fossero le meno saldamente organizzate e coese e molto esposte dunque alle patologie della dissoluzione, Freud sembra invece guardare maggiormente al lavoro di associazione progressiva e di ri-presentazione o di re-interpretazione a cui il sistema nervoso sottopone i suoi dati senso-motori, dalle percezioni semplici che nascono alla periferia del corpo al percorso di riorganizzazione di senso e di funzione che subiscono nel transito da un livello evolutivo meno complesso a uno più complesso22.
27Ora è ben chiaro che, nell’ambito del discorso che stiamo ricostruendo, ci siamo serviti di una possibile analogia tra questo Freud e il Kant della Critica della ragion pura. Tale analogia va ovviamente assunta in senso metaforico e non letterale, perché non c’è alcun riferimento negli scritti neurologici di Freud all’opera di Kant, come invece accadrà in qualche, sia pure raro, passo, dell’opera matura23. Un riferimento effettivo ma assai indiretto a Kant potrebbe essere presente in queste pagine freudiane, solo nella misura in cui buona parte della cultura filosofica, ma anche scientifica, tedesca, e in essa necessariamente anche quella viennese, partecipava nella seconda metà del Novecento dell’egemonia culturale del neokantismo e del suo tema di fondo, dopo la stagione del romanticismo e dell’idealismo tedeschi, del ritorno a Kant. E in questo senso anche Freud non potrebbe non aver accolto nella sua formazione le istanze di un rifiuto di un qualsiasi realismo delle cose in sé e della valorizzazione dei trascendentali, cioè delle strutture della soggettività, come luogo e funzione di sintesi.
28Per altro, quanto a espliciti riferimenti filosofici, il Freud del saggio sulle afasie, mostra, soprattutto nell’ambito della logica e della epistemologia, di essere invece profondamente partecipe e immerso nell’ambito dell’associazionismo inglese. Non a caso le uniche opere di un filosofo che cita nelle pagine del suo scritto sono quelle di John Stuart Mill, cioè di quel pensatore profondamente immerso nella tradizione dell’empirismo e dell’associazionismo britannico, di cui Freud aveva già tradotto l’ultimo volume delle opere complete apparso in tedesco24. Per l’empirismo associazionistico, che muove da Locke, Hume, Berkeley e nell’Ottocento viene celebrato come la filosofia anglosassone par excellence da James Mill e dal figlio John Stuart Mill, la realtà in sé non ha alcuna legittimità d’esistenza, perché ogni oggetto e contenuto d’esperienza è null’altro che l’insieme delle sensazioni che ogni soggetto percepisce, dandosi ogni idea complessa e ulteriore della mente come una composizione delle idee o sensazioni primarie e semplici. Con la distinzione fondamentale, va aggiunto, rispetto alle sintesi trascendentali con le quali lavora la mente kantiana, che le leggi che strutturano la mente empirica non hanno nessun carattere di obbligatorietà e universalità estendibili all’intero genere umano, essendo generalizzazioni solo di fatti esperiti e osservati. E che appunto, l’esperienza offrendoci solo particolarità, solo casi singoli, ogni presunta verità generale è solo la formula abbreviata, prodotta per induzione e associazione, che consente di orientarsi nell’esperire, in un ragionare la cui finalità pragmatica e pratica è determinante.
29Ora in L’interpretazione delle afasie Freud aderisce senza dubbio alcuno a una prospettiva filosofica ed epistemologica di natura associazionistica, ma, si potrebbe dire con una implicita variazione kantiana, dovuta all’assenza anche nella sua visione di una possibile sensazione semplice, che non sia cioè sensazione già sintetizzata e composita, e, soprattutto, al fatto che il suo accoglimento dell’evoluzionismo cerebrale di Hughlings Jackson gli dà la possibilità di concepire luoghi della mente con logiche differenziate tra loro che non possono non richiamare, allora come oggi, la celebrazione kantiana nella Critica della ragion pura delle tre facoltà della mente umana, con le loro specifiche logiche e modalità di sintetizzare ognuna diversa dall’altra25.
30È dunque il darwinismo, alla luce di un kantismo né dichiarato né sufficientemente consapevole, per quanto è dato congetturare, allo stesso Freud, che fa rileggere e reinterpretare, in modo originale, al giovane studioso viennese la tradizione dell’associazionismo empirista, così da formulare, al di là di ogni fondazione atomistica del medesimo, una teoria della radicale identità di sensazione e associazione. È il darwinismo cioè, su sottofondo kantiano, che consente a Freud di attingere alla tradizione dell’associazionismo inglese ma nello stesso tempo di trascenderla e di rifiutare il suo sostanziale meccanicismo. Giacché l’evoluzionismo di Jackson lo obbliga a superare la concezione lineare – principio cardine dell’associazionismo –, per cui dal semplice, per progressive addizioni, si giunge al complesso, concependo invece il semplice come fin dall’inizio mediato e significato dal complesso nel quale di volta in volta s’iscrive.
31Per Freud, funzione associativa, per la quale ogni sensazione o rappresentazione è sempre un processo di sintesi, e funzione reinterpretativa, articolata secondo i suoi vari livelli, sono intrinsecamente connessi. La sensazione, o rappresentazione, pensa Freud, è sempre un’associazione.
Si può ora separare nel correlato psicologico della sensazione la parte della «sensazione» da quella dell’«associazione»? Evidentemente no. Sensazione e associazione sono due nomi con cui indichiamo diversi aspetti del medesimo processo. Ma sappiamo che entrambi i nomi sono astratti da un processo unitario e indivisibile. Non possiamo avere alcuna sensazione senza immediatamente associarla; per quanto dal punto di vista concettuale possiamo separare nettamente le due cose, in realtà esse dipendono da un processo unico che, prendendo avvio da una regione corticale, si diffonde all’intera corteccia. La localizzazione del correlato fisiologico è perciò lo stesso per la rappresentazione e l’associazione, e poiché localizzazione di una rappresentazione non significa altro che localizzazione del suo correlato [corsivo di Freud], dobbiamo rifiutarci di dislocare la rappresentazione in un punto della corteccia cerebrale e l’associazione in un altro. Al contrario, entrambi partono da uno stesso punto e in nessun punto si trovano mai in stasi26.
32Abbiamo detto inoltre che la rappresentazione è una associazione nel senso peculiare di una rielaborazione, di una risistemazione [Umordnung], che sottopone il materiale dell’eccitazione proveniente dalla totalità della superficie corporea alle trame organizzative specifiche del sistema nervoso nel suo complesso, il quale sintetizza quel molteplice secondo le esigenze funzionali di volta in volta necessarie. Teoria della Umordnung che, com’è noto, costituirà un tema permanente e centrale nell’elaborazione freudiana della psicoanalisi27.
33Ma è dunque proprio qui che si colloca, io credo, l’origine – già nel contesto dei suoi studi neurologici, e in particolare di questo saggio dedicato all’afasia – della concezione più propriamente e più originalmente antropologica di Freud, che rimane acquisizione costante e fondamentale dell’intera sua opera. Ovvero la tesi che potremmo definire della natura simbolica dell’essere umano. Ma non nel senso che l’essere umano è l’animale che ha linguaggio e che utilizza simboli linguistici per entrare in relazione con il darsi del mondo. O meglio, certo anche in questo senso. Ma, per quello che qui interessa sottolineare, nel senso che l’essere umano è, in primo luogo simbolo in se medesimo, simbolo a se stesso, perché è formato da un insieme di livelli diversi di sintesi, in cui il livello e la funzione superiore ha l’obbligo, pena la malattia e la disgregazione, di integrare e dare nuovo significato a quelle inferiori. E dove simbolo sta a significare non ciò che sta per altro – che rimanda a un altro fuori di sé ed esteriore – ma un complesso che mantiene e conserva in sé le alterità interiori di se medesimo, integrandole nella sua logica superiore di vita.
3. Associazionismo e localizzazionismo
34Dal rilievo che il Freud del saggio sulle afasie ha assegnato alla funzione associativa non poteva che derivarne, come già si diceva, il rifiuto di aderire a un rigido localizzazionismo che ipotizzasse il collocarsi di ogni singola rappresentazione in una singola cellula cerebrale.
Quale è dunque il correlato fisiologico della rappresentazione semplice o di quella che in sua vece ritorna? Evidentemente nulla di statico, ma qualcosa che possiede la natura di un processo28.
35La storia del localizzazionismo cerebrale era stata aperta, com’è noto, da Franz Joseph Gall (1758-1828), che con una concezione integralmente localizzazionista delle funzioni psichiche aveva dato inizio allo studio delle varie aree della corteccia cerebrale. Con la tesi della possibilità di una localizzazione completa nel cervello di tutte le funzioni psichiche fondamentali, Gall, autore per altro verso quanto mai discusso, aveva assegnato un colpo radicale alla concezione cartesiana della mens quale pura res inextensa, del tutto separata dal corpo, facendone invece una parte estesa dell’organismo biologico. Come del pari la sua frenologia aveva messo profondamente in discussione la dottrina della Chiesa sulla natura immortale, unica e indivisibile dell’anima. Al di là di molti parallelismi arbitrari e fantasiosi tra sede organica e funzione psichica introdotti dalla sua ricerca, rimaneva comunque acquisita nella neurologia cerebrale del xix secolo la collocazione sovraorbitale nei due lobi frontali della funzione linguistica, teorizzata da Gall29. Contro tale localizzazione frontale bilaterale quale sede del linguaggio, Paul Pierre Broca aveva teorizzato nel 1861 la localizzazione del linguaggio nel solo lobo frontale sinistro, a seguito di riscontri autoptici tra lesioni situate nella terza circonvoluzione sinistra e la loro connessione con l’incapacità di articolare il linguaggio sonoro. E aveva inaugurato in tal modo, con l’interesse dedicato all’afasiologia, lo studio scientifico delle patologie del linguaggio. Carl Wernicke e Ludwig Lichtheim, nel solco della via di Broca, avevano poi teorizzato l’esistenza di centri del linguaggio connessi tra loro da vie nervose di conduzione, distinguendo, in seguito a lesioni del tessuto cerebrale, tra danneggiamento dei centri del linguaggio, o afasia centrale, e interruzione delle vie associative del linguaggio, o afasia di conduzione.
36Ma, appunto, nelle sue pagine afasiologiche Freud contesta la distinzione tra centri e vie di conduzione, proprio perché rimanda a un orientamento di studi e ricerche neurologiche che insiste troppo sul fattore della localizzazione.
Mentre ci sforzavamo di trovare quali rapporti nella clinica dei disturbi del linguaggio confermassero l’importanza psichica dei centri del linguaggio […], ci siamo imbattuti in alcuni dati di fatto che ci hanno costretto a dubitare della correttezza di uno schema basato essenzialmente sulla localizzazione30.
37Di contro all’eccessivo rilievo assegnato alla localizzazione Freud preferisce infatti sottolineare il rilievo da assegnare alla funzione, quale attività sistemica di un apparato in cui ciascun elemento è funzione, cioè dipende e condiziona, l’attività degli altri.
Ci sembra ora che […] l’importanza per l’afasia del momento della localizzazione sia stato sopravvalutato, e che faremmo bene a occuparci nuovamente delle condizioni funzionali [c.m.] dell’apparato di linguaggio31.
38I cosiddetti centri del linguaggio, a Freud e al suo ricercare anatomico e istologico, non appaiono come luoghi indipendenti l’uno dall’altro bensì come angoli di una vasta regione corticale, che coincide con l’intera regione associativa del linguaggio: i cui angoli o bordi più esterni sono a loro volta connessi con altri campi corticali adiacenti costituiti da elementi ottici, acustici, cinestetici.
La regione associativa del linguaggio in cui confluiscono elementi ottici, acustici e motori (o cinestetici), si estende appunto tra i campi corticali di questi nervi sensoriali e i rispettivi campi corticali motori32.
39Tanto che appunto, a muovere da tale rete di sovrapposizioni, intrecci e convergenze, che per Freud costituisce l’apparato neurologico del linguaggio, una lesione in un punto determinato non riesce a spiegare il come e il perché, in tal caso, non si dia distruzione integrale di linguaggio quanto invece afasie parziali e specifiche che non impediscono l’attivazione delle altre funzioni del linguaggio. E ciò deriva proprio dalla compresenza, dalla sinossi, di più relazioni che si danno e operano in una struttura reticolare.
