Capitolo V. Le leggi logiche dell’imitazione
p. 163-202
Texte intégral
1La statistica ci fornisce, per ogni tipo di propagazione imitativa considerato a parte, una specie di legge empirica, che è l’espressione grafica di cause molto complesse. Si tratta adesso di indicare le leggi generali, veramente degne del nome di scienza, che presiedono a tutte le imitazioni, e, a questo fine, occorre studiare separatamente le diverse categorie di cause, precedentemente confuse.
2Come mai, tra cento innovazioni diverse immaginate simultaneamente – che si tratti di forme verbali, di idee mitologiche, o di processi industriali e di altro tipo – ce ne sono dieci che si diffondono nel pubblico sull’esempio dei loro autori, e novanta che rimangono nell’oblio? Questo è il problema. Per rispondere con ordine e metodo, dividiamo innanzitutto le influenze che hanno favorito la diffusione delle innovazioni riuscite, e ostacolato il successo delle altre, in cause fisiche e in cause sociali. Ma, compiendo questa operazione, scartiamo le cause del primo tipo, quelle, per esempio, che, in un clima meridionale, farebbero preferire i neologismi composti da vocali sonore a quelli composti da vocali sorde, e l’inverso al nord. Vi sono così, nel campo della mitologia, della tecnica industriale o artistica, della politica, molte particolarità che riguardano la conformazione della laringe o dell’orecchio in ciascuna razza, le sue predisposizioni cerebrali, la natura della sua fauna, della sua flora, delle sue meteore abituali. Lasciamo tutto questo da parte. – D’altronde, non è che tutto ciò non abbia una sua reale importanza in sociologia; e, per esempio, può essere interessante studiare l’influenza esercitata sull’intero corso di una civiltà dalla natura di una produzione spontanea del suolo sul quale essa è fiorita per la prima volta. A seconda che questa civiltà sia nata in una vallata fertile o in una steppa più o meno abbondante di pascoli, le condizioni del lavoro sono diverse, e, di conseguenza, anche quelle dell’aggregazione domestica e delle istituzioni politiche. Bisogna essere grati agli scienziati che si dedicano a questo tipo di studi, così utili in sociologia quanto possono esserlo in biologia gli studi relativi alle modificazioni di una specie vivente derivate dall’azione del clima o, in generale, dell’ambiente. Ma sarebbe sbagliato credere che soltanto perché si sono constatati questi adattamenti a fenomeni esterni di un certo tipo vivente o di un certo tipo sociale – poiché occorre innanzitutto che questo tipo esista – li si sia anche spiegati. Questa spiegazione bisogna chiederla alle leggi che governano i rapporti interni tra le cellule viventi e tra i cervelli associati. Ecco perché, occupandomi in questa sede di sociologia pura e astratta, e non concreta e applicata, debbo scartare le considerazioni di questo tipo.
3Ora, le cause sociali possono essere di due tipi: logiche o extralogiche. Questa distinzione è molto importante. Le cause logiche agiscono nei casi in cui l’innovazione viene scelta da una persona in quanto la ritiene più utile o più vera delle altre, cioè più concorde con i fini o con gli scopi già consolidati nella sua mente (sempre per imitazione). In questo caso, ci troviamo di fronte soltanto a invenzioni o a scoperte antiche o recenti, eccezion fatta per ogni prestigio o per ogni discredito legato alla persona dei loro propagatori, o all’epoca e al luogo dal quale esse provengono. Ma accade molto raramente che l’azione logica si eserciti così, in tutta la sua purezza. In generale, le influenze extralogiche alle quali mi riferisco intervengono nella scelta degli esempi da seguire, e spesso accade che vengano preferiti i peggiori dal punto di vista logico in ragione della loro origine o anche della loro età, come vedremo più avanti.
4Se non si presta un’attenzione costante a queste distinzioni necessarie, diventa impossibile comprendere anche i fenomeni sociali più semplici. La linguistica, in particolare, che mi sembra si possa spiegare facilmente grazie all’applicazione di queste idee (se un linguista professionista ci facesse l’onore di adottarle), senza di esse è soltanto una matassa inestricabile. I linguisti sono alla ricerca delle leggi che regolano la formazione e la trasformazione delle lingue. Ma, fino a oggi, essi hanno potuto formulare soltanto regole soggette a eccezioni molto numerose, in ciò che concerne il cambiamento dei suoni (leggi fonetiche), o il cambiamento dei significati, l’acquisizione di neologismi attraverso la combinazione di antichi radicali, o quella di nuove forme grammaticali attraverso la modificazione delle forme più antiche e così via. Perché? Perché, a dire il vero, soltanto l’imitazione, e non l’invenzione, è soggetta a leggi propriamente dette. Ora, per formare o per trasformare un idioma, hanno dovuto accumularsi in tutti i casi una serie di piccole invenzioni successive. Così, bisogna cominciare ad attribuire un posto importante, in linguistica, all’accidentale e all’arbitrario, di origine individuale, grazie al quale, tra altre particolarità, le radici di una lingua aumentano numericamente in una certa misura, sono composte in certi luoghi di tre consonanti e in altri di una sillaba soltanto, perché una certa desinenza e non un’altra è stata assegnata alla designazione di una certa sfumatura del pensiero. Questo ruolo attribuito sia all’invenzione sia alle influenze di ordine fisiologico o climatico costituisce un grande spazio aperto alle leggi linguistiche.
5In effetti, in larga misura, e a partire dai fattori, non vorrei dire geniali, ma irrazionali e capitali allo stesso tempo, di cui sto parlando, esiste una folla di piccole invenzioni linguistiche la cui idea è stata suggerita ai loro primi sconosciuti autori attraverso l’analogia, cioè attraverso l’imitazione di se stessi o degli altri1; ed è proprio per questo motivo che sono suscettibili di essere legiferate. Il primo individuo che ha avuto l’idea, per esprimere l’attitudine al rispetto, di aggiungere al radicale di veneratio la desinenza bilis, già impiegata, per ipotesi, nella combinazione amabilis, o che ha creato germanicus sul modello di italicus, è stato un inventore senza saperlo, ma, in definitiva, è stato imitativo inventando. Tutte le volte che una desinenza, una declinazione o una coniugazione qualsiasi si è diffusa in questo modo e si è generalizzata un po’ alla volta, ha avuto luogo un’imitazione di se stessi e degli altri; e, proprio per questo motivo, la formazione e la trasformazione delle lingue ci sembra soggetta a regole formulabili. Ma queste regole, che ci devono spiegare perché, tra diversi modi di parlare più o meno equivalenti e offerti congiuntamente alla mente di una popolazione, cittadina o nazionale, uno solo si sia affermato nell’uso generale, appartengono a due categorie ben distinte. Vediamo, da una parte, questo concorso incessante di piccole invenzioni linguistiche, che si conclude sempre con l’imitazione di una di esse e il fallimento delle altre, trasformare la lingua nel senso di un adattamento, più o meno rapido e completo, a seconda del genio dei popoli, alla realtà esterna e ai fini sociali del linguaggio. Il dizionario, arricchendosi, corrisponde a un maggior numero di esseri e di modalità di questi esseri; la grammatica, attraverso una coniugazione più flessibile dei verbi o un arrangiamento più chiaro e più logico delle frasi, si piega all’espressione di relazioni più delicate nello spazio o nel tempo. Una lingua diventa sempre più comoda e maneggevole quando le vocali vanno addolcendosi e differenziandosi (in sanscrito, esistono soltanto sonorità squillanti, in a o in o; in greco, in latino, la e, la u, l’ou, la i, si sono aggiunte alla gamma vocale), oppure quando le parole si abbreviano o si contraggono. Così, stimati linguisti, come Regnaud2, hanno elevato al rango di legge, nella famiglia indoeuropea, l’addolcimento vocalico e la contrazione delle parole. Il fatto è che, in zendo, in greco, in latino, in francese, in inglese, in tedesco… la e si mostra «in un’infinità di casi, come il sostituto indebolito della a» mentre «mai o quasi mai ha luogo il contrario». Felice esempio, tra parentesi, dell’irreversibilità linguistica, se la regola enunciata avesse potuto essere ammessa senza eccezioni.
6Ma, d’altra parte, vediamo che, anche negli idiomi più perfezionati, anche nella lingua greca, della quale si è potuto dire «che la sua coniugazione è un modello definitivo di logica applicata»3, molte modificazioni avvenute nel corso del tempo sono ben lontane dal costituire un progresso in utilità e verità. A che cosa è servito alla lingua greca aver perso la j e la v (il digamma), come anche, in molti casi, la sibilante iniziale? E in questo fatto non risiede piuttosto un motivo di inferiorità? E non abbiamo forse visto in Francia, contrariamente alla legge di contrazione delle parole, forme estese succedere a forme contratte, portique a porche, capital a cheptel…? Il fatto è che in questi casi sono state preponderanti delle influenze che non avevano nulla a che fare con il bisogno di logica e di finalità; nell’ultimo esempio indicato, sappiamo che famosi letterati hanno creato di sana pianta, per mezzo dell’imitazione servile del latino, delle parole come portique e capital, e, grazie al prestigio legato alla loro persona, sono riusciti a metterle in circolazione4.
7Ma non voglio dilungarmi ulteriormente sulla linguistica. Mi basta aver indicato, con queste poche osservazioni, la portata delle leggi che dobbiamo formulare. In questo capitolo ci occuperemo soltanto delle leggi logiche.
I
8L’invenzione e l’imitazione costituiscono l’atto sociale elementare, come sappiamo. Ma qual è la sostanza o la forza sociale di cui questo atto è fatto, di cui non è che la forma? In altri termini, che cos’è che viene inventato o imitato? Ciò che viene inventato o imitato, è sempre un’idea o una volontà, un giudizio o un disegno, in cui viene espressa una certa dose di credenza e di desiderio, che costituisce in effetti tutta l’anima delle parole di una lingua, delle preghiere di una religione, delle amministrazioni di uno stato, degli articoli di un codice, dei doveri di una morale, delle attività di un’industria, dei procedimenti di un’arte. La credenza e il desiderio: ecco dunque la sostanza e la forza, ecco anche le due quantità psicologiche5 che l’analisi ritrova in fondo a tutte le qualità sensibili con cui esse si combinano; e quando l’invenzione, e poi l’imitazione, se ne impadroniscono per organizzarle e impiegarle, ci troviamo di fronte alle vere quantità sociali. Le società si organizzano attraverso accordi oppure opposizioni di credenze che si rafforzano o che si indeboliscono a vicenda; le loro istituzioni consistono soprattutto in questo. Le società funzionano attraverso concorsi o concorrenze di desideri e di bisogni. Le credenze, principalmente religiose e morali, ma anche giuridiche, politiche, linguistiche, sono le forze plastiche delle società (quali atti di fede sono contenuti nel più piccolo discorso, e quale forza di persuasione, irresistibile e inconscia, possiede su di noi la nostra lingua materna, veramente materna in questo!) I bisogni, economici o estetici, sono invece le loro forze funzionali.
9Queste credenze e questi bisogni, specificati dall’invenzione e dall’imitazione, e, in un certo senso, creati da esse, ma che virtualmente preesistono alla loro azione, hanno la loro origine profonda al di sotto del mondo sociale, nel mondo vivente. Allo stesso modo, le forze plastiche e le forze funzionali della vita, specificate, utilizzate dalla generazione, hanno la loro origine al di sotto del mondo vivente, nel mondo fisico, e le forze molecolari e le forze motrici di quest’ultimo, dipendenti dall’ondulazione, hanno a loro volta la loro origine, inaccessibile ai nostri fisici, in un mondo ipofisico che alcuni chiamano Noumeno, altri Energia, altri ancora Inconoscibile. Energia è il nome più diffuso di questo mistero. Con questo termine viene indicata una realtà che, come si può vedere, è sempre doppia nelle sue manifestazioni; e questa eterna biforcazione, che si riproduce passando attraverso metamorfosi sorprendenti in ciascuno dei piani sovrapposti della vita universale, non è il più piccolo dei loro tratti comuni che meriti di essere segnalato. Con i diversi nomi di materia e di movimento, di organi e di funzioni, di istituzioni e di progresso, questa grande bipartizione tra lo statico e il dinamico, in cui rientra anche quella tra spazio e tempo, divide in due parti l’intero universo.
10È importante fissare questa distinzione fin dall’inizio e stabilire esattamente la relazione tra i suoi due termini. C’è un’intuizione profonda in fondo alla formula spenceriana dell’evoluzione, secondo la quale ogni evoluzione costituirebbe un guadagno di materia accompagnato da una relativa perdita di movimento, e ogni dissoluzione l’inverso. Ciò può significare, se si modifica un po’ questo pensiero e lo si traduce in un linguaggio meno materialista, che ogni evoluzione vivente o sociale consiste in un aumento di organizzazione compensato o piuttosto ottenuto attraverso una relativa diminuzione di funzionamento. Con l’aumento di peso e di dimensioni, e con il precisarsi e il manifestarsi delle sue forme caratteristiche, un organismo perde un po’ della sua vitalità6, proprio perché l’ha impiegata in questo modo, cosa che Spencer dimentica di dire. Con il diffondersi, l’accrescersi, il perfezionarsi e il complicarsi delle sue istituzioni, della sua lingua, della sua religione, del suo diritto, del suo governo, dei suoi mestieri e della sua arte, una società perde un po’ del suo slancio civilizzatore e progressista, poiché essa l’ha impiegato proprio in questo modo. Altrimenti detto, si arricchisce di credenze più che di desideri, se è vero che la sostanza delle istituzioni sociali risiede nella massa di fede e di certezza, di verità e di sicurezza, di credenze unanimi, in una parola, che esse rappresentano, e che la forza motrice del progresso sociale consiste nella massa di curiosità e di ambizioni, di desideri solidali, di cui rappresenta l’espressione. L’oggetto finale del desiderio è dunque la credenza; la sola ragion d’essere dei movimenti del cuore è la formazione delle alte certezze o delle salde convinzioni dello spirito, e più una società ha fatto progressi, più in essa troviamo, come in uno spirito maturo, solidità e tranquillità, convinzioni forti e passioni attenuate, in cui le prime si sono formate lentamente e sono state cristallizzate dalle seconde7. La pace sociale, la fede unanime in uno stesso ideale oppure in una stessa illusione, unanimità presupposta da un’assimilazione ogni giorno più estesa e profonda: ecco il termine al quale tendono, che lo si voglia o no, tutte le rivoluzioni sociali. – Questo è il progresso, cioè l’avanzamento del mondo sociale nelle vie logiche.
