Libertas sive Natura. Etica come ontologia in Schelling
p. 65-89
Texte intégral
1. Introduzione
I più alti concetti speculativi sono sempre
contemporaneamente quelli più profondamente
morali, che stanno più vicini a ciascuno
(SW, II/3, p. 67).
1Questa riflessione, apparentemente del tutto incidentale all’interno dello sviluppo delle lezioni di Berlino sulla filosofia positiva e i suoi concetti, segnala e rivela invece il carattere eminentemente pratico-morale dell’intera filosofia schellinghiana, che si comprende soltanto nel momento in cui si afferra il ruolo decisivo del Positivo nella Spätphilosophie e quale relazione esso intrattenga con la più generale definizione di Natura formulata da Schelling lungo il suo intero percorso filosofico. L’idea qui suggerita, secondo la quale i concetti speculativi sarebbero al contempo quelli più profondamente morali, induce a una riflessione sul significato della “speculazione” quale metodo dell’indagine filosofica. È noto che Schelling presenta uno sviluppo “speculativo” all’interno del suo discorso filosofico essenzialmente nell’ambito della sua filosofia della natura – che per l’appunto è anzitutto una “fisica speculativa” – e nell’ambito della filosofia positiva, in particolare delle sue “impossibili” fondazioni1: due contesti della riflessione filosofica che a tutta prima non paiono dichiaratamente orientati alla soluzione di problemi morali. D’altra parte, tuttavia, questi ambiti vanno considerati insieme poiché, in quanto estremi della parabola filosofica di Schelling, è proprio e soltanto dal loro accostamento teorico che si possono ricavare la continuità e la coerenza dell’intero percorso del filosofo e la portata etica che lo caratterizza.
2Il contesto privilegiato della speculazione a cui Schelling fa riferimento nel passo citato è fuor di dubbio che sia la filosofia positiva, poiché qui emerge con tutta chiarezza, e fuori da ogni possibile fraintendimento dovuto alla distinzione tra filosofia trascendentale e filosofia della natura della prima fase della Naturphilosophie di Schelling, come l’oggetto di indagine debba essere il prius assoluto, del tutto impenetrabile alla sola necessità di pensiero, poiché “(in-)fondato” nella sua originaria e coessenziale libertà. Il particolare oggetto della filosofia positiva, il prius o l’inizio dell’essere, ossia ciò che lo precede e lo rende possibile in quanto essente, presuppone infatti «qualcosa di positivo, quindi la volontà, la libertà, l’azione e non qualcosa di meramente negativo», come un concetto o un’idea.
3Come ho mostrato in più luoghi2, se “correttamente intesa” e dunque al di là delle distinzioni metodologiche dei primi anni, la Naturphilosophie è sin da subito una filosofia positiva e costituisce l’asse portante dell’intera filosofia di Schelling, non ovviamente in quanto “filosofia seconda” applicata alle scienze naturali, bensì come l’autentica “filosofia prima”, che considera l’“essere stesso” (secondo la definizione del Primo Abbozzo di Sistema della filosofia della natura), ovvero «l’esistente in generale indipendentemente da tutte le determinazioni particolari e accidentali» (SW, I/10, p. 303), all’interno però di una concezione identitaria di natura e spirito la cui essenza è descritta come assoluta libertà. Certamente è la libertà a costituire per Schelling «l’alfa e l’omega» della sua filosofia ma, come si legge nella stessa Freiheitsschrift, essa ha le sue radici “nel fondamento indipendente della natura” e coincide con quell’autonomia della natura che rimanda alla sua ‘spiritualità’, trovando una sintesi concettuale compiuta nella definizione spinoziana di natura naturans, riletta tuttavia da Schelling in chiave “dinamica” e non meccanico-deterministica. È proprio a partire dal concetto di Natura come soggettività autonoma che crea e in-forma (nel senso della Ineinsbildung) “dinamicamente” ogni essente (secondo una definizione che dovremo necessariamente chiarire seguendo lo sviluppo dei pensieri di Schelling sino alla Darstellung des Naturprecesses del 1844), trasferendo vita e libertà a ogni determinazione del finito (natura naturata), che possiamo comprendere appieno il ruolo assegnato da Schelling alla Libertà e in modo particolare la (sovra-)relazione che essa intrattiene con la Natura, poiché in questo tentativo di risolvere l’antinomia kantiana si rinviene il nucleo tematico della filosofia di Schelling come progetto etico e ontologico a un tempo.