40Per Freud non si tratta di rifiutare tout court il localizzazionismo, bensí si tratta di accoglierlo in una versione altamente flessibile e reticolare, per evitare di cadere negli estremi di una neurologia cerebrale che ancora con Wernicke, sulla scia della visione di Meynert, poteva credere che a ogni rappresentazione di parola sul piano psichico corrispondesse sul piano fisiologico l’occupazione di una sola e singola cellula: in una corrispondenza speculare secondo la quale ogni singolo evento neurologico dovrebbe rimandare a un singolo evento psichico. Laddove per Freud è invece necessario accedere al concepimento di una sorta di parallelismo asimmetrico tra corpo e mente, secondo il quale si può argomentare che la complessità dei processi sintetici sul piano neurofisiologico che attraversano il corpo tramite l’intero apparato del sistema nervoso si traducono, sul piano psichico del rappresentare, in una semplificazione del contenuto, in una rappresentazione semplice. E qui rappresentazione semplice, si badi bene, per Freud non sta a significare il ritorno a una fondazione gnoseologica ispirata all’atomismo empiristico, quanto invece lo scarto tra la complessità del processo neurologico che sottende un esperire rappresentativo della mente e la semplicità del contenuto mentale-rappresentativo di quel medesimo esperire.
In psicologia la semplice rappresentazione è per noi qualcosa di elementare, che possiamo distinguere nettamente dai suoi collegamenti con altre rappresentazioni. Giungiamo così a supporre che anche il suo correlato fisiologico, la modificazione che a partire dalla fibra nervosa eccitata termina nel centro, sia qualcosa di semplice e localizzabile in un punto. Una trasposizione di questo tipo è naturalmente del tutto ingiustificata; le proprietà di questa modificazione devono essere determinate di per sé e indipendentemente dalle loro controparti psicologiche33.
41Una concezione di parallelismo asimmetrico, come quella qui presentata da Freud, non può che rifiutare coerentemente ogni concezione causalistica del nesso corpo-mente. Per cui si può dire che anche qui il maestro viennese viene anticipando una nota fondamentale del suo pensare maturo, quale il rifiuto di ogni materialismo meccanicistico che concepisca, da un lato, il corpo come mero recettore passivo di impressioni e sensazioni dal mondo esterno e, dall’altro, la psiche come mera conseguenza, mero effetto dei movimenti corporei. Il corpo freudiano infatti già qui è profondamente attivo. Associa e combina nel transito dal midollo spinale al midollo cerebrale e, di lì, attraverso i diversi piani cerebrali. Esso insomma, già nella sua materialità, interpreta, perché congiunge e seleziona una molteplicità di dati producendo ogni volta la genesi di un significato che non è mai riproduzione del dato sensibile.
42Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, quella che nell’ambito della coscienza appare una rappresentazione semplice e immediata, un contenuto chiaro ed evidente, è per questo Freud il risultato, non immediato né speculare, di complessi processi associativi della fisiologia del corpo. Ma se, appunto, la rappresentazione psichica è il risultato, in termini neurologici, dell’innervazione di più vie e percorsi fisiologici-cerebrali, la connessione corpo-psiche non può essere di immediata causalità quanto invece essere strutturata secondo una concomitanza parallela. E parallelismo significa appunto che non v’è continuità di connessione e di svolgimento, secondo un passaggio temporale dal primo al dopo, dalla causa all’effetto, dal fisico allo psichico, bensì corrispondenza: per la quale a un determinato accadimento fisico si accompagna e si connette sempre un determinato accadimento psichico.
La catena dei processi fisiologici nel sistema nervoso probabilmente non è affatto in rapporto di causalità con i processi psichici. I processi fisiologici non cessano appena sono iniziati quelli psichici, anzi, la catena fisiologica procede, solo che, da un certo momento in poi, a ogni anello della catena (o ai suoi singoli anelli) corrisponde un fenomeno psichico. Lo psichico è così un processo parallelo a quello fisiologico («a dependent concomitant»)34.
43Di nuovo è verosimilmente a Hughlings Jackson che Freud deve questa concezione, fondamentale, del parallelismo o concomitanza tra apparato nervoso e apparato psichico. Questi infatti, in Evolution and Dissolution, aveva rivendicato la natura essenzialmente materialistico-biologica della sua ricerca, ma proprio per accentuare, nello stesso tempo, la non riducibilità delle esperienze psichiche e mentali a fattori solo fisico-neurologici. E aveva in tal senso, contro ogni riduzionismo del mentale al cerebrale, elaborato quella che definiva la «dottrina della concomitanza» (doctrine of concomitance):
Per quanto è possibile io ho considerato l’essere umano come una mera macchina (mere maschine). Certo è vero che in precedenti osservazioni ho usato spesso termini psicologici. Ma io ho avuto realmente a che fare solo con il sistema nervoso.: ho parlato delle condizioni fisiche che sottostanno alle condizioni mentali. A questo punto mi pronunzio sul rapporto della coscienza con gli stati nervosi. La dottrina che io sostengo è la seguente: 1) gli stati della coscienza (ma è dire la stessa cosa, gli stati mentali) sono del tutto differenti dagli stati nervosi. 2) Le due cose accadono insieme: per ogni stato mentale c’è un correlativo stato nervoso. 3) Malgrado le due cose accadano in modo parallelo, non c’è intromissione dell’uno nell’altro [although the two things occur in parallelism, there is no interference of one with the other]. Questa può essere chiamata la dottrina della concomitanza35.
44L’adesione a un severo localizzazionismo non aveva impedito al neurologo inglese di rifiutare, senza dubbio alcuno, ogni dualismo tra mente e corpo ma nello stesso tempo di non coltivare in nessun modo riduzionismi dell’attività mentale a quella cerebrale: ritrovandosi, con la sua dottrina della concomitanza, in compagnia di alcuni degli spiriti e degli studiosi più significativi del suo tempo36. La teorizzazione del nesso mente/corpo del primo Freud non si discosta da questa impostazione: parallelismo e concomitanza non pongono in una successione temporale e causale processualità neuro-cerebrale e rappresentazioni psichiche ma le fanno coesistere nella loro eterogenea, ma pure compresente, presenza.
4. Un ulteriore grado di sintesi
45È un parallelismo asimmetrico, ma dominato e unificato in qualche modo dal motivo e dalla funzione della sintesi, che consente a Freud, in questo testo sulle afasie, di aprire una specifica e determinata riflessione su quella natura e costituzione dello spazio psichico che avrà una fortuna peculiare nello sviluppo del suo pensiero. È infatti la sintesi che si dà tra Objectvorstellung e Wortvorstellung (secondo la terminologia usata da Freud), la sintesi tra rappresentazione di oggetto e rappresentazione di parola che costituisce il luogo teoretico per eccellenza di quella che va definita la vera e propria filosofia di Freud, giacché tale sinossi rappresenta non solo un teorema invariato e centrale di tutta l’opera freudiana ma anche un luogo ricco di una pregnanza gnoseologica che va ben al di là dei confini della psicoanalisi.
46La sintesi di rappresentazione di parola e rappresentazione di oggetto è una sintesi di sintesi, in quanto entrambe, Wortvorstellung e Objektvorstellung, sono a loro volta, ognuna per sé, esito di una connessione funzionale di più elementi, secondo quanto mostra lo schema grafico che Freud acclude al suo testo37.

47La rappresentazione di parola è formata dal nesso di Klangbild (immagine sonora), Bewegungsbild (immagine motoria di fonazione), Lesebild (immagine di lettura), Schriftbild (immagine di scrittura). Vale a dire che l’esercizio della funzione linguistica è legata alla capacità di riprodurre suoni già uditi e, contemporaneamente, al possesso dei movimenti orali di pronuncia, come al possesso del modo in cui si legge e si scrive la parola in questione.
La parola è dunque una rappresentazione complessa, consistente delle immagini menzionate o, altrimenti detto, alla parola corrisponde un intricato processo associativo in cui confluiscono i suddetti elementi di provenienza visiva, acustica e cinestetica38.
48Tale concezione e raffigurazione della Wortvorstellung, come sintesi di quattro componenti, era del resto ben diffusa e accreditata nella letteratura scientifica contemporanea. Freud poteva trovare uno schema sostanzialmente analogo nell’opera di un altro neurologo anglosassone che, alla pari di Hughlings Jackson, ebbe rilevante influenza su di lui, H. Charlton Bastian, di cui qui va ricordato specificamente il saggio On Different Kinds of Aphasia, with Special Reference to Their Classification and Ultimate Pathology39, che contiene il diagramma qui sotto riportato.

49Nella illustrazione e nella sistemazione teorica di Freud il venir meno di una delle connessioni possibili all’interno di una Wortvorstellung contrassegna una possibile afasia, o patologia del linguaggio. Le afasie nella loro tipologia più generale, senza considerare i diversi casi sottospecifici, si suddividono infatti in afasia sensoriale o auditiva, quale incapacità di sentire le parole, l’afasia motoria, quale incapacità di pronunciarle, l’afasia di lettura, quale incapacità di leggerle, e l’afasia di scrittura, quale incapacità di scriverle. Ognuna di queste patologie è legata per Freud a una lesione neurologica, a una lesione organica dell’apparato di linguaggio, a dimostrazione che per questo Freud la stesura del testo sulle afasie combina un approccio fortemente sintetico-funzionale con un approccio ancora moderatamente localizzazionista.
50Anche la Objectvorstellung è, a sua volta, il risultato di una sintesi, di Object-Associationen, formate dalla connessione di elementi visivi, tattili, cinestetici, olfattivi. Ma, diversamente dalla Wortvorstellung, conchiusa e strutturata nei suoi quattro elementi, la rappresentazione d’oggetto è aperta non solo a un maggior numero di impressioni sensoriali ma a una loro continua possibile addizione e variazione nel futuro.
51Tale distinzione/opposizione tra chiusura della rappresentazione linguistica e apertura di un contenuto psichico non linguistico di senso, elaborata e trasformata in ambito psicoanalitico, condurrà, nella cornice successiva della psicoanalisi, alla distinzione fondamentale tra freie Energie e gebundene Energie, energia libera ed energia legata. Ma ora quello che qui interessa maggiormente sottolineare è che per il Freud delle afasie la sintesi determinante, la sintesi delle sintesi, è quella che connette rappresentazione di parola a rappresentazione di oggetto, attraverso il congiungimento di immagine sonora della prima e immagine visiva della seconda. Come egli scrive nella didascalia che illustra l’immagine che abbiamo sopra riprodotto:
La rappresentazione di parola sembra un complesso chiuso di rappresentazioni, la rappresentazione d’oggetto, per contro un complesso aperto. La rappresentazione di parola non è collegata con la rappresentazione d’oggetto a partire da tutte le sue componenti, ma solo dall’immagine sonora. Tra le associazioni oggettuali sono quelle visive a rappresentare l’oggetto, in modo analogo a quello in cui l’immagine sonora rappresenta la parola40.
52Non c’è chi non noterà quanto qui, nella Objektvorstellung, Freud assegni il rilievo preminente, tra le altre componenti sensoriali, alla dimensione visiva, quasi nella continuità con la tradizione antichissima, d’ispirazione greca, che assegnava alla visione dell’occhio la maggiore capacità e testimonianza di accogliere ciò che possiede realtà e verità. Rilevanza della visione, che ovviamente giocherà un ruolo insostituibile nella Traumdeutung e nell’interpretazione di un’attività della mente quale quella onirica, a Freud apparirà fondamentalmente senza linguaggio. Ma, al di là di questo rilievo che pure acquista un forte significato nella ricerca della psicoanalisi contemporanea volta a indagare una psichicità pre-rappresentantiva, ciò che merita evidenziare è che per questo Freud il luogo più delicato, quanto a esiti patologici, della mente cerebrale di cui sta trattando, è proprio la connessione tra le rappresentazioni di linguaggio e le rappresentazioni senza linguaggio.
53Le diverse modalità dell’afasia confermano l’esistenza di questi componenti eterogenei del rappresentare, unificati, fisiologicamente, in una sintesi:
La tesi che dobbiamo ora formulare sulla base della patologia dei disturbi del linguaggio va nel senso che la rappresentazione di parola è collegata mediante la sua terminazione sensoriale (immagini sonore) alla rappresentazione d’oggetto41.
54E insieme confermano che proprio tale connessione, tra linguistico e alinguistico, tra significante e significato, costituisce l’asse più delicato, quanto a possibilità d’interruzione e di disfunzione nella mente ricostruita da Freud, delle patologie afasiche: «parecchie cose indicano che il collegamento fra rappresentazione di parola e rappresentazione d’oggetto è la parte più facilmente esauribile dell’attività di linguaggio, in un certo senso il suo punto debole»42.
