Capitolo I. La Ripetizione universale
p. 47-76
Texte intégral
I
1Può esistere una scienza, o soltanto una storia e tutt’al più una filosofia dei fatti sociali? La questione è sempre aperta, sebbene, a dire il vero, questi fatti, se li si guarda più da vicino e sotto una certa angolazione, siano suscettibili in tutto e per tutto come gli altri di risolversi in serie di piccoli fatti simili e in formule denominate leggi che riassumono queste serie. Perché allora la scienza sociale deve ancora nascere, o è appena nata, in mezzo a tutte le sue sorelle adulte e vigorose? La ragione principale, a mio avviso, è che ci si è lasciati sfuggire la preda per l’ombra, le realtà per le parole. Si è creduto di non poter dare alla sociologia una veste scientifica che dandole un aspetto biologico, oppure, meglio ancora, un aspetto meccanico. Era come cercare di chiarire il conosciuto attraverso lo sconosciuto, come trasformare un sistema solare in una nebulosa non risolvibile per comprenderlo meglio. In materia sociale, abbiamo sotto mano, grazie a un privilegio eccezionale, le vere cause, gli atti individuali di cui i fatti sono fatti, ciò che è assolutamente sottratto ai nostri sguardi in ogni altra materia. Siamo dunque dispensati, così pare, dal dover ricorrere, per la spiegazione dei fenomeni sociali, a queste cause, dette generali, che i fisici e i naturalisti sono invece obbligati a creare dando a esse il nome di forze, di energie, di condizioni di esistenza e altri palliativi verbali della loro ignoranza del fondo chiaro delle cose.
2Ma gli atti umani considerati come i soli fattori della storia! È troppo semplice. Ci si è imposti l’obbligo di inventare altre cause sul tipo di quelle finzioni utili che hanno altrove corso forzato, e ci si è rallegrati di aver potuto in questo modo accordare qualche volta ai fatti umani visti da molto in alto, perduti di vista a dire il vero, un colorito del tutto impersonale. Guardiamoci da questo idealismo vago; guardiamoci anche dall’individualismo banale che consiste nello spiegare le trasformazioni sociali attraverso il capriccio di alcuni grandi uomini. Diciamo piuttosto che esse si spiegano attraverso l’apparizione, accidentale in una certa misura, quanto al luogo e al momento, di alcune grandi idee, o piuttosto di un considerevole numero di idee piccole o grandi, facili o difficili, molto spesso inavvertite alla loro nascita, raramente gloriose, generalmente anonime, ma sempre idee nuove, e che in ragione di questa novità mi permetterei di battezzare collettivamente invenzioni o scoperte. Con questi due termini intendo un’innovazione qualsiasi oppure un perfezionamento, per piccolo che sia, apportato a un’innovazione precedente, in ogni ordine di fenomeni sociali, linguistici, religiosi, politici, giuridici, industriali, artistici. Nel momento in cui questa novità, piccola o grande, viene immaginata o decisa da un individuo, nulla in apparenza è cambiato nel corpo sociale, come nulla è cambiato nell’aspetto fisico di un organismo nel quale sia penetrato un microbo, nocivo o benigno; e i cambiamenti graduali apportati dall’introduzione di questo nuovo elemento all’interno del corpo sociale sembrano derivare, senza apparente discontinuità, dai cambiamenti precedenti nel corso dei quali si inseriscono. Di qui un’illusione ingannatrice, che induce i filosofi della storia ad affermare la continuità reale e fondamentale delle metamorfosi storiche. Eppure le loro vere cause si risolvono in una serie di idee, a dire il vero molto numerose, ma diverse e discontinue, riunite tra loro dagli atti imitativi, ancora più numerosi, che le assumono come modello.
3Bisogna partire da qui, dalle iniziative rinnovatrici che, facendo sorgere simultaneamente nuovi bisogni e nuove soddisfazioni, successivamente si propagano o tendono a diffondersi per imitazione forzata o spontanea, elettiva o inconscia, più o meno rapidamente, ma con un passo regolare, come un’onda luminosa o una famiglia di termiti. La regolarità di cui parlo non è per nulla apparente nei fatti sociali, la si scoprirà se li si scompone nei loro elementi di base, in quelli più semplici, nelle diverse invenzioni combinate, nei lampi di genio accumulati e divenuti banali lumi: analisi, è vero, molto difficile. Socialmente, tutto non è altro che invenzioni e imitazioni, e queste sono i fiumi, quelle le montagne; niente di meno sottile, a colpo sicuro, di questa veduta; ma, seguendola arditamente, senza riserve, sviluppandola dal più piccolo dettaglio fino al più completo insieme di fatti, forse si noterà quanto sia adatta a mettere in rilievo tutto il pittoresco e, a lato, tutta la semplicità della storia, a rivelare delle prospettive bizzarre come un paesaggio roccioso o regolari come il viale di un parco. È ancora dell’idealismo se vogliamo, ma dell’idealismo che consiste nello spiegare la storia attraverso le idee dei suoi attori e non attraverso quelle dello storico.
4Innanzitutto, nel considerare la scienza sociale sotto questa angolazione, vediamo la sociologia umana ricongiungersi alle sociologie animali (per così dire) come la specie al genere: specie molto singolare e infinitamente superiore alle altre, va bene, eppure fraterna. Nel suo bel volume sulle Società animali 1, che precede di molto la prima edizione di questo libro, Espinas dice espressamente che le costruzioni delle formiche si spiegano perfettamente attraverso il principio «dell’iniziativa individuale seguita da imitazione». Questa iniziativa costituisce sempre un’innovazione, un’invenzione uguale alle nostre per arditezza di spirito. Per avere l’idea di costruire un archetto, un tunnel qui o là, qui piuttosto che là, una formica dev’essere dotata di una propensione innovatrice che eguaglia o supera quella dei nostri ingegneri traforatori di istmi o di montagne. Tra parentesi, da ciò consegue che l’imitazione di queste iniziative, così nuove per la massa delle formiche, smentisce in modo eclatante il preteso misoneismo degli animali2. Accade spesso che Espinas, nelle sue osservazioni sulle società dei nostri fratelli inferiori, venga colpito dal ruolo fondamentale dell’iniziativa individuale. Ciascun branco di buoi selvaggi ha i suoi leader, le sue teste influenti. Il perfezionamento dell’istinto degli uccelli, secondo lo stesso autore, si spiega attraverso «un’invenzione parziale, trasmessa in seguito di generazione in generazione attraverso l’insegnamento diretto». Se si pensa che le modificazioni dell’istinto si ricollegano probabilmente allo stesso principio delle modificazioni della specie e della genesi di nuove specie, non si sarà forse tentati di chiedersi se il principio dell’invenzione imitata, o qualcosa di fisiologicamente analogo, non sia la più chiara spiegazione possibile del problema sempre aperto delle origini specifiche? Ma lasciamo da parte tale questione e limitiamoci a constatare che, animali o umane, le società si lasciano spiegare da questo modo di vedere.
5In secondo luogo, ed è questa la tesi specifica del presente capitolo, in base a questo punto di vista vediamo l’oggetto della scienza sociale manifestare una notevole analogia con gli altri domini della scienza generale e reintrodursi in questo modo, per così dire, al resto dell’universo, in seno al quale faceva l’effetto di un corpo estraneo.
6In ogni campo di studi, le constatazioni pure e semplici eccedono prodigiosamente le spiegazioni. E ovunque, a essere semplicemente constatati sono i dati primi, accidentali e bizzarri, le premesse e le origini da cui consegue tutto ciò che viene spiegato. Ci sono, oppure ci sono state certe nebulose, certi globi celesti, con la tal massa, il tal volume, alla tale distanza; ci sono certe sostanze chimiche; ci sono certi tipi di vibrazioni eteree, chiamate luce, elettricità, magnetismo; ci sono certi tipi organici principali, e innanzitutto ci sono degli animali e ci sono delle piante; ci sono certe catene montuose, chiamate Alpi o Ande e così via. Quando ci insegnano questi fatti capitali, da cui si deduce tutto il resto, l’astronomo, il chimico, il fisico, il naturalista, il geografo fanno opera di scienziati propriamente detti? No, fanno una semplice constatazione e non differiscono in nulla dal cronista che racconta la spedizione di Alessandro o la scoperta della stampa. Se c’è una differenza, come vedremo, essa è a tutto vantaggio dello storico. Che cosa sappiamo dunque nel senso scientifico della parola? Si risponderà senza dubbio: le cause e i fini; e quando siamo riusciti a vedere che due fatti diversi sono prodotti l’uno dall’altro o collaborano a uno stesso scopo, diciamo che li abbiamo spiegati. Eppure, supponiamo un mondo in cui niente si assomigli né si ripeta, strana ipotesi, ma a rigore intelligibile; un mondo fatto tutto di imprevisto e di novità, in cui, senza alcuna memoria, in certo qual modo, l’immaginazione creatrice si dia corso, in cui i movimenti degli astri siano senza periodo, le agitazioni dell’etere senza ritmo vibratorio, le generazioni successive senza caratteri comuni e senza tipo ereditario. Nulla impedisce di supporre, malgrado ciò, che ogni apparizione in questa fantasmagoria sia prodotta e determinata ugualmente da un’altra, e che essa lavori a sua volta per produrne un’altra ancora. Potrebbero ancora esserci delle cause e dei fini. Ma sarebbe possibile una scienza qualsiasi in quel mondo? No; e perché? Perché, ancora una volta, non vi sarebbero né somiglianze né ripetizioni.
7È questo l’essenziale. Conoscere le cause permette talvolta di prevedere; ma conoscere le somiglianze permette sempre di enumerare e di misurare, e la scienza, prima di tutto, è fatta di numero e misura. Del resto, essenziale non significa sufficiente. Una volta trovato il suo campo di somiglianze e di ripetizioni, una nuova scienza deve compararle tra loro e osservare il legame di solidarietà che unisce le loro variazioni concomitanti. Ma, a dire il vero, la mente non comprende pienamente, non ammette a titolo definitivo il legame tra la causa e l’effetto, se non quando l’effetto assomiglia alla causa, ripete la causa, quando, per esempio, un’ondulazione sonora genera un’altra ondulazione sonora, oppure una cellula un’altra cellula uguale. Niente di più misterioso, si dirà, di queste riproduzioni. È vero; ma, accettato questo mistero, non c’è niente di più chiaro di queste serie. E ogni volta che produrre non significa riprodursi, tutto diventa tenebre per noi3.
