Précédent Suivant

5. Autocoscienza e pensiero di Dio

p. 151-164

Note de l’éditeur

Testo della conferenza pubblica; trad. di A. Noceti, riv. da A. Manolino


Texte intégral

1.

Questa sera s’intende elaborare e sviluppare, con una serie di passi successivi, un’idea filosofica. Essa riguarda due contenuti, entrambi di grande rilevanza per la riflessione degli uomini: il sapere che gli uomini hanno di se stessi, in modo da poter gestire, muovendo da esso, la propria vita, e quali pensieri essi siano in grado di concepire del fondamento di tutto ciò che essi sono e che a essi accade. Prendiamo spunto dalla questione di come questi due contenuti, l’autocoscienza e il pensiero di Dio, possano venir correlati. Riflettendo su tale questione, sia per l’autocoscienza sia per il pensiero di Dio si otterranno determinazioni più precise. In fondo si tratta di pervenire a una correlazione tra loro, in funzione della quale poter poi conseguire una comprensione comune della vita umana, che potrebbe a sua volta trovare un’eco anche in persone che vivono in un mondo rischiarato dalla ragione e tecnicizzato. Probabilmente c’è necessità di una siffatta comprensione approfondita, poiché l’idea di Dio a noi tramandata nel nostro mondo risulta sospetta per svariati motivi, che vanno da uno scetticismo ispirato dal naturalismo fino all’esperienza che abbiamo dovuto fare di un fanatismo religioso che sa equipaggiarsi di tecnologia moderna.

1Che autocoscienza e idea di Dio abbiano qualcosa in comune risulta già dal fatto che a esse è correlata una prospettiva che in egual misura rivendica una validità pressoché generale. Qualunque cosa venga pensata viene pensata da un soggetto. Viceversa tutti i pensieri di un soggetto hanno in tale soggetto un punto di riferimento comune. L’uomo è l’unico pensante di tutti i suoi pensieri. A questo dato corrisponde il fatto che Dio è pensato come l’unico fondamento di tutto ciò che è realmente. Il modo seguito per la fondazione, nel pensiero e nella realtà, e ciò che viene fondato sono in entrambi i casi differenti. Ma l’esclusività dell’uno in relazione al tutto è comune a entrambi.

2Senonché, proprio per questa ragione, tra le due cose si può rilevare anche una contrapposizione: una concorrenza per il posto di un pensiero primo, assoluto, che predomina su tutti gli altri. L’autocoscienza può essere associata all’autodeterminazione. Pertanto essa può diventare il principio di Prometeo, cioè della rivolta contro il dominio degli dèi. Così, la filosofia moderna è risultata convincente per aver sviluppato la propria etica partendo dal principio della libertà e per aver fondato le regole che vincolano l’uomo a partire dalla costituzione interna di questa sua libertà. Le tavole della legge che Mosè portò al suo popolo, invece, erano un dono di Dio, che rivelava la volontà di Dio stesso. E parimenti la legge di natura che i saggi stoici insegnavano a seguire era pensata come sanzionata da Dio.

3Ma il pensiero del Dio unico, che in nuce è facile da definire, nel momento in cui viene sviluppato, assume tratti straordinari che lo differenziano profondamente dagli dèi antichi, immortali, i quali trattavano con gli esseri umani e sapevano mischiarsi a essi. Dio non solo è immortale, bensì infinito, sicché non può venir pensato e compreso come un qualunque “finito”. È questa la premessa del fatto che in relazione a tale pensiero possono venir sviluppati molti altri pensieri. Si intende qui illustrare come la relazione di contrapposizione e di esclusione tra l’autocoscienza attiva e l’idea di Dio pervenga a una risoluzione.

4Questa via è stata intrapresa dall’evangelista Giovanni che lapidariamente scrisse: «Nessuno ha mai visto Dio». Tuttavia c’è un modo per essere certi della sua esistenza. Poiché: «Chi resta nell’amore, resta in Dio e Dio in lui». Ragion per cui in un rapporto tra esseri umani è possibile conoscere la realtà del Dio unico. Con ciò, anche l’impegno attivo da parte dell’uomo per conservare tale amore, cioè per “restare” in esso, è un effetto dell’operare del Dio unico. Spesse volte la dottrina della Chiesa, ispirata alla filosofia greca e nel contempo tesa ad andare oltre a essa, ha formulato pensieri che solo molto più tardi si sarebbero tradotti in una teoria filosofica. Uno di essi è contenuto nelle parole di Giovanni.