2. Etica come ontologia?
4Così come Schelling «non è un pensatore politico»3 nel senso stretto del termine, allo stesso modo si deve riconoscere che Schelling, a rigore, non può definirsi tradizionalmente come un pensatore di filosofia morale; in ambo i casi, non ci troviamo di fronte a un’opera interamente dedicata alle questioni classiche delle suddette discipline filosofiche. Tuttavia, dalla ricostruzione di uno sviluppo unitario della filosofia di Schelling è possibile ricavare il tentativo di definire un sistema complessivo del sapere da cui discende una conseguente teoria etica.
5Se nel caso della filosofia politica, come già aveva messo in evidenza Habermas in Theorie und Praxis, le diverse e contrastanti riflessioni sullo Stato proposte da Schelling nel corso dei decenni derivano da una particolare concezione di filosofia della storia che è in qualche modo conseguente alla sua filosofia della natura4, nel caso della filosofia morale il legame con le tesi fondamentali della Naturphilosophie è ancor più evidente.
6Per quanto attiene alla concezione etica di Schelling – dalla critica quasi del tutto trascurata rispetto a quelle di Kant, Fichte e Hegel5, e perlopiù studiata semmai in relazione proprio alla sua filosofia politica6 –, essa va affrontata a mio avviso in stretta affinità alla sua concezione ontologica generale, poiché alla base di questa Schelling pone quale principio, la nozione di libertà assoluta: idea che è anzitutto il principio fondante della filosofia pratica.
7Schelling pensa inizialmente alla filosofia teoretica e alla filosofia pratica distinguendole a loro volta in filosofia pura e applicata, così ottenendo da un lato la filosofia trascendentale e la filosofia della natura e dall’altro la filosofia morale e la filosofia politica. In questa organizzazione del sapere, sebbene risulti immediatamente comprensibile dal parallelismo descritto la definizione del diritto quale “seconda natura”, la “filosofia della natura”, in quanto filosofia teoretica applicata, emerge semplicemente come una “filosofia seconda” che ha il compito di indagare (filosoficamente) la natura, intesa come natura naturata – dal momento che alla filosofia teoretica pura spetterebbe il compito di indagare a priori la natura naturans. Tuttavia questa impostazione non regge. E ciò è evidente già dai primi scritti di filosofia della natura in cui l’obiettivo è quello di fornire dapprima il fondamento ultimo della filosofia trascendentale, e successivamente del sistema del sapere in generale, in un progressivo avvicinamento, quale esito inevitabile dell’indagine, all’idea di libertà come “impossibile fondamento” dell’essere in generale.
8Va da sé che in un tale contesto un’adeguata comprensione della prospettiva etica di Schelling passa esclusivamente per una visione generale della sua filosofia sistematica in stretta relazione al concetto di libertà e alla ricca nozione di natura che ne è a fondamento – esplicitamente a partire dalle Ricerche filosofiche del 1809, ma già, nei fatti, all’interno dell’articolazione “natural-filosofica” della sua filosofia dell’Identità, vale a dire tra gli anni di Würzburg e la stesura degli Aforismi sulla filosofia della natura. La considerazione dell’evoluzione del Freiheitsbegriff (nonché del significato attribuito al Wollen che ne è correlato) all’interno dell’opera di Schelling, con la distinzione tra una prima fase, nella quale la libertà è descritta semplicemente come esecutiva o formale, e una seconda in cui la libertà è descritta come costitutiva (e quindi ontologica) del Wesen stesso7, consente di apprezzare la portata etica dell’elaborazione teorica generale di Schelling e di lasciare intravedere quali esiti produca nella successiva divaricazione tra filosofia negativa e filosofia positiva, nonché nel passaggio dalla prima alla seconda, laddove come è noto gioca un ruolo fondamentale il Wollen.