11Ora, come avviene il progresso? – Quando un uomo medita su un certo argomento, gli viene prima un’idea, poi un’altra, finché, di idea in idea, di cancellatura in cancellatura, coglie per il verso giusto la soluzione del problema e, a partire da questo momento, la insegue di bagliore in luce. Non accade lo stesso nello sviluppo storico? Quando una società elabora qualche grande concezione, che la sua curiosità secolare presagisce prima della sua scienza, sviluppandola, la precisa, per esempio la spiegazione meccanicistica del mondo – oppure qualche grande conquista che la sua ambizione ha immaginato prima che abbia potuto essere realizzata dalla sua attività, per esempio la produzione, il trasporto o la navigazione a vapore – che cosa accade? Innanzitutto, il problema posto suscita tutti i tipi di invenzioni, di immaginazioni contraddittorie, che appaiono da una parte o dall’altra, e rapidamente scompaiono, fino all’avvento di qualche formula chiara, di qualche macchina comoda, che fa dimenticare tutto il resto e funge ormai da base fissa alla sovrapposizione dei perfezionamenti, degli sviluppi ulteriori. Il progresso è dunque una specie di meditazione collettiva che non ha luogo in nessun cervello determinato, ma che è resa possibile dalla solidarietà (grazie all’imitazione) dei diversi cervelli degli inventori e degli scienziati che si scambiano le loro scoperte. (Qui interviene la fissazione delle scoperte attraverso la scrittura, che permette la loro trasmissione a distanza e a grandi intervalli di tempo, ed è l’equivalente di quella fissazione delle immagini che ha luogo all’interno del cervello dell’individuo, cioè l’impronta cellulare del ricordo).
12Ne consegue che il progresso sociale, come il progresso individuale, si compie attraverso due processi, la sostituzione e l’accumulazione. Esistono alcune scoperte o alcune invenzioni che sono sostituibili, e altre che sono cumulabili. Da questo fatto derivano dei combattimenti logici e delle unioni logiche. Si tratta della grande suddivisione che abbiamo stabilito in precedenza e nella quale non sarebbe difficile far rientrare tutti gli avvenimenti storici.
13Del resto, il disaccordo tra un nuovo bisogno nascente e i bisogni più antichi, tra una nuova idea scientifica e alcuni dogmi religiosi, nelle diverse società, non viene sempre avvertito nello stesso momento, oppure non impiega sempre lo stesso tempo per farsi sentire. E quando viene avvertito, il desiderio di mettervi fine non possiede sempre la stessa forza. La sua intensità, la sua natura, variano a seconda dei tempi e dei luoghi. Esiste, in effetti, una Ragione per le società come per gli individui; e questa Ragione, per entrambi, è soltanto un bisogno come un altro, un bisogno speciale, più o meno sviluppato a seconda del modo in cui è stato soddisfatto in passato, come accade per tutti gli altri bisogni, e che è nato anche grazie alle invenzioni o alle scoperte che hanno permesso di soddisfarlo, cioè dai sistemi o dai programmi, dai catechismi o dalle costituzioni che, avendo cominciato a rendere più coerenti le idee e le volontà, hanno creato e attivato il desiderio della loro coesione. Si tratta di una vera e propria forza situata nel cervello degli individui, che aumenta o diminuisce, devia a destra o a sinistra, si rivolge verso questo o quell’altro oggetto, a seconda delle epoche o dei paesi; a volte si riduce a una brezza insignificante, a volte diventa un uragano, oggi si esercita sui governi politici, ieri sulle religioni, l’altro ieri sulle lingue, domani sull’organizzazione industriale, un altro giorno ancora sulle scienze, ma non si ferma mai nella sua attività incessante, rigeneratrice o rivoluzionaria.
14Questo bisogno, come abbiamo detto, è stato suscitato e ampliato da una serie di iniziative e di iniziazioni; ma tanto vale dire da una serie di imitazioni, visto che un’innovazione non imitata è come se non esistesse dal punto di vista sociale. Di conseguenza, tutti i torrenti o i fiumi di fede e di desiderio che nella vita sociale si scontrano oppure si incontrano, quantità di cui la logica sociale, una specie di algebra, regola le sottrazioni e le addizioni – proprio tutti, compreso il desiderio di questa somma totale e la fiducia nella sua possibilità – derivano dall’imitazione. Poiché in storia nulla si produce da sé, nemmeno la sua unità sempre incompleta, che è il frutto secolare di sforzi costanti più o meno riusciti. Un dramma, è vero, una pièce teatrale, frammento di storia in cui si può ammirare il tutto, rappresenta un accordo logico difficile e graduale che sembra realizzarsi da sé, senza essere stato voluto da nessuno; ma sappiamo quanto questa apparenza sia fallace, e questo accordo si compie in maniera così rapida e infallibile soltanto perché risponde a un bisogno imperioso di unità provato dal drammaturgo, e anche dal suo pubblico, al quale egli lo ha suggerito.
15Anche il bisogno di invenzione ha la stessa origine. A dire il vero, esso completa il bisogno di unificazione logica e ne partecipa, se è vero che la logica, come potrei dimostrare, è allo stesso tempo un problema di massimo e un problema di equilibrio. Un popolo diventa tanto più inventivo e avido di nuove scoperte, in una certa epoca, quanto più in quest’epoca ha inventato e scoperto; ed è ancora grazie all’imitazione che questa alta avidità conquista le intelligenze degne di essa. Ora, le scoperte rappresentano un guadagno di certezza, e le invenzioni un guadagno di fiducia e di sicurezza. Il bisogno di scoprire e di inventare costituisce quindi la duplice forma assunta dalla tendenza a un massimo di fede pubblica. Questa tendenza creatrice, caratteristica degli spiriti sintetici e assimilatori, alterna spesso, talvolta contraria, ma in tutti i casi si accorda sempre con la tendenza critica all’equilibrio delle credenze attraverso l’eliminazione delle invenzioni o delle scoperte che si trovano in contraddizione con la maggior parte delle altre. Volta per volta, il desiderio di crescita o il desiderio di sottrazione di fede vengono soddisfatti in modo sempre più completo; ma, in generale, i loro slanci coincidono o si susseguono da vicino. Infatti, proprio perché l’imitazione è la loro origine comune, entrambi, tanto il bisogno di una fede piena quanto quello di una fede stabile, possiedono un grado di intensità proporzionato, cœteris paribus, al grado di vivacità della vita sociale, cioè alla molteplicità dei contatti tra le persone. Affinché una buona combinazione di idee illumini le menti di una nazione, prima di tutto bisogna che essa si accenda all’interno di un cervello singolo; ed essa avrà tante più possibilità di sorgere in questo modo, quanto più gli scambi intellettuali tra le menti saranno frequenti. Perché una contraddizione tra due istituzioni, tra due princìpi, si diffonda all’interno di una società, bisogna prima di tutto che venga rilevata da una mente più sagace delle altre, da un pensatore sistematico che, nei suoi sforzi coscienti per unificare il suo fascio di idee, sia stato bloccato da questa difficoltà e l’abbia segnalata; di qui l’importanza sociale dei filosofi; e più avranno luogo degli stimoli reciproci tra le diverse menti, e di conseguenza, dei movimenti di idee all’interno di una nazione, più questa difficoltà sarà facile da individuare.
16Per esempio, visto che nel corso di questo secolo le relazioni, i contatti tra gli uomini, si sono moltiplicati al di là di ogni previsione, grazie alle trasformazioni dei trasporti, e visto che l’azione dell’imitazione è diventata molto forte, ampia e rapida, non ci si dovrebbe stupire nel vedere la passione per le riforme sociali, per le riorganizzazioni sociali razionali e sistematiche, assumere le proporzioni che sappiamo, così come non ci si dovrebbe stupire nel vedere la passione per le conquiste sociali sulla natura, soprattutto industriali, svilupparsi senza alcun limite. Dopo il secolo delle scoperte, perciò (non è forse questo il nome che merita il nostro?), possiamo predire, a colpo sicuro, un secolo di armonizzazione delle scoperte; la civiltà esige, nello stesso momento o successivamente, questo afflusso e questo sforzo.
17Nelle loro fasi poco inventive, al contrario, le società sono anche poco critiche, e viceversa. Esse accettano per moda cose provenienti da tutte le parti, oppure ricevono da passati diversi, dai quali ereditano per tradizione le credenze più contraddittorie8, senza che nessuno si decida a rilevare queste contraddizioni; ma, allo stesso tempo, custodiscono al loro interno, in conseguenza di questi apporti multipli, molte idee e conoscenze sparse che, viste sotto una certa angolazione, potrebbero manifestare la loro conferma reciproca e feconda, della quale però nessuno si accorge. Ugualmente, esse copiano con curiosità le diverse nazioni vicine oppure custodiscono con devozione, come un’eredità delle loro diverse parentele, le arti, le industrie più varie, che suscitano in esse bisogni mal conciliabili, correnti di attività in opposizione tra loro; e queste antinomie pratiche, come le precedenti contraddizioni teoriche, non vengono avvertite né rilevate da nessuno, sebbene tutti soffrano del disagio alimentato da esse. E, allo stesso tempo, questi popoli primitivi non vedono affatto che tra i loro procedimenti artistici, i loro utensili meccanici, ce ne sono alcuni che potrebbero darsi un grande aiuto reciproco, e concorrere efficacemente allo stesso scopo, aiutandosi a vicenda, come quando alcune osservazioni aiutano a sviluppare certe ipotesi dandone la conferma.
18Abbiamo conosciuto a lungo separatamente la pietra per macinare il grano e la ruota a pale senza sospettare che, attraverso un certo artificio (cioè una terza invenzione, l’idea del mulino, aggiunta a queste due), la seconda poteva aiutare straordinariamente la prima ad adempiere alla sua funzione, e la prima offrire alla seconda un impiego insperato. Già a Babilonia si incideva sui mattoni il nome del fabbricante, con l’impressione di caratteri mobili o di timbri, e si scrivevano libri; ma a nessuno è mai venuta l’idea di unire questi due procedimenti, e di comporre libri per mezzo di timbri mobili, il che sarebbe stato così semplice e avrebbe anticipato di qualche migliaio di anni l’invenzione della stampa.
19Anche la carrozza e il pistone a vapore hanno coesistito a lungo senza che nessuno abbia mai pensato (sempre attraverso altre invenzioni) di vedere nel pistone a vapore il mezzo per far muovere la carrozza. All’opposto, verso la fine del medioevo in dissoluzione, per esempio, quanti gusti di lusso licenzioso e pagano, importati dal mondo arabo o riesumati dall’antichità, si insinuavano, si intrufolavano attraverso le feritoie dei castelli e le vetrate dei monasteri, dando luogo a mescolanze ardite, niente affatto sconvolgenti per gli uomini del tempo, con le pratiche di pietà cristiana e i coevi costumi di rudezza feudale! Ancora oggi, quanti scopi opposti, contraddittori, non si propone quotidianamente la nostra attività industriale o nazionale! Eppure, più lo scambio e l’attrito tra le idee, la comunicazione e la trasfusione dei bisogni, sono rapide, più l’eliminazione delle idee e dei bisogni più deboli da parte delle idee e dei bisogni più forti contraddetti da essi, avviene velocemente, e, contemporaneamente, per lo stesso motivo, le idee e gli scopi che si confermano o che si aiutano a vicenda riescono invece a incontrarsi all’interno di un cervello intelligente. Percorrendo queste due strade la vita sociale deve necessariamente raggiungere un grado di unità e di forza logica prima sconosciuto9.
20Abbiamo mostrato precedentemente in che modo nasca e si sviluppi il bisogno della logica sociale, grazie al quale essa si compie. Dobbiamo adesso mostrare in che modo proceda per soddisfarsi. Sappiamo già che esso si suddivide in due tendenze, una creatrice, l’altra critica, una ricca di combinazioni tra invenzioni o tra antiche scoperte accumulabili, l’altra ricca di lotte tra invenzioni o tra scoperte sostituibili. Studieremo separatamente ciascuna di esse, partendo dalla seconda.
II. Il duello logico10
21Una scoperta o un’invenzione appare. Vi sono due fatti da notare: i suoi incrementi di fede, attraverso una graduale propagazione; e le diminuzioni di fede che essa fa subire a una scoperta o a un’invenzione che ha lo stesso oggetto o che risponde allo stesso bisogno, quando arriva a incontrarla. Questo incontro dà luogo al duello logico. Per esempio, in tutta l’Asia anteriore la scrittura cuneiforme si è diffusa per molto tempo da sola, come è accaduto alla scrittura fenicia, in tutto il bacino del Mediterraneo. Ma, un giorno, questi due alfabeti si sono contesi il terreno della prima, che, lentamente, ha indietreggiato, ed è scomparsa soltanto verso il primo secolo della nostra era.