55Per cui è solo la centralità di tale nesso, di tale sintesi, tra significato e significante, nell’attività della mente cerebrale, che spiega per Freud la caratteristica dell’essere umano, più propria e originale, di essere un essere simbolico. L’essere umano è tale perché connette la rappresentazione d’oggetto alla rappresentazione di parola, ovvero perché collega le scene della sua mente, prodotte dal concorso dei cinque sensi, e tendenzialmente indeterminabili nel variare sempre nuovo dell’esperire sensibile, alla determinazione fissa e conchiusa della parola. Simbolo e simbolizzazione, dunque, per questo Freud non si riferiscono a un segnale o a un segno che rimandino a una qualche realtà esterna, secondo una convenzione sociale stabilita, come per esempio può accadere con l’immagine della croce o della mezza luna nel caso di simboli religiosi, quasi fosse da rappresentazione d’oggetto a oggetto. Si riferiscono bensì a connessioni solo intracerebrali, che si danno tra elementi eterogenei dell’apparato rappresentativo. Anche perché per Freud, si è detto, non si può dare realtà esterna in alcun senso, ma solo rappresentazioni, quali modificazioni apportate dal modo esterno all’interno dell’apparato neuro-linguistico del corpo umano. Così, distinguendo tra afasia di prim’ordine (afasia verbale), in cui le patologie si riferiscono solo a disturbi tra i singoli elementi della rappresentazione di parola, e afasia di second’ordine (afasia simbolica), in cui la patologia colpisce invece l’associazione tra rappresentazione di parola e rappresentazione d’oggetto, Freud osserva: «Adopero il termine asimbolia in un senso diverso da quello in uso a partire da Finkelnburg, perché mi sembra che meriti d’essere denominato simbolico il rapporto tra parola e rappresentazione d’oggetto, più che quello tra oggetto e rappresentazione d’oggetto»43.
56«Simbolo» sta dunque a significare per Freud, con uno scarto di originalità assai profondo rispetto alla tradizione, il nesso che lega l’immagine sonora della parola con l’immagine visiva dell’oggetto, o immagine di cosa. Per cui, proprio a muovere dal convincimento della forte distinzione tra ambito della rappresentazione di parola e ambito della rappresentazione di cosa, egli può attribuire il termine di asimbolia a tutte le patologie del linguaggio, mentre definisce come agnosia il complesso delle patologie che si esprimono nell’incapacità di conoscere e sentire l’oggetto, indipendentemente dalla capacità linguistica.
57Del resto, a proposito di una trama rappresentativa che si forma tutta all’interno del corpo, non a caso il Freud delle afasie cita, come unico filosofo John Stuart Mill, con le sue due opere, Logik e An Examination of Sir William Hamilton’s Philosophy. Giacché nel pensiero del filosofo inglese egli trovava la teorizzazione di una chiara distinzione tra mondo esterno e mondo interno e dunque la tesi che la rappresentazione non fosse accesso a un oggetto esterno nella sua materialità ma che fosse una rappresentazione d’oggetto solo in quanto modificazione interna della corporeità.
Non c’è il minimo motivo di credere che quelle che chiamiamo le qualità sensibili dell’oggetto […] abbiano una qualche affinità con la sua natura. Una causa come tale non assomiglia ai suoi effetti; un vento di levante non è simile alla sensazione di freddo, né il calore è simile al vapore dell’acqua bollente. Perché allora dovrebbe rassomigliare la materia alle nostre sensazioni? […] nulla conosciamo e possiamo conoscere del mondo esterno, salvo le sensazioni che ne proviamo44.
58Analogamente a Mill, per Freud la Objektvorstellung è costituita da una sintesi, da una costruzione interiore all’essere umano («la stessa rappresentazione d’oggetto è a sua volta un complesso associativo delle più disparate rappresentazioni visive, acustiche, tattili cinestestiche e d’altro tipo ancora»45), motivo per cui, riferendosi alla filosofia di Mill, può dire che «dalla filosofia apprendiamo che la rappresentazione d’oggetto non contiene niente di più che questo [il complesso associativo], apprendiamo che la parvenza di una cosa […]» [Wir entnehmen der Philosophie, dass die Objektvorstellung außerdem nichts anderes enthalt, dass der Anschein eines Dinges]. Aggiungiamo solamente, a conferma di un rappresentare che sintetizza materiali e componenti null’altro che interiori, che, per caratterizzare un evento psichico interno al soggetto, Freud usa qui il termine Objekt, che nel lessico tedesco si connette intrinsecamente a Subjekt e si distingue sia dalla cosa separata e in sé, quale Ding, con il suo inevitabile richiamo alla kantiana Ding an sich, e, implicitamente, anche da Gegenstand, quale oggetto che sta di fronte ed è autonomo dal soggetto in questione.
5. La complicazione della pulsione
59Il cenno che abbiamo fatto all’influenza avuta sulla formazione freudiana degli scritti di Hughlings Jackson non dà conto sufficiente dell’incisività che quel rapporto ha avuto, in modo permanente, sull’intera opera, neurologica e psicoanalitica, di Freud. Il modello ricorsivo ed evoluzionistico jacksoniano della rappresentazione – per cui un medesimo setting neurologico viene riscritto e risignificato più volte a seconda dei vari livelli cerebrali, scalari per evoluzione, in cui si ripresenta – ha ispirato profondamente Freud non solo quanto alla sua concezione della malattia, prima neurologica e poi mentale, come dissoluzione/regressione di un livello organizzativo superiore, ma, si potrebbe dire metaforicamente, anche quanto al modo in cui si susseguono e si legano tra loro le diverse fasi della storia delle idee e della biografia intellettuale dello stesso Freud. Perché il passaggio nella vita di studioso di Freud da L’interpretazione delle afasie al Progetto per un psicologia e poi all’Interpretazione dei sogni e alla Metapsicologia avviene, anch’esso, proprio secondo una modalità, io credo, ricorsiva e, insieme, ri-significativa: per la quale le strutture concettuali di fondo delle prime scritture rimangono invariate e, nello stesso tempo, profondamente modificate nel contesto rinnovato di senso degli scritti successivi. A testimonianza, c’è d’aggiungere, della fedeltà a se medesimo e dello svolgimento, travagliato ma coerente, di un’unica idea, nel quale in genere si svolge l’opera e la vita di un grande pensatore.
60All’interno di tale variare nel permanere, quella che ho definito una vera e propria filosofia della rappresentazione, basata sulla relazione di rappresentazione di cosa e rappresentazione di parola, rimane la pietra di volta del pensiero freudiano. Anche e soprattutto quando il maestro viennese, si prova a elaborare quel Progetto di una psicologia che rappresenta il vero e proprio Giano bifronte del suo percorso di ricerca: collocato, com’è, a mezzo tra una descrizione e spiegazione neuro-fisio-patologica dei fenomeni psichici e una chiave esegetica di natura pulsionale, già di precorrimento psicoanalitico.
61Tra L’interpretazione delle afasie (1891) e il manoscritto del Progetto (1895) corrono gli anni delle Studien über Hystherie (1892-1895). E con lo studio dei casi delle grandi isteriche, com’è ben noto, nella vita clinica e teorica di Freud fa il suo ingresso il concetto di pulsione, di desiderio. La specificità dell’isteria, come complesso di sintomi e patologie che non rimandano ad alcuna lesione organica, rompe infatti il quadro localizzazionista – in cui, pur con tutti i limiti e i distinguo che abbiamo evidenziato, si era svolta fino ad allora la ricerca neurologica di Freud – e traduce l’oggetto della sua indagine dall’orizzonte della lesione a quello della pulsione. Giacché, con la messa da canto della lesione come causa della patologia mentale, entra in scena un altro soggetto d’azione e responsabilità psichica, alla identificazione e definizione della cui natura sarà dedicata l’intera storia della psicoanalisi. Si tratta infatti non di una lesione, di una frattura, di un venir meno d’alcunché – ossia non si tratta, potremmo dire in linguaggio filosofico, di un non-essere, di un meno-di-essere – bensì, all’opposto, di un riempimento, di un caricarsi di energia, ossia di un potenziamento, di un più-di-essere, che, irreprimibile nel suo accumularsi, non si destina ad altro che al proprio soddisfacimento di scarica.
62Tanto che è qui, in tale scarto tra lesione e pulsione, che si colloca lo scacco a cui, ab imis e sin dai primordi dell’impresa psicoanalitica, Freud espone a mio avviso, in una sorta di confronto anticipato e ideale, l’avventata mossa lacaniana, la quale presumerà e pretenderà di fondare la psicoanalisi proprio sul «non-essere» e sulla valorizzazione di quella «mancanza ad essere» che saranno categorie e principi istitutivi del pensare in autori centrali per la formazione di Lacan, quali, tra gli altri, si ricordava, sono stati Heidegger e Kojève46.
63Il termine pulsione, Trieb, compare esplicitamente nei testi freudiani solo nel 1905 con le Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, ma, com’è ben noto, è già implicitamente presente nelle pagine freudiane del Progetto del 1895 con il dualismo dei processi di eccitazione che Freud colloca a base del funzionamento dell’apparato psichico. Eccitazioni d’origine esterna, da cui l’apparato psichico e l’organismo che lo sostiene possono fuggire e allontanarsi, ed eccitazioni d’origine interna, che per la loro natura interiore, non possono essere evitate ma solo «scaricate»47: secondo quel principio di inerzia neuronica, per il quale i neuroni tendono a liberarsi dalle invasioni d’energia, e con il quale il Freud (ancora in parte neurologo) del 1895 connota la vita del neurone.
64Tale distinzione tra eccitazione esterna ed eccitazione interna è, com’è evidente, fondamentale. Consente a Freud di teorizzare la specificità dell’apparato psichico umano come articolato in una funzionalità d’azione primaria e in una funzionalità d’azione secondaria, di spiegare la genesi dell’attività di pensiero e delle sue diverse modalità, tra cui emerge la peculiarità dell’attività onirica. Ma soprattutto consente a Freud d’inserire la sua prima concezione sistematica dell’apparato psichico, qual è depositata nel Progetto, in quella lunga storia del concetto di conatus che attraversa la cultura europea, scientifica e filosofica, almeno dal Seicento e che sottrae la concezione del corpo biologico-emozionale della mente psicoanalitica a un riduzionismo scientifico di tipo meccanicistico.
65Infatti, se il principio dell’inerzia neuronica e della tendenza a liberarsi da ogni condizione di eccitazione/dispiacere sembra ricondurre l’impostazione freudiana a un fisicalismo idraulico-meccanico di riempimento/svuotamento, ciò che di contro va messo in evidenza in questa prima formulazione freudiana è la dinamica della genesi delle pulsioni corporee e, con esse, degli affetti. L’eccitazione endogena assegna al corpo freudiano un’attività, un principio di energia e di azione che non dipende da altro da sé e che affranca l’organismo in questione da ogni riduzione meccanico-cartesiana a figura di mera estensione che occuperebbe solo spazio e che riceverebbe impulso e movimento unicamente dall’esterno. Comprendere la teoria della pulsione in Freud significa così avere ben presente il dibattito su forza meccanica e forza viva, ossia su forza passiva e forza attiva, che ha attraversato l’Europa del Seicento, da Hobbes attraverso Spinoza fino a Leibniz. E che si riassume nella ferma contrapposizione, da parte di questi tre classici della filosofia moderna, alla dottrina cartesiana del movimento, nello spazio e nel tempo, quale risultante dal parallelogramma delle forze generato dall’incontro/scontro per contatto con i movimenti dei corpi esterni.
66Su questo tema la rottura di Spinoza con il suo maestro Descartes era stata definitiva, giacché per l’autore dell’Etica ogni esistenza ha in se medesima una forza attiva attraverso cui mira alla propria conservazione: «Ciascuna cosa, nel suo essere in sé, tende a continuare nel suo essere [in suo esse persevare conatur]»48. Il conatus è una potenza originaria di agire nei confronti degli altri esseri, che quando viene a realizzarsi conduce a gioia e a pienezza, laddove, quando viene meno, si trasforma in tristezza, cioè in passioni e affetti subalterni alla maggiore potenza degli affetti altrui. Il desiderio, o cupidità, coincide dunque con la nostra stessa essenza vitale: «La tensione alla conservazione di sé è l’essenza stessa di una cosa [Conatus sese conservandi est ipsa rei essentia]»49.
67Ma la dottrina del conatus, che sta a base dell’etica spinoziana, era stata, a sua volta, profondamente influenzata dalla teorizzazione sul conatus compiuta, poco prima, da Hobbes, un autore che, come è stato ben detto, «riduce tutte le funzioni cognitive della mente a funzioni conative»50. Conatus, o desiderio, definisce infatti nel sesto capitolo del Leviathan il movimento di approssimazione (come di allontanamento) a una cosa desiderata (o avversata), che sta a base di ogni attività spirituale. Il conatus, o appetito, o desiderio è ciò che muove l’agire e il conoscere dell’essere umano. Proviene dall’interno del corpo e dall’accumulazione di gradi appetitivi, nella loro dimensione minuscola, non immediatamente percepibili.
Sebbene gli uomini privi di cultura non concepiscano alcun moto quando il corpo in movimento è invisibile, o quando lo spazio in cui quel moto si svolge è, per la sua limitata estensione, impercepibile, ciò non vuol dire che tali moti non esistano. Infatti uno spazio non è mai così piccolo da impedire che ciò che si muove su di uno spazio più grande di cui il piccolo è parte, si muova prima su quello. Questi piccoli principii di moto, nel corpo umano, prima che si manifestino nel camminare, nel parlare, nel colpire e in altre regioni visibili, sono comunemente chiamati tendenza [conatus]. Questa tendenza, quando è indirizzata verso la sua stessa causa, è definita appetito o desiderio51.
