La libertà umana e la necessità del diritto e dello stato
p. 91-111
Texte intégral
1Diversamente da Kant, Fichte e Hegel, Schelling non scrisse alcuna opera esplicitamente dedicata alla filosofia del diritto o alla filosofia dello stato, tanto determinò – sebbene a torto1 – l’idea che Schelling fosse di fatto un filosofo impolitico. In quanto conseguenze del libero agire storico degli uomini, il diritto e lo stato2 sono le forme del politico che continuamente lo alimentano3 e appartengono intrinsecamente a ciò che egli definisce come «la vittoria del soggettivo sull’oggettivo», anche se sulla base di un fondamento aporetico. La libertà, che istituisce la storia e imprime la storicità all’esistenza umana, è infatti di per sé problematica in quanto determina il bisogno di un ordinamento fondato sulla necessità.
2Già i primi scritti politici di Schelling erano caratterizzati da perorazioni contro lo stato in generale e non solo contro lo stato feudale. In Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus si legge:
Innanzitutto l’idea di umanità, mostrerò che non c’è un’idea di Stato, perché lo Stato è qualcosa di meccanico, così come non c’è un’idea di una macchina. Solo ciò che è oggetto di libertà può definirsi idea. Dobbiamo dunque oltrepassare lo Stato! Poiché ogni Stato deve trattare gli uomini liberi come un ingranaggio meccanico; e questo non deve essere; e dunque esso deve estinguersi […]. Assoluta libertà di tutti gli spiriti, che portano in sé il mondo intellettuale e che non devono cercare fuori di sé né Dio né l’immortalità4.
3A leggere il discorso pronunciato dal duca Karl von Württemberg nel 1792 presso la Hohe Karlsschule – in cui si afferma che il principe «afferra il contesto e guida l’intera macchina dello stato lungo binari regolari»5 –, si può supporre che l’Älteste Systemprogramm sia da intendersi come una sorta di risposta indiretta a tali questioni. Non interessa qui stabilire se questo breve scritto sia di Schelling o di Hegel; ciò che qui importa è che il frammento potrebbe senz’altro essere stato scritto da Schelling.
4L’autorità, nel cui contesto di pensieri le questioni della morale e del diritto6 di Schelling vengono tematizzate e discusse criticamente, è certamente Kant, ma assieme a Kant troviamo anzitutto Fichte alla cui opera inizialmente Schelling si ispirò e con cui successivamente ingaggiò un confronto piuttosto acceso.
5Fu proprio sotto l’influsso di Fichte, che il giovane Schelling articolò la sua contrapposizione teorica a Kant:
Certamente Kant ha parlato della moralità e della felicità che le è relativa, come del sommo bene e dello scopo ultimo. Ma egli sapeva perfettamente che la moralità stessa non ha realtà senza uno scopo più alto, che essa presuppone limitazione, finitezza, e non è pensabile come fine ultimo, ma soltanto come approssimazione a esso. Egli ha sempre evitato, inoltre, di spiegarsi in modo determinato sul rapporto tra felicità e moralità, pur sapendo che la felicità, come semplice ideale dell’immaginazione, è soltanto uno schema per assicurare rappresentabilità pratica del Non-Io e che quindi non può appartenere allo scopo finale (ultimo), perché questo mira all’identificazione del Non-Io con l’Io, mira cioè alla completa annichilazione del Non-Io in quanto tale, in virtù dell’assoluta potenza di sé. Sarebbe perciò addirittura irragionevole sforzarsi di raggiungere la felicità empirica (come accordo prodotto dalla natura tra gli oggetti e l’Io) (SW, I/1, p. 196).
6Ciononostante fu il problema kantiano dell’antinomia di libertà e causalità, che Schelling ereditò ed elaborò nella prospettiva postkantiana di un Io assoluto incondizionatamente libero:
L’Io assoluto esige assolutamente che l’Io finito gli diventi uguale, esige che esso annienti ogni molteplicità e ogni mutamento presenti in lui. Quello che per un Io finito, limitato da un Non-Io, è legge morale è invece per l’Io infinito legge di natura, legge data insieme con il suo semplice essere e in esso. L’Io infinito è solamente in quanto è uguale a se stesso, solamente in quanto è determinato dalla sua semplice identità e non deve determinare il suo essere attraverso l’identità con se stesso. L’Io infinito non conosce, quindi, proprio nessuna legge morale perché, secondo la sua causalità, esso è determinato semplicemente come potenza assoluta, uguale a se stessa. Ma la stessa legge morale, pur non avendo luogo che in relazione alla finitezza, non ha né senso né significato se non stabilisce come scopo finale ultimo di ogni sforzo l’infinità dell’Io e la propria trasformazione in una semplice legge di natura dell’Io. – La legge morale nell’essere finito è in primo luogo schema della legge di natura che determina l’essere dell’infinito; ciò che questa rappresenta come ente, quell’altra lo rappresenta come esigenza. Poiché la legge suprema che determina l’essere dell’Io infinito è quella della sua identità (§ 7), nel finito la legge morale può rappresentare questa identità soltanto come esigenza e non come ente; la legge suprema per l’essere finito è perciò questa: Sii assolutamente identico a te stesso (SW, I/1, pp. 198 e segg.).
7La difesa dell’Io nella sua autonomia e allo stesso tempo la soluzione del problema di come sia possibile a partire dal presupposto di pretese di autonomia concorrenti una convivenza fra gli individui libera e al sicuro da violazioni furono i temi centrali della Nuova deduzione del diritto naturale (1796) di Schelling. Questo scritto radicale non è dunque di particolare interesse solo in quanto in esso diviene chiaro il modello concettuale sulla base del quale Schelling procederà di lì in avanti: la morale ha per lui uno status deficitario e i mezzi per colmare tale deficit di moralità sono il diritto e lo stato, in quanto istanza di realizzazione del diritto.
1. Schelling e Fichte
8La Nuova deduzione del diritto naturale (1796)7 di Schelling – il suo più dettagliato testo giuridico – mira a presentare il diritto come l’altro versante della libertà. La premessa forte afferma che «devo pensare come identico con me stesso, con quanto di ultimo, di immutabile è in me quanto di ultimo sta a fondamento di tutto ciò che esiste, l’essere assoluto che si rivela in ogni esistenza» (§ 2). La conseguenza consiste nel fatto che «la più alta esigenza di ogni filosofia pratica» potrebbe essere espressa dall’affermazione: «Sii! Nel più alto significato della parola; cessa di essere fenomeno; tendi a diventare un essere in sé!» (§ 3). La scienza «che mi apprende ad affermare la individualità del volere» è quella «scienza del diritto […] e il principio di ogni filosofia giuridica sarebbe il seguente: io ho un diritto a tutto ciò per cui affermo la individualità del mio volere secondo la forma» (§ 68).
9Nel § 72 si delinea un argomento circa la relazione di etica e diritto che Schelling riprenderà successivamente8:
L’etica risolve il problema della volontà assoluta rendendo la volontà individuale identica con quella generale, la scienza giuridica rendendo la volontà generale identica con quella individuale. Se ambedue avessero perfettamente soddisfatto i rispettivi compiti, cesserebbero di essere scienze contrapposte.