22La storia delle società, come l’evoluzione psicologica, studiata a partire dal piccolo, si riduce a una successione o a una compresenza di duelli logici (quando non si tratta di unioni logiche). Ciò che è accaduto per la scrittura aveva già avuto luogo per il linguaggio. Il progresso linguistico si compie sempre, prima per imitazione, poi attraverso la lotta tra due lingue o tra due dialetti che si contendono uno stesso paese, e di cui uno respinge l’altro, o tra due locuzioni e due costruzioni di frase che rispondono alla stessa idea. Questa lotta è un conflitto tra tesi opposte, implicate in ciascuna parola o in ciascuna costruzione che tende a sostituirsi a un’altra parola o a un’altra forma grammaticale. Se, nel momento in cui penso al cavallo, due termini, equus e caballus, attinti da due dialetti diversi del latino, si presentano contemporaneamente alla mia mente, è come se questo giudizio: “è meglio dire equus che caballus per designare questo animale” fosse contraddetto nella mia mente da quest’altro giudizio: “è meglio dire caballus che equus”. Se, per esprimere il plurale, devo scegliere tra due terminazioni, i e s, per esempio, questa scelta è legata ugualmente a giudizi in fondo contraddittori. Quando si sono formate le lingue romanze, contraddizioni di questo tipo esistevano a migliaia nei cervelli gallo-romani, spagnoli, italiani; e il bisogno di risolverle ha dato i natali agli idiomi moderni. Quella che i filologi chiamano semplificazione graduale delle grammatiche non è altro che il risultato di un lavoro di eliminazione generato dal vago sentimento di queste contraddizioni implicite. Ecco perché, per esempio, l’italiano dice sempre i e lo spagnolo sempre s, mentre il latino diceva a volte i e a volte s.
23Ho paragonato la lotta logica a un duello. Accade che, in effetti, in ciascuno di questi combattimenti preso a parte, in ciascuno di questi fatti elementari della vita sociale editi in innumerevoli esemplari, i giudizi o i disegni contrapposti siano sempre in numero di due. Avete mai visto, nell’antichità, nel medioevo o in epoca moderna, una battaglia a tre o a quattro? Mai. Possono esserci sette, otto, dieci o dodici eserciti di nazionalità diverse, ma vi saranno sempre e soltanto due campi contrapposti, così come, nel consiglio di guerra che ha preceduto la battaglia, ci sono state soltanto due opinioni simultanee, contrapposte e in lotta tra loro, a proposito di ogni piano, cioè quella che lo raccomandava e l’insieme di quelle che concordavano nel biasimarlo. È evidente che la controversia, la questione da risolvere, su un campo di battaglia, si riassume sempre in un sì opposto a un no. Così è, in fondo, ogni casus belli. Senza dubbio, tra i due avversari, quello che nega l’altro (guerre religiose principalmente) o che ostacola il suo disegno (guerre politiche), ha anch’egli la sua tesi o il suo disegno; ma è soltanto in quanto negazione o ostacolo, più o meno implicito o esplicito, diretto o indiretto, che il suo pensiero o la sua volontà rende il conflitto inevitabile. Ecco perché, per esempio, qualunque sia in un paese il numero dei partiti politici e delle fazioni di partito, c’è sempre, a proposito di ogni questione, soltanto una dualità, quella del governo e quella dell’opposizione, fusione di partiti eterogenei riuniti sulla base della loro posizione negativa.
24Ebbene, questa osservazione dev’essere estesa a tutto. In tutti i casi, la continuità apparente della storia è suddivisibile in avvenimenti grandi o piccoli, diversi e separabili, che rappresentano delle questioni seguite da soluzioni. Ora, una questione significa, sia per le società che per gli individui, un’indecisione tra un’affermazione e una negazione, o tra un fine e un ostacolo; e una soluzione, come vedremo più avanti, non è altro che la soppressione di uno dei due avversari, oppure della loro opposizione. Per il momento, parliamo soltanto delle questioni. Si tratta di vere e proprie discussioni logiche. Uno dice di sì, l’altro dice di no. Uno vuole sì, l’altro vuole no. In campo linguistico o religioso, giuridico o politico, non importa, l’opposizione tra la posizione sì e la posizione no è facile da individuare.
25Nel duello linguistico elementare di cui abbiamo parlato in precedenza, il termine o la locuzione ricevuti affermano, e il termine o la locuzione nuovi negano. Nel duello religioso, il dogma ufficiale afferma e il dogma eretico nega, come più tardi, quando la scienza tende a sostituire la religione, la teoria dominante rappresenta l’affermazione negata dalla teoria nuova. Le lotte giuridiche sono di due tipi: una in seno a ogni parlamento o a ogni gabinetto che delibera su una legge o un decreto, l’altra in seno a ogni tribunale in cui viene dibattuta una causa: ora, per il legislatore, si tratta sempre di scegliere tra l’adozione di un progetto di legge, cioè la sua affermazione, e il suo rigetto, cioè la sua negazione. Quanto al giudice, sappiamo bene che ogni processo che gli viene sottoposto, particolarità non osservata eppure significativa, ha luogo tra un richiedente che afferma e un difensore che nega. Se il difensore fa a sua volta una domanda detta riconvenzionale, si tratta di un processo accessorio innestato sul principale. Se intervengono dei terzi, ciascuno di essi riveste, a seconda del ruolo, la qualità di richiedente o di difensore, e moltiplica, con la sua presenza, il numero dei piccoli processi distinti racchiusi nel grande processo complesso. Nelle lotte politiche bisogna distinguere se le guerre sono esterne o interne. Queste ultime, dette guerre civili quando hanno luogo a mano armata, al punto più alto della loro intensità costituiscono, in tempo ordinario, l’equivalente del conflitto parlamentare o elettorale tra i partiti. In una guerra esterna non c’è sempre un esercito che attacca e un altro che si difende? Uno che vuol condurre un’operazione, e l’altro che non lo vuole? E, prima di tutto, la causa della guerra, non è sempre un pretesto rivendicato, oppure, se si tratta di combattimenti dottrinali, un dogma ostentato e imposto da uno dei belligeranti, pretesto o dogma respinti dall’altro? Nelle guerre elettorali o parlamentari vi sono tanti combattimenti distinti quante sono le misure proposte o i princìpi proclamati dagli uni e biasimati o contraddetti dagli altri. Questo processo tra un richiedente ufficiale e uno o più difensori avversi, si rinnova sotto mille pretesti fin dalla formazione di un governo o di un ministero, e si conclude sia con l’annientamento dell’opposizione (per esempio, nel 1594, con la disfatta della Lega) che con la caduta del governo o del ministero in questione.
26Quanto alle concorrenze industriali, esse consistono, se vi si guarda più da vicino, in duelli multipli, successivi o simultanei, tra un’invenzione già diffusa, insediata da più o meno tempo, e una o più invenzioni nuove che cercano di diffondersi soddisfacendo meglio lo stesso bisogno. Accade sempre, in una società che sta compiendo il suo progresso industriale, che vi siano un certo numero di antichi prodotti che si difendono con alterna fortuna contro prodotti nuovi. La produzione e il consumo dei primi, per esempio delle candele di sego, implica questa affermazione, questa intima convinzione, contraddetta dai produttori o dai consumatori dei secondi, ossia: “questo sistema di illuminazione è il migliore o il più economico”. Sotto questa disputa di botteghe, scopriamo con sorpresa un conflitto tra proposizioni. La querelle, oggi conclusa, tra lo zucchero di canna e lo zucchero di barbabietola, tra la diligenza e la locomotiva, tra la navigazione a vela e la navigazione a vapore, costituiva una vera e propria discussione sociale, cioè sottendeva un’argomentazione. Poiché si trattava non soltanto di due proposizioni, ma di due sillogismi che si affrontavano sulla base di un fatto generale misconosciuto dai logici; uno diceva, per esempio: «il cavallo è l’animale domestico più veloce; ora, il trasporto non è possibile che per mezzo di animali; dunque la diligenza è il miglior sistema di trasporto»; e l’altro che rispondeva: «il cavallo è certamente l’animale più veloce, ma non è vero che le forze animali siano le sole utilizzabili per il trasporto dei viaggiatori e delle merci; dunque, la conclusione precedente è falsa». Questa osservazione dev’essere generalizzata, e tali scontri sillogistici potrebbero assumere facilmente la forma dei duelli logici indicati poco fa.
27Aggiungo che, per quanto riguarda l’industria, la lotta non ha luogo soltanto tra due invenzioni che rispondono a uno stesso bisogno e tra le fabbriche, le corporazioni o le classi che le hanno monopolizzate, ma anche tra due bisogni diversi; così accade che uno di essi, desiderio generale e dominante, generato da un insieme di invenzioni precedenti (per esempio, l’amor di patria negli antichi Romani), sia ritenuto più importante, e l’altro, suscitato da alcune invenzioni recenti o importate da poco (per esempio, il gusto per gli oggetti artistici o per la mollezza asiatica), contraddica implicitamente la superiorità del primo, ostacolandolo. Questo tipo di lotta, è vero, sembra riguardare la morale piuttosto che l’industria, ma la morale, in un certo senso, non è altro che l’industria considerata secondo il suo aspetto più alto e autenticamente dirigente [gouvernemental]. Un governo non è altro che un’industria particolare, adatta, o reputata tale, a soddisfare il bisogno, il disegno più importante che la natura delle produzioni e dei consumi da molto tempo predominanti, o delle convinzioni da molto tempo regnanti, ha instillato senza eguali all’interno del cuore di un popolo, e a cui la morale vuole che vengano subordinati tutti gli altri bisogni e disegni. Un certo paese reclama prima di tutto la gloria, un altro le terre, un terzo il denaro, a seconda che in passato si sia dedicato maggiormente alle armi, all’aratro o alla fabbrica. In ogni istante ci troviamo, individui o popoli, senza che ce ne rendiamo conto, sotto l’impero di un desiderio dominante, oppure di una risoluzione precedente che persiste in noi, e che, generata da una vittoria passata, deve sostenere sempre nuovi combattimenti; e ci troviamo anche sotto l’impero di un’idea fissa, di un’opinione, che, inizialmente accettata con esitazione, viene continuamente attaccata nella sua cittadella. Ecco ciò che chiamiamo stato mentale negli individui, stato sociale nelle nazioni. Ogni stato mentale o sociale presuppone dunque, per tutto il tempo in cui si mantiene, un ideale. Alla formazione di questo ideale, difeso e preservato dalla morale, ha partecipato tutto il passato militare e industriale di una società, e anche tutto il suo passato artistico. Perché perfino l’arte possiede i suoi combattimenti particolari, fatti di tesi e di antitesi. All’interno di ciascuno dei suoi settori, in ogni momento, regna una scuola, che afferma una categoria di bello negata da qualche altra scuola.
28Ma dobbiamo fermarci un istante per insistere su quanto abbiamo detto. Noi consideriamo i fatti sociali principalmente dal punto di vista logico, cioè dal punto di vista delle credenze in essi implicite che si confermano o che si negano tra loro, piuttosto che dal punto di vista dei desideri ausiliari o contrari, impliciti ugualmente. La difficoltà sta nel comprendere in che modo delle invenzioni, e anche i loro composti, le istituzioni, possano affermarsi o negarsi. Chiariamo questo punto una volta per tutte. Un’invenzione non fa altro che soddisfare o suscitare un desiderio; un desiderio si esprime attraverso un disegno; e un disegno, essendo uno pseudo-giudizio in base alla sua forma affermativa o negativa (io voglio, io non voglio), contiene una speranza o una paura, una speranza il più delle volte, cioè sempre un vero giudizio [jugement véritable]. Sperare o temere, equivale ad affermare o a negare, con un grado di credenza più o meno alto, che la cosa desiderata accadrà. Se, per ipotesi, desidero diventare deputato – desiderio reso possibile dall’invenzione del sistema parlamentare e del suffragio universale – è perché spero di diventarlo utilizzando i metodi usuali. E se i miei avversari mi sbarrano la strada (perché credono che un altro li potrà aiutare maggiormente a ottenere dei posti che desiderano, desiderio reso possibile dall’invenzione antica o recente di queste funzioni), è perché nutrono una speranza nettamente contraddittoria rispetto alla mia. Affermo che sarò probabilmente eletto, grazie alle mie manovre; essi lo negano. Se smettessero di negarlo in modo assoluto, se perdessero ogni speranza, non mi combatterebbero più, e il duello teleologico si concluderebbe, in questo caso come in tutti gli altri, con il duello logico, il che ne dimostra l’importanza capitale.
29Ondate di speranze o di paure che si scontrano perpetuamente, sospinte dall’impulso intermittente di idee nuove che suscitano sempre nuovi bisogni: la vita sociale è forse qualcosa di diverso? A seconda che si presti attenzione al conflitto determinato dal concorso dei bisogni, o al conflitto determinato dal concorso delle speranze, si fa della teleologia oppure della logica sociale. – Quando due invenzioni rispondono a uno stesso desiderio, esse si scontrano, come ho già spiegato in precedenza, perché ciascuna di esse implica da parte del produttore e del consumatore, la speranza o la convinzione che sia la più adatta al suo fine, e che, di conseguenza, l’altra non sia la migliore. – Ma due invenzioni possono contraddirsi anche quando rispondono a due bisogni diversi, sia perché questi bisogni rappresentano due espressioni diverse di uno stesso bisogno superiore, che ciascuno di essi crede di esprimere meglio dell’altro; sia perché entrambi esigono, per essere soddisfatti, che l’altro non lo sia, e portano con sé la speranza che non lo sarà.
30Esempio del primo caso: l’invenzione della pittura a olio, nel xv secolo, negava l’antica invenzione della pittura a cera, nel senso che la passione crescente per questo nuovo modo di dipingere contestava al gusto precedente il diritto di dirsi la forma più alta dell’amore per i quadri. Esempio del secondo: l’invenzione della polvere da sparo, nel xiv secolo, stimolando nei sovrani una sete sempre crescente di conquista e di centralizzazione, che non poteva essere appagata senza l’asservimento dei signori feudali, si trovava in contraddizione con l’invenzione delle roccaforti e delle armature che avevano stimolato in quegli stessi signori il bisogno di indipendenza feudale; e se questi resistevano al sovrano, era perché continuavano ad avere fiducia nelle loro feritoie e nelle loro corazze, come il sovrano l’aveva nei suoi cannoni.