5Descartes fu il filosofo che all’inizio dell’èra moderna spianò la strada al superamento del rapporto di contrapposizione tra autocoscienza e idea di Dio anche a livello teorico. A entrambi i concetti attribuì, contemporaneamente ed esclusivamente, un significato-chiave per la fondazione del sapere, inducendo in tal modo la filosofia successiva a trarre, in un modo diverso dal suo, un “guadagno filosofico” dal ruolo specifico dei due concetti: cioè, non limitarsi a costruire in base a essi, bensì coniugare tale costruzione con il tentativo di rendere comprensibile la struttura interna, altamente peculiare, di entrambi. Così anche noi possiamo pervenire a pensieri nostri sul rapporto tra quei due principi richiamandoci anzitutto al ragionamento cartesiano.

6Al fine di offrire un dato di conoscenza certo e inattaccabile da qualsiasi forma di scetticismo, Descartes utilizza l’autocoscienza e quindi il pensiero di Dio in due fasi successive. In ambedue le fasi è in virtù di una qualità del tutto particolare, comune a entrambi, che è possibile offrire anche la garanzia di tutto il sapere che ne consegue: quando penso a me stesso e quando penso a Dio, di volta in volta porto avanti un determinato pensiero. Ogni dubbio è dato dall’incertezza se quanto sto pensando trovi una corrispondenza nella realtà. Senonché, nel caso dell’autocoscienza, non può sorgere un dubbio del genere, e nel caso del pensiero di Dio tale dubbio non può più aver luogo, una volta che si sia capita con chiarezza e in maniera corretta l’idea di Dio. Nel caso del dubbio si può pur sempre dubitare che il proprio dubbio sia autentico e abbastanza profondo per essere considerato senza riserve un dubbio. Ma anche colui che in questo modo dubita sa con certezza che esiste uno stato che vorrebbe chiamare “dubbio” e che non riesce a penetrare completamente con lo sguardo. Altresì sa per certo che esiste realmente uno che si trova in uno stato del genere e che lui stesso è colui che conosce quello stato e ascrive a se stesso la conoscenza di quello stato.

7Questo tipo di sapere non solo è inattaccabile da qualsiasi dubbio, ma è anche talmente quotidiano che si può partire senz’altro dal presupposto che ogni essere umano ne sia in possesso. Riflettendo su questo sapere si è presi però da stupore. E sembrerebbe che tale stupore si possa risolvere soltanto mediante una spiegazione estremamente banale oppure estremamente sottile del dato elementare dell’autocoscienza. Descartes stesso non cercò né l’uno né l’altro tipo di spiegazione. Il suo unico obiettivo era quello di abbattere lo scetticismo e vedeva che attraverso l’autoscienza gli si sottraeva ben poco terreno, sicché sentì di dover andare avanti. Nell’autoscienza l’unico dato certo è che esiste uno che sono io stesso, fintanto che dubito e rifletto sul mio dubbio. L’affidabilità della scienza intera, invece, risulta fondata soltanto nel momento in cui si capisce che si può trarre un sapere certo da tutto il reale. Questo, però, sembra poter riuscire soltanto se si ottiene una conoscenza della realtà di un fondamento di tutto il restante reale che non possa sottostare ad alcun dubbio.

8A questo scopo occorre dimostrare che il pensiero di Dio non può in alcun modo essere un mero pensiero al quale non corrisponda alcunché di reale, tanto che significherebbe addirittura incorrere in una contraddizione se si cercasse di smascherare il pensiero di Dio come finzione funzionale alla vita od ostile a essa. Per avere una prova che porti a questo risultato, Descartes riformulò e riattivò una prova dell’esistenza di Dio che i teologi avevano criticato e poi accantonato per secoli. Essa risale ad Anselmo di Canterbury, e più tardi Kant l’avrebbe definita la prova ontologica dell’esistenza di Dio. Secondo tale prova, dalla mera valutazione del contenuto dell’idea di Dio risulta la certezza della realtà di Dio.

9Per la sua forma, questa prova non è paragonabile a nessun’altra e per questo ha sempre esercitato un fascino particolare. La si fornisce in diverse versioni. Nella prima versione l’argomentazione si fonda sul fatto che a Dio, pensato come ciò che è perfetto, verrebbe attribuita una sorta di difetto nel negargli l’esistenza, il che comporterebbe una contraddizione. La seconda versione sostiene che è caratteristico dell’idea di Dio il fatto che la realtà di Dio sicuramente non possa subentrare per caso o per una causa diversa da lui stesso. Dio, dunque, va pensato come essere necessario. Ma per ciò che va pensato in quanto necessario, coerentemente, la non-esistenza è di per sé impensabile.