8Quando a essere simili sono le parti di uno stesso tutto, o ritenute tali, come le molecole di uno stesso volume di idrogeno, o le cellule lignee di uno stesso albero, o i soldati di uno stesso reggimento, la somiglianza viene chiamata quantità e non semplicemente gruppo. Quando, altrimenti detto, le cose che si ripetono rimangono unite tra loro moltiplicandosi, come le vibrazioni termiche o elettriche che, accumulandosi all’interno di un corpo, lo riscaldano o lo elettrizzano sempre di più, come le formazioni di cellule simili che si moltiplicano nel corpo di un bambino che sta crescendo, o come le adesioni a una stessa religione attraverso la conversione degli infedeli, la ripetizione allora si chiama incremento e non semplicemente serie. In tutto questo, non vedo nulla che possa caratterizzare l’oggetto della scienza sociale.
9Interne o esterne, del resto, quantità o gruppi, incrementi o serie, le somiglianze, le ripetizioni dei fenomeni sono i temi necessari delle differenze e delle variazioni universali, i canovacci di questi ricami, le misure di questa musica. Il mondo fantasmagorico che supponevo poco fa sarebbe, in fondo, il meno riccamente differenziato dei mondi possibili. Fino a che punto, nelle nostre società, il lavoro, accumulo di azioni ricalcate le une sulle altre, non è più innovatore delle rivoluzioni! E che cosa c’è di più monotono della vita emancipata del selvaggio se paragonata alla vita assoggettata dell’uomo civilizzato? Senza ereditarietà, sarebbe mai possibile un progresso organico? Senza la periodicità dei movimenti celesti, senza il ritmo ondulatorio dei movimenti terrestri, si sarebbe mai potuta sviluppare l’esuberante varietà delle ere geologiche e delle creazioni viventi?
10Le ripetizioni conducono dunque alle variazioni. Se si ammettesse il contrario, la necessità della morte – problema giudicato pressoché insolubile da Delboeuf nel suo libro sulla materia bruta e la materia vivente4 – non sarebbe comprensibile; giacché, per quale motivo la trottola vivente, una volta avviata, non ritorna eternamente? Invece, se le ripetizioni non hanno che una sola ragion d’essere, quella di mostrare sotto tutte le sue sfaccettature un’unica originalità che cerca di farsi luce, in questa ipotesi la morte deve fatalmente sopraggiungere con l’esaurimento delle modulazioni espresse. Notiamo di passaggio, a questo proposito, che il rapporto tra l’universale e il particolare, alimento di tutta la controversia filosofica del medioevo sul nominalismo e il realismo, è uguale a quello tra la ripetizione e la variazione. Il nominalismo è la dottrina secondo la quale gli individui sono le sole realtà che contano; e per individui bisogna intendere gli esseri considerati in base al loro aspetto differenziale. Il realismo, al contrario, non considera come degni di attenzione e del nome di realtà, in un certo individuo, che i caratteri in base ai quali assomiglia ad altri individui e tende a riprodursi in altri individui simili a lui. L’interesse di questo tipo di speculazioni emerge quando si pensa che il liberalismo, individualista in politica, è un tipo particolare di nominalismo, e che il socialismo è un tipo particolare di realismo.
11Ogni ripetizione, sociale, organica o fisica, non importa, cioè imitativa, ereditaria o vibratoria (per riferirci soltanto alle forme più sorprendenti e più tipiche della Ripetizione universale), deriva da un’innovazione, come ogni luce deriva da un centro irradiante [foyer]; e così il normale, in ogni ordine di conoscenza, sembra derivare dall’accidentale. Dato che, tanto la propagazione di una forza attrattiva o di una vibrazione luminosa a partire da un astro, che quella di una razza animale a partire da una prima coppia, o quella di un’idea, di un bisogno, di un rito religioso, in un’intera nazione, a partire da uno scienziato, da un inventore, da un missionario, sono ai nostri occhi dei fenomeni naturali ordinati in modo regolare, quanto l’ordine in parte inesprimibile nel quale sono apparsi oppure si sono contrapposti i focolai di tutti questi irradiamenti (per esempio, le diverse industrie, religioni, istituzioni sociali, i diversi tipi organici, le diverse sostanze chimiche o masse celesti) ci sorprende sempre per la sua stranezza. Tutte queste belle uniformità o queste belle serie – l’idrogeno identico a se stesso nell’infinita moltitudine dei suoi atomi dispersi tra tutti gli astri del cielo, oppure l’espansione della luce di una stella nell’immensità dello spazio; il protoplasma identico a se stesso da un estremo all’altro della scala vivente, oppure la sequenza invariabile di incalcolabili generazioni di specie marine fin dai tempi geologici; le identiche radici verbali delle lingue indoeuropee in quasi tutta l’umanità civilizzata, o la trasmissione straordinariamente fedele delle parole, dalla lingua copta degli antichi Egizi fino a noi… – tutte queste innumerevoli folle di cose che si assomigliano e che sono collegate allo stesso modo, di cui ammiriamo la coesistenza o la successione ugualmente armoniose, si ricollegano ad accidenti fisici, biologici, sociali, di cui ci sfugge il legame.
12Anche in questi casi, l’analogia tra i fatti sociali e gli altri fenomeni naturali continua. Se tuttavia i primi, considerati dagli storici e anche dai sociologi, ci sembrano un caos, mentre i secondi, esaminati dai fisici, dai chimici, dai fisiologi, danno l’impressione di mondi molto ben ordinati, non c’è di che esserne sorpresi. Questi scienziati ci mostrano l’oggetto della loro scienza soltanto dal punto di vista delle somiglianze e delle ripetizioni che sono loro proprie, relegando in un’ombra prudente il punto di vista delle differenze e delle trasformazioni (o transustanziazioni) corrispondenti. Gli storici e i sociologi, al contrario, gettano un velo sull’aspetto monotono e regolare dei fatti sociali, sui fatti sociali in quanto si assomigliano e si ripetono, e ci presentano soltanto il loro aspetto accidentato e interessante, rinnovato e diversificato all’infinito. Se si tratta dei Gallo-Romani, al filosofo della storia non verrà mai l’idea, immediatamente dopo la conquista di Cesare, di accompagnarci passo dopo passo in tutta la Gallia per mostrarci ogni parola latina, ogni rito romano, ogni comando, ogni manovra militare, secondo l’uso delle legioni romane, ogni mestiere, ogni usanza, ogni servizio, ogni legge, ogni idea particolare infine e ogni bisogno particolare importati da Roma, mentre si irradiano progressivamente dai Pirenei al Reno per raggiungere successivamente, in seguito a una lotta più o meno aspra contro le antiche idee e le antiche usanze celtiche, tutte le bocche, tutte le braccia, tutti i cuori e tutte le menti dei Galli, copisti entusiasti di Cesare e di Roma. Certamente, se ci fa fare una volta questa lunga passeggiata, non ce la farà rifare ogni volta che vi sono delle parole o delle forme grammaticali nella lingua romana, delle formalità rituali nella religione romana o delle manovre insegnate ai legionari dai loro ufficiali istruttori, delle varietà dell’architettura romana, templi, basiliche, teatri, circhi, acquedotti, ville con il loro atrio ecc., dei versi di Virgilio o di Orazio insegnati nelle scuole a milioni di scolari, della legislazione romana, dei procedimenti industriali e artistici trasmessi fedelmente e indefinitamente da operaio ad apprendista e da maestro ad allievo nella civiltà romana. Eppure, è soltanto a questo prezzo che ci si può rendere conto esattamente dell’enorme dose di regolarità che le società, anche le più turbolente, contengono al loro interno.
13Poi, quando il cristianesimo sarà apparso, lo stesso storico si guarderà bene, senza alcun dubbio, dal farci ricominciare questa noiosa peregrinazione a proposito di ciascun rito cristiano che si propaga nella Gallia pagana non senza resistenza, come un’onda sonora nell’aria già vibrante. – In compenso, ci insegnerà che, alla tal data, Giulio Cesare ha conquistato la Gallia, e che alla talaltra certi santi sono venuti a predicare la dottrina cristiana in questa contrada. Forse ci elencherà anche i diversi elementi da cui sono composte la civiltà romana o la fede e la morale cristiane, introdotte nel mondo gallico. Si porrà allora per lui il problema di comprendere, di presentare sotto un lume razionale, logico, scientifico, questa bizzarra sovrapposizione del cristianesimo alla romanità, o meglio, il passaggio dalla graduale romanizzazione alla graduale cristianizzazione; e la difficoltà non sarà inferiore a quella di spiegare razionalmente, nella romanità e nel cristianesimo presi a parte, la strana giustapposizione tra frammenti etruschi, greci, orientali e altri, anch’essi molto eterogenei, che costituiscono la prima, e quella tra le idee giudee, egizie, bizantine, molto poco coerenti del resto, anche in ciascun gruppo distinto, che costituiscono il secondo. È questo tuttavia l’arduo compito che il filosofo della storia si proporrà; non crederà di poterlo eludere se vuole fare opera di scienziato, e si affaticherà il cervello a fare dell’ordine con questo disordine, a cercare la legge di questi casi e la ragione di questi incontri. Sarebbe più utile cercare di capire come e perché talvolta da questi incontri nascano delle armonie, e in che cosa esse consistano. Cercheremo di farlo più avanti.