68Il desiderio costituisce pertanto il principio originario della vita dell’essere umano, come del pari il suo verso negativo, costituito dall’avversione.
Quando la tendenza si esplica in contrasto a qualche cosa, è generalmente chiamata avversione. Le parole appetito e avversione derivano dal latino e ambedue descrivono i moti di approssimazione e di allontanamento da una cosa52.
69Ora questo non è certo il luogo per approfondire la tematica seicentesca del conatus, ma a latere di queste rapidissime note sull’antropologia hobbesiano-spinoziana del conatus, o desiderio, non può non aggiungersi la riflessione su quanto la tesi spinoziana che l’«Appetito […] non è altro che la stessa essenza dell’uomo»53 implichi anche un ripensamento radicale dell’etica e della filosofia morale, antica e medievale, riguardo alla definizione dei criteri di verità del bene e del male. Giacché ora non è più il conoscere, il giudizio che distingue tra il bene e il male, a dirigere l’azione e a farsi principio generale dell’agire – non è più il giudizio che guida e precede il desiderio – ma, viceversa, è l’intensità o meno del desiderio a farci conoscere la distinzione tra ciò che per noi è il bene e ciò che per noi è il male. Come scrive in modo chiarissimo a tal proposito Spinoza nella sua Etica:
Risulta dunque da tutto ciò che a nulla noi tendiamo, nulla vogliamo, appetiamo, desideriamo, per il fatto che lo giudichiamo esser bene; ma al contrario, che noi giudichiamo esser bene qualcosa perché vi tendiamo, lo vogliamo, appetiamo e desideriamo54.
70Si desidera qualcosa in quanto questo qualcosa ci procura gioia e la gioia è il sentimento dell’acquisizione e del raggiungimento di una maggiore potenza nel nostro sforzo costante di autoconservarci. Come scrive nella Definizione dei moti dell’animo a conclusione del libro III: «La gioia è passaggio dell’uomo da minore a maggiore perfezione. La tristezza è passaggio dell’uomo da maggiore a minore perfezione»55.
71Sono queste due dimensioni del sentire, i sentimenti rispettivamente di gioia e tristezza, a farci percepire e conoscere ciò che è bene e ciò che è male. Talché il rovesciamento rispetto all’ontologismo antico – in cui è un ordine e un valore esterno, oggettivo, che determina attraverso la sua conoscenza, il comportamento del soggetto – appare radicale. Perché qui, appunto, non è più il conoscere, e il modello esterno e ideale, che dirige e comanda il sentire. Viceversa, è il sentire che sta all’origine dei valori morali. Bene e male non sono più principi esterni ma sono luoghi e dimensioni degli affetti e del loro volgere in intensità o verso la gioia o verso la tristezza. In modo non difforme da quanto già Hobbes nel Leviatano aveva argomentato, scrivendo:
Qualunque sia l’oggetto dell’appetito, o desiderio, di ogni uomo, sarà sempre da lui chiamato Bene e l’oggetto del suo odio e della sua avversione Male, e quello del suo disprezzo, vile e privo di valore. Queste parole, Bene, Male, Spregevole, sono sempre usate in correlazione a chi le usa, perché non esiste nulla di assolutamente in sé, né alcuna regola universale riguardo al Bene e al Male che possa essere assunta dagli oggetti stessi56.
72Ed è appunto tale priorità del sentire sul conoscere, dell’affetto sull’intelletto, che obbliga Spinoza a dichiarare che il conoscere di per sé non porta ad alcuna modificazione nella vita del soggetto umano se non a patto di farsi esso stesso un sentire e avere così la forza di contrastare o intensificare altri sentimenti e affetti. «La vera conoscenza del bene e del male non può coartare alcun moto dell’animo in quanto vera, ma solo in quanto la si considera come un moto dell’animo [quatenus ut affectus consideratur]»57. Il sentire, l’affetto inadeguato, non può essere eliminato da un giudizio vero, ma solo da un altro sentimento. «Un moto dell’animo non può essere dominato, né eliminato, se non per mezzo di un moto dell’animo contrario e più forte dell’animo da dominare»58. Così si può giudicare qualcosa come utile, e averne con ciò una conoscenza approfondita e appropriata, ma la conoscenza dell’utilità di qualcosa non è sufficiente per far percepire quella cosa come un bene. Perché quel che è veramente utile sia percepito come un bene, è necessario che l’agente percepisca l’accrescimento della sua potenza come un sentimento, ovvero che provi gioia, il che accade necessariamente, dal momento che ogni passaggio a una perfezione maggiore è percepito dalla mente come sentimento di gioia.
73Ora, riprendendo il discorso del Freud del Progetto di una psicologia, ciò che preme mettere in evidenza è quanto l’ingresso nell’impianto di questo manoscritto, ancora in buona parte neurologico, da parte dell’economia della pulsione e dell’eccitazione endogena implichi per il maestro viennese, ipso tempore, la teorizzazione della nascita della funzione dell’Io e, con esso, la riattualizzazione, in un contesto diversificato di senso, delle precedenti riflessioni su rappresentazione di cosa e rappresentazione di parola già introdotte e definite nel trattatello sulle afasie. Per dire cioè quanto il Freud del 1895, il Freud cioè già della fase inaugurale della psicoanalisi, avesse ben chiaro che il linguaggio non è funzione o dimensione dell’inconscio. Giacchè la funzione linguistica nella pagine del Progetto è attività psichica tutta intrinseca alle necessità e all’operare dell’Io: tutta intrinseca cioè a quello che già qui Freud chiama processo psichico secondario, o processo del pensiero conoscitivo-linguistico, a differenza di quanto accade nel processo psichico primario fondato sul dominio della rappresentazione allucinatoria e, in quanto tale, del tutto privo di funzione e di uso del linguaggio.
74Nel paragrafo del primo capitolo del Progetto che ha per titolo “Introduzione dell’Io”, Freud scrive quanto segue:
In realtà con la nostra ipotesi dell’attrazione di desiderio e di una tendenza alla rimozione, siamo pervenuti a un certo stato di ψ che non è stato ancora discusso. Entrambi questi processi dimostrano infatti che in ψ si è andata formando un’organizzazione, la cui presenza disturba decorsi che si son prodotti per la prima volta in un particolare modo. Questa organizzazione si chiama l’Io […]. Immaginiamo l’Io come una rete di neuroni investiti, ben facilitati in relazione l’uno all’altro […]. Ove dunque esiste un Io, esso deve inibire i processi psichici primari59.
75L’Io nasce quindi per Freud come un ambito strutturato della psiche, il cui principio organizzatore e unificatore è quello d’inibire i processi psichici primari. L’Io è a sua volta composto dal campo della memoria e della sua connessione con la funzione linguistica: ovvero, in altri termini, l’Io è la sede della funzione giudicante, in cui questo Freud, riassume l’attività del pensiero conoscitivo, il cui scopo essenziale è l’identificazione e la coincidenza tra rappresentazione di memoria e percezione di realtà.
76L’Io, in quanto ambito strutturato e funzionale, include in primo luogo la memoria, come insieme di percorsi neuronici modificati da esperienze reali di soddisfacimento o dispiacere, la cui traccia primitiva ha lasciato facilitazioni – e dunque connessioni permanenti – tra i neuroni ψ, quali parti del cervello volti verso la percezione dell’interno del corpo/mente, a differenza dei neuroni φ, rivolti verso la percezione del mondo esterno. L’Io in quanto memoria «deve essere definito come la totalità delle cariche ψ»: cioè è definibile come il complesso delle esperienze passate registrate dalla mente in questione e come la rete di percorsi facilitati, di mappe neuronali si direbbe oggi, rispetto all’intero mondo del possibile non esperito, sedimentato da quelle tracce. […] […] la memoria è rappresentata dalle facilitazioni che esistono tra i neuroni ψ».
77Come tale, la memoria, quale sedimentazione di esperienze passate (di soddisfacimento e di non soddisfacimento, con le loro rispettive emozioni), costituisce l’essenza, la base di ciascuno di noi. Essa forma la cifra della nostra individualità, non riducibile e non eguagliabile a quella di nessun altro. È l’esito del nostro passato e contemporaneamente il filtro e la matrice del nostro futuro, perché attraverso di essa – attraverso cioè il configurarsi dei nostri ricordi emozionali – costruiamo il nostro futuro. La biografia della memoria, ossia la sintesi di gusti e disgusti, di attrazioni e repulsioni, di valori e disvalori esperiti, costituisce dunque il fondo del nostro carattere più proprio.
78Ma se l’identità dell’Io getta in essa le sue radici, alimentandosene quanto a direzione e a senso del vivere, lo stesso Io non può coincidere ed esaurirsi in essa, perché deve essere in grado di guidarne la carica quantitativa, se è necessario inibirla e, contemporaneamente, grazie all’attenzione, selezionare e definire il campo della percezione. L’Io ha il suo fondamento e la sua continuità d’identità nel sistema biografico-emozionale di ciascuno ma guarda, insieme, alla realtà e ai suoi principi. Ed è per tale sua strutturale funzione bina, di mediazione e sintesi, tra desiderio e realtà, che l’Io vive essenzialmente come coscienza, come presenza presente e avvertita a se medesima. Ma, va aggiunto, pronta a illanguidirsi e a venir meno tutte le volte che quella necessità di mediazione tra mondo interno e mondo esterno, sia nel verso fisiologico che nel verso patologico, debba venir meno, tornando così a risolversi l’Io-coscienza nell’Io-memoria.
79Per altro, a marcare questa continuità nella discontinuità tra Io‑memoria e Io-coscienza, va sottolineato che, secondo l’esposizione di Freud, è attraverso i percorsi facilitati della memoria che l’Io si procura l’energia indispensabile al processo secondario che mette in atto, ossia al lavoro del pensiero e della conoscenza, della riflessione e del giudizio. Giacché si carica di energia attraverso l’investimento di desiderio (o di avversione) che i bisogni endogeni, di provenienza corporea, impongono alla mente. Tali investimenti percorrono i percorsi facilitati e, in tal modo, arrecano costantemente energia al campo della memoria e, di lì, all’ambito dell’Io di cui la memoria è componente. Così l’Io, provvisto e caricato di energia, può volgersi al compimento della sua funzione specifica, che, paradossalmente, è quella di legare, con l’energia ricavata dal processo primario del desiderio, l’energia libera del medesimo processo primario, pronta, senza l’intervento dell’Io, a correre verso un suo soddisfacimento solo irreale e allucinatorio. Trattenere e legare il desiderio significa infatti impedire che, ripercorrendo la facilitazione mnestica depositata da un’originaria esperienza di soddisfacimento, la pulsione precipiti in una soluzione di soddisfazione solo allucinatoria, a cui poi seguirebbe un aumento della condizione di bisogno e della sofferenza a esso connessa. Allucinazione è una rappresentazione mnestica, cui impropriamente la psiche primaria assegna un valore di realtà (un segno di qualità nel linguaggio di questo Freud), ossia uno spessore e una consistenza di realtà, di cui per Freud è capace solo la percezione. E appunto l’attività dell’Io o della psiche conoscente è volta a impedire che il fantasma della rappresentazione mnestica – fantasma perché come nota Freud tutte le rappresentazioni mnestiche sono monotòne, cioè non hanno la qualità e la vivezza delle percezioni – sia così intensamente investito da desiderio, da essere appunto allucinato e vedere trasformato il suo statuto meramente rappresentativo in statuto di percezione reale.
80Il fantasma è dunque consustanziale al desiderio. Tanto da poter dire che il desiderio è null’altro che il bisogno, nel suo essere avvertito e reso presente nella psiche. Ossia che bisogno e desiderio nella teorizzazione di questo Freud non sono altro che le due facce di una stessa medaglia, che è definibile come bisogno quando è vista da un punto di vista solo corporeo come accumulazione e intensificazione di energia, dovuta alla crescita inaggirabile della pulsione endogena, e che è definibile invece come desiderio quando è considerata dal punto di vista della psiche in quanto scena rappresentativa che genera attrazione (o repulsione) e che, dal suo lato psichico, implica costantemente la possibilità che quella rappresentazione sia vissuta, non come tale, ma come allucinazione. Parafrasando un celebre scolio dell’Etica di Spinoza60 si potrebbe dire che si dà bisogno quando ci si riferisce al solo corpo e si dà desiderio quando ci si riferisce simultaneamente al corpo e alla psiche. In tale double face il desiderio, anche qui in modo assai lontano dalla teorizzazione lacaniana, mostra il suo possibile lato patologico non per una mancanza a essere bensì per una pienezza a essere: nel senso che, appunto, il desiderio dà luogo al delirio allucinatorio quando la rappresentazione mnestica viene investita in modo così massiccio da trasformarsi, per un eccesso di essere, da statuto rappresentativo a statuto percettivo.