31In storia, due invenzioni si contraddicono soprattutto perché rispondono a uno stesso bisogno. Certamente l’invenzione cristiana del diaconato e dell’episcopato contraddiceva l’invenzione pagana della pretura, del consolato e del titolo di patrizio, poiché, ottenendo questi onori, il pagano credeva di soddisfare il suo desiderio di vera grandezza e negava che questo desiderio avesse potuto esistere per gli altri, mentre la convinzione del cristiano era diametralmente opposta. Uno stato sociale che avesse consentito simultaneamente queste istituzioni contraddittorie avrebbe quindi custodito al suo interno un vizio nascosto; e, di fatto, contraddizioni multiple di questo tipo hanno contribuito, dopo l’avvento del cristianesimo, alla dissoluzione dell’Impero romano e al riassorbimento della civiltà romana, la quale, a sua volta, nel Rinascimento ha costretto la civiltà cristiana a retrocedere. In un certo senso, anche l’invenzione della regola monastica dei primi ordini religiosi negava l’antica invenzione della falange romana, eppure ciascuna di queste invenzioni, ed essa soltanto, agli occhi di coloro che la adottavano rispondeva al bisogno di vera sicurezza.
32Lo stile ogivale, parimenti, negava l’ordine corinzio o dorico; il verso in rima di dieci sillabe negava l’esametro o il pentametro: per un Romano, in effetti, l’esametro e l’ordine corinzio rispondevano al desiderio di bellezza letteraria e architettonica; per un Francese del xii secolo questo non era vero, e soltanto il verso di dieci sillabe caro ai trovatori, lo stile di Notre-Dame de Paris, lo soddisfacevano. Ciò che quelle concezioni avevano di inconciliabile, erano dunque i giudizi da cui erano accompagnate. Questo fatto è così vero che quando un gusto più largo ha consentito di tributare grandezza sia al patriarcato che all’episcopato, bellezza sia all’esametro che al verso eroico, questi elementi, in precedenza antagonisti, in epoca moderna hanno potuto convivere; così come, molto tempo prima, le regole monastiche e le regole della tattica militare degli antichi hanno convissuto in perfetta armonia quando si è vista nelle seconde la sicurezza della vita attuale, e nelle prime la sicurezza della vita futura.
33È dunque assolutamente certo che tutti i progressi sociali per eliminazione consistono innanzitutto in duelli in cui si affrontano un’affermazione e una negazione. Ma è bene aggiungere che la negazione in questi casi non sta in piedi da sola, ma deve appoggiarsi a una nuova tesi, anch’essa negata dalla tesi che combatte. L’eliminazione dev’essere quindi, in tempo di progresso, sempre una sostituzione. Questa necessità rende conto della debolezza di alcune opposizioni politiche prive di un proprio programma, la cui critica impotente nega tutto senza nulla affermare. Per la stessa ragione, nessun grande eresiarca o riformatore religioso, nel combattere efficacemente un dogma, si è limitato soltanto al ruolo negativo; e l’acuta dialettica di un Luciano ha fatto vacillare la statua di Giove molto meno di quanto abbia fatto il più piccolo dogma cristiano balbettato da alcuni schiavi. È stato anche giustamente osservato che una grande filosofia costituita resiste ai colpi dei suoi avversari, fino al giorno in cui il nemico è un vero rivale, cioè un altro grande sistema originale che vuole affermarsi.
34Per quanto ridicola possa apparire una scuola d’arte, essa resta in vigore fintanto che non viene sostituita. Soltanto lo stile ogivale ha soppiantato il romanico; ci è voluta l’arte del Rinascimento per soppiantare lo stile gotico; e, malgrado le critiche, la tragedia classica vivrebbe ancor oggi se il dramma romantico, per quanto costituisca una forma molto ibrida, non avesse fatto la sua comparsa. Un prodotto industriale non scompare dal consumo se non perché un altro prodotto industriale, rispondente allo stesso bisogno, ha preso il suo posto, oppure perché questo bisogno è stato soppresso da un cambiamento nella moda o nella consuetudine, cambiamento di cui soltanto la propagazione del nuovo tipo di gusto, e non solo di un nuovo disgusto – di nuovi princìpi, e non solo di nuove obbiezioni – fornisce la spiegazione11. Ugualmente, un principio o una procedura giuridica possono anche essere scomodi o antiquati; per scomparire essi attendono che un nuovo principio abbia trovato la sua formula, che una nuova procedura abbia preso forma. Le antiche azioni della legge sarebbero perdurate indefinitamente a Roma senza l’ingegnosa invenzione del sistema formulario. Il diritto quiritario ha perso terreno soltanto quando si è trovato di fronte alle finzioni adeguate e alle ispirazioni liberali del diritto pretorio. Ai giorni nostri, il codice penale francese, come molti altri codici criminali stranieri, è palesemente fuori moda e viene criticato dall’opinione pubblica, ma si mantiene e si manterrà fintanto che i criminologi non si saranno accordati su una nuova teoria della responsabilità penale, che finirà per propagarsi a sua volta.
35Infine, in un popolo che conservasse intatto sempre lo stesso numero di idee che possono essere espresse verbalmente (poiché, se ne perde alcune senza acquisirne altre, la sua civiltà declina invece di progredire), le parole o le forme grammaticali della lingua non potrebbero essere eliminate se non attraverso la propagazione di termini o di costruzioni equivalenti; quando una parola muore, è perché è nata un’altra parola che la sostituisce; e, di conseguenza, o parimenti, quando una lingua muore, è perché è nata un’altra lingua all’interno o all’esterno di essa. Il latino, malgrado le invasioni barbariche, verrebbe ancora parlato se alcune invenzioni linguistiche capitali, per esempio l’idea di costruire gli articoli con i pronomi o di contraddistinguere il tempo futuro dei verbi mediante l’infinito seguito dal verbo avere (aimer-ai), non fossero riuscite a raggrupparsi insieme da qualche parte e a costituire il punctum saliens delle lingue romanze. Esistevano in questo caso delle tesi nuove, senza le quali non avrebbe mai trionfato l’antitesi che consisteva nel non volere i casi della declinazione e le flessioni della coniugazione latina.
36Così, ogni duello logico è in realtà doppio, e consiste in due coppie di affermazioni e di negazioni che si oppongono simmetricamente. Soltanto che, in ogni istante della vita sociale, una delle due tesi contrapposte, benché neghi l’altra, si presenta soprattutto come un’affermazione di se stessa, e l’altra, quantunque si affermi anch’essa, non viene messa in evidenza se non per il fatto che nega la prima. Per il politico e per lo storico, è essenziale distinguere se è per il suo aspetto negativo oppure per quello affermativo che ciascuna di esse viene messa in evidenza, e segnalare il momento in cui i ruoli si rovesciano. Perché questo momento arriva quasi sempre. È quell’epoca in cui una filosofia, una sètta nascente, religiosa o politica, debbono tutta la loro forza all’appoggio che trovano in esse gli avversari della teoria consolidata, del dogma, oppure i denigratori del governo; e, più tardi, quando questa filosofia o questa sètta sono cresciute, un giorno ci si accorge che tutta la forza della chiesa nazionale, della filosofia ufficiale o del governo tradizionale, che continuano a resistere, sta nel servire da rifugio alle obbiezioni, ai dubbi, agli allarmi sollevati dalle idee o dalle pretese degli innovatori, diventate seducenti per conto proprio. Nell’industria e nelle belle arti, è innanzitutto per il piacere di cambiare, di non fare come si è sempre fatto, che una parte del pubblico, favorevole alle mode, adotta un nuovo prodotto a scapito di un prodotto più vecchio; in seguito, quando questa novità si è acclimatata ed è stata apprezzata per se stessa, il prodotto più vecchio trova rifugio nelle abitudini coltivate da un’altra parte del pubblico, favorevole alle consuetudini, che intende dimostrare in questo modo che non fa come tutti gli altri. Nella sua lotta contro un vocabolo più antico, una nuova espressione agisce inizialmente sui neologisti, che non vogliono più parlare come si è sempre parlato, grazie al suo fascino principalmente negativo; e quando diventa usuale a sua volta, la forza del vocabolo più antico, all’interno del gruppo degli arcaisti, che non vogliono parlare come tutti gli altri, risiede anch’essa soltanto nel suo aspetto negativo. Le stesse peripezie hanno luogo nel duello tra un nuovo principio di diritto e un principio tradizionale.
37È essenziale adesso distinguere il caso in cui il duello logico tra le tesi e le antitesi è individuale, e quello in cui diventa sociale. La distinzione è più netta che mai. Il duello sociale comincia soltanto quando il duello individuale finisce. Ogni atto imitativo è preceduto nell’individuo da un’esitazione; questo perché una scoperta o un’invenzione che cerca di diffondersi trova sempre qualche ostacolo da superare in un’idea o in una pratica già consolidata in ogni persona del pubblico; e all’interno del cuore e della mente di questa persona, ha inizio un conflitto, che può essere tra due candidati, cioè tra due politici che richiedono il suo suffragio elettorale, oppure, se si tratta di un uomo di stato, tra due misure da prendere, che fanno sorgere la sua perplessità; tra due teorie che fanno vacillare la sua fede scientifica; tra due culti, oppure tra un culto e l’ateismo, che si contendono la sua fede religiosa; tra due merci, due oggetti artistici, che tengono in sospeso il suo giudizio e la sua valutazione; tra due progetti di legge12, tra due princìpi giuridici contrari che nella sua mente si bilanciano, se si tratta di un legislatore che delibera, oppure tra due soluzioni di una stessa questione di diritto che gli vengono in mente, se si tratta di un patrocinatore che esita a patrocinare; o anche tra due espressioni che si offrono simultaneamente alla sua lingua indecisa. Ora, fintanto che nell’individuo perdura questo stato di esitazione, egli ancora non imita, ed è soltanto quando si decide a imitare che inizia a far parte della società. Quando lo fa, insomma, è perché si è deciso.
38Supponete, con un’ipotesi irrealizzabile, che tutti i membri di una nazione rimangano contemporaneamente e indefinitamente indecisi. Non vi sarà più nessuna guerra, visto che un ultimatum o una dichiarazione di guerra presuppone una decisione presa individualmente dai membri di un gabinetto. Perché vi sia guerra, il tipo più netto del duello logico sociale, occorre innanzitutto che sia stata fatta la pace nella mente dei ministri o dei capi di stato fino ad allora esitanti nel formulare la tesi e l’antitesi incarnate nei due eserciti contrapposti. Per la stessa ragione non vi sarà più nessuna battaglia elettorale. Non vi saranno più controversie religiose, né scismi, né dispute scientifiche, poiché questa divisione della società in chiese o in teorie diverse presuppone che una sola dottrina abbia infine prevalso nella coscienza o nel pensiero, fino ad allora diviso, di ciascuno dei loro adepti. Non vi saranno più discussioni parlamentari, non vi saranno più processi. Un processo, che costituisce una difficoltà sociale da risolvere, mostra che ciascuno dei patrocinatori ha risolto per conto suo la difficoltà mentale alla quale si era trovato di fronte. Non vi sarà più nessuna concorrenza industriale tra fabbriche rivali; la loro rivalità deriva dal fatto che ciascuna di esse possiede la sua clientela specifica, cioè che i loro prodotti non si combattono più all’interno del cuore dei loro clienti. Non vi saranno più diritti diversi, come il diritto consuetudinario e il diritto romano nella Francia del medioevo, che si scontrano sullo stesso territorio e cercano di sconfinare l’uno nell’altro; questa perplessità nazionale significa che, da una parte e dall’altra, gli individui hanno fatto la loro scelta tra le due legislazioni. Non vi saranno più dialetti diversi che lottano per il predominio, la lingua d’Oc e la lingua Oïl, per esempio; questa esitazione linguistica nazionale è generata dalla stabilità [fixation] linguistica degli individui che la compongono.
39Insomma, come ripeto, l’indecisione sociale nasce e prende forma soltanto quando l’indecisione individuale finisce. Non c’è nulla in cui si manifestino meglio la sorprendente analogia e l’evidente differenza tra le due logiche, tra le due psicologie, individuale e sociale. – Mi affretto ad aggiungere che, se l’esitazione che precede un atto imitativo è un fatto semplicemente individuale, essa è generata da fatti sociali, cioè da altri atti imitativi compiuti in precedenza. La resistenza che un uomo oppone all’influenza prestigiosa o ragionata di un altro uomo che presto comincerà a copiare, proviene sempre da un’antica influenza che egli ha subìto in passato. Una corrente imitativa si incrocia in lui con la tendenza a un’imitazione diversa: ecco perché egli ancora non imita. È bene notare, in questo caso, che la propagazione di un’imitazione implica lo scontro e la lotta con un’imitazione precedente.
40La necessità che nelle lotte sociali vi siano soltanto due avversari contrapposti si spiega in base all’universalità dell’imitazione, fatto essenziale della vita sociale. In effetti, ogni volta che ha luogo questo fatto elementare non vi possono mai essere che due tesi o due giudizi contrapposti: la tesi o il disegno dell’individuo-modello e la tesi o il disegno dell’individuo-copia. – Se si volesse innalzare il proprio sguardo, e abbracciare le masse umane, si vedrà questo duello ingrandito, divenuto sociale, prodursi in mille forme diverse, ma manifestarsi in maniera tanto più chiara nei fatti d’insieme quanto più l’associazione umana è stretta e perfetta nell’ordine dei fenomeni di cui si tratta. Molto chiaramente lo si vedrà all’opera in campo militare, col centralizzarsi e col disciplinarsi degli eserciti, in cui, al posto dei piccoli combattimenti diffusi dell’epoca omerica, su un campo di battaglia avrà luogo soltanto un grande combattimento alla volta. Molto chiaramente lo si vedrà anche in campo religioso, con l’unificarsi e col gerarchizzarsi delle religioni: il duello tra il cattolicesimo e il protestantesimo, e anche tra il cattolicesimo e il libero pensiero, presuppone l’organizzazione avanzata sia di questi culti che della stessa chiesa dei liberi pensatori. Meno chiaramente lo si vedrà in campo politico, ma con una chiarezza crescente man mano che i partiti si organizzano meglio. Meno chiaramente ancora lo si vedrà in campo industriale; ma, se l’industria arrivasse a organizzarsi secondo le aspirazioni socialiste, non sarebbe diverso. In campo linguistico invece lo si vedrà in modo molto vago, poiché la lingua, tra le opere umane, è diventata il campo in cui si ha la minor coscienza nazionale. Eppure, ho citato in precedenza la lotta tra la lingua d’Oc e la lingua d’Oïl, ed esistono molti altri esempi analoghi. In campo giuridico lo si vedrà in modo altrettanto vago, da quando lo studio del diritto ha cessato di essere una passione, poiché le scuole di diritto non sono più le clientele entusiaste e disciplinate di gloriosi professori, e poiché non vediamo più nulla di paragonabile alle grandi lotte tra i Sabiniani e i Proculiani a Roma, tra i romanisti e i feudisti alla fine del medioevo e così via.