10Conformemente, «nell’etica il supremo principio di ogni diritto può suonare solo negativamente: non può assolutamente nulla di ciò per cui viene soppressa la individualità del volere secondo la forma» (§ 74). Anche «il problema di tutta intera la filosofia giuridica non è altro che quello di affermare la forma della volontà individuale» (§ 88) e giustificare che la materia del mio volere non è determinata o determinabile da altro che non sia il volere stesso (§ 92)9. Anche ciò che determina «la materia della volontà generale è unicamente e soltanto la forma del volere individuale» (§ 97), e «la volontà generale non esiste più, non appena si tratti della salvezza della libertà» (§ 144).
11Ma quali sono gli argomenti da cui si può dedurre la vicinanza di Schelling a Fichte? L’argomento decisivo è che la libertà è la destinazione fondamentale dell’uomo. La filosofia per Fichte non ha altro scopo che mostrare e giustificare tale assunto:
Il mio sistema è il primo sistema della libertà; come la nazione libera l’uomo da vincoli esterni, così il mio sistema lo affranca dalle catene della cosa in sé, da influssi esterni, e lo colloca nel suo primo principio come essente autonomo10.
12La moralità pretende di superare qualsivoglia dipendenza dell’Io dalla natura. Quest’idea viene alla luce in particolare nel Sistema di Etica:
Il carattere essenziale dell’Io, mediante cui esso si distingue da tutto ciò che è fuori di lui, consiste in una tendenza all’autonomia in forza dell’autonomia11.
13Richiamandosi alla concezione kantiana del rapporto tra libertà e legge morale Fichte scrive:
Se ti pensi libero, sei costretto a pensare la tua libertà sotto una legge; e se pensi questa legge, sei costretto a pensarti libero; di fatto, in essa legge è presupposta la tua libertà, e la stessa si annuncia come legge per la tua libertà12.
14Nel § 7 della sua Grundlage des Naturrechts (1796-1797) Fichte affermava circa “l’applicabilità del concetto di diritto” e “il compito della scienza giuridica”:
Le persone, in quanto tali, devono essere assolutamente libere, e dipendenti soltanto dalla loro volontà. Per essere libere, tuttavia, le persone devono stare nell’influenza reciproca e perciò non devono essere dipendenti soltanto da se stessi. Il compito della scienza giuridica è per l’appunto dare risposta a come possano convivere le due condizioni: e la questione fondamentale è come sia possibile una società di esseri liberi.
15Nel § 8 egli fornisce la seguente risposta:
Si comprende costantemente, secondo una regola, e non in modo casuale che la postulata coesistenza della libertà dei più […] è possibile solo mediante il fatto che ogni essere libero assuma come legge di limitare la sua libertà attraverso il concetto della libertà di tutti gli altri13.
16Alla fine del suo scritto Schelling giunge al risultato di condurre il diritto naturale necessariamente a un nuovo problema, «quello di rendere la forza fisica dell’individuo identica a quella morale del diritto, ossia al problema di una condizione, nella quale dalla parte del diritto si trovi sempre anche la potenza fisica. Quando però ci muoviamo alla soluzione di questo problema, noi entriamo pure nel campo di una nuova scienza»14. Questa nuova scienza ha come oggetto lo stato.
17La strada intrapresa da Schelling lo conduce presto a occuparsi della problematica del diritto e dello stato in un confronto critico con il diritto naturale contrattualistico. Nel decennio successivo Schelling si sarebbe impegnato in una critica alla sua stessa concezione individualistica della Nuova deduzione. Anche la teoria pragmatica del diritto – per la quale il diritto compensa il deficit razionale degli individui – e la teoria funzionale dello stato – secondo cui lo stato è il potere che impone le sanzioni del diritto, che Schelling aveva presentato nel Sistema dell’Idealismo trascendentale del 1800, non potevano soddisfare appieno le sue esigenze; e dunque le abbandonò in favore di una metafisica in cui lo stato diveniva la rappresentazione dell’assoluto.
2. Dal Sistema dell’Idealismo trascendentale alle Lezioni private di Stoccarda
18L’idea della libertà costituisce l’inizio e il punto finale della filosofia di Schelling e ciò vale anche per il suo pensiero politico. La libertà è lo stesso fondamento infondato della storia, il cui inizio è l’atto libero dell’uomo. Proprio la libertà è problematica nell’ambivalenza della possibilità per il bene e per il male e porta, in forme storiche distinte, alla necessità di un ordinamento fondato. La libertà è la costante che non varia sulla via filosofica di Schelling; le variazioni si incontrano nelle concettualizzazioni della necessità e del rapporto pratico della libertà con la necessità. Diversamente da Hegel, Schelling non concepisce il diritto e lo stato come sostanze, bensì le presenta come determinazioni pragmatiche e funzionali: diritto e stato sono storicamente necessari; sono conseguenze di quella libertà, che può essere esercitata anche nella scelta per il male.
19Rispetto alla Nuova deduzione del diritto naturale, nel Sistema dell’Idealismo trascendentale si osserva già un cambio di prospettiva; qui Schelling tematizzava le sue convinzioni circa il diritto e lo stato in parte in affinità a Kant e in parte prendendone le distanze. In queste opere erano anche centrali le questioni di filosofia morale, tuttavia non sul piano materiale, bensì nell’orizzonte di «una deduzione trascendentale di ciò che in generale rende pensabili e spiegabili i concetti morali» (SW, I/3, p. 532). Il problema fondamentale davanti al quale si ritrova Schelling – non diversamente da Kant – era il problema della causalità e del determinismo, il problema della relazione tra libertà e necessità. Schelling propose una soluzione che doveva portare a una armonizzazione di libertà e necessità nei concetti di una seconda natura e di una “legge naturale dei fini della libertà”:
La natura non può agire, nel senso proprio del termine. Però possono agire gli esseri razionali, e un’azione reciproca fra di loro attraverso il medio del mondo oggettivo è anzi condizione della libertà. Quanto a sapere se tutti gli esseri razionali limitino o no il loro agire per la possibilità del libero agire di tutti gli altri, ciò dipende da un assoluto caso, dall’arbitrio. Ma così non può essere. […] la coazione di una legge inviolabile deve rendere impossibile che venga soppressa la libertà dell’individuo nell’azione reciproca di tutti. […] Al di sopra della prima natura, una seconda e più elevata, deve per così dire essere istituita dove regni una legge naturale, ma del tutto altra rispetto a quella natura visibile, ossia una legge naturale al fine della libertà. In questa seconda natura, l’attentato alla libertà altrui deve essere seguito istantaneamente dalla contraddizione dell’impulso egoistico, e ciò inesorabilmente, con quella ferrea necessità secondo cui, nella natura sensibile, l’effetto segue alla causa. Una siffatta legge naturale, tale e quale abbiamo descritta, è la legge giuridica, e la seconda natura, nella quale domina tale legge, è la costituzione del diritto (SW, I/3, p. 582).
20Schelling non condivideva più l’ottimismo della ragione, del progresso, del diritto, tipico dell’illuminismo e ancora dell’impostazione di Kant, respingendo, come già aveva fatto Kant, l’idea di un primato della morale sul diritto:
Ma proprio per il fatto che la costituzione giuridica dev’essere unicamente il supplemento della natura visibile, consegue che l’ordinamento giuridico non sia un ordinamento morale, bensì semplicemente naturale, sul quale la libertà ha tanto poco potere quanto su quello della natura sensibile. Non c’è pertanto da stupirsi che tutti i tentativi per trasformarlo in un ordine morale si denuncino essi stessi come riprovevoli per la loro stortura intrinseca e per quel dispotismo, nella forma più spaventosa, che ne è l’immediata conseguenza (SW, I/3, p. 583).