81A che questo non avvenga, con la sofferenza che deriverebbe da un soddisfacimento solo allucinatorio, provvede per Freud l’Io, attraverso la specificità della funzione linguistica che gli è propria. Come può accadere infatti, secondo i termini del Progetto che «durante il processo del desiderare, una inibizione proveniente dall’Io conduca a un investimento moderato dell’oggetto desiderato, cosa che permette di riconoscerlo come non reale»61? Come spiega lo stesso Freud: «Il compito è adempiuto dall’associazione verbale. Questa consiste nel collegamento dei neuroni ψ con neuroni che servono alle rappresentazioni sonore e sono intimamente associati con le immagini verbali motorie»62.
82Così, se sul piano neurologico – che questo Freud ancora non abbandona – la funzione inibitoria dell’Io viene descritta come una «inibizione al flusso di Qη» attraverso l’investimento di neuroni collaterali che diminuiscono la portata dell’investimento/desiderio originario, sul piano psichico tale processo di diminuzione dell’intensità del desiderio – tale suo processo di trasformazione dall’assoluto al relativo – si esprime nella capacità del linguaggio di far intervenire un momento di attenzione e riflessione attraverso il distanziamento che il linguaggio, costituito da simboli sonori-verbali, riesce a porre tra i suoi simboli e il contenuto simboleggiato. Il linguaggio interrompe il fluire allucinatorio del desiderio immettendo nella psiche la realtà, pronunciata o meno, delle sue catene linguistiche. E appunto la catena linguistica incatena il desiderio, sospendendo l’impulso di questo alla propria realizzazione immediata: ossia relativizzandolo attraverso la connessione e la mediazione con gli altri aspetti dell’esperire che inizialmente non rientrano nel suo statuto primario e allucinatorio.
83Il linguaggio diviene cioè ora il materiale percettivo della psiche, il contesto e il contenuto della sua azione di pensiero e di attenzione. Con i suoi segni verbali è in grado d’introdurre simbolicamente il mondo nella psiche e, attraverso tale operazione d’introduzione e di allargamento simbolico, è capace di de-assolutizzare il desiderio. Ma solo, com’è evidente, per poterlo effettivamente realizzare.
84Il pensiero conoscitivo, come scrive Freud nel Progetto, vive della messa in carica dei segni di linguaggio, che appartengono al contesto in sé differenziato e qualitativo del sistema dei segni verbali e, come tale, esso è distinto da un pensiero desiderante e primitivo, nel quale la scena rappresentativa è sotto il comando della dimensione solo quantitativa, e qualitativamente indifferenziata, della pulsione. Scopo del conoscere è dunque poter stabilire uno «stato d’identità [Identitätszustandes]»63 tra la rappresentazione solo immaginata della soddisfazione di un desiderio e la sua scena di soddisfacimento effettivo. È quello cioè di poter emettere un giudizio anticipante che consenta al soggetto in questione di agire e di muoversi secondo percorsi pratici che conducano realmente al venir meno della tensione desiderante.
85L’Io appare dunque essere costituito e organizzato secondo le funzioni, insieme, della memoria e del giudizio. Per cui è giunto il momento di specificare la funzione del linguaggio e dei neuroni ω.
6. Nascita e funzione del linguaggio
86Com’è noto Freud nel Progetto ha teorizzato la distinzione di tre sistemi neuronici, ognuno caratterizzato da una ben distinta funzione.
87Il sistema φ, che corrisponde alla sostanza grigia del midollo spinale, è in connessione con gli organi di senso a contatto con il mondo esterno ed è formato da neuroni del tutto permeabili che non oppongono resistenza al passaggio della carica di eccitazione nervosa. Sono neuroni che dopo lo stimolo ritornano alla loro condizione originaria e garantiscono in tal modo il variare continuo dell’esperienza in base al costante divenire del rapporto soggetto-oggetto. La loro funzione è quella della percezione.
88Il sistema ψ corrisponde alla sostanza grigia del cervello, non ha contatto con il mondo esterno bensì è in rapporto da un lato con i neuroni φ, connessi con il mondo esterno, e dall’altro con le cellule dell’interno del corpo, con gli «elementi cellulari all’interno del corpo»64. Esso è formato da neuroni impermeabili, ossia che trattengono parte della carica nervosa e che perciò subiscono un’alterazione permanente del loro stato. Più specificamente vengono modificate alcune delle loro barriere di contatto con altri neuroni, cosicché si produce una facilitazione di connessione tra neuroni determinati rispetto ad altri, che va a formare un percorso privilegiato di memoria. La loro funzione specifica è quella della memoria, che nel Progetto freudiano appunto «è rappresentata dalle differenze delle facilitazioni esistenti tra i neuroni ψ»65.
89Sistema percettivo e sistema mnemonico sono connessi ma evidentemente, per la loro diversa funzione, anche profondamente eterogenei, dato che la memoria contiene solo ricordi e mai percezioni di esperienze in atto e dal vivo.
90Ma ciò che accomuna i sistemi φ e ψ, i sistemi, appunto, di percezione e di memoria, è che essi hanno a che fare solo con processi di carica e di scarica nervosa, elettro-chimici, i quali, come tali, ammettono solo una variazione di gradiente, di quantità. Per tale natura quantitativa essi non possono essere avvertiti dalla coscienza, la quale percepisce e avverte i propri contenuti solo perché ciascuno è diverso dall’altro, attraverso cioè una discontinuità di qualità.
La coscienza ci dà ciò che noi chiamiamo qualità: sensazioni differenti in grandi varietà e modi e la cui differenza dipende dai rapporti con il mondo esterno. Entro questa differenza vi sono delle serie, delle somiglianze, e simili, ma non vi sono propriamente delle quantità. Possiamo chiederci come e dove abbiano origine le qualità66.
91Ecco perché Freud deve ipotizzare l’esistenza di un terzo sistema di neuroni che egli chiama neuroni ω, che devono spiegare l’emersione e la funzione della «coscienza».
92La coscienza ha lo scopo fondamentale di introdurre realtà nell’apparato neuro-psichico al fine di una soddisfazione appunto reale, effettiva, non meramente allucinatoria, dei bisogni/desideri. È la parte dell’Io che di momento in momento si accende e opera per mantenere in vita un organismo neuro-psichico in rapporto a un mondo-ambiente che costantemente muta. È la parte dell’Io che dunque da un lato affonda nei tracciati organizzati e sedimentati della memoria e che dall’altro elabora i segni di realtà, che, vedremo subito, comprendono rispettivamente la realtà delle variazioni prodotte dal mondo esterno sull’apparato dei sensi periferici e, dall’altro, la realtà mentale dell’attività discorsiva del pensare. Il sistema dei neuroni ω accoglie ed elabora segni di realtà, o percettivi o verbali, ponendoli in una relazione possibile con gli automatismi della fantasia propri dei tracciati di memoria del sistema ψ.
93È il tempo, con le sue alternanze di presenza e assenza, di prima e dopo, che costituisce il modo in cui il mondo reale ed esterno si fa interno e percepito dalla coscienza. I neuroni non lavorano, nell’ipotesi di Freud, con quantità di energia bensì con il «periodo», ossia la caratteristica temporale che connota l’eccitamento proveniente dal mondo esterno tramite gli organi di senso. Il periodo, nelle scienze naturali e in particolare in fisica, definisce l’intervallo di tempo che corre nei fenomeni oscillatori perché un punto, come la cresta di un’onda, torni, dopo un’oscillazione o una vibrazione, alla posizione e alla velocità iniziale. Il tempo del periodo è inversamente proporzionale alla frequenza ondulatoria perché quanto più aumenta la frequenza, vale a dire il numero delle oscillazioni, tanto più diminuisce il tempo necessario a che un fenomeno torni ad avere le caratteristiche iniziali.
94Così per Freud la coscienza percepisce l’esistenza della realtà del mondo esterno attraverso la variazione di frequenze temporali che scandiscono il comparire, il farsi pienamente presente, l’affievolirsi fino allo scomparire e al farsi assente del contenuto percettivo considerato. Diversamente da quanto accade al sistema ψ, che ha la caratteristica di essere, come si diceva, monotòno, di essere privo cioè di quelle variazioni di intensità temporale e, con ciò, di quella forza e vivezza percettiva che connota ogni presa di coscienza reale.
95È sulla funzione del periodo, sulla presenza o meno della variazione di frequenza nel tempo – in questo passaggio non facile da comprendere nella trama del Progetto – che Freud fonda dunque il passaggio dal mondo fisico della misurazione e delle variazioni quantitative al mondo qualitativo e psichico della coscienza. Con il fortissimo rilievo, va detto, che nel suo discorso assume la distinzione tra rappresentazione con percezione e rappresentazione senza percezione, la quale di nuovo non può non richiamare Kant e la sua differenziazione fondamentale tra Erkennen (conoscere) e Denken (pensare). Dove l’Erkennen, che produce il conoscere vero, il sapere della scienza, muove dalla sensazione, ossia dalla modificazione che l’oggetto esterno, o noumenico, produce sulla nostra sensibilità. Mentre il Denken è un pensare che produce «un semplice ente del pensiero»67, perché il suo contenuto non è tratto dall’esperienza reale di sensazioni. La modificazione del corpo attraverso sensazione (Wahrnehmung, nel tedesco di Kant, ovvero, letteralmente, afferramento del vero) è così il criterio per distinguere la verità che attinge la realtà da un pensare solo congetturale e astratto che non potrà mai avere un riscontro di verità.
96La teoria di Freud della genesi e della funzione del processo secondario, cioè della coscienza e del pensiero, nasce da qui: da questo punto fondamentale e imperdibile del kantismo. È la percezione sensibile che distingue all’interno della psiche la realtà dalla fantasia, ossia che impedisce, per il Freud del Progetto, all’apparato neuro-psichico di realizzare nell’allucinazione il desiderio e di ricercarne, invece, la via della soddisfazione effettiva e reale. Con la differenza rispetto a Kant, per quello che qui maggiormente ci interessa, che, mentre in Kant il pensiero senza percezione si verticalizza nella luce abbagliante del concetto metafisico, in Freud il pensiero senza percezione si inabissa nelle trame incoscienti della memoria. Perché è ben chiaro che per il Freud del Progetto, e di lì per tutta l’intera sua opera, la capacità rappresentativa non coincide e non si esaurisce con la coscienza. Al di sotto della coscienza la vera capacità rappresentativa è costituita dall’enorme deposito delle rappresentazioni della memoria, dalle sue facilitazioni e dai suoi percorsi associativi.
97Ma appunto a che non si dia pensiero senza percezione, ossia a che non si dia il fantasma allucinatorio, è necessario per Freud il sistema ω che dispone di due funzioni di realtà: il «segno di qualità» che proviene dalla sensazione reale e i «segni di scarica verbale» che provengono dall’attività riflessiva di linguaggio, quale prassi della mente che nel suo darsi interrompe l’automatismo allucinatorio del desiderio.
98Già abbiamo detto che per Freud la nascita e la funzione dell’Io è quella di impedire all’organismo neuro-psichico l’esperienza del non soddisfacimento e del dolore. L’Io è l’organizzazione specifica, costituita da energia legata, che ha il compito di legare l’energia libera del desiderio che altrimenti ripercorrerebbe i percorsi associativi sedimentati dalle esperienze originali di piacere o di dolore. Tale inibizione avviene attraverso investimenti laterali che deviano il percorso dell’energia dalla via principale consolidata verso collegamenti nuovi, con neuroni laterali:
se un neurone collaterale è simultaneamente investito, ciò opera come una temporanea facilitazione della barriera di contatto che sta tra i due neuroni, e modifica il decorso, che altrimenti si sarebbe indirizzato verso la sola barriera di contatto facilitata. Un investimento laterale [Seitenbesetzung] è quindi una inibizione [Hemmung] al flusso di Qη. […] Ove dunque esiste un Io esso deve inibire i processi psichici primari68.
99Ora tale funzione inibitoria viene esercitata esplicitamente nel testo freudiano dal linguaggio. Perché attraverso i simboli verbali (in particolare attraverso le rappresentazioni auditive di parole) viene messo in scena nella mente un ambito più ampio di percorsi possibili del desiderio, tra cui scegliere quello più capace di produrre un soddisfacimento effettivo. L’Io lega così il desiderio del processo primario attraverso la sua imbracatura in una rete linguistica che, per la potenza virtuale rappresentativa intrinseca al linguaggio, lo inserisce in una scenografia mentale assai più articolata della rappresentazione della scena primaria. Sollecitato dalla modificazione del suo sentire interno e dalla crescita progressiva del suo bisogno/desiderio e, contemporaneamente, dalla inadeguatezza percettiva della realtà esterna, l’Io-coscienza mette in atto un pensiero indagante/giudicante che, attraverso aperture e tentativi simbolico-linguistici, deve giungere alla fine a ritrovare l’identità tra Wunschvorstellung (immagine di desiderio) e Wahrnehmung (percezione reale).