41Dopo che l’indecisione sociale è nata e si è sviluppata, bisogna che si concluda a sua volta con una decisione. Come avviene tutto questo? Per mezzo di una nuova serie di indecisioni individuali seguite da atti imitativi. Uno dei programmi politici che si contendono una nazione si diffonde con la propaganda o con il terrore fino a quando non ha conquistato una alla volta quasi tutte le menti. Lo stesso avviene per una delle chiese o delle filosofie in lotta. Inutile moltiplicare gli esempi. Alla fine, se l’unanimità, mai perfetta, arriva in una certa misura a costituirsi, ogni indecisione, sia individuale che sociale, si trova più o meno conclusa. Questa conclusione è inevitabile. Tutto quello che vediamo oggi accettato, insediato, stabilito, nei costumi o nelle credenze, ha cominciato con l’essere oggetto di ardenti discussioni. Non esiste istituzione pacifica che non abbia la discordia per madre. – Una grammatica, un codice, una costituzione scritta o no, un’industria regnante, una poetica sovrana, un catechismo: tutto ciò che costituisce il fondo categorico delle società è un prodotto lento e graduale della dialettica sociale. Ogni regola grammaticale è l’espressione del trionfo di un’abitudine verbale che si è propagata a spese di altre abitudini in parte contraddittorie. Ogni articolo del codice equivale a una transazione o a un trattato di pace che ha fatto seguito a sanguinosi combattimenti sulla strada, a vivaci polemiche sulla stampa, a tempeste oratorie all’interno del parlamento. Ciascun principio costituzionale non ha prevalso se non in seguito a rivoluzioni e così via13.
42Accade lo stesso per la nascita delle categorie individuali14. La nozione appena sviluppata di spazio, di tempo, di materia, di forza, se si seguono le conclusioni ben motivate dei nuovi psicologi, è il risultato di esitazioni, di induzioni, di acquisizioni individuali, avvenute durante i primi anni di vita. Così come nel bambino piccolo è già presente un nocciolo di idee vaghe sullo spazio e sul tempo, se non sulla materia e sulla forza, che si sono formate nella culla, in un’età alla quale non possono risalire i nostri strumenti d’indagine, allo stesso modo, ogni società primitiva presenta un corpo confuso di regole grammaticali, di consuetudini, di idee religiose, di forze politiche, la cui formazione ci sfugge nella maniera più assoluta.
43La risoluzione del duello logico sociale avviene in tre modi diversi. Succede assai spesso: 1) che la soppressione di uno dei due avversari abbia luogo attraverso il semplice sviluppo naturale dei progressi dell’altro, senza alcun aiuto, né esterno, né interno. Per esempio, la scrittura fenicia, per annientare la scrittura cuneiforme, non ha dovuto far altro che continuare il suo movimento di propagazione; alla lampada a petrolio è bastato farsi conoscere per far scomparire, nelle case contadine del Midi, il calel a olio di noci, piccola trasformazione della lampada romana. Ma, talvolta, arriva un momento in cui i progressi, anche del più avvantaggiato tra i due concorrenti, si arrestano di fronte alla difficoltà crescente di andare oltre nello scacciare il nemico. Allora: 2) se il bisogno di eliminare questa contraddizione è avvertito con un’energia sufficiente, si prendono le armi, e la vittoria conduce alla soppressione violenta di uno dei due contendenti. A questo caso può facilmente essere ricondotto quello in cui si impone una forza autoritaria, anche non militare: è stato così per il voto del concilio di Nicea in favore del simbolo di Atanasio e per la conversione di Costantino al cristianesimo; lo stesso accade anche per ogni decisione importante presa da un’assemblea o da un dittatore in seguito a una deliberazione. Sia il voto o il decreto, sia la vittoria militare, generano una nuova condizione esterna atta a favorire una delle tesi o delle volontà in lotta a spese dell’altra, e a falsare il gioco naturale delle propagazioni imitative in concorrenza tra loro, più o meno come un cambiamento climatico improvviso all’interno di una regione, in seguito a qualche accidente geologico, ha l’effetto di sconvolgere il gioco delle propagazioni viventi, ostacolando la moltiplicazione di una specie vegetale o animale altrimenti feconda, e prestando soccorso alla moltiplicazione di altre specie, seppur meno prolifiche. Infine: 3) vediamo molto spesso gli antagonisti riconciliati, oppure uno di essi che viene politicamente e volontariamente espulso dall’intervento di una scoperta o di una nuova invenzione.
44Soffermiamoci su quest’ultimo caso, che mi sembra il più importante, poiché a intervenire non è una condizione esterna ma interna; del resto, la scoperta o l’invenzione trionfante che è sopraggiunta ha lo stesso ruolo del lampo di genio militare, della felice ispirazione del generale sul campo di battaglia, che, nel caso precedente, aveva determinato la vittoria del suo partito. Per esempio, la scoperta della circolazione sanguigna ha potuto da sola mettere fine alle discussioni interminabili degli anatomisti che si trascinavano fin dal xvi secolo; le scoperte astronomiche dovute all’invenzione del telescopio, all’inizio del xvii secolo, hanno risolto da sole, in favore dell’ipotesi pitagorica, e contro quelle degli aristotelici, la questione di sapere se il sole girasse intorno alla terra o la terra intorno al sole, e tanti altri problemi che dividevano gli astronomi in due campi. Aprite una biblioteca qualsiasi; quante questioni un tempo scottanti, oggi raffreddate, quanti vulcani ora spenti, troverete in eruzione di argomenti e di ingiurie! E, quasi sempre, il raffreddamento è avvenuto, come per miracolo, a partire da una scoperta scientifica, oppure erudita o immaginaria. Non c’è una pagina di catechismo, recitata oggi dai fedeli in maniera indiscussa, di cui ciascuna riga non esprima il risultato di polemiche violente tra i fondatori del dogma, padri o concili.
45Che cosa ci è voluto per porre fine a questi combattimenti talvolta sanguinosi? La scoperta di un testo sacro più o meno autentico, oppure una nuova concezione teologica, a meno che un’autorità reputata infallibile non avesse troncato di forza la questione. Ugualmente, quanti conflitti tra le volontà e i desideri degli uomini sono stati placati o smorzati singolarmente da un’invenzione industriale o anche politica! Prima di quella dei mulini ad acqua o a vento, il desiderio di avere del pane e la repulsione per il lavoro snervante della macinatura a braccia, lottavano apertamente nel cuore dei padroni e degli schiavi. Voler mangiare del pane, significava volere questa fatica atroce, per sé o per gli altri, e non volere questa fatica per sé, se si era uno schiavo, significava non volere che nessuno mangiasse del pane. Ma quando fu inventato il mulino ad acqua, immenso sollievo per le braccia servili, questi due desideri cessarono di ostacolarsi tra loro. Parimenti, fino all’invenzione del carrello, una delle più meravigliose dell’uomo antico, il bisogno di trasportare pesanti fardelli e il desiderio di non sfinirsi nel portarli sulle proprie spalle o di non sovraccaricare le proprie bestie da soma, si sono combattuti nel cuore degli uomini e ostacolati reciprocamente. La schiavitù, insomma, era una piaga necessaria all’esecuzione di lavori obbligatori e faticosi di cui sia lo schiavo che il padrone sentivano la necessità, e di cui il padrone rigettava il fardello sullo schiavo, finché, almeno per quanto riguarda il padrone, il conflitto tra i desideri contraddittori non fu risolto, giacché senza questo fatto non lo sarebbe stato per nessuno. Questo antagonismo cronico tra le volontà e gli interessi ha fatto posto per gradi a un certo accordo relativo soltanto in conseguenza di invenzioni capitali che hanno consentito di sfruttare le forze della natura, venti, corsi d’acqua, vapore, a maggior profitto sia dell’antico padrone che dell’antico schiavo.
46In questo caso, ogni invenzione intervenuta ha fatto di meglio che sopprimere uno dei termini della questione: essa ha soppresso l’opposizione stessa tra i due. È come quando (dato che un’invenzione rappresenta una risoluzione, e viceversa) si risolve l’intreccio di una commedia in cui l’opposizione tra le volontà di un padre e di un figlio, per esempio, è cresciuta al punto da sembrare insolubile, e arriva una rivelazione inattesa che dimostra che essa è soltanto apparente e priva di ogni fondamento15. Le invenzioni industriali sono dunque paragonabili a degli epiloghi comici, felici e soddisfacenti per tutti, mentre le invenzioni militari, armamenti perfezionati, strategia scientifica, colpo d’occhio d’aquila all’istante decisivo, ricordano in tutto e per tutto gli epiloghi delle tragedie, in cui il trionfo di uno dei rivali significa la morte dell’altro, in cui tanta passione e fede si incarna nei personaggi, e la contraddizione tra i loro desideri e le loro convinzioni è seria al punto che l’accordo è impossibile e il sacrificio finale inevitabile. Ogni vittoria costituisce in tal modo la distruzione, se non del vinto, almeno della sua volontà nazionale resistente, da parte della volontà nazionale del vincitore, piuttosto che l’accordo tra i due, malgrado il trattato di pace che ne consegue, che è un contratto forzato. La storia, insomma, è un tessuto, un intreccio di tragedie e di commedie, di tragedie orribili e di commedie poco gaie, che, se vi si guarda più da vicino, è facile scomporre. Ecco forse perché, sia detto di passaggio, nella nostra epoca ancora molto più industriale che militare, non bisogna stupirsi nel vedere a teatro, immagine della vita reale, la tragedia, trascurata ogni giorno di più, perdere terreno rispetto alla commedia, che si diffonde e progredisce, ma rattristandosi o incupendosi.
III. L’accoppiamento logico
47Dopo aver parlato delle invenzioni o delle scoperte che si combattono e si sostituiscono, debbo trattare di quelle che si aiutano a vicenda e che si accumulano. L’ordine che abbiamo seguito nella nostra esposizione non deve far credere che il progresso per sostituzione, fin dall’inizio, preceda il progresso per accumulazione. In realtà, è quest’ultimo che ha necessariamente dovuto precedere il primo, sebbene, in apparenza, lo segua; esso è l’alfa e l’omega; e l’altro costituisce soltanto un termine medio. – Le lingue, per esempio, si sono sicuramente formate attraverso un’acquisizione successiva di parole, di forme verbali, che, esprimendo idee al tempo inespresse, per stabilirsi non hanno dovuto vincere nessuna rivalità; e questa circostanza ha senza dubbio facilitato i loro primi passi. Al primo inizio della più antica religione, le leggende e i miti di cui essa si è arricchita, risposte a questioni ancora completamente nuove, non hanno trovato a contraddirle nessuna soluzione precedente, ed è stato facile per loro non contraddirsi a vicenda, in quanto rispondevano separatamente a questioni diverse. Le consuetudini più antiche hanno senza dubbio faticato molto a mettere radici sull’indisciplina dello stato di natura; ma, rispondendo a problemi giuridici che non erano stati fino ad allora posti, regolando rapporti individuali ancora senza regole, esse hanno avuto la possibilità di non dover combattere nessuna consuetudine preesistente, ed era facile per loro non combattersi a vicenda.
48Infine, le più antiche organizzazioni politiche hanno dovuto crescere fino a un certo punto senza che insorgesse nessuna lotta interna, con uno sviluppo non ostacolato, sia dal punto di vista militare sia industriale. La prima forma di governo ha costituito la risposta a un bisogno di sicurezza che non aveva ricevuto fino ad allora nessuna soddisfazione, e questa circostanza è stata favorevole al suo insediamento. Quando l’arte della guerra era sul nascere, ogni nuova arma, ogni nuovo esercizio, ogni nuova tattica poteva essere aggiunta alle precedenti; ai giorni nostri, è molto difficile che un nuovo congegno omicida oppure un nuovo regolamento militare non ne renda inutile qualche altro, e non si scontri per qualche tempo con questo ostacolo. Quando è nata l’industria, nella sua forma pastorale e agricola, ogni nuova pianta coltivata, ogni nuovo animale domestico si aggiungeva alle poche risorse già acquisite dall’orto e dalla stalla, dal campo e dal granaio, invece di sostituirsi, come accade oggi, ad altre piante, ad altri animali domestici più o meno equivalenti. Lo stesso è accaduto nei tempi in cui ogni nuova osservazione, astronomica o fisica, chiarendo un punto rimasto fino a quel momento oscuro alla mente umana, prendeva posto senza ostacoli a fianco delle osservazioni precedenti, che essa non contraddiceva affatto. In questi casi ci si trovava di fronte a delle tenebre da dissipare, e non a errori da combattere. C’era bisogno di dissodare terre vaghe e incolte, non di coltivare meglio terreni già lavorati e posseduti da altri.