10Contro tali prove si è obiettato che in questo modo sarebbe possibile dimostrare soltanto un’esistenza in un pensiero e non la vera esistenza. Un’obiezione che il matematico Descartes rifiutò recisamente: se due per due fa quattro, non si può affermare che ciò sia così solo nel nostro pensiero e non nella realtà. Se dunque nell’idea di Dio deve venir pensata anche la sua esistenza, lo si dovrà pensare come realmente esistente. Di conseguenza, non si può più dubitare assolutamente della sua esistenza. Tale argomentazione venne presentata in maniera talmente vigorosa che per molto tempo i più grandi pensatori se ne dissero convinti. Per questa ragione la loro critica non poteva più volgersi contro la conclusione. Per contro, essa si rivolgeva alla sua premessa, cioè all’idea stessa di Dio. In relazione alla seconda variante della prova, che poi è la più forte, venne sollevata la questione se il concetto di un essere necessario possa venir chiarito in maniera tale da consentire, discendendo da esso, di sviluppare una deduzione coerente. Se l’idea di un’esistenza necessaria che sia autosufficiente e non presupponga nient’altro di esistente dovesse di per sé sfociare in un che di oscuro, anche le deduzioni che da essa muovono perderebbero ogni consistenza.

11Tuttavia, l’idea di un fondamento autosufficiente di tutto il reale non è a sua volta un prodotto dell’arbitrio o di una fantasia alla deriva. La ricerca razionale di una spiegazione che retroceda sempre di più verso il fondamento produce da se stessa un ultimo orizzonte sul quale la ricerca stessa troverebbe la sua definitiva soddisfazione. Ciò però non significa che i predicati costitutivi di questa idea siano qualcos’altro che concetti-limite. In quanto concetti-limite, essi non sono idonei a fungere da fondamenti per la costruzione di catene deduttive che prendano le mosse da essi. La stessa idea di Dio potrebbe essere un siffatto concetto-limite. E dal concetto limite dei pensieri oscuri di un’esistenza necessaria potrebbe scaturire l’indicazione più evidente del fatto che esso dev’essere veramente inteso così.

2.

Descartes aveva basato la sua giustificazione dell’affidabilità del sapere su due pilastri: sull’idea di Dio e sull’autocoscienza. Dalla congiunzione di questi due principi sembra svilupparsi la prospettiva di un’ulteriore giustificazione. Lo si riconosce dalla forza di questo nesso, forza che non crolla affatto quando si dia una risposta negativa alla questione circa la forza probatoria logica della prova ontologica dell’esistenza di Dio. Evidentemente essa si può spiegare con il fatto che per l’uomo l’idea di Dio pensata in connessione con il suo rapporto con se stesso e con la propria vita significa qualcosa di più di un programma probatorio di incomparabile forza dimostrativa. A questo punto vogliamo esaminare il contenuto filosofico che sta alla base di questa convinzione.

12Nella costruzione della prova cartesiana l’autocoscienza ha la priorità nei confronti dell’idea di Dio. Tale priorità risulta non soltanto dal fatto che l’accertamento che discende dall’autocoscienza precede quello che discende dall’idea di Dio. Anche l’evidenza dell’accertamento della realtà, che si evince dall’autocoscienza, è diverso. Nell’idea di Dio deve trovarsi un predicato che mi basta pensare per capire che mi è impossibile pensare che Dio non esista. Senonché, chi mette in atto il pensiero dell’Io non ha in mente un contenuto da analizzare, per essere certo della propria esistenza. Quanto s’intende con l’espressione “Io” non è comprensibile se non viene pensato da un individuo che con tale pensiero fa riferimento a se stesso. Quel che dice il pensiero e il fatto che esso faccia riferimento al reale sono due elementi che non si possono scindere l’uno dall’altro, con nessuno sforzo di astrazione. In tal senso la realtà del riferimento non è neanche compresa nel pensiero ma è già presupposta nel momento in cui il pensiero stesso viene concepito.

13Con i mezzi dell’analisi filosofica possiamo chiarire meglio tale differenza: il pronome personale “Io” non esprime un normale contenuto del pensiero. Esso sta unicamente a indicare chi sta esprimendo un qualche contenuto. In questo senso, “Io” e “Dio” vanno compresi, sia in quanto espressioni sia in quanto pensieri, secondo modelli completamente differenti. La differenza delle ipotesi di esistenza a essi connessa non deve quindi stupire. Ma anche così la preminenza dell’autorelazione (Selbstbeziehung) sull’idea di Dio non viene affatto abolita. Nella coniugazione cartesiana di autocoscienza e idea di Dio rimane incompresa la forza di tale nesso, ma esso in quanto tale continua a esercitare il suo effetto.