100Gli investimenti laterali che diminuiscono l’intensità del desiderio primario, trasformando la sua energia libera in energia legata, corrispondono, in termini di neuroni ψ, all’investimento di rappresentazioni di parola (specificamente della rappresentazione motoria di parola). L’azione del pensare parlando, del pensare attraverso simboli verbali, subentra all’azione allucinatoria della fantasia. L’uso delle parole, che implica una scarica motoria, traduce l’organismo neuro-psichico dal processo primario in una funzione più complessa che già introduce dentro di sé il mondo esterno, il principio di realtà, perché il linguaggio, il pensiero parlato, è già testimonianza di una realtà che sospende il pensiero meramente fantasticato. Il pensare attraverso parole è dunque già un agire, un lavorare. E non solo perché pensare attraverso le parole implica una innervazione e una scarica motoria di contro all’automatismo senza lavoro del pensiero allucinatorio. «I segni di scarica mediante il linguaggio sono anch’essi, in un certo senso, segni di realtà, di realtà mentale e non di realtà esterna»69. Ma anche perché la parola, nella sua valenza simbolica di non essere, di non coincidere con la rappresentazione di oggetto cui è legata, compie il lavoro di raffreddare l’affetto, di sottrarlo al calore intollerabile del primario e di poter avere così di fronte a sé un contenuto rappresentativo senza esserne travolto dalla passione e dalla tensione che lo attanaglia. Ed è appunto la «percezione» (Wahrnehmung), secondo la più esplicita definizione kantiana del termine («la percezione è la coscienza empirica, cioè una coscienza in cui si trovi al tempo stesso una sensazione»70) a costituire lo scopo finale e determinante dell’intera attività del pensiero indagante e giudicante: quando cioè la scena ricercata del soddisfacimento del desiderio viene percepita attraverso i nostri sensi come reale e la coscienza del segno di realtà, o segno di qualità, ci avverte che quella scena non è un sogno o un delirio che si consuma solo nella nostra mente.
101Il pensiero, per Freud, lungi dall’essere contemplazione, è azione, la cui necessità è generata nel momento in cui nella vita della mente si apre una distanza, un gap, tra rappresentazione psichica interiore e realtà. Sanare quella distanza è l’esito di un lavoro vero e proprio che utilizza come suoi strumenti quel genere specifico e ulteriore di rappresentazioni che sono le rappresentazioni verbali, la cui natura intrinsecamente sonora e leggera consente di trattenere la motilità di un corpo e di un agire pronti a seguire l’istanza immediata del desiderio, di inibire dunque e raffreddare l’accelerazione emotiva, di utilizzare una quantità di energia ridotta rispetto a quella pulsionale per indagare il mondo circostante e di raggiungere infine la coincidenza tra lo psichico e il reale, attraverso un giudizio di identità.
Quindi il giudizio è un processo ψ, reso possibile solo dall’inibizione esercitata dall’Io e messo in atto dalle differenze tra l’investimento di desiderio di un ricordo e un consimile investimento percettivo. Ne segue che, quando due cariche coincidono, la conseguenza sarà un segnale biologico per porre termine al pensiero e lasciare iniziare una scarica. Quando esse non coincidono, viene dato incremento all’attività del pensiero, alla quale verrà posto di nuovo termine quando esse coincideranno71.
102Il lavoro del giudizio si svolge attraverso l’immagine motoria delle parole che, sospendendo l’energia della scarica del desiderio e inibendo i ricordi che la facilitano, dirigono l’attenzione a ricercare e a selezionare, dalle percezioni che provengono dal mondo esterno, tutti i nessi possibili e le vie di conduzione che avvicinano progressivamente all’oggetto ricercato. L’attenzione è così dispendio, attivo e intenzionale, di energia che preseleziona e preinveste quella porzione di realtà e di mondo esterno da cui verosimilmente può riemergere e tornare a riprodursi l’immagine originaria del desiderio, connessa questa volta a una sensazione-percezione. Le associazioni verbali sono le catene che trattengono il desiderio e che, nello stesso tempo, gettano la loro rete a stabilire connessioni possibili di realtà. «Pensare con la carica dei segni di realtà di pensiero o dei segni verbali è, quindi, la più alta, la più sicura forma del processo del pensiero conoscitivo»72. Tanto da derivarne per Freud, da tale destinazione riproduttiva e identificante del pensiero indagante, la struttura più classica del giudizio logico quale composizione di soggetto e predicato, dato che, nel passaggio dalla modalità primaria a quella secondaria dell’attività della psiche, la scena del desiderio rimane inalterata e a soggetto (nel senso etimologico di ciò che sta sotto e muove) dell’intero processo, mentre mutano i suoi stati accidentali, predicativi, che appunto variano dallo stato allucinatorio a quello reale.
103Né è necessario per Freud che nel pensiero parlato il linguaggio sia esplicitamente pronunciato. Perché una volta che la connessione tra rappresentazione di cosa e rappresentazione di parola si sia resa, per la ripetizione e la continuità dell’uso, certa e stabile, la rappresentazione di parola può essere accennata in una dimensione umbratile che non richiede un pronunciamento ad alta voce.
È ben noto che quello che noi consideriamo pensiero cosciente si accompagna a un leggero dispendio motorio. […] la corrente delle innervazioni verbali, mentre il pensiero è in atto, è ovviamente molto piccolo. Noi non parliamo realmente, più di quanto realmente ci muoviamo allorché ci rappresentiamo un’immagine motoria. Ma la differenza tra rappresentare e muoversi è solo quantitativa, come ci insegnano gli esperimenti di lettura del pensiero. Quando pensiamo intensamente, ci può accadere di pensare ad alta voce73.
104Segni di qualità/realtà provenienti dalle percezioni del mondo esterno da un lato e segni di qualità/realtà, dall’altro, provenienti dalle immagini motorie delle associazioni verbali cooperano dunque nell’accendere la presenza della coscienza e nell’orientare l’attività pensante dell’Io.
105L’attenzione si svolge e corre attraverso queste due dimensioni di segni, che confermano quanto il pensiero, se nasce ed è mosso dalle spinte primarie e interiori dell’affetto, poi trova il suo dispiegarsi conoscitivo solo attraverso la messa in campo e l’uso del sistema linguistico. «Pensare con la carica dei segni di realtà di pensiero o dei segni verbali è, quindi, la più alta sicura forma del processo di pensiero conoscitivo»74.
7. La duplice eterogeneità dell’alterità
106Ma oltre a rendere possibile il processo secondario e il conoscere, oltre a distinguere tra memoria e allucinazione, il linguaggio svolge per il Freud del Progetto un’altra funzione di grande importanza. Infatti come «grido», come linguaggio preverbale, usando lo stesso percorso motorio-fonatorio che sarà poi quello utilizzato dalle associazioni verbali, esprime e comunica a un terzo esterno, a un altro, la tensione emotiva interiore che serra nell’urgenza del bisogno l’organismo neuro-psichico.
L’innervazione della parola è originariamente una via di scarica per ψ, come una specie di valvola di sicurezza avente lo scopo di regolare le oscillazioni di Qη; è un tratto del canale che porta alla modificazione interna, unico mezzo di scarica fino al ritrovamento dell’azione specifica. Questo canale acquista una funzione secondaria in quanto serve ad attirare l’attenzione della persona cooperatrice (che è abitualmente l’oggetto stesso desiderato) sui desideri e il disagio del bambino; serve perciò allo scopo di condurre all’intendersi e viene a integrarsi nell’azione specifica75.
107Il grido di dolore è originariamente una necessità biologica di scarica della tensione crescente tra l’urgenza del bisogno e l’impossibilità del suo soddisfacimento, ma è anche ciò che, attirando l’attenzione dell’altro, anticipa la funzione del linguaggio, quale attività volta all’intendimento reciproco. «Da questo punto non vi è che un breve passo alla scoperta del linguaggio»76.
108Il linguaggio, con le sue anticipazioni preverbali, implica dunque già nel Progetto un rapporto intrinseco con le due alterità che, poi in modo esplicito per il Freud psicoanalitico, formeranno le due polarità costituzionali dell’Io: l’alterità interna del corpo, che propone all’Io le pulsioni e i bisogni che non nascono dall’Io medesimo ma che l’Io può solo mitigare e modulare, e l’alterità esterna di un altro Io (o di altri Io), che, malgrado la sua natura di esistenza esterna, è anch’essa principio formativo e costituzionale dell’Io in questione.
109La specificità della specie umana è che il cucciolo dell’uomo attraversa un lunghissimo periodo di svezzamento, e di avvio all’autosufficienza personale, che non ha confronto con nessun’altra specie vivente. Ed è quanto verosimilmente già il Freud del Progetto registra e sottolinea quando afferma che il bambino dell’essere umano è incapace di provvedere da solo al soddisfacimento dei propri bisogni e che da tale impotenza nascono i sentimenti e il campo di questioni legate alla moralità. Infatti a proposito dell’impossibilità da parte del bambino di dar luogo a quell’azione che, trasformando il mondo-ambiente, soddisferebbe le sue pulsioni, Freud scrive:
L’organismo umano è, dapprima, incapace di produrre tale azione specifica. Essa viene attuata mediante un aiuto esterno, quando un individuo maturo viene indotto a fare attenzione alle condizioni del bambino mediante una scarica lungo la via della modificazione interna. Tale via di scarica acquista pertanto la funzione secondaria estremamente importante dell’intendersi, e l’impotenza iniziale degli esseri umani è la fonte originaria di tutte le motivazioni morali77.
110Si può dire pertanto che già nel Progetto sia accennata quell’antropologia, o teoria generale dell’essere umano, a cui Freud darà svolgimento con la sua opera psicoanalitica. Ossia la visione secondo cui l’organismo neuro-psichico dell’essere umano si compone della relazione strutturale a due alterità, eterogenee tra loro, ma indispensabili entrambe a costruirne e a riprodurne la vita. Tali due alterità, compresenti ma eterogenee tra loro, sono costituite da un lato dalle pulsioni del bios, del corpo, che, nel loro generarsi incontrollato e inarrestabile, costituiscono la dimensione noumenica della nostra interiorità e, per altro verso, dal darsi dell’esistenza dell’altro/i che è parimenti condizione primaria della riproduzione della nostra esistenza. Sono le due dimensioni dell’alterità che lo psicoanalista italo-argentino Armando B. Ferrari, approfondendo attraverso l’elaborazione di Bion l’opera di Freud, ha definito rispettivamente «asse verticale» e «asse orizzontale» di costituzione della soggettività umana.
111L’asse verticale concerne il rapporto corpo-mente. Esso suppone che la mente nasce per risolvere e soddisfare i problemi pulsionali del corpo e che dunque «il corpo è l’oggetto, per eccellenza, della mente ed è la sua realtà prima»78. Il pensiero cioè nasce in primo luogo per pensare il corpo, per assumerlo come suo contenuto fondamentale e risolverne le esigenze attraverso l’elaborazione-modificazione della realtà esterna. Ma lo pensa non nel senso di avere rappresentazioni del modo di funzionare dei suoi organi. Lo pensa in quanto lo sente, in quanto sente i sentimenti di piacere e di dispiacere e tutte le loro possibili tipologie e combinazioni. Giacché il corporeo nella sua logica accumulativo-diffusiva non può essere rappresentabile, come abbiamo visto. Può essere solo rappresentato, nel senso della delega politica di cui abbiamo parlato all’inizio.
112Qui sta, io credo, se si volesse civettare in modo laico e materialistico con il linguaggio heideggeriano, la vera «differenza ontologica» che connota l’essere umano. Sta nella compresenza di corpo e mente e nel transito del corporeo dal mondo fisico-chimico della quantità a quello psichico della coscienza. Sta nella connotazione di «un ente che si autopercepisce in termini di corporeità (Uno) e di simbolicità (Bino)»79, perché appunto il corporeo si costituisce come un Giano bifronte che da un lato guarda alla materialità biologica e dall’altro guarda alla sua espressione nel nostro sentire.
113Al fondo dell’essere umano non c’è dunque la riproposizione della metafisica arcaica, non c’è l’Essere trascendente, che si occulta nel suo manifestarsi, di Martin Heidegger, ma unicamente l’inafferrabilità logica e conoscitiva del nostro corpo, che può essere bensì rappresentato e compreso solo attraverso il nostro sentire. O, per dir meglio, è l’intero asse verticale, nella sua sovrapposizione di funzioni, a dirci che, già nel Progetto di Freud, «rappresentante della pulsione» (Triebrepräsentant), «rappresentazione di cosa» (Sachvorstellung), «rappresentazione di parola» (Wortvorstellung) costituiscono tre ordini neuropsichici profondamente connessi, eppure tali che ciascuno di essi appare provvisto di una sua peculiare logica di funzionamento, legata a una fase specifica dell’evoluzione. E che proprio tale triplicità di piani, con tutte le forme possibili di connessione e di traduzione dell’uno nell’altro – ma ovviamente anche di sconnessione, fraintendimento e conflitto –, dà vita alla costituzione intrinsecamente simbolica dell’essere umano. Nel senso che, ciascun piano rimandando all’altro, il fondo emozionale-corporeo di ciascun essere umano può essere adeguatamente espresso e interpretato dalla propria mente come, viceversa, falsamente espresso, interpretato, deformato, fino a essere cancellato e rimosso.