9Già a un primo sguardo sull’opera di Schelling risulta evidente che è nelle Ricerche filosofiche, opera dedicata come si legge nel titolo all’essenza della libertà umana e agli oggetti a essa connessi, che si concentra il nesso fondamentale tra etica e ontologia. Il problema della libertà così come emerge in quest’opera decisiva è stato ampiamente indagato dalla letteratura di riferimento, ma va chiarito a mio avviso in modo innovativo, superando da una parte le tradizionali considerazioni di carattere antropologico8, che non sono in grado di afferrare la portata ontologica del concetto di libertà ivi proposto, nonché le interpretazioni metafisiche o addirittura teosofico-religiose a cui si è sovente inteso ridurre la questione della libertà di Schelling. Queste ultime hanno dato infatti più o meno inconsapevolmente abbrivio a ingenui fraintendimenti che finivano per descrivere la Freiheitsschrift come il definitivo cedimento all’irrazionalismo o alla “non-filosofia”, per usare l’espressione di Eschenmayer riferita a Philosophie und Religion (1804). La lettura che propongo, e che a ben vedere è del tutto coerente con le stesse premesse poste in essere da Schelling stesso, intende partire dal Freiheitsbegriff delle Ricerche filosofiche al fine di metterlo in stretta relazione al concetto di natura e in particolare alla concezione dinamica dell’essere che da esso promana, da un lato per ricostruire il percorso che conduce a quella che per alcuni costituisce nel 1809 la “svolta ontologica” della libertà in Schelling e dall’altro per dar conto degli sviluppi successivi in filosofia positiva.
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11Il recente rinnovato interesse9 per la filosofia di Schelling, che si deve in particolare agli studi in lingua inglese, si concentra principalmente sulle tesi fondamentali di filosofia della natura, ed è proprio in questo solco che si inserisce la mia indagine sul nesso etica-ontologia come terza via all’alternativa tra una lettura ‘materialistica’10 e una lettura per così dire ‘spiritualistica’11 del Freiheitsbegriff di Schelling. Tale proposta teorica poggia sull’idea che la filosofia di Schelling, scandita tradizionalmente ma erroneamente in fasi, sia in realtà lo sviluppo coerente di un progetto che non ha fondamento nella libertà (come vorrebbe Erhardt)12, ma piuttosto nel concetto di natura che la precede e la costituisce dall’interno. A ben vedere le due posizioni non sono affatto in contraddizione, se si accoglie sino in fondo il significato assegnato da Schelling alla natura. D’altra parte è lo stesso Schelling a chiarire, sempre nelle Ricerche filosofiche del 1809, come le radici della libertà affondino «nel fondamento indipendente della natura» (SW, I/7, p. 371) e come si possa comprendere la libertà solo mediante «i principi di una filosofia della natura capace di restituire la veduta complessiva sull’essere» (SW, I/7, p. 357). In quanto costituisce l’asse portante dell’intera parabola schellinghiana, la Naturphilosophie non è affatto da intendersi come una sua fase, né come l’applicazione filosofica ai risultati della scienza del tempo, ma anzi – lo si è già accennato – come l’autentica ‘filosofia prima’ che ha per oggetto l’essere stesso in generale, «indipendentemente da tutte le determinazioni particolari e accidentali». In questo approccio filosofico non si evidenzia però alcuna possibilità di riduzionismo di tipo materialistico, dal momento che la filosofia della natura presuppone un’originaria infondatezza (plasticamente descritta dall’Ungrund delle Ricerche filosofiche) quale esito di una concezione identitaria di spirito e natura già introdotta nella Introduzione del 1797 alle Idee per una filosofia della natura, che attraverso l’Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie, la Darstellung meines Systems der Philosophie del 1800 e la Allgemeine Deduktion des Naturprocesses del 1801 si traduce progressivamente in una vera e propria “filosofia dinamica”, la quale sarà alla base tanto del concetto ontologico di libertà delle Ricerche filosofiche, quanto dei tentativi di fondazione della filosofia positiva e della tarda filosofia della natura.
12Nel suo libro Philosophies of Nature After Schelling13, Grant ricostruisce la filosofia di Schelling come un progetto unitario che ha le sue basi teoriche nella filosofia della natura, e descrive la Freiheitsschrift di Schelling come il tentativo di risolvere la terza antinomia di Kant nel senso di una filosofia dinamica14, che rielabora le tesi kantiane dei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (1786) superandone il ‘somatismo’ e rielaborando il rapporto forza-materia. Tuttavia, per sua stessa ammissione, Grant non si spinge sino alla considerazione delle ricadute che tale impostazione ha per la filosofia positiva e per la filosofia della natura del tardo Schelling, e più significativamente – quanto al nostro discorso – per la concezione etico-morale del filosofo. Manca di fatto l’intenzione di portare avanti questa opportuna intuizione circa le intenzioni alla base della Freiheitsschrift sino alla, a mio avviso, inevitabile identificazione del “volere originario” con la “forza” della Darstellung del 1801 descritta quale “essenza dell’Identità assoluta”: una prudenza dettata probabilmente dal rischio in cui si può incorrere su questa strada di fraintendere la filosofia schellinghiana come una filosofia irrazionale, come del resto è avvenuto nel corso del secolo scorso15. D’altra parte, abbandonare il Wollen a sé stesso all’interno del sistema di Schelling, e di fatto eluderne la descrizione concettuale all’interno di una generale cornice di “filosofia dinamica”, significa rinunciare definitivamente a una lettura complessiva del suo ‘tentato’ sistema, nonché relegare le riflessioni etiche di Schelling a considerazioni estemporanee e sconnesse.