14Per approfondire ulteriormente quest’aspetto, dobbiamo trovare un nuovo orientamento per le nostre riflessioni. Autocoscienza e pensiero di Dio sono complementari nella sequenza argomentativa cartesiana. Ma partendo da un punto di vista diverso essi si pongono in reciproca concorrenza, poiché entrambi i pensieri hanno qualcosa di onnicomprensivo. Per me non esiste un pensiero che non sia il mio pensiero. Se penso Dio, penso qualcosa da cui tutto, senza eccezione alcuna, trae la sua origine. Se penso partendo da me, il pensiero di Dio è pensato da me e, a quel punto, forse puramente inventato. Se invece penso partendo da Dio, il mio pensiero deve apparire come fondato in lui. La contrapposizione tra queste due idee che contengono entrambe qualcosa di onnicomprensivo deve in qualche modo venir risolta. La soluzione più semplice sarebbe la rinuncia a uno dei due sensi di unità: da un lato, la dissoluzione del mio essere me stesso, che corrisponderebbe a un insegnamento fondamentale del buddismo; dall’altro lato, un ateismo fondato su una libertà autocosciente. La forza di attrazione del nesso cartesiano di autoscienza e idea di Dio, però, porta a indagare su soluzioni che possono instaurare un collegamento interno tra riferimento a Dio e autodeterminazione umana.

15Per Descartes la prova ontologica di Dio era una produzione di prova di tipo matematico: ci si chiarisce quanto deve venir pensato in un concetto formale e sulla base di regole deduttive se ne traggono le conclusioni. Il pensiero di Dio può venir chiarito allo stesso modo: con la conseguenza che l’esistenza di Dio è fuori discussione. Per Descartes, dunque, la prova dell’esistenza di Dio ha scarsissima relazione con l’autocoscienza dell’essere umano, proprio come una qualsiasi dimostrazione matematica, tranne per il fatto che la prova dell’esistenza di Dio costituisce il secondo pilastro nella confutazione dello scetticismo. Ma anche qualora si fosse inclini a condividere questa spiegazione dell’esistenza di Dio, non cessa lo stupore per il fatto che in qualche modo io possa pervenire a una certezza dell’esistenza di Dio semplicemente partendo dalla considerazione del pensiero di Dio.

16Allo stupefacente successo dell’idea di una prova dell’esistenza di Dio che voleva prescindere da qualsiasi riferimento a qualcosa di esistente, si può reagire con le seguenti riflessioni: in fondo non bisogna partire da Dio stesso per interpretare la sua esistenza nel pensiero degli esseri finiti? E da ciò non risulta qualcosa su me stesso, sul mio pensiero e sul rapporto tra questo pensiero e Dio, tanto che in questo mio pensare si disvela una certezza che a sua volta può essere trovata soltanto partendo da lui? Nell’attività di mediazione del mio pensiero deve essere all’opera una relazione del tutto particolare tra me e Dio, se in qualche modo deve essere resa comprensibile la ragione per cui è possibile una prova dell’esistenza di Dio come quella che è stata proposta o semplicemente ha potuto essere concepita da Descartes.

17È bensì vero che, per Descartes, la forza della prova dell’esistenza di Dio si spiega a partire dal fatto che si tratta di una dimostrazione condotta al modo di quelle matematiche E tuttavia la sua prova ha qualcosa della certezza di Dio alla quale anela la mistica. Il mistico trova Dio nel fondo della propria anima. Egli lo trova non come un altro diverso da se stesso, bensì in modo tale che la sua anima non solo appartenga a Dio e al suo operare, ma vi si risolva completamente. Non bisogna credere che un’esperienza del genere si possa vivere solo indipendentemente dal pensiero, cioè comprenderla come mera intuizione. Poiché l’autocoscienza e ciò che intendiamo dicendo Dio possono venir compresi solo da esseri pensanti e come pensieri. Quello che però si rivela al mistico, anche come pensiero, è di natura diversa rispetto alla conclusione e alla produzione di una prova – ossia qualcosa che va a toccare e che segna direttamente tutta la condotta di vita da parte dell’essere umano autocosciente. Sulla base dell’intimità della correlazione tra autocoscienza e pensiero di Dio deve quindi essere compreso in fondo anche il fascino che emanava e che a tutt’oggi emana dalla prova ontologica dell’esistenza di Dio.

18E così la correlazione tra autocoscienza e pensiero di Dio, che in un primo momento aveva prodotto una strategia probatoria, è entrata in una prospettiva molto più ampia. Ma perfino il pensiero filosofico centrale, sul quale tale prospettiva si fonda, va a questo punto ancora elaborato. Il fatto che siamo ancora all’inizio di questo compito risulta chiaro da due desiderata facilmente estrapolabili ed evidenziabili da quanto sopra esposto: da un lato, la prova ontologica dell’esistenza di Dio, che presuppone l’idea chiara di un Essere necessario, nonostante il suo fascino non è dotata di sufficiente forza argomentativa. Il suo concetto fondamentale, che è tanto ambizioso, necessita quindi di un supporto da parte di un ragionamento impostato in maniera diversa; dall’altro lato, il pensiero di Dio finora è stato correlato all’autocoscienza soltanto come uno dei due pilastri di una strategia probatoria e come uno di due pensieri che in certo qual modo implicano tutto. Ma come si pone in rapporto il pensiero di Dio con l’autocoscienza stessa? Come si rapporta tale pensiero, in quanto è ciò che si pensa quando si pensa “dio”, con la peculiare costituzione dell’autocoscienza, a partire dalla quale tutti i pensieri, e quindi anche il pensiero di Dio, devono e possono essere pensati come pensieri miei? In Descartes non si trova alcun accenno di risposta a siffatti interrogativi. Noi dobbiamo aprirci una strada nostra verso una posizione dalla quale si possa intravedere una risposta a questa questione.