49Ma dobbiamo osservare che l’accumulazione che precede la sostituzione per mezzo di duelli logici non dev’essere confusa con l’accumulazione che la segue. La prima consiste in una lenta associazione di elementi legati tra loro principalmente dal fatto di non contraddirsi; la seconda consiste in un fascio vigoroso di elementi che, non soltanto non si contraddicono, ma il più delle volte si confermano reciprocamente. E tutto questo dovrebbe realizzarsi grazie al bisogno sempre crescente di una fede forte e solida. – Abbiamo già potuto constatare in precedenza la verità di questa osservazione; essa ci apparirà molto meglio fra poco. In ogni campo, come abbiamo dimostrato, devono essere distinte le invenzioni o le scoperte suscettibili di accumularsi indefinitamente (sebbene possano anche essere rimpiazzate), da quelle che, superato un certo limite di accumulazione, se il progresso continua, sono destinate a essere sostituite. Ora, la selezione di entrambe avviene in maniera molto naturale nel corso del progresso; le prime precedono le seconde, e continuano a diffondersi anche dopo il loro esaurimento; ma a quel punto assumono un carattere sistematico che prima non possedevano.
50Una lingua può crescere illimitatamente incorporando sempre nuove parole, che rispondono a idee apparse nel corso del tempo; tuttavia, se nulla ostacola l’aumento del suo dizionario, l’estensione della sua grammatica non potrebbe spingersi molto lontano; e al di là di un piccolo numero di regole e di forme grammaticali caratterizzate da uno stesso spirito, rispondenti più o meno bene a tutti i bisogni del linguaggio, non potrebbe sorgere nessuna regola nuova, nessuna nuova forma grammaticale che non entri in lotta con le altre e non tenda a rimaneggiare l’idioma su un piano diverso. Se, all’interno di una lingua che possiede la declinazione, viene l’idea di esprimere la differenza tra i casi mediante una proposizione seguita dall’articolo, occorrerà che l’articolo e la proposizione eliminino a lungo andare la declinazione, oppure che la declinazione li respinga. – Ora, possiamo osservare che, dopo che la grammatica di una lingua è stata fissata, il suo vocabolario continua ad arricchirsi; e addirittura esso aumenta ancora più velocemente di prima; inoltre, a partire da questa stabilizzazione, ogni termine incorporato al suo interno, non soltanto non contraddice gli altri, ma conferma indirettamente anche le proposizioni implicite contenute in essi, assumendo la stessa livrea grammaticale. Per esempio, ogni nuova parola che faceva il suo ingresso nel latino con la terminazione us o a, declinandosi sembrava ripetere e confermare quello che implicitamente dicevano tutte le altre parole terminate e declinate allo stesso modo, cioè queste proposizioni generali: «us e a sono segni di latinità; i, o, um, æ, am, sono segni del genitivo, del dativo, dell’accusativo e così via».
51Le religioni, come le lingue, possono essere considerate sotto due aspetti. Esse possiedono una parte narrativa e leggendaria, il loro dizionario specifico, che coincide con la loro fase iniziale; e possiedono anche una parte dogmatica e rituale, una specie di grammatica religiosa. La prima, formata da racconti biblici o mitologici, da storie di dèi, di semi-dèi, di eroi e di santi, può svilupparsi all’infinito, mentre la seconda non può avere la stessa estensione. Viene un momento in cui tutti i problemi capitali che tormentano la coscienza trovano la propria soluzione come accade in una religione in cui, dal punto di vista del suo principio specifico, nessun nuovo dogma possa essere introdotto senza contraddire in parte i precedenti; e in cui, parimenti, un nuovo rito in quanto espressione di dogmi, non possa venire importato facilmente poiché tutti i dogmi possiedono già la loro espressione rituale. – Ora, dopo che il credo e il rituale di una religione hanno raggiunto il loro punto di stabilità, il suo martirologio, la sua agiografia, la sua storia ecclesiastica, continuano ad arricchirsi, e anche più velocemente di prima. Inoltre, in base al carattere conformista, ortodosso, di tutti i loro atti, di tutti i loro pensieri, perfino dei loro miracoli, i santi, i martiri, i fedeli di questa religione adulta, non soltanto non si contraddicono tra loro, ma si ripetono e si confermano reciprocamente; in ciò differiscono dai personaggi divini o eroici, dagli dèi e dai semi-dèi, dai patriarchi e dagli apostoli, e anche dalle leggende e dai prodigi che hanno avuto luogo prima dell’istituzione del dogma e del culto.
52A questo punto dobbiamo aprire una parentesi per fare un’osservazione molto importante. A seconda che la parte narrativa di una religione prevalga sulla sua parte dogmatica, o viceversa, questa religione si presenterà come indefinitamente modificabile e plastica, oppure come essenzialmente immutabile. Nel paganesimo greco-latino, il dogma non conta quasi nulla e, pertanto, non avendo il culto quasi nessun significato dogmatico, il suo simbolismo è piuttosto di tipo narrativo. Si cerca di rappresentare, per esempio, un episodio della vita di Cerere o di Bacco. Compresi in questo modo, i riti diventano accumulabili all’infinito. Se il dogma è poca cosa, nel politeismo antico la narrazione è quasi tutto. Di qui un’incredibile facilità di arricchimento, analoga alla crescita di un idioma moderno, come l’inglese, che, grammaticalmente molto povero, si incorpora ogni tipo di vocabolo venuto dall’estero attraverso un leggero cambiamento della sua terminazione, come per una specie di battesimo linguistico. Eppure, se questa attitudine a crescere indefinitamente è motivo di vitalità per una religione narrativa, ciò non significa che essa sia particolarmente resistente agli attacchi della critica. Tutt’altra cosa è la solidità di un sistema teologico, di un corpo di dogmi e di riti dogmatici, che si sostengono o sembrano sostenersi l’un l’altro, e che, combattuti un giorno da un avversario esterno, si sollevano tutti insieme per protestare in blocco.
53Ma ritorniamo al punto. Ne va della scienza e anche della religione, che essa aspira a sostituire. La scienza, in quanto enumera e racconta semplicemente dei fatti, dei dati provenienti dai nostri cinque sensi, è suscettibile di un’estensione indefinita, ed essa inizia con l’essere una semplice collezione di fenomeni non collegati tra loro, ma che neanche si contraddicono. Ma è proprio in quanto essa dogmatizza e legifera a sua volta che può concepire delle teorie in grado di dare ai fatti l’apparenza di confermarsi tra loro, invece di limitarsi a non contraddirsi; oppure è perché sintetizza a sua insaputa gli apporti della sensazione in forme mentali innate, che costituiscono delle proposizioni generali implicite, che chiamiamo tempo, spazio, materia, forza; da questo punto di vista, la scienza è forse la più inestensibile delle opere umane. Senza dubbio le teorie scientifiche vengono perfezionate, ma ciò avviene per sostituzione, non senza ritorni periodici, mentre le osservazioni e le esperienze si accumulano tra loro; e, di tanto in tanto, vediamo riapparire certi princìpi generali di spiegazione, l’atomismo, il dinamismo (chiamato evoluzionismo ai giorni nostri), la monadologia, l’idealismo (di Platone o di Hegel), quadri inflessibili della moltitudine crescente e debordante dei fatti. Soltanto che, in mezzo a queste idee maestre, in mezzo a queste ipotesi o invenzioni scientifiche, ce ne sono alcune che tra di loro si confermano sempre di più e vengono sempre più confermate dall’accumulazione prolungata dei fenomeni scoperti, i quali, di conseguenza, non si limitano soltanto a non contraddirsi, ma si ripetono e si confermano reciprocamente come se dovessero testimoniare insieme della verità di una stessa legge, di una stessa proposizione collettiva. Prima di Newton le nuove scoperte astronomiche non si contraddicevano. Dopo Newton esse si confermano tra loro. L’ideale sarebbe che ogni scienza fosse riducibile, come l’astronomia moderna, a un’unica formula, e che tutte queste formule diverse fossero collegate tra loro da una formula superiore; che, in una parola, non vi fossero più le scienze, ma la Scienza; così come, in una religione politeista diventata monoteista attraverso un processo di selezione, non esistono più gli dèi, ma Dio.
54Accade lo stesso in una tribù inizialmente pastorale, divenuta una nazione agricola, e poi manifatturiera, che aggiunge così ai suoi pascoli dei terreni coltivati a grano, risaie, frutteti, orti sempre più ricchi, fabbriche sempre più complicate, tanto che gli interessi continuano a moltiplicarsi, così come si accumulano gli atti legislativi o le regole consuetudinarie in vigore, molto più di quanto non si eliminino tra loro. Ma i princìpi generali del diritto che finiscono per farsi luce in mezzo a questa rinfusa sono in numero sempre limitato, e il loro progresso avviene per sostituzione. Ora, dopo la formazione di questa grammatica giuridica, il dizionario giuridico, chiamato in Francia Bullettin des lois, può anche aumentare ulteriormente a vista d’occhio, e perfino con un’attività raddoppiata, ma le leggi che si succedono si presentano rivestite di una stessa uniforme teorica che le rende idonee a formare un codice: codice rurale, codice di commercio, codice marittimo ecc… Sistemazione prima impossibile.
55Infine, anche dal punto di vista governativo (nel senso largo in cui io intendo la parola governo, cioè come l’attività diretta di una nazione in tutte le sue forme) ci troviamo di fronte a distinzioni analoghe. Diremo che l’attività nazionale diretta può essere bellicosa o pacifica; la prima si suddivide in forze militari e in forze politiche, a seconda che consista in una guerra breve e sanguinosa combattuta da eserciti, oppure in una guerra lunga e tempestosa combattuta da partiti, in un’oppressione dello straniero vinto e reso tributario, oppure in un’oppressione dell’avversario interno sconfitto e sovraccaricato di tasse. Ebbene, è interessante notare che, in entrambi i casi, l’aspetto amministrativo si estende e si perfeziona continuamente, man mano che le funzioni si moltiplicano, mentre l’arte della guerra e l’arte della politica si muovono sempre all’interno di un cerchio stretto di strategie o di costituzioni, che possono essere ricondotte a loro volta a un piccolo numero di tipi differenti tra cui bisogna scegliere, e che si escludono a vicenda. Ma è soltanto dopo che sono state individuate e messe in opera da un certo piano strategico o da un certo disegno costituzionale che le funzioni, sia civili che militari, cominciano a convergere invece di limitarsi a non essere troppo divergenti, formando un vero stato o un vero esercito invece di formare una federazione barbara o un’orda.
56Quanto alla parte pacifica, laboriosa, industriale, dell’attività nazionale diretta, essa comporta le stesse osservazioni, ma con il beneficio di alcune note. Abbiamo detto che l’industria non potrebbe essere isolata, se non per astrazione, dalla morale e dall’estetica dominante di ogni epoca. Se fossero messe in relazione come conviene, ci si accorgerebbe che tra le invenzioni o le nuove idee relative al lavoro, soltanto alcune, e non altre, sono suscettibili, così come si è tanto ripetuto, di progressi indefiniti, cioè di un’accumulazione quasi infinita. L’attrezzatura industriale, in effetti, continua ad aumentare; ma i fini al servizio dei quali questo insieme di mezzi viene posto, durante un certo periodo, non si susseguono se non eliminandosi tra loro. A prima vista, e assumendo in blocco i mezzi e i fini senza fare distinzioni, sembrerebbe che le industrie delle diverse epoche si siano sostituite tra loro per intero. Nulla assomiglia meno all’industria greca o romana dell’industria assira, all’industria del nostro xvii secolo di quella medievale, e alla nostra grande industria contemporanea della piccola industria dei nostri progenitori. Effettivamente, ciascuno di questi grandi fasci di azioni umane è collegato e animato da qualche grande bisogno dominante che muta interamente da un’epoca all’altra: bisogno di preparare la propria vita postuma, bisogno di adorare i propri dèi, di abbellire e di onorare la propria città, bisogno di esprimere la propria fede religiosa o il proprio orgoglio monarchico, bisogno di livellamento sociale. E la trasformazione di questo fine superiore rende conto della successione di queste opere capitali nelle quali si condensa un’intera epoca, la tomba in Egitto, il tempio in Grecia, il circo o l’arco di trionfo a Roma, la cattedrale nel medioevo, il palazzo nel xvii secolo, le stazioni o piuttosto l’edilizia urbana oggi.
57Ma, a dire il vero a essere scomparse in modo irreversibile, sono le civiltà piuttosto che le industrie passate, se dobbiamo intendere per civiltà l’insieme dei fini morali o estetici di un’epoca, dei suoi mezzi industriali e l’incontro, sempre in parte accidentale, tra i primi e i secondi. Quei fini hanno impiegato questi mezzi perché li hanno incontrati, ma ne avrebbero potuti utilizzare anche altri, e questi mezzi hanno servito quei fini, ma erano anche adatti a servire fini diversi. Ora, i fini passano, ma i mezzi, in ciò che possiedono di essenziale, rimangono. Una macchina meno perfetta sopravvive a se stessa, in fondo, per una specie di metempsicosi, nella macchina più perfezionata e complessa che apparentemente o per certi aspetti l’ha sostituita; e tutte le macchine semplici, il bastone, la leva, la ruota, si ritrovano all’interno dei nostri attrezzi più moderni. L’arco permane nella balestra, la balestra nell’archibugio e nel fucile. Il carro primitivo permane nella vettura sospesa, e quest’ultima nella locomotiva, che non ha sostituito, ma assorbito in sé la diligenza aggiungendo qualcosa, cioè il vapore e una velocità superiore, mentre il bisogno cristiano di salvezza mistica ha realmente sostituito, e non soltanto assorbito, il bisogno romano di gloria patriottica, come ha fatto la teoria di Copernico con il sistema di Tolomeo.