114Diversamente dall’asse verticale, l’asse orizzontale concerne la relazione di un corpo-mente con un altro (o altri) corpo-mente e implica in prima istanza, non il riconoscere da parte di una mente del proprio corpo, ma l’essere riconosciuto o no del primo soggetto da parte di un altro essere umano. Il riferimento, assai rapido e sintetico, che Freud nel Progetto compie alla funzione comunicativa del «grido» e al richiamo dell’attenzione altrui, va sciolto e approfondito secondo le tematiche, più prossime a noi, della rêverie bioniana e della questione del «riconoscimento», tanto dibattuta e celebrata in area hegeliana. L’asse orizzontale è infatti costituito da relazioni originarie di riconoscimento o di disconoscimento che hanno una funzione fondamentale nella costruzione della soggettività. Come ha teorizzato Bion, la mente dell’essere umano può nascere, e dar vita a un sufficiente asse verticale, solo se viene a strutturarsi secondo l’esperienza, potremmo dire, di una mente al quadrato. Solo cioè se è pensata e contenuta da un’altra mente, in grado di dare contenimento all’onda marasmatica che il mondo della corporeità pulsionale immette nella mente di un essere umano, all’inizio ancora del tutto fragile e immatura. Per cui la mente nasce solo a mezzo della mediazione di un’altra mente, che accoglie e riceve le impressioni emotive e sensoriali della prima, sottraendole all’angoscia assoluta di devastazione e di morte che portano con sé, e restituendogliele in una timorosità sopportabile e relativa.
115Qui si colloca, io credo, il significato più originario e più pregnante dell’etica del riconoscimento che ormai, nelle più varie versioni, attraversa il dibattito della cultura contemporanea. Si colloca cioè nella pregnanza di tale incrocio tra asse verticale e asse orizzontale. Nel senso che, solo l’accendersi reale di una dimensione intersoggettiva – dell’essere effettivamente riconosciuto da parte di un altro – consente l’accendersi della dimensione infrasoggettiva, quale capacità di una mente di rendere presente e simboleggiare a se stessa la propria corporeità.
116Vale a dire che, sia pure in forma assai embrionale, già nel Progetto è contenuto l’incrocio dei due assi come struttura fondante la soggettività umana. Tanto che, a muovere da tale compresenza di verticalità e di orizzontalità, potremmo giungere ad affermare – sollecitando e radicalizzando di molto il discorso freudiano – che nella costruzione della soggettività umana il riconoscere precede il conoscere, giacché senza l’esser riconosciuto non si genera l’apparato per pensare i pensieri. E dove ben si comprende quindi come, in questo strutturarsi originario dell’umano, il riconoscere non segua e non derivi dal conoscere. Non significhi il ripresentarsi di un già conosciuto. Ma preceda il conoscere e in questa sua precedenza originaria faccia valere tutta la sua eterogeneità e irriducibilità rispetto all’asse verticale in cui si accende il pensiero.
117Eterogenei, ma compresenti e ben intricati tra loro, i due assi, visto che, nella lunga esposizione temporale della gracile mente infantile all’onda marasmatica dell’invasività pulsionale, il riconoscimento che ha luogo sull’asse orizzontale deve essere ripetuto e assai prolungato, affinché si possa consolidare un apparato per pensare che pensi le proprie emozioni come fenomeni da accogliere e da interpretare, invece che noumeni e cose in sé da espellere e da proiettare sul mondo esteriore. Ma su questa singolare applicazione della filosofia kantiana alla psicoanalisi e ai progressi, che, attraverso di essa, il pensiero originale di uno psicoanalista come Wilfred. R. Bion ha apportato alla tradizione e all’antropologia psicoanalitica, sarà opportuno riprendere il discorso nel prossimo capitolo.
118Qui per ora basti dire, ricordando quanto l’utilizzazione del Kant della Critica della ragion pura sia stata fondamentale anche nell’opera di Bion, che voler discorrere del nesso che si è dato fin dagli albori tra psicoanalisi e filosofia implica sottrarre il pensiero di Freud e dei suoi più fecondi seguaci alla tanto celebrata influenza determinante dei pensatori dell’irrazionale, come Schopenhauer e Nietzsche, e contestualizzarlo all’interno di un orizzonte filosofico che trova le sue ispirazioni imprescindibili nelle tradizioni dell’empirismo inglese e del neocriticismo kantiano.
119Anche perché solo una lettura dell’opera di Freud attraverso la rifrazione di Kant, come quella che qui si è proposta, vale, io credo, a sottrarre la cultura psicoanalitica a sterili contrapposizioni dualistiche, come spesso sono occorse, che hanno voluto contrapporre un’antropologia dell’inconscio a un’antropologia del conscio, il desiderio al logos, l’emozionale al linguistico. Laddove è proprio l’originaria rifrazione kantiana su un campo di lavoro neuro-evoluzionistico che consente di comprendere come, nell’ottica di Freud, la profondità, il luogo di senso, della vita degli esseri umani non sia di natura linguistica, bensì di natura quantitativo-affettiva, intessuta di pulsioni e dinamiche non verbali. Con la conseguenza che se il linguaggio non è il luogo del senso – il linguaggio non dà senso – esso pure contribuisce, in modo indispensabile, a far emergere, a proteggere e a far esprimere quel luogo più originario e più personale dell’esistenza umana, che è l’ambito corporeo-affettivo, nel contesto più ampio della socialità e del mondo esteriore.
Notes de bas de page
1 Cfr. F. Napolitano, Materiali per una filosofia freudiana dell’afasia. Uno studio critico, in S. Freud, L’interpretazione delle afasie, a cura di F. Napolitano, Macerata, Quodlibet, 2010, pp. 133-211.
2 Freud escluse dalla prima edizione completa delle sue opere, le Gesammelte Schriften, in 12 volumi, a cura di A.J. Storfer, iniziata nel 1924 tutti i suoi scritti di natura biologica, istologica e neurologica. Il medesimo criterio ha connotato la nuova edizione tedesca, iniziata subito dopo la morte di Freud, dei Gesammelte Werke in 18 volumi, edita dalla Imago Publishing Co., London, 1940-1968, entrata poi nel catalogo di Fischer, Frankfurt a.M. Anche i dodici volumi dell’edizioni italiana delle Opere di Freud, edite da Boringhieri, a cura di C. Musatti, hanno seguito tale criterio editoriale.
3 Il primo scritto neurologico del giovane Freud risale al 1877 (Beobachtungen über Gestaltung und feineren Bau der als Hoden beschriebenen Lappenorgane des Aals, in Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, Mathematisch-Naturwissenschaftliche Classe, LXXV, I. Abteilung, Wien, 1877, pp. 419-430). È l’esito, com’è noto, della ricerca sulla struttura gonadica delle anguille svolta presso la Stazione zoologica sperimentale di Firenze, affidatagli da K. Claus, direttore dell’Istituto di Anatomia Comparata dell’Università di Vienna. Dopo tutta una serie, più che ventennale, di pubblicazioni di carattere anatomico-neurologico, bisogna giungere al 1897 per trovare l’ultimo saggio in tal senso, dedicato alla paralisi cerebrale infantile (Die infantile Cerebrallähmung, in Handbuch der speziellen Pathologie und Therapie, a cura di H. Nothnagel, IX, II. Teil, II. Abteilung, Wien, 1897).
4 Zur Auffassung der Aphasien, Eine kritische Studie von Dr. Sigm. Freud, Privatdozent für Neuropathologie an der Universität Wien, Leipzig-Wien, Franz Deuticke, 1891 (cfr. un’edizione recente dello stesso testo, a cura di P. Vogel, Frankfurt a. M., Fischer, 2001). Per l’edizione italiana si rimanda al testo già citato, S. Freud, L’interpretazione delle afasie. Uno studio critico, a cura di F. Napolitano. L’accoglimento dello scritto freudiano non fu dei migliori: «Delle ottocentocinquanta copie che se ne stamparono – scrive Ernest Jones – ne erano state vendute duecentocinquantasette dopo nove anni, quando le restanti furono refuse. In nessuna biblioteca dell’Inghilterra ne esiste una copia» (E. Jones, Vita e opera di Freud, tr. it. a cura di A. Novelletto e M. Cerletti Novelletto, Milano, il Saggiatore, 1962, I, p. 266). Ma è indubbio che Freud assegnasse grande valore al suo saggio sulle afasie, esito, oltre che delle ricerche neurologiche di laboratorio dello stesso Freud, di un lungo e approfondito studio sull’ampia letteratura scientifica più aggiornata sull’argomento.
5 P.P. Broca, Sur le siège de la faculté du langage articulé avec deux observations d’aphémie (perte de parole), “Bulletins de la Société anatomique de Paris”, 1861, pp. 330-357.
6 Il 2 maggio 1891 Freud scrive a W. Fliess: «Tra poche settimane sarò lieto di poterLe inviare un fascicolo sull’afasia, a cui mi sono dedicato con ardore. In questo lavoro sono alquanto temerario e duello tanto con il Suo amico Wernicke, quanto con Lichtheim e Grashey, non senza fare un po’ di solletico persino a quel torreggiante idolo di Meynert. Sono molto curioso di udire i Suoi commenti su questo scritto» (S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess. 1887-1904, tr. it. a cura di J.M. Masson, Torino, Bollati Boringhieri, 1986, p. 46). E in una lettera del 21 maggio del 1894, a proposito dello scarto che si dà tra il suo lavoro intellettuale e gli apprezzamenti altrui, scrive: «E per le cose realmente buone come l’afasia [c.m.], le ossessioni (di cui ora è imminente la pubblicazione), e l’etiologia e la teoria delle nevrosi non posso attendermi nulla di meglio che un rispettabile fiasco. C’è da rimanerne perplessi e un poco amareggiati» (ivi, pp. 96-97).
7 Cfr. la voce «Repräsentation», in Historisches Wörterbuch der Philosophie, a cura di J. Ritter, K. Gründer, Basel, Schwabe, 1992, vol. 8, pp. 790-858, in particolare la sezione giuridico-politica (pp. 811-826), a cura di B. Haller.
8 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 67. Il testo fondamentale di Theodor Meynert, cui si riferiscono le osservazioni di Freud è Meynert, Der Bau der Gross Hirnrinde und seine örtlichen Verschiedenheiten, nebst einem pathologisch-anatomischen Corollarium, “Vierteljahrsschrift für Psychiatrie in ihren Beziehungen zur Morphologie und Pathologie des Zentral-Nevensystems”, I, 1867, pp. 77-93.
9 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., pp. 70-71. [I corsivi sono nel testo di Freud].
10 M. Solms, M. Saling (On Psychoanalysis and Neuroscience: Freud’s Attitude to the Localizationist Tradition, “International Journal of Psycho-Analysis”, n. 67, 1986, pp. 397-416) sostengono che il libro di Freud sull’afasia è il «first account of the dynamics of mental process», che «contains a detailed model of the speech apparatus», centrale nella talking cure e che in esso sono presenti «the germs of the theory of regression and the genetic point of view of psychoanalysis», così come «the beginning of a new attitude toward brain functioning which became the conceptual framework within which psychoanalysis could develop» (ivi, p. 399). Ma si veda anche l’accurato lavoro di M. De Lillo, Freud e il linguaggio. Dalla neurologia alla psicoanalisi, Lecce, Pensa, 2015.
11 S. Freud, Alcune considerazioni per uno studio comparato delle paralisi motorie organiche e isteriche, in Id., Opere 1892-1899, Torino, Boringhieri, 1968, vol. 1, pp. 72-73 [il corsivo è nel testo freudiano].
12 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 74.
13 Ivi, pp. 73-74.
14 Ivi, p. 73.
15 Ivi, p. 75.
16 «I will state what I believe to be the hierarchy of nervous centres, with accords with the doctrine of evolution [c.m.]» dichiara John Hughlings Jackson. Cfr. Evolution and Dissolution of the Nervous System (1884), in J. Taylor (a cura di), Selected Writings of John Hughlings Jackson, vol. 2, London, Hodder and Stoughtin, 1932, p. 53.
17 «Evolution is a passage from the most to the least organized; that is to say, from the lowest, well organised, centres up to the highest, least organized, centres, putting this otherwise, the progress is from centres comparatively well organized at birth up to those, the highest centres, which are continually organising through life» (ivi. p. 46).