3.

Nella loro vita, condotta con la coscienza di sé e in virtú di tale coscienza, gli esseri umani sanno in vario modo di essere dipendenti. Senza essere stati interpellati esistono per via di altri esseri umani; per molto tempo non sono stati autosufficienti e rimangono esposti alla fragilità e alla caducità del corpo, nonché a eventi e circostanze più o meno favorevoli e molto diverse. Se l’individuo riesce a superare tutte queste situazioni di dipendenza, lo fa pensando e successivamente anche agendo, nella misura in cui il suo agire è organizzato per mezzo di pensieri.

19È nella sua autocoscienza che tutti questi pensieri hanno uno stesso punto di riferimento, poiché essi devono essere tutti conciliabili tra loro per poter venir pensati in toto come pensieri del medesimo pensante, affinché egli possa disporne in quanto suoi propri pensieri. Per questa ragione, anche le ispirazioni repentine non possono nascere senza un concorso dell’attività ordinante, che è insita nell’autocoscienza dell’essere umano. Dal momento che l’uomo, muovendo dalla propria autocoscienza, non solo può comporre i suoi pensieri reali, ma anche – ancorché in maniera indeterminata – prevedere tutti i pensieri possibili per lui, egli vive nell’anticipazione di un grande tutto, che tuttavia non gli si rivela mai in maniera completa. È quel tutto che noi chiamiamo natura o mondo. Da ciò parrebbe conseguire che l’autocoscienza è il punto centrale che definisce l’essere umano, propriamente non nella sua dipendenza, bensì nella sua attività e quindi anche nella sua libertà. In ogni proposizione con la quale do a intendere che ho una determinata concezione o che miro a qualcosa, l’Io viene utilizzato con l’accento particolare che lo distingue come siffatto centro di attività.

20Ma a questo punto dobbiamo anche domandarci: che cos’è l’autocoscienza stessa – qual è la sua costituzione interna e come la si può comprendere? Questi interrogativi portano anche al di là dell’orizzonte di Descartes, quando già sollevava la questione di un rapporto strutturale tra autocoscienza e pensiero di Dio. Soltanto da circa duecento anni si è cominciato a sollevare interrogativi del genere, benché l’autocoscienza sia uno dei dati più comuni della vita umana. Ma ciò che ci è più familiare sembra comprendersi da sé più di ogni altra cosa. Ciò vale ancor di più per ciò che di qui in poi sembra essere molto facile e di cui pensiamo di poter disporre da soli.

21A uno sguardo superficiale siamo veramente noi stessi che produciamo l’autocoscienza. Quando un essere umano è assorto nei propri pensieri, nulla gli impedisce di prendere coscienza del fatto che a “impegnarlo” sono pensieri suoi; come si dice, può riflettere su di sé in quanto pensante. Senonché, questa espressione in se stessa dice già che il pensante cosciente di sé non viene assolutamente prodotto subito in questo modo. Egli porta solo la sua autocoscienza latente al centro dell’attenzione, mediante la riflessione su di essa, e deve sapere di sé nel momento in cui compie l’atto della riflessione. Tale atto, come si è detto, può venir portato a effetto muovendo dall’attività del pensante. Ma egli non può, attraverso questa o un’altra attività, fare di sé quel pensante, il cui pensare è organizzato a partire dall’autocoscienza e accompagnato anche sempre da un’autocoscienza non percepita.

22Se in questa autocoscienza originaria è riposta almeno una parte della fonte di attività del pensante, ma se questa non può esserne il prodotto, allora quest’autocoscienza potrebbe forse essere uno stato assolutamente semplice, una condizione di cui per conseguenza non si potrebbe dire o scoprire altro. Ma è sufficiente menzionare quest’opzione per rendersi subito conto che non può assolutamente essere giusta. Poiché anche a questa autocoscienza irriflessa bisogna pur sempre attribuire pensieri di notevole complessità. Chi è cosciente di se stesso si distingue così dagli altri soggetti. Inoltre sa che esistono pensieri completamente diversi da quelli che ha in quel momento. E sa altresì che egli rimane lo stesso se si lascia coinvolgere in pensieri diversi. All’autocoscienza sono quindi collegate l’individualità e l’identità, nonché il sapere di esse. Tutto ciò costituisce un’unità in sé conclusa, un’unità che non è sicuramente qualcosa di semplice.