3. Aspetti della filosofia della natura di Schelling
21Non c’è una diretta connessione tra la teoria politica di Schelling e la sua filosofia della natura. Tuttavia, i principi essenziali del suo pensiero plasmano tutti e due gli ambiti, e in entrambi Schelling non rinuncia alle esigenze intellettuali tipiche della sua epoca. Questo vale anche per la sua filosofia della natura15 nonché per l’interesse mostrato dal filosofo per la ricerca scientifica del suo tempo16. Il giovane Schelling fu senza dubbio ispirato dal criticismo e dal modo di pensare tipico di quegli anni, e dunque soprattutto – come sarebbe accaduto anche per la sua filosofia tarda – dalla filosofia di Kant. Allo stesso tempo egli subì il fascino dei risultati della scienza contemporanea. Sotto l’influenza della sua filosofia della natura, si pervenne «in Germania […] a una forma metafisica di ricerca naturale, che al contempo comportava una particolare concezione dell’uomo e del suo rapporto con la natura, non lasciando immutate le altre scienze come per esempio le arti»17.
22Schelling parla espressamente di «metamorfosi che accadono nello spirito umano» come «rivoluzioni delle scienze» (SW, I/5, p. 226), a testimonianza di quanto lo avesse influenzato l’atmosfera delle innovazioni scientifiche che caratterizzarono il secolo. All’epoca di Schelling vi furono scoperte e innovazioni scientifiche rivoluzionarie per esempio nell’ambito dell’elettrodinamica – dall’elettrostatica quantitativa nell’ultima parte del Settecento (Priestley, Cavendish, Coulomb) passando per Galvani, Volta e Davy, Ampère, Ohm e Faraday (la corrente continua o il campo magnetico di una corrente) fino alla teoria dei campi elettromagnetici a metà degli anni Quaranta dell’Ottocento. Da citare la ripresa e la precisazione della teoria ondulatoria della luce, lo sviluppo delle leggi sul calore, il passaggio dall’attività chimica al sistema scientifico della chimica; la teoria del flogisto venne superata mediante la dimostrazione scientifica degli ‘elementi’ e dei legami chimici sulla base della teoria dell’ossidazione di Lavoisier. Importanti sviluppi ci furono poi in biologia, nel campo della morfologia e nella classificazione degli arti, così come nel campo dell’embriologia anche in forza del miglioramento degli strumenti tecnici di indagine come per esempio il microscopio; nella teoria cellulare si stabilì inoltre l’elemento strutturale fondamentale di ogni essere vivente. Non meno significativi furono i risultati nella ricerca geologica, in cui grazie a Lyell si stabilì che nella storia della terra fossero da riconoscere ampi intervalli di tempo. Schelling fece riferimento a tali evidenze nella sua prospettiva storico-filosofica dei Weltalter: «Appena fatti i primi passi verso l’unificazione di filosofia e natura, ecco che si era costretti a riconoscere la remota antichità del fisico, e come esso, ben lungi dall’essere l’ultimo, sia piuttosto il primo» (SW, I/8, p. 205). Anche la geografia fu arricchita di una quantità di nuovi dati grazie a una seconda fase di viaggi di esplorazione, per esempio attraverso le spedizioni in Sudamerica di von Humboldt con cui peraltro Schelling era in contatto.
23Ciò di cui si occupava Schelling era di fatto una dottrina naturale dello spirito. La seguente citazione si può intendere come sintesi e motto del suo intero programma:
[…] la natura non libera spontaneamente nessuno dalla sua tutela, e nessuno è nato figlio della libertà. Non si potrebbe neppure concepire come l’uomo avesse potuto uscire da quello stato, se non sapessimo che il suo spirito, il cui elemento è la libertà, aspira a rendersi libero, e doveva prima svincolarsi dai ceppi della natura e dalle cure di essa, lasciandola all’inconsapevole sorte delle sue proprie forze, per poter poi ritornare come vincitore e per opera propria a quello stato in cui, inconscio di sé, aveva vissuto la fanciullezza della sua ragione (SW, I/2, p. 12).
24I due libri che compongono le Idee per una filosofia della natura di Schelling appaiono a Lipsia nel 1797 con una tiratura di appena 500 esemplari; un’edizione rivista e ampliata sarebbe stata pubblicata successivamente nel 1803 con il sottotitolo Introduzione allo studio di questa disciplina. In questo testo, che egli interruppe sotto la pressione della incombente fiera del libro di Lipsia, Schelling volle stabilire alcune esigenze; egli licenziò apertamente l’opera come «futuro fondamento di un generale sistema della natura», che avrebbe dovuto includere la dottrina generale del moto, la statica e la meccanica, i principi della dottrina della natura, della teleologia e della fisiologia. Invece, nel 1798 uscì Sull’anima del mondo. Un’ipotesi sulla fisica superiore. Il giovane filosofo non si sentiva ancora in grado «di definire la totalità con una fisiologia scientifica, la sola in grado di dare forma al tutto» (SW, I/2, p. 351).
25Già nella prefazione Schelling esponeva i motivi guida e i principi del suo lavoro:
Ciò che rimane per la filosofia teoretica [dopo Kant] sono soltanto i principi generali di un’esperienza possibile, e sarà in futuro una scienza che precede la fisica anziché seguirla (metafisica) (SW, I/2, p. 3).
26Nella classificazione di Schelling la filosofia teoretica e la filosofia pratica vengono a loro volta distinte in filosofia «pura e filosofia applicata». La filosofia teoretica applicata aveva il compito, «in quanto filosofia della natura […], di dedurre da principi un determinato sistema del nostro sapere (vale a dire il sistema dell’intera esperienza)». Così come attraverso la filosofia della natura si doveva ricavare la dottrina della natura, così la storia doveva ricavare attraverso la filosofia degli uomini il suo fondamento scientifico (SW, I/2, p. 4). Nella prospettiva dell’Introduzione Schelling osservava nella sua premessa come allora concepisse la relazione tra filosofia e scienza: la filosofia è la scienza dei principi e si comporta in quanto tale rispetto al sapere empirico; non si tratta più ora di applicare la filosofia alla dottrina della natura; il suo fine «è piuttosto quello di far sorgere la stessa scienza della natura filosoficamente». In quanto teoria dei principi essa è allo stesso tempo ermeneutica della natura:
è vero che la chimica ci insegna a leggere gli elementi, la fisica le sillabe, la matematica la natura; tuttavia, non si può dimenticare che spetta alla filosofia interpretare quanto viene letto (SW, I/2, p. 6).
27Schelling sembrava sospettare che il suo intendimento potesse rimanere incompreso e così, prima di accompagnare il lettore nel viaggio attraverso i dettagli empirici (combustione, luce, aria, elettricità…) esposti in modo filosofico, introdusse così il primo libro delle Idee:
Che l’uomo agisca autonomamente sulla natura, la determini secondo fini e intenzioni, la lasci agire davanti ai suoi occhi e per così dire la osservi all’opera, non è altro che un esercizio del suo legittimo dominio sulla morta materia, che viene riportata a lui al contempo con ragione e libertà. Il fatto che però l’esercizio di questo dominio diviene possibile, egli lo deve ancor sempre alla natura, che egli invano si sforza di dominare, egli non la potrebbe porre in conflitto con se stesso e non potrebbe volgere le forze proprie della natura contro di essa (SW, I/2, p. 74).