13Come cercherò di mostrare, è questo il punto su cui occorre soffermarsi per intendere il significato della “filosofia dinamica” nel suo complesso e per afferrare come la concezione etica sia indissolubilmente legata al sistema generale dell’essere. In un discorso complessivo sulla questione risulta determinante il ruolo e il significato che riveste la copula all’interno del programma filosofico di Schelling, poiché da qui si evince come piano ontologico e piano logico siano assolutamente coincidenti in forza di una concezione transitiva dell’essere, messa ben in evidenza da Frank16, e come in fondo la copula finisca per coincidere con la natura naturans e non possa in alcun modo essere interpretata separatamente dal “puro volere” che, nelle articolazioni proposte nei decenni da Schelling, da “fonte dell’autocoscienza” (SW, I/1, p. 401) negli scritti degli anni Novanta del Settecento, passa a essere definito come “essere originario” (SW, I/7, p. 350) nelle Ricerche filosofiche e infine viene descritto come soggetto attivo del “passaggio alla filosofia positiva” (SW, II/, 3, p. 570) nella Darstellung der reinrationalen Philosophie.
14Nel presente contesto basti tener presente come a integrazione delle puntuali analisi di Frank, focalizzate soprattutto sulla filosofia dell’identità (in riferimento al tema del Band presente nella Form-schrift e nel Commento al Timeo)17 e solo in parte sulla Spätphilosophie18, occorra riscoprire e indagare la radice naturale della copula per verificare, da un lato, come essa sia da leggersi in stretta affinità al Wollen e, dall’altro, come la teoria della predicazione presentata nelle prime battute della Freiheitsschrift costituisca di fatto la risposta della “filosofia della natura” alla “proposizione speculativa” della Fenomenologia dello Spirito di Hegel del 1807.
15Un ulteriore aspetto da considerare nel discorso complessivo intorno al nesso tra etica e ontologia in Schelling riguarda gli esiti della filosofia positiva in relazione alla filosofia della natura. Fu Walter Erhardt19 a proporre per primo questo apparentemente ardito collegamento, concentrandosi sul ruolo della libertà, che per lui costituisce il filo conduttore dell’intera filosofia di Schelling, cercando opportunamente di sgomberare il campo da semplificazioni di carattere materialistico. Preziosa in tale contesto risulta inoltre la riflessione di Thomas Buchheim sulla Darstellung des naturprocesses del 184420, ultimo scritto di Schelling interamente dedicato alla filosofia della natura. Tanto in Erhardt quanto in Buchheim, tuttavia, la relazione tra libertà e natura viene presentata esclusivamente sul terreno della costruzione ideale dell’esistente e andrebbe invero integrata dalla concezione dinamica della natura che, restituendo la possibilità di intendere fino in fondo l’Übergang alla costruzione reale dell’esistente (SW, I/10, p. 310 e segg.), consente di afferrare con maggior chiarezza la definizione di materia proposta da Schelling21, nonché la sovrarelazione tra natura e libertà che ben si prepara nella natura naturans ma si realizza effettivamente (attualmente) nella natura naturata, per altro in forza del Wollen che decide il passaggio al Positivo.
16In quanto segue, ci limiteremo a due aspetti fondamentali che sono alla base della relazione tra etica e ontologia, focalizzandoci cioè sull’identificazione da parte di Schelling del “fondamento impossibile” del sistema con la libertà e sulla concezione dinamica della materia, per evidenziare come, a una questione posta in termini kantiani, Schelling tenti di dar risposta avvalendosi di una originale rilettura delle tesi fondamentali di Spinoza.