23Tutto ciò che non è prodotto da se stesso e che non esiste per necessità, come Dio, deve scaturire da un fondamento completamente diverso, che in questo senso gli è antecedente. Se ciò che è fondato è qualcosa di complesso, a monte deve esserci un fondamento (Grund) che abbia una capacità di fondare idonea a questa complessità. Dobbiamo dunque pensare un fondamento complesso che preceda l’autocoscienza. Esso deve potersi distinguere da ciò che viene reso possibile solo dall’autocoscienza, quando essa subentra. Tutto ciò che rende vita cosciente la nostra vita dipende dall’autocoscienza e con ciò anche dal fondamento dalla quale essa scaturisce. Se ne deduce che nel riflettere sul fondamento della nostra vita bisogna venir coinvolti in pensieri di elevata complessità.

24La difficoltà maggiore nella quale s’impiglia questo riflettere risulta dal fatto che il fondamento dell’autocoscienza dev’essere anche il fondamento di entrambe queste cose: che l’autorelazione in quanto tale abbia luogo e che essa si mantenga in un soggetto. Abbiamo cercato di pensare che tutto ciò si possa spiegare attraverso l’attività riflessiva. Ma questa presuppone evidentemente di per sé già l’autocoscienza. In natura si possono osservare molte autorelazioni, per esempio quando un fiume si scava il proprio corso. Ma l’autocoscienza non si può osservare. E in nessun caso in natura, come avviene nell’autocoscienza, un’autorelazione coincide – necessariamente – con il sapere di essa.

25Ho riflettuto a lungo sulle complesse problematiche nelle quali si viene trascinati percorrendo questa via e così facendo sono stato costretto a compiere un passo oltre Fichte. Fichte fu il primo ad aver sviluppato una filosofia della quale si può dire che fosse completamente dominata da questa problematica specifica. Per tutta la vita cercò di trovare nel sapere una spiegazione per la possibilità dell’autorelazione. Io stesso tuttavia, dopo molti esperimenti concettuali, sono pervenuto al risultato che tutti i tentativi di questo tipo sono vani. Il nostro pensiero e tutta la nostra vita cosciente si svolgono nell’autocoscienza. Ciò può spiegare e rendere accettabile il fatto che non possa esserci ricostruzione dell’autocoscienza nel pensiero e dal pensiero. Nondimeno dobbiamo presupporre un fondamento dal quale nasca la complessità nell’autocoscienza, comprendente anche la sua autorelazione.

26Tuttavia non possiamo individuare tale fondamento come compito gnoseologico per la ricerca, perché già la forma dell’autocoscienza stessa è un dato di fatto che non si può ulteriormente scomporre attraverso un’analisi.

27Con ciò viene definita una nuova costellazione di premesse, su cui devono fondarsi tutte le riflessioni sul rapporto tra autocoscienza e pensiero di Dio. Oggi ci proponiamo di illustrare in una panoramica concisa questa costellazione.

4.

Dalla sua ragione, ancorata nell’autocoscienza, la riflessione dell’essere umano viene guidata in due direzioni: verso il tutto della realtà, nella quale egli si trova, e verso il fondamento della propria vita. I due orientamenti sono contrapposti: da un lato il pensiero, partendo dal suo punto centrale, cerca di cogliere tutto ciò che esperisce e può esperire; dall’altro lato si rivolge verso se stesso e verso la vita propria di colui che conduce questa vita sapendo di sé. Nel momento in cui entra in questione il fondamento della sua vita cosciente, si produce un conflitto nel tipo delle due indagini, poiché il mondo in quanto natura è oggetto della conoscenza, mentre la costituzione del suo esser-sé invece si sottrae, secondo la tesi appena formulata, persino a una chiarificazione analitica. Tanto più, dunque, anche il suo fondamento non può essere oggetto della conoscenza.

28Eppure le opposte tendenze del pensiero devono alla fine essere portate a convergere. La conoscenza della realtà, infatti, e un pensiero del fondamento della vita cosciente non possono rimanere contrapposti in una condizione di aperta concorrenza, poiché entrambi sono radicati nell’autocoscienza. Ed entrambi, quindi, sottostanno al principio di unità messo in atto insieme all’autocoscienza quale principio primo della vita cosciente.