14Insomma, è come se un botanico si credesse tenuto a trascurare tutto ciò che concerne la generazione dei vegetali di una stessa specie o di una stessa varietà, e anche la loro crescita e la loro nutrizione, il tipo di generazione cellulare o di rigenerazione dei tessuti; oppure è come se un fisico trascurasse lo studio delle diverse ondulazioni sonore, luminose, termiche, e il loro modo di propagazione attraverso i diversi mezzi, anch’essi ondulatori. Ci si potrebbe mai immaginare l’uno persuaso che l’oggetto specifico ed esclusivo della sua scienza sia la successione dei diversi tipi specifici, dalla prima alga fino all’ultima orchidea, e la giustificazione profonda di questa successione; e l’altro convinto che i suoi studi abbiano come unico scopo quello di ricercare per quale ragione vi siano precisamente i sette modi di ondulazione luminosa che conosciamo, così come l’elettricità e il magnetismo, e non altre specie di vibrazione eterea? Questioni certamente interessanti e che il filosofo ha il diritto di sollevare, ma certo non lo scienziato, in quanto la loro soluzione non potrebbe mai avere l’alto grado di probabilità che egli richiede. È chiaro che la condizione principale per essere anatomista o fisiologo è lo studio dei tessuti, aggregati di cellule, di fibre, di vasi simili, oppure lo studio delle funzioni, accumulazioni di piccole contrazioni, di piccole innervazioni, di piccole ossidazioni o disossidazioni simili, infine e prima di tutto la fede nell’ereditarietà, questa grande operaia della vita. È altrettanto chiaro che, per essere chimico o fisico, bisogna innanzitutto esaminare molti volumi gassosi, liquidi, solidi, fatti di corpuscoli del tutto simili, o delle cosiddette forze fisiche che sono delle masse prodigiose fatte di piccole vibrazioni simili accumulate. Nel mondo fisico tutto si riconduce, in effetti, o sta per essere ricondotto, all’ondulazione; tutto assume sempre più un carattere essenzialmente ondulatorio, così come nel mondo vivente la facoltà generatrice, la proprietà di trasmettere ereditariamente le più piccole particolarità (nate, il più delle volte, non si sa come) è sempre più spesso considerata interna alla più piccola cellula.
15Altrettanto bene forse si riconoscerà, leggendo questo lavoro, che l’essere sociale, in quanto sociale, è essenzialmente imitatore, e che l’imitazione svolge nelle società un ruolo analogo a quello dell’ereditarietà negli organismi o dell’ondulazione nei corpi bruti. Se è così, si dovrà ammettere, di conseguenza, che un’invenzione umana, attraverso la quale viene inaugurato un nuovo tipo di imitazione, aperta una nuova serie, per esempio l’invenzione della polvere da sparo5, o dei mulini a vento, o del telegrafo Morse, rappresenta per la scienza sociale quello che la formazione di una nuova specie vegetale o minerale (oppure, nell’ipotesi dell’evoluzione lenta, ciascuna delle modificazioni lente che l’hanno diretta) rappresenta per la biologia, e quello che rappresenterebbe per la fisica l’apparizione di un nuovo modo di movimento che venisse a prendere posto a fianco dell’elettricità, della luce e così via, o quello che rappresenta per la chimica la formazione di un nuovo corpo. Al filosofo della storia, che si sforza di trovare una legge delle invenzioni scientifiche, industriali, artistiche, politiche, apparse successivamente e raggruppate nei modi più bizzarri, occorrerebbe quindi paragonare, per fare un giusto paragone, non il fisiologo e il fisico così come li conosciamo, Claude Bernard o Tyndall in particolare, ma un filosofo della natura come Schelling, o come Haeckel nei suoi momenti di ebbrezza immaginativa.
16Ci si accorgerebbe allora che l’indigesta incoerenza dei fatti storici, tutti risolvibili in correnti di esempi diversi di cui costituiscono l’incontro, esso stesso destinato a essere copiato più o meno esattamente, non prova nulla contro la regolarità fondamentale del mondo sociale e contro la possibilità di una scienza sociale; che, a dire il vero, questa scienza esiste, allo stato disperso, nella piccola esperienza di ciascuno di noi, ed è sufficiente ricomporne i frammenti. Per giunta, la raccolta dei fatti storici non potrà apparire più incoerente, a colpo sicuro, della collezione dei tipi viventi e delle sostanze chimiche; e perché mai si dovrebbe esigere dal filosofo della storia il bell’ordine simmetrico e razionale che non ci si sogna di chiedere al filosofo della natura? Ma c’è qui una differenza tutta a onore del primo. È soltanto a fatica che i naturalisti hanno recentemente intravisto con qualche chiarezza che le specie viventi derivano le une dalle altre; gli storici non hanno atteso così a lungo per sapere che i fatti della storia sono collegati. Quanto ai chimici e ai fisici, non ne parliamo. Essi non osano ancora prevedere il giorno in cui sarà loro permesso di tracciare a loro volta l’albero genealogico delle sostanze semplici, e in cui uno di loro pubblicherà sull’Origine degli atomi un libro destinato al successo dell’Origine delle specie di Darwin. È vero che Lecoq de Boisbaudran e Mendeleev hanno creduto di intravedere una serie naturale dei corpi semplici e che le speculazioni tutte filosofiche del primo a questo proposito non sono estranee alla scoperta del Gallium. Ma, se vi si guarda più da vicino, non si troverà in questi tentativi notevoli, e anche nei diversi sistemi dei nostri evoluzionisti sulla ramificazione genealogica dei tipi viventi, più precisione e certezza di quanta non se ne veda brillare nelle idee di Herbert Spencer e di Vico sulle evoluzioni sociali cosiddette periodiche e fatali. L’origine degli atomi è molto più misteriosa di quella delle specie, la quale, a sua volta, lo è molto più di quella delle diverse civiltà. Possiamo paragonare le specie viventi attuali alle specie che le hanno precedute, di cui troviamo i resti negli strati del sottosuolo; ma non ci resta la minima traccia delle sostanze chimiche che hanno dovuto precedere, nella preistoria astronomica per così dire, in insondabili e inimmaginabili passati, le sostanze chimiche attualmente esistenti sulla terra o nelle stelle. Di conseguenza, la chimica, per la quale il problema delle origini non può nemmeno essere posto, è meno avanzata, in questo senso essenziale, della biologia; e, per la stessa ragione, la biologia lo è meno, in fondo, della sociologia.
17Da quanto precede, risulta che una cosa è la scienza, un’altra la filosofia sociale; che la scienza sociale deve fondarsi esclusivamente, come ogni altra, su molteplici fatti simili, accuratamente nascosti dagli storici, e che i fatti nuovi e dissimili, i fatti storici propriamente detti, sono il campo riservato alla filosofia sociale; che, da questo punto di vista, la scienza sociale potrebbe essere avanzata tanto quanto le altre scienze, e che la filosofia sociale lo è molto di più di tutte le altre filosofie.
18In questo volume, ci occupiamo unicamente della scienza sociale; così sarà questione soltanto dell’imitazione e delle sue leggi. Altrove e più tardi, andremo a studiare le leggi o le pseudoleggi dell’invenzione, che è una questione del tutto diversa, sebbene non interamente separabile dalla prima6.
II
19Terminati questi lunghi preliminari, devo delineare una tesi importante che si presenta intricata e oscura. Non esiste scienza, come abbiamo detto, che non si occupi delle quantità e degli incrementi, o, in termini più generali, delle somiglianze e delle ripetizioni dei fenomeni.
20Ma, a dire il vero, questa distinzione è superflua e superficiale. Ogni progresso del sapere, in effetti, tende a rafforzarci nella convinzione che tutte le somiglianze sono dovute a delle ripetizioni. Credo che bisognerebbe sviluppare questa proposizione nelle seguenti tre:
Tutte le somiglianze che si osservano nel mondo chimico, fisico, astronomico (atomi di uno stesso corpo, onde di uno stesso raggio luminoso, strati concentrici di attrazione di cui ciascun globo celeste è il fuoco) hanno come unica spiegazione e causa possibile dei movimenti periodici e principalmente vibratori.
Tutte le somiglianze di origine vivente, del mondo vivente, derivano dalla trasmissione ereditaria, dalla generazione sia infrasia extraorganica. È attraverso la parentela tra le cellule e la parentela tra le specie che oggi vengono spiegate le analogie o le omologie di tutti i tipi rilevate dall’anatomia comparata tra le specie e dall’istologia tra gli elementi corporei.
Tutte le somiglianze di origine sociale, che si osservano nel mondo sociale, sono il frutto diretto o indiretto dell’imitazione in tutte le sue forme, imitazione-consuetudine o imitazione-moda, imitazione-simpatia o imitazione-obbedienza, imitazione-istruzione o imitazione-educazione, imitazione-ingenua o imitazione-ponderata ecc. Di qui l’eccellenza del metodo contemporaneo che rende conto delle dottrine o delle istituzioni attraverso la loro storia. Questa tendenza non può che generalizzarsi. Si dice che i grandi geni, i grandi inventori si incontrano; ma, innanzitutto, queste coincidenze sono molto rare. Poi, quando si sono realizzate, hanno sempre la loro origine in un fondo di istruzione comune dal quale hanno attinto indipendentemente l’uno dall’altro i due autori della stessa invenzione; e questo fondo consiste in un ammasso di tradizioni, di esperienze brute oppure più o meno organizzate, trasmesse imitativamente attraverso il grande veicolo di tutte le imitazioni, il linguaggio.
21È stato, sottolineiamolo, fondandosi implicitamente sulla nostra terza proposizione, che i filologi del nostro secolo, attraverso la comparazione analogica del sanscrito con il latino, il greco, il tedesco, il russo e le altre lingue della stessa famiglia, sono stati indotti ad ammettere che in questi casi ci troviamo effettivamente di fronte a una famiglia, e che essa ha come comune antenato una stessa lingua trasmessa tradizionalmente, eccetto alcune modificazioni, ciascuna delle quali ha costituito un’autentica invenzione linguistica anonima, essa stessa perpetuata per via imitativa. Ma ritorneremo su questa terza tesi nel prossimo capitolo, per svilupparla e rettificarla.
22Esiste soltanto una sola grande categoria delle somiglianze universali che non sembri, a prima vista, il prodotto di una ripetizione qualsiasi: è la somiglianza delle parti contrapposte e immobili dello spazio infinito, condizione di ogni movimento sia vibratorio e generatore, che propagatore e conquistatore. Ma non fermiamoci a questa eccezione apparente, che ci è sufficiente indicare. La sua discussione ci trascinerebbe troppo lontano.