28Già nelle Idee per una filosofia della natura si annuncia la complessità delle questioni fondamentali di Schelling: esse abbracciano la filosofia e la teoria filosofica, la filosofia della natura e la teoria naturfilosofica assieme al trascendentalismo, e quindi la (meta-)teoria della relazione, per Schelling problematica e tutta da chiarire, tra speculazione ed empiria. Con Rousseau egli afferma che «la mera speculazione è dunque una malattia dello spirito dell’uomo […]. Contro una filosofia che non considera la speculazione come mezzo ma come fine ogni arma è buona» (SW, I/2, pp. 13 e seg.). Questo Schelling formulò un programma a cui di fatto si sarebbe potuto ripensare solo dopo gli anni Sessanta dell’Ottocento dopo la disillusione del positivismo scientifico rispetto alla relazione precaria tra ‘teoria e fatti’ maturata nella crisi teorico-conoscitiva della fisiologia e della fisica: per Schelling si trattava della trasformazione realistica dell’Idealismo trascendentale e della trasformazione critica del realismo ontologico. Di ciò tratta di fatto l’Introduzione alle Idee.
29Schelling non voleva trasferire «gli astratti principi a una scienza empirica già esistente» (SW, I/2, p. 6); egli si oppose anche all’idea che si potessero assumere le conoscenze della scienza empirica nella filosofia (SW, I/2, p. 6). Il suo metodo consisteva nel «far sorgere la stessa scienza della natura solo filosoficamente» (ibidem). Si trattava dunque di chiarire come sia pensabile «che le leggi della natura si risolvono nelle pure leggi della ragione» (SW, I/2, pp. 253 e seg.). La filosofia della natura doveva dedurre «da principi la possibilità della natura, ossia dell’intero mondo dell’esperienza» (SW, I/2, p. 11). Il problema non era quindi «se e come esista realmente fuori di noi quell’insieme di fenomeni e quella serie di cause ed effetti che chiamiamo corso della natura, ma come esso divenga reale per noi, come quel sistema e quell’insieme di fenomeni abbiano trovato la via per giungere al nostro spirito, e come essi nella nostra rappresentazione conseguano quella necessità con la quale noi siamo assolutamente necessitati» (SW, I/2, pp. 29 e seg.).
30Già l’Introduzione al Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura del 1799 documenta un cambio di paradigma dopo Kant circa la questione teoretico-gnoseologica, il tentativo di una nuova mediazione tra teoria della conoscenza e dottrina dell’essere. Mentre la filosofia della natura si comprendeva come “spinozismo della fisica” ossia come “fisica speculativa” (SW, I/3, pp. 273 e seg.) e in modo tale da definire l’empiria e la costruzione speculativa come due facce di una stessa medaglia, per essa risultavano possibili principi fondati sulle «cause ultime dei fenomeni naturali» (SW, I/3, p. 277). La conoscenza empirica indirizzata alla “natura come oggetto” e la conoscenza teoretica indirizzata alla “natura come produttività” (SW, I/3, p. 284), alla natura come soggetto, costruiscono una unità prospettica (ibidem); empiria e teoria erano momenti di una inaggirabile complementarità per la conoscenza.
31C’è un’idea che come nessun’altra contraddistingue il particolare nella concezione schellinghiana di una nuova filosofia della natura. Si tratta della tesi per cui noi possiamo riconoscere solo ciò che noi stessi abbiamo prodotto18. Essa è la conseguenza di tre passi fondamentali “ideal-realistici” (SW, I/3, pp. 273-279):
Mentre per la filosofia trascendentale «la natura non è altro che l’organo dell’autocoscienza», nella filosofia della natura i modelli di spiegazione idealistici non realizzano alcunché. Si afferma anzi che «la nostra scienza fa propria, intendendola nel senso più ampio, quella che è la prima massima di ogni autentica scienza della natura: spiegare tutto esclusivamente in base a forze naturali, e la estende persino a quei campi di fronte ai quali ogni spiegazione naturale ha fino a oggi l’abitudine di tacere; per esempio a quelle manifestazioni organiche che sembrano presupporre qualcosa di analogo alla ragione» (SW, I/3, p. 273).
La fisica speculativa ha il profilo di un realismo trascendentale, interno, con una chiara tendenza olistica: diversamente dalla fisica dei singoli enti naturali la filosofia della natura deve comprendere che «si può avere un sapere soltanto di oggetti di cui comprendiamo i principi di possibilità» (SW, I/3, p. 275). Da ciò segue una spiegazione programmatica: «noi sappiamo solo ciò che noi stessi abbiamo prodotto: il sapere nel senso più rigoroso del termine è dunque un puro sapere a priori» (SW, I/3, p. 276).
Diviene decisivo l’argomento della natura come soggetto. La totalità della natura non sorge soltanto nella sintesi dell’appercezione, bensì esiste prima delle parti che appaiono. La svolta antidualistica che qui viene descritta modifica anche il metodo della fondazione trascendentale: «non siamo dunque noi che conosciamo la natura, bensì la natura è a priori […]. Ma se la natura è a priori, deve anche essere possibile conoscerla come qualcosa che è a priori» (SW, I/3, p. 279).
32Questi stessi principi di filosofia della natura stanno anche alla base dell’idea schellinghiana del diritto come “seconda natura”.
4. Il diritto come seconda natura
33L’idea del diritto come di una seconda ‘natura’ a tutta prima potrebbe certamente stridere, se Schelling conoscesse e condividesse le convinzioni di Kant sui limiti della causalità naturale e del determinismo. Propriamente vi erano due buone ragione per le quali Schelling fondava il concetto di diritto sulla natura: 1) la prima ragione è di carattere ontologico, ma offre anche fini pragmatici per condividerla: non v’è un essere esterno all’uomo che appartenga a questa particolare natura; piuttosto essa abbraccia anche quella seconda natura dell’uomo e così coesistono nella necessità e nella libertà; perciò la ‘natura’ può offrirsi come fondamento del diritto; 2) la seconda ragione è implicitamente pragmatica e teoreticamente vicina all’estensione kantiana della natura nella teoria della storia e del diritto: la libertà umana non implica per se la speranza in un sistema di ordinamento in cui le libertà di ciascuno siano in accordo fra di esse; solo la teleologia della natura garantisce la prospettiva di una costituzione cosmopolita del vivere in comunità. Infatti, che tutti gli individui si obblighino alla vicendevole realizzazione di libertà e diritti era per Schelling «dubbio e incerto, anzi impossibile, poiché i più non pensano mai a quel fine». La sua questione «come si può ora uscire da tale incertezza?» volge con Kant a «un ordinamento morale del mondo»; ma diversamente da Kant la sua evidenza non è più garantita dalla ragione:
Tuttavia, come si può dimostrare che quest’ordine morale del mondo possa venir pensato esistente in quanto oggettivo, puramente e semplicemente indipendente dalla libertà? L’ordine morale del mondo, si potrebbe dire, esiste non appena lo instauriamo; ma dove mai è istituito? È l’effetto comune di tutte le intelligenze, nella misura in cui tutte vogliono appunto, mediatamente o immediatamente, un tale ordine. Sinché questo caso non si dà, non esiste nemmeno l’ordine morale (SW, I/3, p. 596).