29Osserviamo anzitutto il pensiero che si rivolge al mondo, che per così dire si compie rivolto verso l’esterno. Vedremo che in esso l’orientamento verso l’unità si manifesta in tre modi. Tutto ciò che si fa incontro all’uomo viene esperito all’interno dell’interconnessione rappresentata da un unico mondo. Tuttavia bisogna anche capire in che modo in questo mondo ciò che è singolo sia interconnesso al singolo e in che modo ciò che è singolo discenda dal singolo. Per capire questi nessi, il conoscere deve allontanarsi sempre più dal modo in cui ciò che è singolo viene vissuto in un primo momento e quindi nel quotidiano della vita. L’unità del mondo si trasforma così nell’unità di una teoria della fisica, nella quale viene descritta la coazione di diverse leggi. Esse regolano il verificarsi di eventi in condizioni che si distinguono in linea di principio da ciò che si può osservare in condizioni quotidiane. Tra questa natura subatomica e quanto è dischiuso con l’uomo nella sua autocoscienza si può tutt’al più ottenere un collegamento in maniera del tutto indiretta – cioè attraverso la mediazione di molti pensieri, che non sono in grado di rivendicare assolutamente lo status di una conoscenza scientifica.

30Ma c’è un’ulteriore idea di unità che trascende l’unità del mondo. Infatti il mondo in quanto tale non consente di capire perché tutto ciò che si unisce a formarne l’unità sia reale. Anche le leggi della fisica e le loro costanti naturali, nel loro nesso di unità, costituiscono pur sempre un’incomprensibile molteplicità. Per questa ragione il pensare viene sospinto al di là del mondo delle esperienze. Esso concepisce l’idea di un nesso nel quale non solo si verifica, ma nel quale originariamente si compone tutto ciò che è reale. E in forza di questo nesso deve sospendere il carattere vincolante della regola secondo cui tutto il reale discenderebbe da un reale antecedente. Nella misura in cui tale nesso non sussiste tra ciò che è diverso, esso quantomeno si approssima al nesso che sussiste nell’individuo e lo costituisce. Dal momento che esso stesso non può essere ulteriormente condizionato, è il nesso in un essere necessario. E nella misura in cui questo essere non è soltanto la condizione di tutto ciò che è reale, bensì, al di là di esso, è la condizione di tutto ciò che è possibile, occorre attribuirgli una infinità del tutto diversa dall’infinità di una quantità. Questo pensiero di unità è il pensiero limite di Dio – di Dio, tuttavia, nella misura in cui il pensiero di lui può venir concepito a partire dal mondo. È un pensiero filosofico di Dio, che tuttavia ancora viene presupposto come fondamento unitario anche da parte di religioni politeistiche. Evidentemente non si tratta del Dio di Abramo, che stabilisce un’alleanza con un popolo. Tuttavia questo pensiero di Dio è il presupposto della prova ontologica cartesiana dell’esistenza di Dio. Secondo Descartes non occorre altro che averlo in mente con chiarezza come mero pensiero per venir convinti dell’esistenza di questo Dio. Ma il contenuto di questo pensiero è appunto pur sempre scaturito da un pensiero che muove dal mondo.

31Proprio per questo motivo però esso non è neppure l’idea compiuta di Dio della filosofia. Poiché il modo in cui questo Dio viene pensato non fa riferimento a chi pensa quell’idea, e quindi neanche all’autocoscienza e al rapporto con il suo fondamento, cioè a un rapporto che, come abbiamo appena visto, è antitetico rispetto al rapporto al mondo.

32Senonché, la prova dell’esistenza che Descartes voleva ottenere partendo dalla mera idea di Dio è manchevole. Benché infatti egli ci porti al pensiero limite di un Essere necessario, non disponiamo di un concetto chiaro che lo descriva e dal quale possa partire la prova della sua esistenza. Quel che però contraddistingue l’idea della prova, cioè l’ipotizzare un rapporto intimo tra Dio e il pensare dell’uomo, potrebbe acquistare una base più affidabile seguendo un’altra via: ossia quando il pensiero di Dio venisse integrato con il pensiero di un fondamento della vita cosciente che l’uomo conduce, così da formare un unico pensiero.

33Tutte le religioni parlano della protezione e della tutela degli uomini da parte di esseri divini e dell’adorazione che a questi è dovuta. Le religioni monoteiste, al di là di questo, dicono che Dio ha voluto l’uomo e l’ha creato. Ogni idea di un fondamento dell’esser-sé da parte dell’uomo, però, deve venir concepita secondo un modello diverso da tutti questi, poiché questi modelli sono tratti dall’esperienza quotidiana del mondo. Ma se l’autorelazione dell’autocoscienza non può venir compresa a partire da se stessa, il fondamento dalla quale essa scaturisce non dev’essere efficace soltanto quando la vita è posta nella sua autorelazione. La sua forza fondante deve continuare a operare ovunque la vita cosciente si compie in quanto tale. E se essa dovesse compiersi per forza propria, a monte di questa sua forza interna dovrebbero a loro volta esserci una condizione e un agire che ne rendano possibile e ne fondino l’autodeterminazione, che pertanto però devono essere compatibili con essa, anzi devono perfino necessariamente richiedere l’autodeterminazione. Allora tuttavia l’autodeterminazione nella vita cosciente non è affatto incondizionata nel suo compiersi, bensì è fondata nell’incondizionato che la rende possibile e la costituisce.