23Lasciando dunque da parte questa anomalia, forse illusoria, teniamo per vera la nostra proposizione generale, e segnaliamo una conseguenza che ne deriva direttamente. Se quantità significa somiglianza, se ogni somiglianza deriva da una ripetizione, e se ogni ripetizione è una vibrazione (o qualsiasi altro movimento periodico), una generazione o un’imitazione, ne consegue che, nell’ipotesi in cui nessun movimento non sia, né sia mai stato, vibratorio, nessuna funzione ereditaria, nessuna azione o idea appresa oppure copiata, non esisterebbe affatto quantità nell’universo, e la matematica resterebbe inutilizzata, priva di ogni possibile applicazione. Ne consegue anche che, nell’ipotesi inversa, se il nostro universo fisico, vivente, sociale, dispiegasse ancora di più le sue attività vibratorie, generative, propagatrici, il campo del calcolo sarebbe ancora più esteso e profondo. Questo è evidente nelle nostre società europee, nelle quali i progressi straordinari della moda in tutte le sue forme, della moda applicata all’abbigliamento, agli alimenti, agli alloggi, ai bisogni, alle idee, alle istituzioni, alle arti, stanno facendo dell’Europa l’edizione di uno stesso tipo umano riprodotto in diverse centinaia di milioni di esemplari. Non vediamo forse, fin dai suoi inizi, questo prodigioso livellamento consentire la nascita e lo sviluppo della statistica, dell’economia politica, e di quella che abbiamo correttamente definito la fisica sociale? Senza la moda e la consuetudine, non esisterebbe affatto quantità sociale, in particolare nessun valore, nessuna moneta, e pertanto nessuna scienza delle ricchezze e delle finanze (come è possibile che gli economisti abbiano potuto pensare di elaborare delle teorie del valore in cui l’idea di imitazione non interviene mai?) Ma l’applicazione del numero e della misura alle società, che tentiamo in questa sede, potrebbe essere soltanto timida e parziale; l’avvenire ci riserva a questo proposito molte sorprese!
III
24Sarebbe questa la sede adatta in cui sviluppare le sorprendenti analogie, le differenze non meno istruttive e le relazioni reciproche che presentano le tre forme principali della ripetizione universale. Dovremmo anche cercare la ragione di questi grandiosi ritmi scaglionati e intrecciati, domandarci se la materia di queste forme somigli loro o no, se il sostrato attivo e sostanziale di questi fenomeni ben ordinati partecipi della loro saggia uniformità, se forse la sua eterogeneità essenziale non contrasti con esse, come un popolo nel quale non appaia nulla, a livello della sua superficie amministrativa e militare, delle tumultuose originalità che lo costituiscono e gli permettono di svilupparsi.
25Questo doppio argomento sarebbe troppo ampio. Tuttavia, sul primo punto, vi sono delle analogie manifeste che dobbiamo segnalare. E innanzitutto, il fatto che queste ripetizioni sono allo stesso tempo delle moltiplicazioni, dei contagi che si diffondono. Una pietra cade nell’acqua, e la prima onda prodotta si ripete allargandosi fino ai limiti del bacino; accendo un fiammifero, e la prima ondulazione impressa all’etere si propaga istantaneamente in un ampio spazio. È sufficiente una coppia di termiti o di filossera trasportata su un continente per sconvolgerlo in pochi anni; l’Erigeron canadese, erba dannosa importata in Europa molto recentemente, abbonda già dappertutto nei campi incolti. Conosciamo le leggi di Malthus e di Darwin sulla tendenza degli individui di una specie a progredire geometricamente: vere e proprie leggi dell’irradiamento generatore degli individui viventi. Allo stesso modo, un dialetto locale, ad uso di alcune famiglie, diventa a poco a poco, per imitazione, un idioma nazionale. All’origine delle società, l’arte di tagliare la selce, di addomesticare il cane, di fabbricare un arco, più tardi di far lievitare il pane, di lavorare il bronzo, di estrarre il ferro, ha dovuto espandersi contagiosamente, essendo ciascuna freccia, ciascun pezzo di pane, ciascuna fibula in bronzo, ciascuna selce tagliata, allo stesso tempo copia e modello. Nello stesso modo avviene anche ai giorni nostri la diffusione irradiante delle buone ricette di tutti i tipi, con la differenza che la densità crescente della popolazione e i progressi compiuti accelerano prodigiosamente questa diffusione, come la rapidità del suono varia in base alla densità del mezzo. Ogni cosa sociale, cioè ogni invenzione oppure ogni scoperta, tende a diffondersi nel suo ambiente sociale, ambiente che, aggiungerei, tende a sua volta ad ampliarsi, in quanto è composto essenzialmente da cose simili, tutte ambiziose all’infinito.
26Ma questa tendenza, sia nel mondo sociale sia in quello naturale, il più delle volte fallisce in seguito alla concorrenza delle tendenze rivali, il che importa poco in teoria. Per di più, essa è metaforica; non sarebbe possibile attribuire un desiderio proprio più all’onda e alla specie che all’idea, e con questo bisogna capire che le forze sparse, individuali, interne agli innumerevoli esseri di cui è composto l’ambiente nel quale queste forme si propagano, si sono date una direzione comune. Così intesa, questa tendenza presuppone che l’ambiente in questione sia omogeneo, condizione che l’ambiente etereo o aereo dell’onda parrebbe in buona misura realizzare, l’ambiente geografico e chimico della specie molto meno, e l’ambiente sociale dell’idea a un livello infinitamente inferiore. Ma credo che si avrebbe torto nell’esprimere questa differenza dicendo che l’ambiente sociale è più complesso degli altri. È forse, al contrario, proprio perché è numericamente molto più semplice, che è più lontano dal presentare l’omogeneità richiesta, giacché è sufficiente un’omogeneità solo superficialmente reale. Perciò, nella misura in cui aumentano le masse umane, la diffusione delle idee, seguendo una progressione geometrica regolare, è più accentuata. Spingiamo al limite questa argomentazione numerica, supponiamo che la sfera sociale in cui un’idea può diffondersi sia composta non soltanto da un gruppo tanto numeroso da far sorgere le principali varietà morali della specie umana, ma anche da collezioni complete di questo tipo ripetute uniformemente migliaia di volte, in modo che l’uniformità di queste ripetizioni renda il tutto omogeneo alla superficie, malgrado la complessità interna di ciascuna delle sue parti. Non abbiamo qualche ragione di pensare che sia proprio questo il tipo di omogeneità che caratterizza tutto quello che la natura presenta come realtà semplici e dall’aspetto uniforme? In questa ipotesi, è chiaro che il successo più o meno grande, la velocità di propagazione maggiore o minore di un’idea, il giorno della sua apparizione, fornirebbe la ragione matematica, in un certo qual modo, della sua progressione ulteriore. Fin da ora, i produttori di articoli che rispondono a bisogni di prima necessità, e destinati di conseguenza a un consumo universale, possono predire, in seguito alla domanda di un’annata a un certo prezzo, quale sarà la domanda dell’annata seguente allo stesso prezzo, se almeno non interviene nessun ostacolo proibizionista o di altro tipo, oppure se non viene scoperto nessun articolo simile e più perfezionato.
27Si dice: senza facoltà di previsione, niente scienza. Rettifichiamo: sì, senza facoltà di previsione condizionale. Alla vista di un fiore, il botanico può prevedere quale sarà la sua forma, il colore del frutto che produrrà, a meno che la siccità non lo uccida o che non appaia una varietà individuale nuova e imprevista (una specie di invenzione biologica secondaria). Il fisico può affermare che questo colpo di fucile partito proprio adesso sarà sentito entro un certo numero di secondi, a una certa distanza, purché nulla intercetti il suono su questa traiettoria, oppure che, in questo intervallo di tempo, un rumore più forte, un colpo di cannone per esempio, non si faccia sentire. Ebbene, è proprio allo stesso titolo che il sociologo merita il nome di scienziato propriamente detto; dato che vi è oggi un certo numero di focolai di irradiamenti imitativi, che tendono a procedere insieme o separatamente a una certa velocità approssimativa, egli è in grado di predire quale sarà lo stato sociale nei prossimi dieci o vent’anni, a condizione che qualche riforma o rivoluzione politica non venga a ostacolare questa espansione e che non sorgano focolai rivali.
28Senza dubbio in questo ultimo caso l’evento condizionale è molto probabile, più probabile forse che nel primo. Ma si tratta soltanto di una differenza di grado. Del resto, osserviamo che, in una certa misura (che riguarda la filosofia e non la scienza storica), le scoperte, le iniziative già compiute e diffuse con successo, determinano vagamente il senso nel quale avranno luogo le scoperte e le iniziative riuscite dell’avvenire. Inoltre, le forze sociali che agiscono con un’importanza reale in una certa epoca storica, sono composte non soltanto dagli irradiamenti imitativi ancora necessariamente deboli, emanati da invenzioni recenti, ma anche dagli irradiamenti imitativi emanati da invenzioni antiche, molto più diffusi e intensi, in quanto hanno avuto tutto il tempo necessario per diffondersi e consolidarsi nelle abitudini, nei costumi, nei cosiddetti «istinti razziali» fisiologici7. Perciò l’ignoranza nella quale ci troviamo attualmente rispetto alle scoperte impreviste che avverranno tra dieci, venti, cinquant’anni, dei capolavori rinnovatori dell’arte che appariranno, delle battaglie oppure dei colpi di stato o di forza che faranno il loro scalpore, non ci potrebbe impedire di predire quasi a colpo sicuro, nell’ipotesi che ho sostenuto precedentemente, in quale direzione e a quale profondità scorrerà il fiume delle aspirazioni e delle idee che gli ingeneri politici, i grandi generali, i grandi poeti, i grandi musicisti, dovranno discendere o risalire, arginare o combattere.