18 «Il sistema nervoso centrale (parlo solo per il momento del sistema cerebrale) consiste di tre livelli, il più basso, il mediano e il più alto: questi, rispettivamente, rappresentano, ri-rappresentano, e ri-ri-rappresentano tutte le parti del corpo. Per dare maggior rilievo a quest’ultima affermazione, ripeto che il livello più alto (la serie dei centri più elevati ossia l’“organo della mente“) ri-ri-presenta tutte, letteralmente tutte, le parti del corpo nelle più complesse combinazioni senso-motorie» (Remarks on Evolution and Dissolution of the Nervous System (1887), in Selected Writings of John Hughlings Jackson cit., p. 99).
19 «Dissolution being the reverse of the process of evolution just spoken of, little need be said about it there. It is a process of undevelopment; it is a “taking to pieces” in the order from the least organised, from the most complex and most voluntary, towards the most organized, most simple and most automatic» (ivi, p. 46).
20 «Hence the statement, “to undergo dissolution”, is rigidly the equivalent of the statement, “to be reduced to a lower level of evolution”» (ivi, p. 45).
21 Ivi, pp. 46-47.
22 In una lettera a Fliess del 6 dicembre 1896 Freud scrive: «Ciò che è essenzialmente nuovo nella mia teoria è la tesi che la memoria è presente non una volta ma più volte, che è collocata in generi diversi di indicazioni. Ho postulato un simile genere di rearrengement qualche tempo fa (Aphasia) riguardo ai percorsi che portano dalla periferia [del corpo alla corteccia]» (S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess cit., p. 236).
23 Nella prospettiva interpretativa che qui si propone un testo utilissimo, assai ben informato e ben argomentato sul possibile rapporto tra Freud e Kant, è il saggio di Paolo Carignani, La «psiche estesa» tra Kant e Freud, da me letto in forma ancora di manoscritto e ora edito in inglese con il titolo Psyche is extended: from Kant to Freud, “International Journal of Psychoanalysis”, vol. 99, 2018, issue 3. E di Carignani cfr. anche Il corpo in psicoanalisi, in P. Carignani, F. Romano (a cura di), Prendere corpo, Milano, Franco Angeli, 2006. Va detto per altro che v’è un unico luogo nella sua opera in cui Freud, citando direttamente Kant sembra confermare, con il riferimento a una «psiche estesa», la genesi e la funzione della mente come rappresentante psichica della corporeità e una possibile nascita dello spazio esterno come proiezione del corpo interno, per una possibile fondazione della forma a priori kantiana dello spazio nell’estensione interna del nostro apparato psico-fisico. Questo luogo è un appunto del 22 agosto 1939, scritto un mese prima della morte, in concomitanza della stesura del Compendio di psicoanalisi: «Lo spazio può essere la proiezione dell’estensione dell’apparato psichico. Nessun’altra derivazione è verosimile. Invece [di una] delle condizioni a priori kantiana nel nostro apparato psichico [Räumlichkeit mag die Projektion der Ausdehnung des psychischen Apparats sein. Keine andere Ableitung wahrscheinlich. Anstatt Kants a priori Bedingungen unseres psychischen Apparats. Psyche ist ausgedehnt, weiß nichts davon]» (S. Freud, Risultati, idee, problemi, in Opere cit., vol. 11, p. 566). Per una consolidata, quanto a mio avviso poco fondata, ipotesi di un Freud del tutto lontano dal kantismo cfr. P. Rieff, Freud: The Mind of the Moralist, Chicago, The University Press, 1959, p. 51. Anche A. Green scrive che «A priori non vi è opera filosofica più lontana dalla psicoanalisi di quella di Kant. […] Inoltre oggigiorno è nel kantismo che gli avversari della psicoanalisi trovano i loro argomenti per difendere un formalismo che ha assunto i colori dell’attuale cognitivismo» (Key Ideas for a Contemporary Psychoanalysis Misrecognition and Recognition of the Unconscious, London, Routledge, 2005, pp. 282-283, cit. in P. Caregnani, La «psiche estesa» tra Kant e Freud cit. Eppure i pochi ma significativi riferimenti a Kant sparsi per i vari scritti freudiani dimostrano un richiamarsi di Freud a tutte e tre le Critiche kantiane. Il riferimento a Kant è presente in L’interpretazione dei sogni (in Opere cit., vol. 3, pp. 71, 466), Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (ivi, vol. 5, pp. 10, 177), Totem e tabù (ivi, vol. 7, pp. 8, 31), Pulsioni e loro destini (ivi, vol. 8, p. 54), Al di là del principio di piacere (ivi, vol. 9, p. 214), Il problema del narcisismo (ivi, vol. 10, p. 13), Introduzione alla psicoanalisi. Nuova serie (ivi, vol. 11, pp. 174, 267).
24 Il testo di J. Stuart Mill tradotto da Freud è il volume 12 di J. Stuart Mill, Gesammelte Werke, Leipzig, Fues-Reisland, 1880. Il volume comprende vari scritti (Über Frauenemanzipation, Plato, Arbeitsfrage, Sozialismus) e viene tradotto da Freud all’età di 24 anni. Valerie Greenberg nel suo testo, Freud and his Aphasia Book (Ithaca-London, Cornell University Press, 1997), parla di una vera e propria anglofilia che avrebbe connotato il percorso formativo del giovane Freud. Questi, prima del suo viaggio a diciannove anni in Inghilterra, così scriveva al suo amico Silberstein: «Io leggo storia inglese, scrivo lettere in inglese, ascolto narrazioni in inglese e sono assetato di considerazioni da un punto di vista inglese» (S. Freud, Jugendbriefe an Eduard Silberstein, 1871-1881, a cura di W. Boelich, Frankfurt a. M., Fischer, 1989, p. 40). E. Jones, nella sua Vita di Freud, cita la lettera di Freud alla sua fidanzata Martha Bernays (16 agosto 1882), in cui descrive il viaggio in Inghilterra come quello che «ha avuto un’influenza decisiva nella mia vita» e dichiara di rileggere le opere «dei miei veri maestri – tutti inglesi o scozzesi» (E. Jones, Vita e opera di Freud cit., pp. 178-179).
25 Già E. Montgomery (1835-1911), autore di una monografia su Kant, dal titolo Die Kant’sche Erkenntnislehre widerlegt vom Standpunkt der Empirie. Ein vorbereitender Beitrag zur Begründung einer psychologische Naturauffassung (München, Ackermann, 1871), pubblicava nel 1899 sulla rivista “Mind” (XIV, 1899, pp. 488-510) un saggio, Mental Activity, nel quale dava testimonianza dello stimolo dato dalla filosofia di Kant alla psicologia sperimentale di tradizione empiristica anglosassone nel ricercare fattori unificanti della coscienza, al di là del suo costituirsi come una mera associazione di sensazioni. Cfr. O. Pallenberg, Kant nel dibattito sulla psicologia in «Mind» (1876-1891), “Studi kantiani”, vol. 19, 2006, pp. 81-99.
26 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., pp. 79-80.
27 Nella stessa lettera già citata a Fliess del 6 dicembre 1986, dunque cinque anni dopo la pubblicazione di Auffassung der Aphasien, Freud scrive: «Come sai, sto lavorando all’ipotesi che il nostro meccanismo psichico si sia formato mediante un processo di stratificazione: il materiale di tracce mnestiche esistenti è di tanto in tanto sottoposto a una risistemazione [Umordnung] in base a nuove relazioni, a una sorta di riscrittura» (S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess cit., p. 236).
28 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 78.
29 Sull’opera e la figura di F.J. Gall, cfr. G.P. Lombardo, M. Duichin (a cura di), Frenologia fisiognomica e psicologia delle differenze individuali in F.J. Gall, Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
30 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 34.
31 Ivi, pp. 131-132.
32 Ivi, p. 186.
33 Ivi, p. 78.
34 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 77. L’inglese è nel testo freudiano.
35 J. Hughlings Jackson, Evolution and Dissolution of the Nervous System cit., p. 72.
36 «A me sembra che la dottrina della concomitanza sia in ogni modo conveniente nello studio delle malattie nervose. Essa è sostenuta, o secondo una dottrina essenzialmente simile, da Hamilton, Mill, Spencer, Müller, Bain, Huxley, Du Bois, Laycock, Tyndall, Herman e David Ferrier. Chi accetta la dottrina della concomitanza non crede che volizioni, idee ed emozioni producano movimento o qualsiasi stato fisico. Non direbbero che una donna isterica non parla perché essa manca di volontà, che un afasico non parla perché ha perso la memoria delle parole, e che un paziente in coma non si muove perché ha perso coscienza. Al contrario essi vorrebbero dare, o cercare di trovare, spiegazioni materialistiche di incapacità fisiche. Io non cerco di mostrare quale è la natura della relazione tra stati mentali e stati nervosi» (ivi, p. 72).
37 L’immagine qui riportata è tratta dal testo freudiano nella traduzione italiana a cura di F. Napolitano da cui si citano (p. 101), dato che vi sono aggiunte, rispetto all’originaria immagine inserita da Freud nel suo testo, le versioni italiane dei rispettivi termini freudiani.
38 Ibidem.
39 H. Charlton Bastian, On Different Kinds of Aphasia, with Special Reference to Their Classification and Ultimate Pathology, “British Medical Journal”, 2, luglio-dicembre 1887, p. 933.
40 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 101.
41 Ivi, p. 102.
42 Ivi, p. 107.
43 Ivi, p. 103
44 J. Stuart Mill, Sistema di logica raziocinativa e induttiva, tr. it. di G. Facchi, Roma, Ubaldini, 1968, p. 57.
45 S. Freud, L’interpretazione delle afasie cit., p. 101.
46 Su ciò mi permetto di rinviare al mio Riflessioni sparse su identità, negazione, alterità, in F. Migliorino (a cura di) Scarti di umanità. Riflessioni su razzismo e antisemitismo, Genova, il melangolo, 2010, pp. 13-36.
47 «Con la [crescente] complessità dell’interno [dell’organismo], il sistema nervoso riceve stimoli dall’elemento somatico stesso – stimoli endogeni – che devono essere anch’essi scaricati. Questi hanno origine nelle cellule del corpo e determinano i bisogni fondamentali: fame, respirazione, sessualità. L’organismo non può sfuggirli come fa invece con gli stimoli esterni» (S. Freud, Progetto di una psicologia, tr. it. in Id., Opere cit., vol. 2, p. 202).
48 B. Spinoza, Etica, tr. it a cura di P. Cristofolini cit., III, Prop. VI, p. 157.
49 Ivi, IV, Prop. XXII, p. 261.
50 D. Bidney, The Psychology and Ethics of Spinoza. A Study in the History and Logic of Ideas, New York, Russell & Russell, p. 91.
51 T. Hobbes, Il Leviatano, tr. it. a cura di R. Giammanco, Torino, Utet, 1965, I, p. 85.
52 Ibidem.
53 B. Spinoza, Etica, tr. it a cura di E. Giancotti cit., III, Prop. IX, sc., p. 180
54 B. Spinoza, Etica, [vedi supra] tr. it. di P. Cristofolini, III, Prop. XI, sc., p. 161.
55 Ivi, tr. it. a cura di E. Giancotti cit., III, Definizione dei moti dell’animo, p. 217.
56 T. Hobbes, Leviatano cit., p. 87. Sull’influenza di Hobbes su Spinoza a tal riguardo ha scritto assai bene E. Scribano, in La conoscenza del bene e del male. Dal Breve Trattato all’Etica, “Consecutio rerum”, 2012, n. 2, www.consecutio.org.
57 B. Spinoza, Etica, tr. it. di P. Cristofolini cit., IV, Prop. XIV, p. 253.
58 Ivi, IV, Prop. VII, p. 245.
59 S. Freud, Progetto di una psicologia cit., pp. 225-226.
60 B. Spinoza, Etica, tr. it. di P. Cristofolini cit., III, Prop. IX, scolio.
61 S. Freud, Progetto di una psicologia cit., pp. 231-232.
62 Ivi, p. 263.
63 Ivi, p. 236.
64 Ivi, p. 21
65 Ivi, p. 206 (Il corsivo è nel testo freudiano).
66 Ivi, p. 25. Il sistema ψ, scrive Freud, è «privo di qualità» (ibidem).
67 I. Kant, Critica della ragion pura, tr it. a cura di G. Colli, Torino, Einaudi, 1965, Dial. trasc, Lib. II, Cap. II, p. 599.
68 Ivi, p. 146.
69 Ivi, p. 271.
70 I. Kant, Critica della ragion pura cit., Anal. Trasc., Libro II, Cap. II, Sez. III, p. 242.
71 S. Freud, Progetto di una psicologia cit., pp. 232-233.
72 Ivi, p. 272 (corsivo nel testo).
73 Ivi, pp. 265-266.
74 Ivi, p. 272.
75 Ivi, p. 264.
76 Ivi, p. 265.
77 Ivi, pp. 222-223.
78 A.B. Ferrari, L’eclissi del corpo cit., pp. 29-30.
79 Ivi, p. 30.

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