34Con ciò, però, non si è chiarito nulla di come un fondamento del genere vada pensato in maniera più particolareggiata. Tuttavia, in relazione all’altro orientamento del pensare, rivolto al mondo, abbiamo sviluppato il pensiero di Dio. Al contempo abbiamo visto che a tale pensiero con la sua costituzione straordinaria dovrebbe corrispondere un tipo di accertamento che a sua volta si è dovuto definire straordinario. E infine abbiamo visto che tale accertamento richiede di pensare una mediazione tra Dio e autocoscienza, che in nessun modo si basi su esperienze che possano venir fatte nel mondo.

35Se a questo punto si coniuga il pensiero di Dio con il pensiero di un fondamento che renda possibile in tutto e per tutto l’autocoscienza, si perviene a un pensiero dal quale la mediazione tra Dio e autocoscienza, che mirava soltanto alla mistica, acquista un fondamento razionale. Con ciò lo stesso pensiero di Dio acquista un contenuto più ampio. Nell’infinitezza di Dio non si deve scorgere l’unico fondamento che rende possibile tutto ciò che è finito, ma che proprio per questo anche si distingue a sua volta da tutto ciò che è finito. Nella misura in cui il fondamento non solo produce il percorso della vita cosciente dell’uomo, ma entra in esso completamente in maniera fondante, almeno in questo caso, ciò che è finito è coinvolto nell’infinito.

36Il discorso di Dio acquista dunque il significato che per la filosofia moderna con l’espressione di “Assoluto” è diventato il fondamento e al tempo stesso un problema fondamentale. Ma in realtà già l’evangelista Giovanni aveva postulato un tale pensiero, pur non riuscendo a concepirlo lui stesso: nessuno ha mai visto il Dio sopramondano. Ma la sua esistenza e ciò che egli è in se stesso risulta con certezza dal modo in cui si compie la vita cosciente dell’uomo nel momento in cui essa è diventata vera vita. Giovanni, come anche il giovane Hegel, chiama questa vita “Amore”.

37Così abbiamo nuovamente raggiunto il pensiero che sta a fondamento della prova ontologica dell’esistenza di Dio e che spiega il fascino che a esso è connesso, seguendo un percorso completamente differente da quello intrapreso a suo tempo da Descartes. Tuttavia dobbiamo tenere presente che esso non è stato affatto utilizzato come dimostrazione condotta al modo di quelle matematiche. Noi non possiamo dimostrare che Dio è l’assoluto. Di conseguenza non è possibile dimostrare che Dio è il fondamento interno della possibilità e soprattutto del compimento reale di tutta la vita cosciente. Sicché un accertamento che giunga a questa conclusione può essere ottenuto soltanto nel compimento di questa stessa vita – cioè attraverso il fatto che questa vita può far raccogliere se stessa come un tutto e ritrovare se stessa in un’autocomprensione, che sia in grado di sostenere un’affermazione come quella secondo la quale Dio opera in ciò che costituisce il più proprio della mia vita: tanto che anche la mia libertà non è soltanto voluta da lui, come dice la Chiesa, ma in lui è fondata.

38Oggi tutti conoscono il peso delle molte ragioni per dubitare della sostenibilità di una tale convinzione. Questi dubbi vengono suffragati dall’affermazione dei nostri neurologi convinti di poter addirittura dimostrare il contrario. Questa sera non abbiamo modo neppure di accostarci alla discussione del gioco di antitesi di tutte le ragioni e contro ragioni. Però ho cercato di illustrare come una convinzione che si fondi sulla confluenza di autocoscienza e pensiero di Dio non si possa accusare di attenersi soltanto a pregiudizi e desiderata irrazionali. Nell’idea di un Assoluto, che allo stesso modo sovrasta e include mondo e autocoscienza, sono invece unificati tra loro tutti i concetti razionali che si dischiudono ai limiti di ciò che può venir conosciuto e dominato come oggetto. Chi credesse di dover rinunciare per la propria vita al pensiero di un tale Assoluto dovrà rinunciare a molte cose irrinunciabili per il suo pensare in quanto tale. In questo senso, dunque, Descartes aveva ragione quando dimostrò che lo scetticismo nei confronti del pensiero di Dio non può venir mantenuto senza uno scetticismo nei confronti della razionalità in quanto tale.

Précédent Suivant

Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.