29Come esempi in appoggio alla progressione geometrica delle imitazioni, potrei citare le statistiche relative al consumo del caffè, del tabacco ecc., dalla loro prima importazione fino all’epoca in cui il mercato ha cominciato a esserne saturo, oppure al numero delle locomotive costruite dopo la prima8. Citerò una scoperta in apparenza meno favorevole alla mia tesi, la scoperta dell’America. Essa è stata imitata nel senso che il primo viaggio dall’Europa all’America, immaginato e compiuto da Colombo, è stato ripercorso un numero di volte sempre maggiore da altre navi con delle varianti, ognuna delle quali ha costituito una piccola scoperta, innestata su quella del grande genovese, e ha avuto a sua volta degli imitatori.
30Approfitto di questo esempio per aprire una parentesi. L’America avrebbe potuto essere scoperta due secoli prima o due secoli dopo da un navigatore di immaginazione. Due secoli prima, nel 1292, sotto Filippo il Bello, al tempo delle dispute di questo monarca con Roma e del suo ardito tentativo di laicizzazione e di centralizzazione amministrativa, questo sbocco verso un mondo nuovo offerto alla sua ambizione non avrebbe mancato di sovreccitarla e di affrettare l’avvento del mondo moderno. Due secoli più tardi, nel 1692, essa avrebbe giovato alla Francia di Enrico IV, sicuramente più che alla Spagna, la quale, non avendo avuto questa ricca preda da divorare da duecento anni, sarebbe stata allora meno ricca e meno prospera. Chissà se, nella prima ipotesi, la guerra dei Cent’anni non sarebbe stata evitata, e, nella seconda, l’Impero di Carlo V? In tutti i casi, il bisogno di possedere delle colonie, bisogno creato e soddisfatto allo stesso tempo dalla scoperta di Cristoforo Colombo, e che ha svolto un ruolo tanto importante nella vita politica dell’Europa a partire dal xv secolo, sarebbe sorto soltanto nel xvii, e, a quest’ora, l’America del Sud sarebbe francese, e l’America del Nord non conterebbe ancora politicamente. Quale differenza per noi! E c’è mancato un pelo che Cristoforo Colombo non fallisse nella sua impresa! – Ma bando a queste speculazioni sui passati contingenti, non meno importanti del resto ai miei occhi, e non meno fondati, dei futuri contingenti.
31Altro esempio, e il più eclatante di tutti. L’Impero romano è caduto; ma, lo si è detto molto chiaramente, la conquista romana vive ancora e si prolunga. Attraverso Carlo Magno si è estesa ai Germani che, cristianizzandosi, si sono romanizzati; attraverso Guglielmo il Conquistatore, agli Anglosassoni; attraverso Colombo, all’America; attraverso i Russi e gli Inglesi, all’Asia, all’Australia, presto all’intera Oceania. Il Giappone desidera già essere invaso a sua volta; soltanto la Cina sembra dover offrire una seria resistenza. Ma ammettiamo che anch’essa si assimili un giorno. Allora si potrà dire che Atene e Roma, e anche Gerusalemme, cioè il tipo di civiltà formata dal fascio delle loro iniziative e delle loro idee di genio, coordinate e combinate, hanno conquistato il mondo intero. Tutte le razze, tutte le nazionalità avranno partecipato a questo contagio imitativo illimitato della civiltà greco-romana. Certamente non sarebbe accaduto lo stesso se Dario o Serse avessero vinto e ridotto la Grecia a provincia persiana, o se l’islamismo avesse trionfato su Carlo Martello e invaso l’Europa, oppure se la Cina, da tremila anni a questa parte, fosse stata tanto bellicosa quanto è stata industriosa e avesse rivolto il suo spirito di invenzione verso le armi tanto quanto lo ha fatto verso le arti della pace, oppure se, al momento della scoperta dell’America, gli europei non avessero ancora inventato la polvere da sparo e la stampa e si fossero trovati in uno stato di inferiorità militare rispetto agli Aztechi e agli Incas. Ma il caso ha voluto che, tra tutti i tipi di civiltà, tra tutti i fasci collegati di invenzioni irradianti che erano sorti spontaneamente in diversi punti del globo, il tipo al quale noi apparteniamo l’abbia avuta vinta. Se non avesse prevalso, tuttavia, un altro avrebbe finito per prevalere, poiché quello che era certo e inevitabile, era che a lungo andare uno qualunque tra loro sarebbe diventato universale, poiché tutti aspiravano all’universalità, tutti tendevano a propagarsi imitativamente secondo una progressione geometrica; come ogni onda luminosa o sonora, come ogni specie animale o vegetale.
IV
32Indichiamo adesso un nuovo ordine di analogie. Le imitazioni (parole di una lingua, miti di una religione, segreti di un’arte militare, forme letterarie…) passando da una razza o da una nazione all’altra si modificano, dagli Indù ai Germani per esempio, oppure dai Latini ai Galli, come fanno le onde fisiche o i tipi viventi passando da un ambiente all’altro. In alcuni casi, le modificazioni constatate in questo modo sono state così numerose da permettere di individuare il senso generale e uniforme in base al quale esse si verificano. È, segnatamente, il caso delle lingue: così possiamo dire delle leggi di Grimm, e meglio ancora di Raynouard, in filologia, che sono delle leggi di rifrazione linguistica.
33Le leggi di Raynouard ci insegnano che passando dall’ambiente romano all’ambiente spagnolo o gallico, le diverse parole latine sono state trasformate in un modo identico e caratteristico, in cui ogni lettera è diventata un’altra lettera determinata; quelle di Grimm, che una certa consonante del tedesco o dell’inglese equivale a un’altra consonante del sanscrito o del greco; ciò significa, in fondo, che passando dall’ambiente ariano primitivo all’ambiente germanico, ellenico o indù, la lingua madre ha modificato le sue consonanti nel senso indicato, qui sostituendo l’aspirata alla forte, altrove la forte all’aspirata ecc.
34Se le religioni fossero numerose quanto le lingue (queste ultime non lo sono mai abbastanza per fornire una base di comparazione sufficiente a osservazioni generali esprimibili in leggi), e soprattutto se, all’interno di ogni religione, le idee religiose fossero numerose quanto lo sono le parole in ogni lingua, potrebbero esistere, in mitologia comparata, delle leggi di rifrazione mitologica analoghe alle precedenti. Ora, possiamo anche seguire un certo mito, quello di Cerere o di Apollo, attraverso le modificazioni che gli sono state impresse dal genio dei diversi popoli che lo hanno adottato. Ma esistono così pochi miti da comparare in questo modo che non si potrebbero vedere, nelle pieghe che hanno ricevuto separatamente da uno stesso popolo, dei tratti comuni comprensibili e qualcosa di diverso da un’aria di famiglia. Malgrado tutto, nello studio delle forme che le stesse idee religiose hanno assunto, passando dal vedismo al brahmanesimo o a Zoroastro, dal mosaismo a Cristo o a Maometto, o dalle sette cristiane dissidenti e dalle diverse chiese greca, romana, anglicana, gallicana, non abbiamo molte osservazioni da fare? Oppure in questa materia tutto ciò che era possibile dire è stato detto, e rimane soltanto da scegliere.
35I critici d’arte non hanno mancato di presentire confusamente quelle che si potrebbero chiamare le leggi di rifrazione artistica tipiche di ogni popolo, in ognuno dei suoi periodi, in ogni regione artistica determinata, olandese, italiana, francese, in pittura, in musica, in architettura, in poesia. Non insisto. Tuttavia, sarebbe soltanto una metafora e una puerilità dire che Teocrito si è rifratto in Virgilio, Menandro in Terenzio, Platone in Cicerone, Euripide in Racine?
36Altra analogia. Esistono interferenze tra imitazioni, tra cose sociali, così come ne esistono tra onde e tra tipi viventi. Quando due onde, due cose fisiche più o meno simili, dopo essersi propagate separatamente a partire da due focolai diversi, arrivano a incontrarsi all’interno di uno stesso essere fisico, in una stessa particella di materia, i loro impulsi si rafforzano oppure si neutralizzano, a seconda che abbiano luogo nello stesso senso oppure in due sensi esattamente contrari sulla stessa linea retta. Nel primo caso, sorge un’onda nuova, più complessa e più forte, che tende a propagarsi a sua volta. Nel secondo caso, ne risulta una lotta e una distruzione parziale, fino a quando una delle due rivali non prevale sull’altra. Parimenti, quando, dopo essersi riprodotti separatamente di generazione in generazione, due tipi specifici molto vicini, due cose vitali, arrivano a incontrarsi, non soltanto semplicemente in uno stesso luogo (animali diversi che si combattono o che si sbranano), il che darebbe luogo a un incontro rigidamente fisico, ma anche all’interno di uno stesso essere vivente, in una stessa cellula-uovo fecondata con un accoppiamento ibrido, unico tipo di incontro e di interferenza veramente vitale, sappiamo allora che cosa succede. Oppure il prodotto, di una vitalità superiore a quella dei suoi genitori, più fecondo e più prolifico, trasmette a una posterità sempre più numerosa i suoi caratteri distintivi, vera scoperta della vita; oppure, più gracile, dà alla luce alcuni discendenti imbastarditi nei quali i caratteri incompatibili dei progenitori, violentemente congiunti, non tardano a operare il loro divorzio con il trionfo definitivo dell’uno e l’espulsione dell’altro. Lo stesso accade anche quando due credenze e due desideri, oppure un desiderio e una credenza, due cose sociali in una parola (perché non esiste nient’altro che questo, in ultima analisi, nei fatti sociali, con i diversi nomi di dogmi, sentimenti, leggi, bisogni, usanze, costumi) che hanno percorso per un certo periodo separatamente il loro cammino nel mondo in virtù dell’educazione o dell’esempio, cioè dell’imitazione, finiscono per incontrarsi. Occorre, perché abbia luogo il loro incontro e la loro interferenza veramente psicologica e sociale, non soltanto che esse coesistano all’interno di uno stesso cervello e facciano parte contemporaneamente di uno stesso stato d’animo o di cuore, ma anche che l’una si presenti sia come mezzo che come ostacolo rispetto all’altra, oppure come un principio di cui l’altra costituisce la conseguenza, o anche come un’affermazione di cui l’altra costituisce la negazione. Per quanto riguarda quelle che non sembrerebbero né aiutarsi né nuocersi, né confermarsi né contraddirsi, non potrebbero interferire più di quanto potrebbero fare due onde assolutamente diverse o due tipi viventi troppo distanti per potersi accoppiare. Se sembrano aiutarsi o confermarsi, si combinano per il solo fatto di questa apparenza, di questa percezione, in una nuova scoperta, pratica o teorica, destinata a diffondersi come i suoi elementi di base attraverso un contagio imitativo. Vi è stato, in questo caso, un aumento di forza di desiderio o di forza di fede, come, nei casi corrispondenti di interferenze fisiche o biologiche fortunate, c’è stato un aumento di forza motrice e di vitalità. Se, al contrario, le cose sociali che interferiscono, tesi o disegni, dogmi o interessi, convinzioni o passioni, si nuocciono o si contraddicono a vicenda all’interno di un’anima o delle anime di tutto un popolo, ne risulta la stagnazione morale di quest’anima, di questo popolo, che resta nell’indecisione e nel dubbio, fino a quando, attraverso uno sforzo brusco o lento, questa anima o questo popolo si spezza in due e sacrifica la sua credenza o la sua passione meno cara. Così la vita fa la sua scelta tra due tipi male accoppiati. Un caso leggermente diverso dal precedente, e particolarmente importante, è quello in cui le due credenze, i due desideri, e anche la credenza e il desiderio che interferiscono in modo favorevole o sfavorevole all’interno della mente di un individuo, appartengono non soltanto a quest’uomo, ma in parte a lui, in parte a qualcuno dei suoi simili. L’interferenza allora consiste in ciò in cui l’individuo in questione percepisce la conferma o la smentita date dall’idea altrui, il vantaggio o il pregiudizio causati dalla volontà altrui, alla sua idea e alla sua volontà personale. Di qui una simpatia e un contratto, oppure un’antipatia e una guerra9.