34Tutti i tentativi di trasformare l’ordinamento giuridico in un ordinamento morale si sono dimostrati falsi «per la loro stortura intrinseca e per quel dispotismo, nella forma più spaventosa» (SW, I/3, p. 583).
35Nel testo Sull’essenza della scienza tedesca del 1811, Schelling spiega perché abbia abbandonato la concezione radicale dei suoi primi anni:
Per quanto riguarda innanzitutto il rapporto generale degli uomini tra loro, il punto di partenza e di appoggio di tutte le teorie era l’assoluta personalità del singolo. Diritto e legge ci furono non perché sorgesse un tutto simile all’universo, unicamente in vista di un tutto, ma perché potesse esistere il singolo per sé, conchiuso e separato […]. Su questa insensata presunzione di egoità assoluta si è fondata una scienza, sotto questo aspetto del tutto sconosciuta agli antichi, del cosiddetto diritto naturale, che a tutti dà uno stesso diritto su tutto e non conosce alcun dovere interiormente vincolante, ma solo omissioni e restrizioni […]. Da tale torbida fonte di vitalissimo egoismo e ostilità di tutti contro tutti scaturì poi lo stato, mediante una convenzione tra gli uomini e un reciproco contratto. […] Meccanizzazione completa di ogni talento, di ogni storia e delle istituzioni è qui il fine supremo. Nello stato tutto deve essere necessariamente, non come tutto è necessario in un’opera divina, ma come tutto è necessario in una macchina attraverso coazione e impulso esterno (SW, I/8, pp. 10 e seg.).
36Malgrado la sua vicinanza a Kant e sebbene non avesse rigettato all’inizio la sua idea di un ordinamento giuridico cosmopolita, Schelling non vedeva più alcuna buona ragione per sostenere l’ottimismo di Kant per una pace perpetua (1804). Se si seguono le lezioni di Würzburg sino al Sistema dell’intera filosofia (1804) «le idee filantropiche di una futura età dell’oro, di un’eterna pace… hanno perso da questo punto di vista gran parte del loro significato. L’età dell’oro verrebbe da se stessa se ciascuno l’avesse in sé, e chi l’ha in sé non ha bisogno di essa fuori di sé» (SW, I/6, p. 563). Inizialmente l’idea fondamentale di costituzione giuridica di Schelling era certo quella di «esaminare […] soltanto un surrogato provvisorio per l’assenza di altre guide»19. In quanto non si tratta realmente di uno scostamento da una precedente prospettiva, se Schelling solo due anni più tardi nelle Lezioni sul metodo dello studio accademico parlava degli aspetti negativi della costituzione e di un “meccanismo infinito”, in cui «non si incontra nulla di incondizionato» (SW, I/5, p. 316).
37Sulla base di questa critica, Kant abbozza una posizione alternativa che compare per la prima volta proprio in queste lezioni:
Ogni vera costruzione è per sua natura assoluta ed è sempre orientata, anche nella forma particolare, solo all’unità. Essa, per esempio, non è costruzione dello stato in quanto tale, ma dell’organismo assoluto nella forma dello stato. Costruire questo organismo non vuol dire, dunque, concepirlo come condizione della possibilità di qualcosa di esterno a esso, e del resto, se è esposto come immagine immediata e visibile della vita assoluta, esso realizzerà anche da solo tutte le finalità: così come la natura non esiste affinché ci sia un equilibrio della materia, ma questo equilibrio esiste perché c’è la natura (SW, I/5, p. 316).
38Coerentemente con la problematica metafisica a essa connessa, nelle Lezioni si trattava di fondare le idee di stato e di diritto, che potevano fungere da fini normativi e come criteri dell’analisi critica alla fatticità dello stato e del diritto: diritto e stato si fondano nella necessità ontica, chiarita metafisicamente, della storia stessa; essi non hanno bisogno di essere tracciati utopicamente o di essere ipotizzati nella prospettiva di un’infinita perfettibilità. Il principio speculativo di Schelling afferma: l’assoluto appare «nella duplice forma di natura e storia» (SW, I/5, p. 306). Le due distinte ‘potenze’ sono identiche “secondo l’essenza”. Queste premesse consentivano a Schelling di determinare l’idea dello stato senza riduzioni naturalistiche nell’orizzonte della natura e della storia.
Il mondo della storia, una volta compiuto, sarebbe quindi esso stesso una natura ideale, lo stato, come organismo esteriore di un’armonia di necessità e libertà, raggiunta in seno alla libertà stessa. La storia, in quanto ha come oggetto privilegiato la formazione di questa associazione, sarebbe la storia nel senso stretto del termine (SW, I/5, p. 306).
39L’interesse di Schelling fu tanto poco per una storia descrittiva quanto per una scienza descrittiva dello stato, e nella lezione decima, malgrado il titolo, il centro del discorso non è certamente la giurisprudenza. Si trattava per lui della costruzione normativa dello stato, che doveva essere. Egli affermava:
Noi abbiamo definito come oggetto della storia in senso stretto la formazione di un organismo oggettivo che sia quello della libertà, cioè la formazione dello stato. Vi è una scienza dello stato così necessariamente come vi è una scienza della natura. La sua idea può ancor meno essere derivata dall’esperienza perché questa deve piuttosto apparire qui come creata conformemente alle idee, e lo stato come opera d’arte (SW, I/5, p. 312).
40In quanto «l’eccellente opera della storia» è la formazione della costituzione giuridica, anche «la scienza del diritto, o la giurisprudenza» (SW, I/5, p. 282) si deve sussumere sotto la storia – e quella storia è possibile soltanto come arte.
41La situazione storica, in cui Schelling tenne le sue lezioni a Jena, non ha lasciato tracce significative in queste. In esse si descrive un programma di filosofia speculativa e non della storia dell’epoca: poco dopo l’autore stesso affermava nuovamente che «qui non si intende alcuna immagine di stato proveniente dall’esperienza reale», chiarendo ancora una volta, nel Sistema di Würzburg, il suo programma: per lui non si trattava di uno stato «meramente formale, cioè uno stato che sia pensato come istituito soltanto per uno scopo esterno, per esempio per la reciproca garanzia dei diritti (come avviene per gli stati costruiti finora). Tali stati sono soltanto stati della necessità e della costrizione; del resto tutte le forme statali costruite finora nella scienza, in particolare a partire da Kant, non contengono nient’altro che le mere condizioni negative di uno stato, attraverso le quali non è posto nulla di positivo, nulla dello stato vivente, libero, organico, come unicamente può darsi nell’idea razionale» (SW, I/6, p. 575).
42Sarebbe tuttavia un errore non leggere le Lezioni come un’implicita e veemente critica alla sua epoca, non meno dura nei toni della successiva rottura di Hegel con la società civile. Rispetto allo scopo di una costruzione metafisica dello stato non ci si doveva certo attendere che il Virginia Bill of Rights (1776), la Costituzione degli Stati Uniti (1788), La dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini (1789), la Dichiarazione dei diritti dell’uomo nella Costituzione rivoluzionaria del 1791 e la dittatura napoleonica dessero la loro impronta alle lezioni. La storia politica e lo sviluppo del diritto erano presenti in Germania per negationem; la dissoluzione del vecchio Reich a partire dal 1802, la richiesta di risarcimento degli stati generali dopo la cessione dei territori della riva sinistra del Reno alla Francia nella pace di Luneville, la modifica radicale della politica patrimoniale presente nella Relazione conclusiva della deputazione imperiale (Reichsdeputationshauptschluss) del 1803, e così via. Dalle considerazioni sul diritto di Schelling rimanevano esclusi teorici come Pütter e Runde, Möser, Hugo, Savigny e Anselm Feuerbach, né Schelling si interessò al conflitto che infuriava proprio in quell’epoca20 tra diritto naturale razionalistico e scuola storica (si veda M. Maesschalck, Droit naturel et philosophie politique chez Schelling. Un parallèle entre première et dernière philosophie, in «Science et esprit», 44, 1992).