58Insomma, le invenzioni industriali che si susseguono da milioni di anni a questa parte sono paragonabili al dizionario di una lingua o ai fatti della scienza. Molti utensili e prodotti, in verità, come ho detto in precedenza, sono stati detronizzati da altri, così come molte informazioni meno esatte sono state sostituite da conoscenze più vere; ma, nel complesso, il numero degli utensili e dei prodotti, come quello delle conoscenze, è sempre aumentato. La scienza propriamente detta, raccolta dei fatti che possono servire a provare una teoria qualunque, è paragonabile all’industria propriamente detta, tesoro fatto di attrezzi e di procedimenti che possono servire a realizzare un’estetica o una morale qualunque. L’industria in questo senso corrisponde alla materia, mentre la forma le viene infusa dalle idee dominanti relative alla giustizia e alla bellezza, sul quid deceat quid non per la direzione della condotta ritenuta migliore. Con il termine industria intendo anche l’arte, separata dall’ideale mutevole che la ispira, che infonde ai suoi segreti, alle sue diverse tecniche, la loro anima profonda. – Ora, sia prima sia dopo la formazione di una morale e di un’estetica costituite, cioè di una gerarchia di bisogni riconosciuta da un giudizio unanime, le risorse industriali si moltiplicano, come anche la fantasia degli artisti e dei poeti; ma prima si diffondono, poi si concentrano, ed è soltanto quando uno stesso pensiero soggiacente si afferma in tutti gli aspetti del lavoro nazionale che essi offrono lo spettacolo di questa reciproca conferma, di questo unico orientamento, di questa ammirevole armonia interna che la Grecia e il nostro xii secolo hanno conosciuto, e che i nostri nipoti forse rivedranno.
59Per il momento, bisogna ammettere che la nostra epoca moderna e contemporanea sta ancora cercando il suo polo, e questa osservazione ci invita a nuove considerazioni. Non a torto abbiamo segnalato il suo carattere principalmente scientifico e industriale. Con questa considerazione, bisogna comprendere che, dal punto di vista teorico, la ricerca fortunata dei fatti ha prevalso sulla preoccupazione per le idee filosofiche, e che, dal punto di vista pratico, la ricerca fortunata dei mezzi ha prevalso sulla considerazione dei fini dell’attività. Ciò significa che, in tutti i casi, il nostro mondo moderno si è precipitato istintivamente sul sentiero delle scoperte o delle invenzioni accumulabili, senza chiedersi se le scoperte e le invenzioni sostituibili, che trascurava per partito preso, non potessero fornire la loro ragion d’essere e il loro valore soltanto alle prime. Ma, per quanto ci riguarda, poniamoci adesso questa domanda: è proprio vero che gli aspetti del pensiero e della condotta sociale che non possono essere estesi indefinitamente (grammatiche, dogmi e teorie, princìpi di diritto, strategia e programma politico, estetica e morale) meritano di essere coltivati meno di quelli che possono esserlo (vocabolari, mitologie e scienza dei fatti, consuetudini e bollettini delle leggi, amministrazioni militari e civili, industrie)?
60Niente affatto. L’aspetto sostituibile, anche se fino a un certo punto, costituisce sempre l’aspetto essenziale. La grammatica è tutta la lingua. La teoria è tutta la scienza, e il dogma tutta la religione. I princìpi sono tutto il diritto. La strategia è tutta la guerra. L’idea politica è tutto il governo. La morale è tutto il lavoro, poiché l’industria vale ciò che vale il suo fine. E l’ideale, me lo si concederà di certo, è tutta l’arte. – A che cosa servono le parole, se non a costruire delle frasi? A che cosa servono i fatti, se non a elaborare delle teorie? A che cosa servono le leggi, se non a far nascere o a istituire dei princìpi superiori del diritto? A che cosa servono le armi, le manovre, le diverse amministrazioni di un esercito, se non a essere funzionali al piano strategico del generale in capo? A che cosa servono i servizi, i meccanismi, le diverse amministrazioni di uno stato, se non a servire i disegni costituzionali dell’uomo di stato in cui si riconosce il partito vincitore? A che cosa servono i mestieri e i diversi prodotti industriali di un paese, se non a concorrere ai fini della morale regnante? E a che cosa servono le scuole artistiche e letterarie e le opere d’arte di una società, se non a formulare o a rafforzare il suo ideale specifico?
61Soltanto che è molto più facile progredire per mezzo delle acquisizioni e degli arricchimenti sempre possibili, che per mezzo delle sostituzioni e dei sacrifici sempre necessari. È molto più facile ammassare neologismi su neologismi che parlare meglio la propria lingua, e introdurvi gradualmente dei miglioramenti grammaticali; collezionare osservazioni ed esperienze nelle scienze, che introdurre teorie più generali e più dimostrate; moltiplicare i miracoli e le pratiche di pietà nella propria religione che sostituire a dogmi consunti dogmi più razionali; fabbricare leggi a dozzine che concepire il principio di un nuovo diritto, più adatto a conciliare tutti gli interessi; complicare gli armamenti e le manovre, gli uffici e le funzioni, e avere eccellenti amministratori militari o civili, che avere generali o eminenti uomini di stato capaci di elaborare al momento giusto il piano di cui c’è bisogno e di contribuire con il loro esempio al rinnovamento e al perfezionamento dell’arte della guerra e della politica; moltiplicare i propri bisogni, grazie alla varietà sempre più ricca dei propri consumi mantenuta dalle industrie più diverse, che sostituire al proprio bisogno dominante un bisogno superiore e preferibile, più adatto a far regnare l’ordine e la pace; infine, è molto più facile svolgere artisticamente la serie inesauribile dei virtuosismi e delle prodezze, che intravedere il minimo bagliore di una nuova forma del bello, più degno di suscitare l’entusiasmo e l’amore.
62Ma la nostra Europa moderna si è lasciata un po’ troppo trascinare da un tipo di fascino di una facilità deludente. Di qui un contrasto che ci colpisce, in particolare tra la sua abbondanza legislativa e la sua debolezza giuridica (che la si paragoni, sotto questo aspetto, alla Roma di Traiano, o anche alla Costantinopoli di Giustiniano), oppure tra la sua esuberanza industriale e la sua povertà estetica (che la si paragoni, su questo punto, ai bei giorni del Medioevo francese o del Rinascimento italiano!) – Potrei aggiungere, in una certa misura, tra le sue scienze e la filosofia delle sue scienze. Ma mi affretto a riconoscere che l’aspetto filosofico del suo sapere, per quanto venga coltivato con una certa negligenza, è stato oggetto di una cultura molto più estesa e profonda dell’aspetto morale della sua attività. L’industria, da questo punto di vista, è notevolmente in ritardo sulla scienza. Essa ha suscitato ovunque bisogni fittizi che soddisfaceva alla rinfusa senza inquietarsi a proposito della scelta da fare e del loro migliore accordo. In questo assomiglia alla scienza mal digerita del xvi secolo, che generava in tutti i cervelli una fioritura di ipotesi, di bizzarrie pedantesche, incoerenti, tutte alimentate separatamente da una certa quantità di fatti. C’è bisogno, per l’attività e per la civiltà contemporanea, di liquidare tutto questo caos di bisogni eterogenei, come c’era bisogno per la scienza del xvi secolo di tenere a bada l’immaginazione degli scienziati e di sopprimere la maggior parte delle loro concezioni, a profitto di poche altre, trasformate in teorie. Quali sono i bisogni semplici e fecondi che svilupperà l’avvenire, e quali sono i bisogni folti e sterili che invece eliminerà? Qui sta il segreto. È difficile da trovare, ma dev’essere almeno cercato. Tutti questi bisogni discordanti o mal accordati che fioriscono su tutti i punti del suolo industriale, e hanno i loro adoratori appassionati, costituiscono una specie di feticismo o di politeismo morale che aspira a riversarsi in un monoteismo morale comprensivo e autoritario, in una nuova estetica, grande e forte.
63Così, nel nostro secolo, a essere progredita è stata certamente più l’industria della civiltà. E se ne può avere la prova dall’imbarazzo che ho provato poco fa nell’indicare un tipo di monumento nel quale potesse riassumersi l’industria del nostro tempo. Cosa strana e inusitata, ciò che l’industria oggi costruisce di più grandioso, sono, non tanto dei prodotti finiti, quanto degli utensili industriali, cioè grandi fabbriche, immense stazioni, macchine prodigiose. Paragonate a questi laboratori di giganti, che chiamiamo fucine oppure officine di costruzione, ciò che esce di là, anche di più importante: una bella casa, un bel teatro, un municipio; quanto sono meschini questi prodotti della nostra industria in confronto alle loro dimore! Quanto soprattutto impallidiscono le piccole magnificenze del nostro lusso pubblico o privato, in confronto alle nostre esposizioni industriali, in cui la sola utilità dei prodotti è quella di fare bella mostra di sé? Un tempo accadeva esattamente il contrario, quando miserabili masse di fellah sotto i faraoni, quando oscure bottegucce di artigiani del medioevo circondavano la piramide o l’enorme cattedrale, che svettava nel cielo grazie al fascio dei loro sforzi combinati. Si direbbe che oggi l’industria e la scienza procedono ciascuna per conto suo.
Altre considerazioni
64Abbiamo appena visto che il progresso sociale si compie attraverso una serie di sostituzioni e di accumulazioni. È sicuramente importante distinguere questi due processi, e l’errore degli evoluzionisti è di averli confusi, in questo come in tutti gli altri casi. Il termine evoluzione è forse inadatto. Eppure si può dire che c’è evoluzione sociale quando un’invenzione si diffonde tranquillamente per imitazione, che è il fatto sociale elementare; e anche quando una nuova invenzione, imitata a sua volta, si innesta su un’invenzione precedente, che perfeziona e favorisce. Ma, in quest’ultimo caso, perché non dire piuttosto che avviene un’inserzione, che sarebbe più preciso? Una filosofia dell’inserzione universale apporterebbe una valida rettifica alla teoria dell’evoluzione universale. – Infine, quando una nuova invenzione, microbo invisibile all’inizio, poi malattia mortale, inocula a un’invenzione più antica, a cui si lega, un germe di distruzione, come si può dire che quest’ultima si sia evoluta? L’Impero romano si è forse evoluto il giorno in cui la dottrina di Cristo gli ha inoculato il suo virus fatto di negazioni radicali opposte ai suoi princìpi fondamentali? No, c’è stata in questo caso contro-evoluzione, rivoluzione se vogliamo, ma niente affatto evoluzione. – In fondo, senza alcun dubbio, si sono verificate, sia in questo caso che nei precedenti, soltanto delle evoluzioni, dato che si tratta pur sempre di imitazioni; ma, visto che queste evoluzioni, queste imitazioni, si combattono tra loro, sarebbe un grande errore considerare il tutto formato da questi elementi in conflitto, come una sola evoluzione. Ci tenevo a fare questa osservazione di passaggio.
65Altra osservazione, più importante. Qualunque sia il processo messo in atto per sopprimere il conflitto tra le credenze o tra gli interessi e per stabilire il loro accordo, accade quasi sempre (non accade quasi sempre?) che l’armonia che si produce in questo modo crei un antagonismo di tipo nuovo. Alle contraddizioni, alle contrarietà di dettaglio, si sostituisce una contraddizione, una contrarietà di massa, che cerca anch’essa di risolversi, salvo generare opposizioni più alte, e così via, fino alla soluzione finale. Invece di contendersi la selvaggina, le teste di bestiame, gli oggetti utili, un milione di persone tutte insieme si organizzano militarmente e collaborano all’asservimento del popolo vicino. In quest’opera collettiva le loro attività, i loro desideri di guadagno, trovano il loro punto comune. E, di fatto, prima del commercio e dello scambio, il militarismo ha dovuto essere per molto tempo la sola forma di risoluzione logica del problema posto dalla concorrenza tra gli interessi. Ma il militarismo genera la guerra, la guerra tra due popoli, che si sostituisce a migliaia di lotte private.
66Allo stesso modo, invece di agire ciascuno per conto suo, di ostacolarsi o di combattersi a vicenda, un centinaio di persone cominciano a lavorare insieme in una fabbrica: le loro azioni smettono di essere contrarie; ma allora sorge una contrarietà imprevista, cioè la rivalità tra questa fabbrica e qualche altra fabbrica che costruisce gli stessi prodotti. Non è tutto. Gli operai di ciascuna fabbrica sono tutti interessati alla sua prosperità e, in ogni caso, i loro desideri di produzione, grazie alla divisione del lavoro organizzato, convergono tutti verso lo stesso fine; come fanno i soldati di ciascun esercito, in quanto hanno tutti uno stesso interesse in comune, la vittoria. Ma, allo stesso tempo, la lotta tra quello che viene chiamato il capitale e quello che viene chiamato il lavoro, cioè tra l’insieme dei padroni e l’insieme degli operai16, come la rivalità tra i diversi gradi dell’esercito o tra le diverse classi della nazione, sorge proprio da questo accordo imperfetto. Questi sono dei problemi teleologici che vengono sollevati proprio dai progressi dell’organizzazione industriale o militare, così come il progresso delle scienze pone dei problemi logici, manifesta delle antinomie razionali, solubili o insolubili, che l’ignoranza precedente permetteva di nascondere.
67Nel medioevo, il sistema feudale da un parte, e la gerarchia ecclesiastica dall’altra, erano riusciti a pacificare efficacemente le passioni e a solidarizzare gli interessi. Ma il grande e sanguinoso conflitto tra il sacerdozio e l’Impero, tra i guelfi, partigiani del papa, e i ghibellini, partigiani dell’imperatore (duello logico inizialmente, divenuto più tardi duello teleologico, cioè politico), è sorto proprio dallo scontro tra queste due armonie non armonizzabili tra loro senza la messa fuori combattimento di uno dei due avversari. La questione è di sapere se questi spostamenti di contraddizioni e di contrarietà siano stati in fondo vantaggiosi, e se possiamo sperare che l’armonia degli interessi o delle menti sarà mai un giorno completa, senza che abbiano luogo queste compensazioni della diversità; se, in altri termini, una certa quantità di menzogna o di errore, di inganno o di sacrificio, non debba essere sempre necessaria per mantenere la pace sociale.