37Ma tutto ciò, lo sento, necessita di chiarimenti. Distinguiamo tre ipotesi: interferenza fortunata tra due credenze, tra due desideri, tra una credenza e un desiderio; e suddividiamo ciascuna di queste ipotesi a seconda che le cose che interferiscono appartengano o meno allo stesso individuo. Poi diremo qualcosa a proposito delle interferenze sfortunate.
Quando una congettura che ritenevo molto probabile si trova a coesistere nella mia mente, nello stesso stato d’animo, con la lettura o la reminescenza di un fatto che ritengo pressoché sicuro, se mi accorgo tutto d’un colpo che questo fatto conferma quella congettura, che ne consegue (cioè che la proposizione particolare espressa da questo fatto è inclusa nella proposizione generale espressa da quella ipotesi), subito quella ipotesi diventa molto più probabile ai miei occhi e, allo stesso tempo, questo fatto mi appare del tutto certo. Di modo che c’è stato un guadagno di fede su tutta la linea. E ciò che ne risulta è una scoperta. Poiché non esiste nient’altro che la percezione di questa inclusione logica. Newton non ha scoperto qualcosa di diverso quando, dopo aver congetturato la legge dell’attrazione, l’ha confrontata con il calcolo della distanza tra la luna e la terra, e da questo fatto ha ottenuto la conferma della sua ipotesi. Supponete che tutto un popolo, tutto un secolo, al seguito di qualcuno dei suoi dottori, di San Tommaso d’Aquino, per esempio, o di Arnauld, o di Bossuet, constati o creda di constatare un accordo di questo tipo tra i suoi dogmi e lo stato attuale delle sue scienze, e vedrete sfogarsi questo fiume straripante di fede che feconda il xiii secolo cavillatore, inventivo e guerriero, come anche il xvii giansenista e gallicano. Questa armonia, anch’essa, non è nient’altro che una scoperta di cui la Summa, il catechismo di Port-Royal e del clero francese e, a gradi diversi, tutti i sistemi filosofici dello stesso periodo, da Descartes fino a Leibniz, rappresentano la diversa espressione. Modifichiamo ora un po’ la nostra ipotesi generale. Sono incline ad ammettere un principio che uno dei miei amici, con cui sto discutendo, non ammette per nulla. Ma apprendo da lui alcuni fatti che ritiene veri e la cui prova, a mio parere, non è affatto data. Poi mi pare, o piuttosto mi appare, che questi fatti, se venissero provati, confermerebbero pienamente il mio principio. Da adesso, inclino anche ad accettarli; ma ne risulta un guadagno di fede soltanto relativamente a ciò che li riguarda, e non rispetto al principio. Così questa specie di scoperta è incompleta e non avrà alcun effetto sociale prima che il mio amico sia giunto a comunicarmi la sua credenza, superiore alla mia, nella realtà di questi fatti, fornendomene le prove, o che sia giunto io stesso a dimostrargli la verità del mio principio. Ma sta proprio in questo il vantaggio di un commercio intellettuale più libero e più aperto.
Il primo mercante del medioevo, avido e vanitoso allo stesso tempo, desideroso di arricchirsi con il commercio e frustrato per il fatto di non appartenere alla nobiltà, che ha intravisto la possibilità di utilizzare la sua cupidigia ai fini della sua vanità e di acquistare in seguito per sé e la sua famiglia un titolo nobiliare con il denaro, ha creduto in questo modo di fare una bella scoperta. E, di fatto, ha avuto molti imitatori. Non è forse vero che, a partire da questa insperata prospettiva, ha sentito raddoppiare contemporaneamente le sue due passioni, l’una perché l’oro acquisiva un valore nuovo ai suoi occhi, l’altra perché l’oggetto del suo sogno ambizioso e scoraggiato era adesso a portata di mano? Forse, senza risalire così lontano nel passato, non è stata nemmeno un’idea molto cattiva, né un’iniziativa poco seguita, quella del primo avvocato che si è deciso, all’inverso, di darsi alla politica per fare la propria fortuna. Altri esempi: sono innamorato e mi trovo posseduto da un furore poetico, e utilizzo il mio amore, che si ravviva, per ispirare la mia metromania, che si surriscalda. Quante opere poetiche sono nate da un’interferenza di questo tipo! Sono filantropo e amo far parlare di me, e cerco di darmi lustro facendo del bene ai miei simili o di essere loro utile facendomi un nome. Considerato storicamente, lo stesso fatto si manifesta in particolare nello slancio delle crociate, dovuto all’appoggio reciproco che si prestavano tra di loro la passione per le spedizioni militari e il fervore cristiano, dopo essere stati opposti per tanto tempo, oppure nell’invasione islamica, nelle jacqueries del 1789 e delle annate successive, e in tutte le rivoluzioni nelle quali tante passioni vili si appoggiano a delle passioni nobili. Ma, per fortuna, più contagioso ancora, risalendo all’origine delle società, è stato l’esempio del primo uomo che si è detto: io ho fame e il mio vicino ha freddo, offriamogli questo vestito che a me è inutile, in cambio di questo alimento che lui ha di troppo, affinché il mio bisogno di mangiare serva a soddisfare il suo bisogno di coprirsi, e viceversa. Eccellente idea, oggi molto semplice, molto originale all’inizio della storia, e dalla quale sono nati il lavoro, il commercio, la moneta, il diritto e tutte le arti (non dico da cui è nata la società, perché essa esisteva già senza dubbio prima dello scambio, dal giorno in cui un uomo qualunque ne ha copiato un altro).
Notiamo che ogni nuovo tipo di lavoro professionale, ogni nuovo mestiere, è nato in seguito a una scoperta analoga alla precedente, il più delle volte anonima, ma non meno certa, e perciò non meno importante.Per importanza storica, tuttavia, nessuna interferenza mentale è pari a quella tra un desiderio e una credenza. Ma non bisogna far rientrare in questa categoria i numerosi casi in cui una convinzione, un’opinione innestata su un’inclinazione agisce su di essa soltanto suscitando un nuovo desiderio. Eliminati questi casi, ne restano ancora un numero considerevole nei quali l’idea sopraggiunta agisce in modo propositivo sul desiderio che incontra, che viene raddoppiato da essa. Vorrei proprio diventare deputato alla Camera, e un complimento di un amico mi persuade che possiedo un autentico talento oratorio; questa persuasione accresce la mia ambizione, la quale contribuisce, del resto, a lasciarmi persuadere. Per la stessa ragione, non c’è errore storico, calunnia atroce o stravagante, stupidità, che non venga creduta ciecamente se favorisce una passione politica, che essa concorre in effetti a suscitare. Una credenza, del resto, suscita un desiderio, talvolta perché fa ritenere più realizzabile il suo oggetto, talvolta perché ne costituisce l’approvazione. Succede anche, per continuare fino in fondo il nostro parallelo, che un uomo intraveda il profitto che può trarre per i suoi disegni da una credenza che appartiene a un altro, sebbene non la condivida e nessuno condivida il suo disegno. Questa intuizione è una trovata che molti impostori hanno sfruttato o sfruttano ancora oggi.
38Questo particolare tipo di interferenze e le scoperte anonime e capitali che ne conseguono debbono essere annoverate tra le forze principali che dirigono il mondo. Che cos’è il patriottismo del Greco e del Romano, se non una passione alimentata da un’illusione e vice versa: una passione, l’ambizione, l’avidità, la vanagloria; un’illusione, la fede esagerata nella propria superiorità, il pregiudizio antropocentrico, l’errore di immaginarsi che questo piccolo punto nello spazio, la terra, costituisca l’universo intero, e che su questo piccolo punto Roma o Atene soltanto siano degne dello sguardo degli dèi? E a che cosa sono dovuti in gran parte il fanatismo dell’Arabo, il proselitismo cristiano, la propaganda giacobina e rivoluzionaria, se non a tali crescite prodigiose di passioni sopra delle illusioni, di illusioni sopra delle passioni, le une alimentate dalle altre? E queste forze nascono sempre a partire da un uomo, da un focolaio (molto tempo prima, è vero, del momento in cui esse si sviluppano e prendono storicamente rango). Un uomo appassionato, angustiato da un desiderio impotente di conquista, di immortalità, di rigenerazione umana, incontra un’idea che apre alle sue aspirazioni uno sbocco insperato: l’idea della resurrezione, del millennio, il dogma della sovranità popolare e le altre formule del Contratto sociale. Egli l’abbraccia, essa l’esalta; ed eccolo che si fa apostolo. Un contagio politico o religioso si diffonde sempre in questo modo. In questo modo si realizza la conversione di un intero popolo al cristianesimo, all’islamismo, forse al socialismo domani.