43Anche questa impressione inganna: il concetto di ‘organismo’ divenne la leva della critica al ‘formalismo’ del diritto naturale, soprattutto dei ‘giuristi kantiani’ (SW, I/5, p. 315), alla concezione contrattualistica dello stato e al dominio del diritto privato contro il diritto pubblico21.
44Fu la diagnosi di Schelling di una crisi della modernità che gli fece precisare il compito da assegnare alla filosofia; tale compito consisteva nel «rivelare la moralità», il cui concetto era stato considerato presso i moralisti e nel diritto naturale «sufficientemente a lungo solo negativamente», «nelle sue forme positive» (SW, I/5, p. 276)22. Infatti, «la società civile [perseguiva] fini empirici a danno dell’assoluto»; essa poteva perciò produrre soltanto «un’identità apparente, forzata, e in sé falsa» (SW, I/5, pp. 235 e seg.)23. Schelling confrontava la società moderna, in cui «le grandi oggettività delle costituzioni statuali e dell’unità religiosa generale» sarebbero svanite e dalla quale «il principio divino del mondo» si sarebbe ritirato (SW, I/5, p. 273), con l’idea di uno stato, «che [è] compiuto nel rapporto, nel quale ogni singola parte, è allo stesso tempo mezzo per l’intero e fine in se stesso» (SW, I/5, p. 232). La costituzione di questo stato, secondo il modello della Politeia di Platone, è «un’immagine della costituzione del regno delle idee»; il potere statuale non viene dal popolo, ma è fondato nell’assoluto (SW, I/5, pp. 260, 282).
5. La critica dello stato
45Se ora Schelling parlava dello stato come ‘seconda natura’ o come ‘natura ideale’, di certo non lo faceva più nel senso di un tempo. Il cambio di paradigma, che lo aveva portato – già nel 1797 con le Idee per una filosofia della natura – all’idea guida di ‘organismo’, determinava ora anche la teoria dello stato e del diritto. Ma cosa si intende per ‘organismo’? Il concetto contraddistingueva la complessiva organizzazione autopoietica e autoreferenziale di un prodotto che ha in se stesso il fondamento della sua esistenza e del suo fine (SW, I/2, p. 40)24. Per esempio, diversamente dalle concezioni riduzionistiche socio-biologiche del romanticismo politico, Schelling definiva lo stato come un «organismo oggettivo della libertà» (SW, I/5, p. 312), in cui si raggiungerebbe un’armonia di necessità e libertà: «la sua manifestazione compiuta nel reale è lo stato perfetto, la cui idea è raggiunta non appena il particolare e l’universale fanno assolutamente una cosa sola, non appena ciò che è necessario è in pari tempo libero e tutto ciò che avviene liberamente è in pari tempo necessario» (SW, I/5, pp. 313 e seg.). Questo concetto di organismo non corrispondeva al romanticismo politico, in cui l’organicità stava a significare l’immagine opposta allo stato-macchina, artificialmente meccanico.
46Non solo Franz von Baader stigmatizzò la «pericolosa stoltezza dei nostri tempi, secondo la quale si crede di poter costituire o anche decostruire qualsivoglia società (nazione), come si costruiscono e di nuovo si distruggono i manufatti»25. Per Joseph Görres cedendo al meccanismo, «lo stato diviene tra le sue mani una macchina a vapore»26. Secondo Adam Müller «era confutato il primo errore fondamentale dei sistemi politici: lo stato non è un mero manufatto, un‘industria, o una società mercantile». Müller si opponeva alla ‘ingenua’ rappresentazione del ‘diritto statuale generale’ di Schlözer, per la quale gli stati sarebbero un’invenzione, «gli uomini lo realizzarono per il loro bene, così come inventarono le assicurazioni contro gli incendi»27. Le lezioni di Friedrich Schlegel sulla storia moderna condannavano la disgrazia per la quale «si invertiva l’ordine delle cose, le forze morali dello stato venivano subordinate a quelle materiali o venivano sacrificate, e lo spirito degli stati si spegneva sempre più, nel tentativo di fare dei loro corpi macchine morte sempre più perfette»28. Nell’«amministrazione meccanica» dello stato razionale Novalis vedeva sprecare tutte le energie nella «quadratura politica del cerchio»: «nessuno stato – aveva scritto già nel 1798 in Fede e amore, ovvero il re e la regina – è stato amministrato come una fabbrica più di quello prussiano dopo la morte di Federico Guglielmo I»29.
47Alla posizione del romanticismo politico – non diversamente da quanto avveniva per la scuola storica del diritto – era collegata una critica ai principi di uguaglianza fondati sul diritto naturale. La natura ‘organica’, a cui ci si rifaceva, finì per divenire argomento a favore dell’ineguaglianza; come afferma Karl Ludwig von Haller, «le differenze dell’epoca, del gusto, della facoltà, del talento… davanti alle cui forze dovevano fallire i tentativi di realizzare il sistema-stato filosoficamente detto, erano istituite dalla natura e non si potevano aggirare, perché l’onnipotenza della natura si contrappone alla sua realizzazione»30.
48In Schelling non si trova nel contesto filosofico né una difesa organologica né un’apologia metafisica dello stato esistente. Nella sua prospettiva dal fondamento / non-fondamento storico della libertà umana – del peccato originale – lo stato appare come necessario. Egli pone limiti allo stato reale: lo stato – così Schelling sette anni più tardi nelle sue Lezioni private di Stoccarda – si doveva limitare a ciò che è necessariamente da regolare; correttamente inteso, lo stato è niente di più e niente di meno che la condizione di possibilità di una libera manifestazione dell’individuo limitata dal diritto.
49Difficilmente si troverà una formulazione più significativa per la comprensione dello stato secondo Schelling del bilancio storico-teorico che assume il peccato originale che il filosofo presenta nel 1810:
L’unità naturale, questa seconda natura sovrapposta alla prima, nella quale l’uomo è costretto a cercare la propria unità, è lo stato; perciò lo stato è […] una conseguenza della maledizione che grava sull’umanità […]. È noto come soprattutto dai tempi della Rivoluzione francese e della diffusione dei concetti kantiani ci si sia sforzati di mostrare la possibilità di conciliare l’unità con l’esistenza di esseri liberi, cioè la possibilità che altro non sia se non la condizione per realizzare la massima libertà possibile nei singoli. Ma un tale stato è impossibile o si toglie al potere statale la forza che gli è necessaria, oppure gliela si concede, ma allora si ha il dispotismo (SW, I/7, p. 461).