68Quando lo spostamento delle contraddizioni o delle contrarietà consiste nel centralizzarle, si ottiene sicuramente un vantaggio. Per quanto siano state crudeli le guerre generate dall’organizzazione degli eserciti permanenti, questi fatti hanno più valore degli innumerevoli combattimenti tra le piccole milizie feudali o tra le famiglie primitive; per quanto siano stati profondi i misteri rivelati dal progresso delle scienze, per quanto sia stato grande l’abisso scavato tra le scuole filosofiche dalle nuove questioni sulle quali si sono combattute utilizzando argomenti attinti dallo stesso arsenale scientifico, non è consentito rimpiangere i tempi di ignoranza, in cui questi problemi non si ponevano affatto. La scienza, insomma, ha soddisfatto una serie di curiosità tormentose più di quanto non ne abbia suscitate, la civiltà ha soddisfatto una serie di bisogni più di quanto non abbia fatto sorgere delle passioni. Le invenzioni e le scoperte sono una specie di terapia che viene somministrata con il metodo sostitutivo. Le invenzioni, placando i bisogni naturali e facendo sorgere dei bisogni di lusso, sostituiscono a desideri molto pressanti desideri meno pressanti. Le scoperte sostituiscono l’ignoranza iniziale, molto ansiogena, con delle incognite forse altrettanto numerose, ma, a colpo sicuro, meno inquietanti. Non riusciamo proprio a vedere il termine a cui ci conduce questa trasformazione proteiforme della contraddizione e della contrarietà? Il gioco della concorrenza porta fatalmente a un monopolio, il libero scambio e il lasciar-andare conducono a un’organizzazione legale del lavoro, e la guerra tende a ipertrofizzare gli stati, a produrre enormi agglomerati, fino a quando si realizza l’unità politica del mondo civilizzato assicurando la pace generale. Più si accentua, più cresce il conflitto di massa provocato dalla soppressione dei conflitti minori, talvolta anche al punto da far rimpiangere questi ultimi, più questo risultato pacifico diventa inevitabile. Ai tempi in cui l’esercito regio ha sostituito in ogni stato le milizie provinciali o signorili, questo esercito contava un numero di soldati molto inferiore al totale effettivo di queste milizie, e, di conseguenza, il conflitto tra gli eserciti regi era lontano dall’eguagliare in fatto di pericolo la somma dei conflitti che evitava; ma questo vantaggio, come sappiamo, è andato diminuendo nella misura in cui un’ineluttabile necessità ha obbligato ogni stato ad aumentare il suo contingente militare, finché ai giorni nostri le grandi nazioni hanno finito per arruolare tutti gli uomini validi. Perciò, tutto il profitto della civiltà in questo campo svanirebbe se, appunto, l’enormità degli eserciti non facesse presagire l’imminenza di qualche conflagrazione definitiva seguita da una conquista colossale, unificante e pacificante – a meno che le armi non finiscano per cadere arrugginite dalle mani dei soldati, inutili e dimenticate.
Notes de bas de page
1 Tutti i filologi riconoscono il ruolo immenso dell’analogia nell’oggetto della loro scienza. Si veda soprattutto Sayce a questo proposito.
2 Si vedano i suoi Essais de linguistique évolutionniste [P. Regnaud, Essais de linguistique évolutionniste. Application d’une méthode générale à l’étude du développement des idiomes indo-européens, Paris, Leroux, 1886].
3 Così si esprime lo storico [Ernst] Curtius, secondo suo fratello, il filologo, nella sua Historie grecque, t. i [ed. orig. 1857-1867; trad. fr. di A. Bouché-Leclercq, Paris, Leroux, 1880-1883, 6 voll.; trad. it. di G. Müller e G. Oliva, Storia greca, Torino, Loescher, 1877-1884, 13 voll.].
4 Sappiamo anche che quando un dialetto, originariamente in lotta con un gran numero di altri dialetti su un territorio come la Grecia o la Francia medievale, finisce per soppiantare tutti i suoi rivali e respingerli al rango di patois, non deve sempre questo privilegio soltanto ai suoi meriti intrinseci; lo deve soprattutto ai trionfi politici e alla superiorità reale o presunta della provincia che da sola inizialmente lo parlava. È stato grazie al prestigio di Parigi che il parlare dell’Île-de-France è diventato il francese. – Si veda, di passaggio, che le stesse leggi dell’imitazione ci aiutano a comprendere le trasformazioni interne di una lingua e la sua diffusione.
5 Mi permetto di rinviare il lettore psicologo a due articoli che ho pubblicato, in agosto e settembre 1880, nella “Revue philosophique” [a. v (1880), t. x, n. 8 pp. 150-180 e n. 9 pp. 264-283], su La croyance et le désir. La possibilité de leur mesure e che sono stati ripubblicati senza cambiamenti nei miei Essais et mélanges sociologiques [Lyon, Storck et Masson, 1895]. Da allora, le mie idee su questo argomento si sono un po’ modificate, ma ecco in che senso. Oggi riconosco che ho forse un po’ esagerato il ruolo del credere e del desiderare in psicologia individuale, e non oserei più affermare con tanta sicurezza che questi due aspetti dell’Io siano le uniche cose in noi suscettibili di misurazione. Ma, in compenso, attribuisco a essi un’importanza ancora maggiore in psicologia sociale. Ammettiamo che esistano nell’anima altre quantità, concediamo, per esempio, agli psico-fisici, a dispetto del notevole studio di Bergson sui Dati immediati della coscienza [H. Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience, Paris, Alcan, 1889; trad. it. di F. Sossi, Saggio sui dati immediati della coscienza, Milano, Cortina, 2002], del resto così conforme su questo punto al nostro modo di vedere, che l’intensità delle sensazioni, considerata separatamente rispetto all’adesione del giudizio e alla forza dell’attenzione di cui sono l’oggetto, cambi di grado senza cambiare di natura e si presti, di conseguenza, alle misurazioni degli sperimentatori; nondimeno è vero che, dal punto di vista sociale, la credenza e il desiderio si contraddistinguono per un carattere unico, che permette di differenziarli dalla semplice sensazione. Questo carattere consiste nel fatto che il contagio dell’esempio reciproco si esercita, dal punto di vista sociale, sulle credenze e sui desideri simili per rinforzarli, e sulle credenze e sui desideri contrari per indebolirli oppure per rinforzarli, a seconda dei casi, in tutti gli individui che li provano contemporaneamente e hanno coscienza di provarli insieme; mentre la sensazione visiva o uditiva che si prova a teatro per esempio, in mezzo a una folla concentrata sullo stesso spettacolo o sullo stesso concerto, non è affatto modificata in sé dalla simultaneità delle impressioni analoghe provate dal pubblico presente. – Si può indovinare da alcune stranezze di cui la storia si stupisce fino a che punto di intensità una credenza o un desiderio possano arrivare nell’individuo, quando vengano provate contemporaneamente anche da tutte le persone che gli stanno intorno. Per esempio, anche nell’Italia depravata, ma ancora credente, del Rinascimento, imperversavano di tanto in tanto delle epidemie di penitenza che, dice Burckhardt, «avevano ragione dei cuori più induriti». Queste epidemie, di cui quella di Firenze, dal 1494 al 1498, sotto Savonarola, non è che un caso tra mille – poiché dopo ogni disastro oppure ogni flagello, ne sopraggiungeva qualcuna – manifestavano l’azione profonda e costante della fede cristiana. Ovunque una stessa fede, uno stesso ideale, si impadronisca degli animi in questo modo, si producono delle esplosioni intermittenti di contagi di questo tipo. Oggi ci troviamo di fronte, non più a delle epidemie di penitenza – se non sotto forma di pellegrinaggi contagiosi, manifestazione di un’incomparabile forza di suggestione – ma a delle epidemie di lusso, di gioco, di lotteria, di speculazioni in Borsa, di gigantesche attività ferroviarie… e anche a delle epidemie di hegelismo, di darwinismo…
6 A massa uguale, il corpo del bambino contiene più attività vitale del corpo dell’uomo maturo. La vitalità relativa di quest’ultimo è diminuita.
7 Intendiamoci bene ancora una volta: nel corso della civiltà i bisogni si moltiplicano, ma indebolendosi, e le verità, le sicurezze, si moltiplicano ancora più velocemente, rafforzandosi. Il contrasto è sorprendente se si prende come punto di partenza dell’evoluzione civilizzatrice la barbarie, e non lo stato selvaggio [sauvagerie], che, come si può osservare ai giorni nostri, rappresenta il termine finale di un’evoluzione sociale in sé completa, e non il termine iniziale di un’evoluzione superiore.
8 Per esempio, «il buddismo – dice Barth – portava con sé la negazione, non del regime delle caste in generale, ma della casta dei brahmani, e questo indipendentemente da ogni dottrina egualitaria, e senza che vi fosse stata da parte loro alcuna velleità di rivolta. Così, è molto probabile che questa opposizione sia rimasta a lungo inconscia da una parte e dell’altra». Ma, alla lunga, essa è diventata evidente. Ciò non impedisce, altra contraddizione, anch’essa inconscia, che il «nome di brahmano rimanga un titolo onorifico del buddismo, e che a Ceylon fosse attribuito ai re», più o meno come i titoli di conte e di marchese continuano a essere ricercati anche nella nostra società democratica, sebbene essa rappresenti la negazione dei princìpi feudali.
9 Vediamo adesso perché il procedimento di incremento della fede nazionale, che consiste nell’espellere dal seno di un popolo i suoi contestatori religiosi o politici (revoca dell’Editto di Nantes, persecuzioni religiose di tutti i tipi), è sempre lontano dal raggiungere il suo scopo. In tal modo, è vero che si mantengono le popolazioni nell’ignoranza delle contraddizioni che possono intaccare le loro credenze; ma, se il loro fascio di credenze è mantenuto in questo modo, si impedisce anche che ne riceva degli aumenti, dato che l’ignoranza delle contraddizioni, che riduce il senso critico, sterilizza anche l’immaginazione e oscura la coscienza delle conferme reciproche. Del resto, arriva sempre un momento in cui, come dice Colins, l’esame è improrogabile.
10 Diciamo duello logico, ma avremmo potuto anche dire teleologico, così come, più avanti, unione logica significherà anche unione teleologica. Abbiamo ritenuto di dover mescolare i due punti di vista, almeno in questo capitolo.
11 Eppure può succedere che, in seguito all’aumento della miseria, delle malattie, dei flagelli di tutti i tipi, un bisogno scompaia senza venire sostituito o non lo sia che dall’intensità crescente dei bisogni inferiori, divenuti eccessivi ed esclusivi nei confronti di tutti gli altri. In questi casi si ha il declino, il regresso della civiltà, e non il suo progresso.
12 Ce ne possono essere anche di più, ma non ce ne sono mai più di due veramente in lotta nel pensiero esitante del legislatore.
13 Sono state distinte le costituzioni imperative, o se vogliamo improvvisate, dalle costituzioni contrattuali, formatesi gradualmente. Distinzione che del resto possiede una certa importanza (si veda Boutmy) [É. Boutmy, Études de droit constitutionnel: France, Angleterre, États-Unis, Paris, Plon, 1885]. Ma, in fondo, le stesse costituzioni imperative derivano da una transazione tra partiti opposti in seno al parlamento da cui esse provengono. Soltanto che in questi casi ci troviamo di fronte a un contratto che è il risultato di una lotta, mentre la Costituzione inglese, per esempio, è nata da un gran numero di lotte e di contratti tra poteri preesistenti.
14 In un lavoro pubblicato in agosto e settembre 1889 nella “Revue philosophique” [a. xiv (1889), t. xxviii, n. 8 pp. 113-136 e n. 9 pp. 292-309], intitolato: Catégories logiques et institutions sociales, e ripubblicato nella mia Logique sociale [cit.], ho sviluppato a lungo il confronto che in questa sede mi limito a indicare.
15 Non soltanto in campo industriale, ma talvolta anche in ambito politico e religioso si hanno, o piuttosto si credono di avere, di queste felici sorprese. Renan ha osservato qualcosa di simile: «Nei grandi movimenti storici – egli dice – (chiesa primitiva, Riforma, Rivoluzione francese), c’è il momento dell’esaltazione, in cui uomini associati in vista di un’opera comune (Pietro e Paolo, luterani e calvinisti, montagnardi e girondini…) si separano o si ammazzano per una sfumatura, e c’è il momento della riconciliazione, in cui si cerca di dimostrare che questi nemici apparenti in realtà si intendevano e che hanno lavorato per uno stesso fine. Nel giro di qualche tempo, da tutte queste discordanze emerge un’unica dottrina e regna (o sembra regnare) un accordo perfetto tra i discepoli di coloro che in precedenza si sono anatematizzati» (i Vangeli). Ci si ammazza necessariamente per una sfumatura, nei momenti di esaltazione, perché questa sfumatura, questa reciproca contraddizione parziale, viene vista sotto la luce straordinaria di una coscienza esaltata, e anche perché ogni uomo, in quei momenti, si immedesima totalmente nella tesi adottata votandosi in maniera assoluta alla sua diffusione illimitata; la soppressione della tesi contraria implica l’omicidio di colui o di coloro nei quali essa si incarna. Più tardi, quando sono scomparsi gli attori antichi e sono stati sostituiti da successori meno entusiasti, l’intiepidirsi delle convinzioni contrapposte permette di gettare un velo compiacente sulle loro contraddizioni. Questo cambiamento è stato possibile grazie a un semplice abbassamento del livello delle credenze.
16 Questo fatto è talmente vero che, fin dal xvi secolo (si veda, Louis Guibert, Les anciennes corporations en Limousin…) [L. Guibert, Les anciennes corporations de métiers en Limousin, Limoges, Ducourtieux, 1883] «opposti ai sindacati dei padroni (corporazioni), troviamo sindacati di operai organizzati». Le organizzazioni allora, a Parigi, a Lione e altrove, «forniscono agli stampatori, ai fornai, ai cappellai, delle risorse per resistere ai padroni».
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