39Ma fino ad ora abbiamo trattato soltanto delle interferenze-combinazioni, da cui deriva una scoperta, un’addizione, un aumento di desiderio e di fede, le due quantità psicologiche. Eppure la storia, questo lungo susseguirsi di operazioni di aritmetica morale, fa sorgere almeno altrettante interferenze-lotte, antagonismi interni che, quando hanno luogo tra desideri o credenze appartenenti a uno stesso individuo, ma soltanto in questo caso, si accompagnano a una perdita secca, a una sottrazione di queste quantità. Quando queste interferenze hanno luogo qua e là, oscuramente, all’interno di individui isolati, si tratta di fenomeni poco osservati, se non dallo psicologo; abbiamo quindi: 1) da una parte, le delusioni e il dubbio graduale dei teorici temerari, dei profeti politici, che vedono i fatti smentire le loro teorie, ridere delle loro predizioni; il cedimento intellettuale dei credenti sinceri e istruiti, che sentono la loro scienza in conflitto con la loro religione o con i loro sistemi; dall’altra, le discussioni private, giudiziarie, parlamentari, in cui, al contrario, la fede si riscalda invece di intiepidirsi. Abbiamo anche: 2) da una parte, l’inoperosità forzata, straziante, il lento suicidio di un uomo combattuto tra due attitudini o tra due inclinazioni incompatibili, tra la sua fame di scienza e le sue aspirazioni letterarie, tra il suo amore e la sua ambizione, tra la sua pigrizia e il suo orgoglio; dall’altra, le concorrenze, le competizioni di ogni tipo, che mettono in moto tutte le energie, quella che viene chiamata ai giorni nostri la lotta per la vita. Abbiamo infine: 3) da una parte, la malattia dello scoraggiamento, stato di un’anima che vuole fortemente qualcosa e che crede altrettanto fortemente di non essere all’altezza, abisso nel quale precipitano gli innamorati e i partiti stanchi di attendere; oppure abbiamo anche l’angoscia dello scrupolo o del rimorso, stato di un’anima che giudica cattivo l’oggetto delle sue voglie o che giudica buono l’oggetto delle sue repulsioni; dall’altra, le resistenze opposte alle iniziative e alle passioni dei bambini, che vogliono fortemente qualcosa, da parte dei loro genitori, che credono decisamente che essa sia impossibile o pericolosa, oppure alle imprese e alle passioni degli innovatori da parte di persone prudenti ed esperte: resistenze niente affatto calmanti, come ben sappiamo.
40Realizzati su grande scala, moltiplicati in virtù di un’ampia corrente sociale, di un possente impulso imitativo, questi fenomeni, in fondo sempre gli stessi, ottengono con nomi diversi gli onori della storia, diventando: 1) da una parte, lo scetticismo irritante di un popolo stretto tra due religioni o tra due chiese contrapposte, o tra i suoi preti e i suoi scienziati che si contraddicono a vicenda; dall’altra, le guerre di religione tra i popoli, quando sono motivate principalmente dal disaccordo tra le credenze; 2) da una parte, l’inerzia e il fallimento di un popolo o di una classe che si è creata nuovi bisogni opposti ai suoi interessi permanenti, il bisogno della comodità e della pace, per esempio, quando gli sarebbe indispensabile un raddoppiamento dello spirito militare, oppure passioni fittizie contrarie ai suoi istinti naturali (cioè in fondo a passioni che hanno cominciato con l’essere anch’esse fittizie, importate e adottate, ma che sono molto più antiche); dall’altra, la maggioranza delle guerre politiche esterne; 3) da una parte, la disperazione amara di un popolo o di una classe che ritorna gradualmente nel nulla storico, dal quale l’aveva fatto uscire uno slancio di entusiasmo e di fede; oppure anche il disagio e l’oppressione angosciosa di una società nella quale le antiche massime tradizionali, cristiane e cavalleresche, sono in conflitto con le sue nuove aspirazioni, industriali e utilitarie; dall’altra, le opposizioni propriamente dette, le lotte tra i conservatori e i rivoluzionari, e le guerre civili.
41Ora, che si tratti degli individui o dei popoli, questi stati dolorosi, scetticismo, inerzia, disperazione, e ancor più questi stati violenti, dispute, combattimenti, opposizioni, spingono vivacemente l’uomo a superarli. Ma, sebbene questi ultimi, quantunque più faticosi, costituiscano, fino a un certo punto e momentaneamente, dei guadagni di fede e di desiderio, sono proprio quelli che l’uomo non supera mai o dai quali non esce che per farvi subito ritorno, mentre, molto spesso, e per lunghi periodi, riesce a liberarsi dei primi, che costituiscono degli indebolimenti transitori delle sue due forze maestre. – Di qui questi interminabili dissidi, rivalità, contrarietà, tra uomini in cui ciascuno si è messo finalmente d’accordo con se stesso mediante l’adozione di un sistema logico di idee e di una condotta conseguente. Di qui l’impossibilità o la quasi impossibilità – così sembra – di estirpare la guerra e i fatti di cui tutti soffrono, sebbene la battaglia interna dei desideri o delle opinioni, della quale soffrono soltanto alcuni, li conduca il più delle volte a dei trattati di pace definitivi. Di qui ancora la rinascita infinita di questa idra dalle cento teste, di questa eterna questione sociale, che non è caratteristica soltanto della nostra epoca, ma di tutti i tempi, perché non consiste nel chiedersi in che modo termineranno gli stati debilitanti, ma in che modo termineranno gli stati violenti. In altri termini, non consiste nel chiedersi: tra la scienza e la religione, quale prevarrà e deve necessariamente prevalere nella grande maggioranza delle menti? Il bisogno di disciplina sociale o gli slanci di invidia, di orgoglio e di odio in rivolta, alla fine prevarranno e dovranno necessariamente prevalere all’interno dei cuori? È attraverso una rassegnazione coraggiosa, attiva, e un’abdicazione alle loro pretese passate, oppure al contrario attraverso una nuova esplosione di speranza e di fede nel successo, che le classi anticamente dirigenti usciranno onorevolmente dal loro attuale torpore? E la nuova società rifonderà legittimamente la morale e il punto d’onore a sua immagine, oppure l’antica morale avrà ancora la forza e il diritto di rifondare la società? Problemi che sicuramente non tarderanno a essere risolti e di cui è facile fin da ora intuire la soluzione. Ma sono molto più ardui e difficili da estirpare i problemi seguenti, che costituiscono la vera questione sociale: è un bene o un male che si crei un giorno l’unanimità completa delle menti attraverso l’espulsione o la conversione più o meno forzata di una minoranza dissidente, e la si vedrà mai realizzarsi? È un bene o un male che la concorrenza commerciale, professionale, ambiziosa, tra gli individui, e anche la concorrenza politica e militare tra i popoli arrivino a essere soppresse attraverso l’organizzazione tanto agognata del lavoro o quantomeno dal socialismo di stato, da una vasta confederazione universale o quantomeno da un nuovo equilibrio europeo, primo passo verso gli Stati Uniti d’Europa; e l’avvenire ci riserva tutto questo? È un bene o un male che, affrancandosi da ogni controllo e da ogni resistenza, un’autorità sociale forte e libera, assolutamente sovrana e capace di grandi imprese, alla fine si imponga, onnipotenza cesarea o convenzionale di un partito o di un popolo, del resto il più filantropo e il più intelligente che si possa immaginare; e bisogna che ci aspettiamo questa prospettiva?
42Ecco la vera questione, ed è temibile proprio perché si pone in questi termini. Perché ne va sia dell’umanità sia dell’uomo, che si evolve sempre nel senso della maggiore verità e della maggiore potenza, della somma più alta di convinzione e di fiducia, di fede da ottenere, in una parola; e ci si può chiedere se questo massimo possa essere raggiunto attraverso lo sviluppo della discussione, della concorrenza e della critica, oppure, al contrario, attraverso il loro soffocamento, lo sviluppo imitativo illimitato di un pensiero unico, di un’unica volontà che si consolida espandendosi.
43Ma la digressione precedente ci ha fatto anticipare questioni che saranno trattate meglio altrove. Ritorniamo al tema di questo capitolo e, dopo aver passato in rassegna le principali analogie tra le tre forme della Ripetizione, diciamo una parola sulle loro differenze, che non sono meno istruttive. Innanzitutto, la solidarietà tra queste tre forme è unilaterale, non reciproca. La generazione non potrebbe fare a meno dell’ondulazione, che non ha bisogno di lei, e l’imitazione dipende dalle altre due, che non ne dipendono. Dopo duemila anni, il manoscritto della Repubblica di Cicerone viene ritrovato, lo si dà alle stampe, ci si ispira a esso: imitazione postuma, che certamente non avrebbe avuto luogo se le molecole della pergamena non fossero durate e non avessero vibrato (non fosse che per effetto della temperatura ambientale), e se, inoltre, la generazione umana non fosse continuata ininterrottamente da Cicerone fino a noi. È notevole, qui come dappertutto, che il termine più complesso, più libero, sia servito da quelli che lo sono meno. La disuguaglianza tra i tre termini a questo proposito appare, in effetti, manifesta. Mentre le onde si susseguono, isocrone e contigue, gli esseri viventi, dalla durata assai variabile, si dividono e si separano, tanto più indipendenti quanto più sono elevati. La generazione è un’ondulazione libera le cui onde costituiscono un mondo a parte. L’imitazione fa ancora di più, si esercita, non soltanto a grande distanza, ma a grandi intervalli di tempo. Essa stabilisce un rapporto fecondo tra un inventore e un copista separati da milioni di anni, tra Licurgo e un partecipante alla Convenzione di Parigi, tra il pittore romano che ha dipinto un affresco di Pompei e il disegnatore moderno che si ispira a esso. L’imitazione è una generazione a distanza10. Si dirà che queste tre forme della Ripetizione costituiscono tre riprese di uno stesso sforzo per allargare il campo in cui essa si esercita, per chiudere successivamente tutte le scappatoie alla ribellione degli elementi sempre pronti a spezzare il giogo delle leggi, e per costringere la loro folla tumultuosa, attraverso processi sempre più ingegnosi e potenti, a marciare al passo in masse sempre più forti e meglio organizzate. Per mostrare il progresso compiuto in questo senso, paragoniamo un uragano, un’epidemia e un’insurrezione. Un uragano si propaga un po’ alla volta, e non vediamo mai un’onda staccarsi per andare a portare lontano, omisso medio, il virus della tempesta. L’epidemia imperversa diversamente, essa colpisce a destra e a manca, risparmiando una certa casa, o una certa città tra parecchie altre, molto lontane, che raggiunge quasi contemporaneamente. L’insurrezione si diffonde ancora più liberamente da una capitale all’altra, di fabbrica in fabbrica, a partire da un nuovo proclama telegrafico. Talvolta il contagio giunge perfino dal passato, da un’epoca morta.