50Nella Nachschrift di Georgii delle Lezioni private di Stoccarda le ancor più pungenti osservazioni sullo stato seguono a quelle sull’effetto della caduta dell’uomo sulla sua interiorità:
nulla mostra più efficacemente che l’uomo in quanto spirito è decaduto ad essenza fisica quanto la costruzione dello stato, quale mera conseguenza della degenerazione del genere umano […]. La vera repubblica può essere soltanto in Dio; l’autentico stato deve fondarsi su due principi, libertà e innocenza. Da dove mai potrebbero venire nei nostri stati?31.
51Schelling riferiva il suo tardo veto teoretico contro «la mera conservazione (in fondo negativa)»32 restaurativa anche a ogni forma di stato: neanche lo stato esistente meritava di essere conservato. Ma questo è solo un aspetto – quello filosofico – della posizione politica di Schelling. L’altra faccia della medaglia mostra invece che egli si è sempre scagliato contro le pretese di cambiamento dello stato esistente. Così per esempio spiegò che la repressione del movimento democratico attraverso i Decreti di Karlsbad del 1819 non poteva certamente trovare sostegno presso i benpensanti, ma solo perché questi «dovevano produrre l’effetto esattamente opposto, rispetto a quello di ricondurre tutto all’opposizione. Tuttavia proprio quella opposizione, contro cui questo tutto è originariamente diretto, non si può effettivamente difendere; diviene sempre più chiaro giorno dopo giorno che dietro di essa non v’è altro che le posizioni vetero-giacobine e un illuminismo superficiale, che vorrebbe estirpare allo stesso tempo tutto ciò che vi è di profondo nella scienza, nella religione, e nello stato […]. Non so come io possa entrare in contatto con la politica del momento, […] infatti si dà troppo onore ad azioni misere, schierandosi contro o a favore, e ciò di certo non abbatterà lo stato»33.
52Sul piano filosofico tuttavia la critica allo stato attraversa l’intera opera di Schelling. Nella filosofia positiva le ragioni teoretiche per il suo giudizio non mutano più. Così afferma Schelling nella lezione 31 della Grundlegung der positiven Philosophie dell’inverno 1832-1833, nel contesto di un’aspra critica a Hegel: «Lo stato racchiude in sé tanto positivo quanto più esso va contro ogni Positivo, contro ogni fenomeno della vita più alta, spirituale e morale, dalla parte del più negativo […]. Il vero compito, ma ampiamente frainteso, del nostro tempo è limitare lo stato stesso e lo stato in generale, vale a dire in ogni sua forma, non semplicemente in quella monarchica». E ancora in modo risoluto: «Chi dunque fa dello stato uno stato massimamente assoluto, ha per le mani un sistema già di per sé essenzialmente illiberale per il fatto che assoggetta tutto allo stato»34.
Notes de bas de page
1 Cfr. C. Cesa, La filosofia politica di Schelling, Roma-Bari, Laterza, 1969; R. Pettoello, Gli anni dei dolori. Il pensiero politico di F.W.J. Schelling dal 1804 al 1854, Firenze, La Nuova Italia, 1980; F. Fischbach, La pensée politique de Schelling, in «Les études philosophiques», 1, 2001. Circa la filosofia politica di Schelling si veda H.J. Sandkühler, Schelling: la filosofia come storia dell’essere e come antipolitica, in «Rivista di Filosofia» LXXX, n. 1, 1989; Die Geschichte, das Recht und der Staat als “zweite Natur”. Zu Schellings politischer Philosophie, in «Zeitschrift für philosophische Forschung», 55, 2001; Revolution, bürgerliche Gesellschaft, Recht und Staat. Schelling und Hegel, in «Der Begriff des Staates. Internationales Jahrbuch des Deutschen Idealismus», 2, 2004; F.W.J. Schelling, philosophie positive et révolution politique, in Schelling, a cura di J.-F. Courtine, Paris, Vrin, 2010.
2 A proposito dello stato si veda A. Bausola, Riflessioni sul pensiero del giovane Schelling in tema di dovere e di stato, in «Archivio di Filosofia», 1, 1976.
3 Cfr. H.-M. Pawlowski, S. Smid, R. Specht (a cura di), Die praktische Philosophie Schellings und die gegenwärtige Rechtsphilosophie, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1989.
4 Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus, in G.W.F. Hegel, Werke in zwanzig Bänden. Theorie-Werkausgabe, nuova ed., Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971, vol. 1, pp. 234 e segg.
5 E.E. Georgii-Georgenau (a cura di), Herzog Karl von Württemberg, Rede gehalten in der […] Karlsschule […] zur Zeit der Schreckensherrschaft in Frankreich, 1886, p. 12. Sulla metafora dello stato-macchina tra gli anni 1760 e 1790 cfr. B. Stollberg-Rilinger, Der Staat als Maschine. Zur politischen Metaphysik des absoluten Fürstenstaats, Berlin, Duncker & Humblot, 1986.
6 Cfr. J. Rivelaygue, Schelling et les apories du Droit, in «Cahiers de Philosophie Politique», 1, 1983; P. Savarese, Schelling filosofo del diritto. Introduzione alla lettura e commento di testi fondamentali. Con una antologia di testi di Schelling, prefazione di X. Tilliette, Torino, Giappichelli, 1996.
7 Cfr. al riguardo l’accurata interpretazione in A. Hollerbach, Der Rechtsgedanke bei Schelling. Quellenstudien zu seiner Rechts- und Staatsphilosophie, Frankfurt a. M., Klostermann, 1957; M. Hofmann, Über den Staat hinaus. Eine historisch-systematische Untersuchung zu F.W.J. Schellings Rechts- und Staatsphilosophie, Zürich, Schulthess, 1999.
8 Cfr. sull’etica come assicurazione della morale e sul diritto come prevenzione dall’etica unificante Hofmann, Über den Staat hinaus cit., pp. 71-76; circa la separazione di etica e diritto cfr. p. 79.
9 Sul rapporto tra etica e diritto e sul problema della causalità cfr. anche F.W.J. Schelling, Sull’Io come principio della filosofia, SW, I/1, pp. 233 e segg.
10 J.G. Fichte, Briefwechsel, in Id., Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, a cura di R. Lauth, E. Fuchs, H. Gliwitzky, I. Werke, II. Nachgelassene Schriften, III. Briefe, IV. Kollegnachschriften, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1962 e segg. [= GA], GA III, 2, 298.
11 Fichte, System der Sittenlehre, in: Johann Gottlieb Fichte’s sämtliche Werke, a cura di I.H. Fichte, Berlin, 1845 f. [= SW], SW, IV, p. 29.
12 Ivi, pp. 53 e seg.
13 J.G. Fichte, Grundlage des Naturrechts (1796-1797), § 8, SW, III, p. 92.
14 § 163 [corsivo nell’originale].
15 A proposito della Naturphilosophie di Schelling si veda soprattutto F. Moiso, Vita - natura - libertà, Schelling (1795-1809), Milano, Mursia, 1990; F. Moiso, Fare la natura. La filosofia della natura di Schelling, in Dalla materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo di Giuseppe Semerari, a cura di C. Tatasciore, Milano, Guerini e associati, 2000, pp. 25-41.
16 Per una panoramica sulle conoscenze scientifiche di Schelling, in particolare all’epoca della stesura delle sue prime opere di filosofia della natura del finire del Settecento, si veda il Wissenschaftshistorischer Bericht zu Schellings naturphilosophischen Schriften 1797-1800 (volume di commento ai volumi 5-9 della Historisch-kritische Ausgabe, a cura di. H.M. Baumgartner, W.G. Jacobs, H. Krings, H. Zeltner. I. Werke; II. Nachlaß; III. Briefe; IV. Nachschriften, Stuttgart, 1976 e segg.), con contributi di M. Durner per la chimica, di J. Jantzen per la fisiologia e di F. Moiso per il magnetismo, l’elettricità e il galvanismo.