44Altra differenza importante. L’opera imitata lo è solitamente nel suo stadio di sviluppo completo, senza passare per i brancolamenti del primo operaio. Questo procedimento artistico è dunque superiore in velocità al procedimento vitale; sopprime le fasi embrionali, l’infanzia e l’adolescenza. Non è che la vita stessa ignori l’arte delle abbreviazioni; se la serie delle fasi embrionali ripete, come crediamo (non senza eccezioni), la serie zoologica e paleontologica delle specie precedenti e affini, è chiaro che questo riassunto individuale della lenta elaborazione vivente è divenuto alla lunga prodigiosamente succinto: ma, nel susseguirsi delle generazioni che scorrono sotto i nostri occhi, non osserviamo affatto che la durata della gestazione e della crescita si stiano accorciando. Tutto ciò che si può constatare, da questo punto di vista, è che le malattie e i caratteri individuali di tutti i tipi, trasmessi da un padre ai suoi figli, si manifestano in essi a un’età un po’ più precoce. Che si paragoni questo piccolo progresso a quelli delle nostre merci: i nostri orologi, i nostri tessuti, le nostre spille, i nostri prodotti industriali di tutti i tipi, si fabbricano dieci, cento volte più velocemente che all’inizio. Quanto all’ondulazione, in che misura infinitesimale essa partecipa a questa capacità di accelerazione! Le onde che si susseguono sarebbero rigorosamente isocrone, cioè impiegherebbero lo stesso tempo a nascere, a crescere e a morire, se la loro temperatura rimanesse costante. Ma la loro agitazione (Laplace, almeno, correggendo su questo punto la formula di Newton, ha osservato questo fatto relativamente alle onde sonore) ha come effetto necessario quello di riscaldare il loro ambiente, e, conseguentemente, di accelerare la loro successione. Tuttavia, si guadagna ben poco tempo in questo modo, se ne guadagna infinitamente di più attraverso i meccanismi ripetitori caratteristici della vita, e soprattutto della società, poiché gli atti imitativi, come abbiamo detto, sono interamente esentati dall’obbligo di attraversare, anche in compendio, le tappe dei progressi precedenti. Così le trasformazioni della natura vivente sono molto meno rapide di quelle del mondo sociale. Per quanto si possa essere partigiani dell’evoluzione brusca e non lenta, si ammetterà senza fatica che l’ala degli uccelli non ha sostituito il primo paio di zampe dei rettili così rapidamente quanto le nostre locomotive sono state sostituite alle diligenze. Questa osservazione, tra altre conseguenze, relega al suo vero posto il naturalismo storico, secondo cui le istituzioni, le leggi, le idee, la letteratura, le arti di un popolo debbono sempre e necessariamente sorgere dal suo fondo, svilupparsi con lentezza e sbocciare come germogli, senza che sia loro permesso di creare nulla di sana pianta sul suolo di una nazione. Questa tesi è giusta, fintanto che un popolo non ha concluso la fase naturale della sua esistenza, quella in cui, sotto la direzione dell’imitazione-consuetudine, come diremo più avanti, rimane asservito nei suoi cambiamenti sia all’eredità che all’imitazione pura e semplice. Ma, man mano che essa si emancipa, quando ci si trova in presenza di un radicalismo qualsiasi che minaccia di applicare il suo programma rivoluzionario dalla sera alla mattina, bisognerebbe evitare di rassicurarsi oltre misura contro la possibilità di questo pericolo basandosi su delle pretese leggi della vegetazione storica. L’errore, in politica, è di non credere all’inverosimile e di non prevedere mai ciò che non si è ancora visto.
Notes de bas de page
1 [A. Espinas, Des sociétés animales. Étude de psychologie comparée, Paris, Baillière, 1877].
2 Nelle specie superiori di formiche, secondo Espinas, «l’individuo sviluppa un’iniziativa stupefacente». Come cominciano le costruzioni, le migrazioni dei formicai? Forse per un impulso comune, istintivo, spontaneo, partito da tutti gli associati contemporaneamente, sotto la pressione delle circostanze esterne subite allo stesso tempo da tutte le formiche? No; un individuo si distacca, si mette per primo al lavoro, e percuote i suoi vicini con le sue antenne per avvertirli di dargli man forte. Il contagio imitativo fa il resto.
3 «La conoscenza scientifica non deve partire necessariamente dalle cose più piccole, ipotetiche e sconosciute. Essa può iniziare ovunque la materia abbia formato unità di tipo simile, che possano essere comparate e misurate tra loro; ovunque queste unità si riuniscano in unità composite di ordine più elevato, fornendo l’unità di misura di queste ultime» (von Nägeli, Discorso al Congresso dei naturalisti tedeschi, 1877) [C. von Nägeli, Les bornes de la science, “Revue scientifique”, a. vii, t. xiv, n. 41, 13 avril 1878, pp. 957-969. La citazione è a p. 964].
4 [J. Delboeuf, La matière brute et la matière vivante. Étude sur l’origine de la vie et de la mort, Paris, Alcan, 1887].
5 Quando dico l’invenzione della polvere da sparo, o del telegrafo, delle ferrovie ecc., è chiaro che mi riferisco al gruppo di invenzioni accumulate (eppure distinguibili e numerabili) che sono state necessarie per produrre la polvere da sparo, il telegrafo, le ferrovie.
6 Dopo che sono state scritte queste righe, abbiamo abbozzato una teoria dell’invenzione nella nostra Logique sociale [cit.].
7 Non mi si vorrà attribuire l’idea assurda di negare in tutto questo l’influenza della razza sui fatti sociali. Ma credo che, per molti dei suoi caratteri acquisiti, la razza sia figlia e non madre di questi fatti, ed è soltanto per questo aspetto dimenticato che essa mi sembra rientrare nel campo di pertinenza del sociologo.
8 Mi si obbietterà che le progressioni crescenti o decrescenti rivelate dalle statistiche continuate per un certo numero di anni non sono mai regolari e sono frequentemente interrotte da soste o da movimenti inversi. Senza entrare nel dettaglio, debbo dire che a mio parere queste soste o questi regressi sono sempre l’indizio dell’intervento di qualche nuova invenzione, che diviene contagiosa a sua volta. Spiego allo stesso modo le progressioni decrescenti, dalle quali bisognerebbe guardarsi di indurre che al termine di un periodo, dopo essere stata imitata sempre di più, una cosa sociale tenda a essere disimitata. No, la sua tendenza a invadere il mondo resta sempre la stessa; e, se essa è non disimitata, ma sempre meno imitata, la colpa è delle sue rivali.
9 La somiglianza che ho stabilito tra l’ereditarietà e l’imitazione si può constatare perfino nel rapporto tra ciascuna di queste due forme della Ripetizione universale e la forma di Creazione, di Invenzione, che gli è propria. Per tutto il tempo in cui una società è giovane, ascendente, straripante di vita, vediamo le invenzioni, i nuovi progetti, le iniziative riuscite, succedersi con rapidità e accelerare le trasformazioni sociali; poi, anche quando l’energia inventiva si esaurisce, l’imitazione segue comunque il suo corso, come è accaduto in India, in Cina, negli ultimi secoli dell’Impero romano. Ora, nel mondo vivente accade lo stesso. E, per esempio, nel suo Enchaînements du monde animal (periodo secondario) [A. Gaudry, Les enchaînements du monde animal dans les temps géologiques. Fossiles secondaires, Paris, Savy, 1890] Gaudry dice incidentalmente a proposito dei crinoidi (echinodermi): «Essi hanno perduto questa meravigliosa diversità di forme che è stata uno dei lussi dei tempi primari; non avendo più la forza di trasformarsi molto, hanno conservato ancora quella di riprodurre degli individui simili a loro». Ma non succede sempre così. Certe famiglie, certi tipi animali, scompaiono nei tempi geologici che seguono il loro periodo di maggior fioritura. Questo è accaduto all’ammonite, quel meraviglioso fossile che, nei tempi secondari, si schiudeva nell’esuberante diversità delle sue mutazioni, e poi scomparve per sempre. La stessa cosa è successa anche a quelle civiltà brillanti e brevi che si sono illuminate un giorno e bruscamente si sono spente come stelle effimere nel cielo della storia; la Persia di Ciro, alcune repubbliche greche, il Midi della Francia all’epoca della guerra degli Albigesi, le repubbliche italiane ecc. Quando queste civiltà si sono stancate di produrre, non gli è rimasta nemmeno la forza di riprodursi. È vero che, il più delle volte, esse ne sono state impedite dalla loro distruzione violenta.
10 Se, come crede Ribot, la memoria non è che la forma cerebrale della nutrizione, se, d’altra parte, la nutrizione non è che una generazione interna, se, infine, l’imitazione non è che una memoria sociale (si veda la nostra Logique sociale [cit.] a questo proposito) – ne consegue che tra la generazione e l’imitazione c’è non soltanto analogia, come ho dimostrato, ma identità fondamentale. L’imitazione, fenomeno sociale elementare e continuo, sarebbe la conseguenza e l’equivalente sociale della generazione, intesa in senso ampio, compresa la nutrizione.
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