17 Così D. von Engelhardt nella introduzione all’edizione filosofico-sceintifica H. Steffens, Was ich erlebte. Aus der Erinnerung niedergeschrieben, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1995, p. 9.
18 Schelling ha sostenuto costantemente nella sua opera questo tema vichiano.
19 C. Cesa, F.W.J. Schelling, in Pipers Handbuch der politischen Ideen, a cura di I. Fetscher, H. Münkler, vol. 4, München, Piper, 1986, p. 514.
20 Si pensi a Hugo, Naturrecht als eine Philosophie des positiven Rechts (1799) e all’opposizione allo storicismo, idealisticamente orientata, che Paul Johann Anselm Ritter von Feuerbach aveva esposto nel 1795 nel suo Versuch über den Begriff des Rechts o nel 1798 nel suo Anti-Hobbes. Se Schelling con la sua dottrina delle ‘potenze che formano il mondo’ fu un precursore della prospettiva storica nella filosofia del diritto, come già rilevò Fr.-J. Stahl nella sua Geschichte der Rechtsphilosophie (Fr.-J. Stahl, Geschichte der Rechtsphilosophie, Heidelberg 31856, pp. 382 e 375; cfr. p. 406), perché allora rimaneva nell’ombra la storia concreta, empirica, del diritto? Si dovrebbe vedere, come per esempio fa Giorgio Del Vecchio, la ragione della distanza di Schelling dalla realtà storica nel fatto che questi, come protagonista di una forma di storicismo filosofico o ideologico, equipara[va] i fatti storici con l’ideale e così difendeva l’esaltazione di questa fatticità (G. Del Vecchio, Lehrbuch der Rechtsphilosophie, Basel, Verlag für Recht und Gesellschaft, 21951, pp. 193 e seg.). Oppure si dovrebbe seguire la prudente recensione di Schleiermacher alle lezioni («Jenaische Allgemeine Literaturzeitung», 97, 1804, p. 146) e ammettere che Schelling abbia concesso alla storia solo il significato di arte, così concedendosi l’utilizzo conseguente e concreto dei suoi oggetti? Ci sono due altre possibili risposte: 1) la prima consiste nel parere di Hollerbach (Hollerbach, 1957, p. 68), secondo cui la scienza giuridica dell’epoca sarebbe sostanzialmente rimasta estranea a Schelling; 2) la seconda possibilità consiste nel ritenere che dalla filosofia speculativa non ci si può attendere alcuna descrizione empirica della storia e del diritto.
21 «La vita privata, e con essa anche il diritto privato, si è scissa da quella pubblica; quella, però, separata da questa, è tanto poco assoluta quanto nella natura lo sono l’essere dei singoli corpi e il loro particolare rapporto reciproco» (SW, I/5, p. 313).
22 Per la critica alla «nostra moderna filosofia morale che magnifica la libertà del volere» si veda il Sistema dell’intera filosofia del 1804 (SW, I/6, p. 559). Schelling non ammette «alcuna morale nel senso in cui è proposta dai nostri moralisti contemporanei, cioè come una moralità dell’uomo. – Già la parola è un prodotto dei nostri nuovi illuminismi; in verità v’è soltanto la virtù, virtus, ovvero una costituzione divina dell’anima, non c’è alcuna moralità che l’individuo in quanto tale potrebbe darsi, o della quale egli potrebbe vantarsi» (SW, I/6, p. 557).
23 «La cosiddetta libertà civile ha prodotto soltanto il più torbido miscuglio della schiavitù con la libertà, ma non una esistenza assoluta, e proprio perciò a sua volta libera, l’una dall’altra» (SW, I/5, p. 315).
24 Cfr. Hollerbach, Der Rechtsgedanke cit., pp. 140 e segg.; circa lo stato come organismo cfr. pp. 152‑173, e Hofmann, Über den Staat hinaus cit., pp. 118-126.
25 F. von Baader, Schriften zur Gesellschaftsphilosophie, a cura di J. Sauter, Jena, Johannes Sauter, 1925, p. 153.
26 J. Görres, Teutschland und die Revolution, Coblenz, Holscher, 21819, p. 50.
27 A. Müller, Die Elemente der Staatskunst: oeffentliche Vorlesungen, vor Sr. Durchlaucht dem Prinzen Bernhard von Sachsen-Weimar und einer Versammlung von Staatsmånnern und Diplomaten, im Winter von 1808 auf 1809, zu Dresden gehalten, Berlin, Sander, 1809, vol. 1, pp. 37 e seg.
28 F. Schlegel, Friedrich Schlegel – Kritische Ausgabe seiner Werke. a cura di E. Behler, J.-J. Anstett e H. Eichner, 22 voll., München, 1958 e segg., vol. 7, p. 399.
29 Novalis, in J. Baxa (a cura di), Gesellschaft und Staat im Spiegel deutscher Romantik: Die staats- und gesellschaftswissenschaftlichen Schriften deutscher Romantiker, Jena, Fischer, 1924, p. 163.
30 K.L. von Haller, Restauration der Staats-Wissenschaft oder Theorie des natürlich-geselligen Zustands, der Chimäre des künstlich-bürgerlichen entgegengesetzt, 6 voll., Winterthur, 1816-1834, seconda ed., 1964, vol. 1, p. 159.
31 F.W.J. Schelling, Conférences de Stuttgart. Stuttgarter Privatvorlesungen, a cura di M. Vetö, seconda edizione, Paris, L’Harmattan, 2009, pp. 43 e seg.
32 Schelling a Maximilian II, lettera del 20 luglio 1848. In König Maximilian II. von Bayern und Schelling. Briefwechsel, a cura di L. Trost, F. Leist, Stuttgart, 1890, p. 158.
33 Schelling ad Atterbom, 16 marzo 1820, in G.L. Plitt (a cura di), Aus Schellings Leben, 3 voll., Leipzig, Hirzel, 1870, vol. 2, pp. 437 e seg.
34 F.W.J. Schelling, Grundlegung der positiven Philosophie. Münchener Vorlesung WS 1832-1833 e SS 1833, a cura di H. Fuhrmans, vol. 1, Torino, Bottega d’Erasmo, 1972, p. 235.
Auteur
Hans Jörg Sandkühler è professore emerito di filosofia dell’Università di Brema ed è stato coordinatore del Dipartimento tedesco “Diritti umani e culture” della Cattedra di Filosofia dell’Unesco a Parigi. Ha curato le edizioni dei Philosophische Entwürfe und Tagebücher di Schelling, il volume introduttivo dell’editore Metzer dedicato al filosofo, nonché il libro Natur und geschichtlicher Prozeß: Studien zur Naturphilosophie F. W. J. Schellings, Frankfurt am Main, 1984. È inoltre autore di numerosi volumi fra cui Freiheit und Wirklichkeit. Zur Dialektik von Politik und Philosophie bei Schelling, Frankfurt am Main, 1968 e il più recente Idealismus in praktischer Absicht. Studien zu Kant, Schelling und Hegel, Frankfurt am Main, 2013
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