3. La libertà a fondamento del sistema
17Sappiamo che Schelling non ha lasciato alcuno scritto interamente dedicato alla filosofia morale se con ciò si intende una sorta di “fondazione della morale” o di compendio di “antropologia pragmatica”, tuttavia il giovane filosofo, sin dai primi scritti, muove nella direzione di un sistema generale dell’essere che tenga assieme la filosofia teoretica e la filosofia pratica, e da cui emerga, come scrive egli stesso nel suo primo Sistema, la «deduzione trascendentale di ciò che in generale rende pensabili e spiegabili i concetti morali […], lasciando al lettore stesso l’applicazione ai singoli problemi» (SW, I/3, p. 532; Sistema dell’Idealismo trascendentale - sezione pratica); in quest’ottica risulta evidentemente determinante verificare la natura del fondamento posto da Schelling alla base del suo sistema.
18È egli stesso ad affermare, nella lettera a Hegel del 6 gennaio del 1795, che la sua preoccupazione iniziale fu quella di individuare un principio che fornisse le premesse per lo sviluppo della filosofia kantiana in senso sistematico. I suoi reiterati e numerosi tentativi di fondazione di un “sistema del sapere” hanno le loro radici proprio in questa esigenza, che si traduce inizialmente, nel terzo dei Saggi illustrativi dell’idealismo della dottrina della scienza degli anni 1797-1798, nella necessità di individuare e chiarire il “nesso tra la filosofia teoretica e la filosofia pratica” come “passaggio dalla natura alla libertà”: in questo breve testo sono già presenti in nuce alcune delle riflessioni fondamentali che Schelling andrà sviluppando negli anni successivi e che troveranno definizione nelle Ricerche filosofiche.
19L’auspicio, che era già del Kant della Critica della ragion pratica, di rinvenire un principio dell’intera ragion pura, pratica e teoretica, si realizzerebbe per Schelling nell’identificazione della libertà incondizionata quale fondamento dell’intero sistema del sapere. Per Kant la libertà trascendentale sta come principio della filosofia pratica, ma al contempo egli afferma che sarebbe del tutto impensabile se le leggi naturali e la legge della causalità in particolare fossero applicabili alle cose in sé e non soltanto ai fenomeni22; già in questo Kant mostrerebbe, secondo Schelling, la reciproca necessità di filosofia teoretica e filosofia pratica, che si concretizza nel nesso costituito dalla libertà trascendentale quale principio di una filosofia superiore (SW, I/1 p. 399) la quale istituisce un sistema generale del sapere:
Si definisce sistema solo un intero che regge se stesso, un intero che, chiuso in se stesso, non presuppone, fuori di sé, alcun fondamento del suo movimento e della sua connessione. Così l’edificio del mondo è divenuto un sistema del mondo quando si è scoperto l’universale equilibrio delle forze cosmiche. Ora, la filosofia, per diventare un sistema, deve scoprire un tale equilibrio universale delle forze spirituali. Ma come le forze, grazie alle quali l’universo sussiste, non sono a loro volta spiegabili a partire dalla materia (poiché la materia le presuppone e deve esser spiegata a partire da esse), così il sistema del nostro sapere non può essere spiegato a partire dal nostro sapere, bensì presuppone di per sé un principio che è superiore al nostro sapere e al nostro conoscere. Ma ciò che supera ogni nostro conoscere è solo la facoltà della libertà trascendentale o del volere in noi. Essa infatti, in quanto è il limite di ogni nostro sapere e di ogni nostro fare, è anche necessariamente l’unico incomprensibile, insolubile – per sua natura il più privo di fondamento, il più indimostrabile, ma, proprio perciò, il più immediato ed evidente nel nostro sapere (SW, I/1, p. 400).
20Il saggio da cui è tratto il passo citato appartiene come detto agli scritti del 1797-1798, che Schelling avrebbe ripubblicato nel 1809 assieme alle Ricerche filosofiche nel primo (rimasto unico) dei volumi delle sue Philosophische Schriften con una premessa che intendeva presentare le opere come appartenenti, tutte23, al versante ideale della sua filosofia. Proprio le Abhandlungen e le Ricerche filosofiche costituiscono però un’eccezione, in quanto fortemente intrecciate a questioni fondamentali di filosofia della natura. Ciò è evidente del resto anche soltanto dal passo citato, laddove si presenta un parallelo tra forze naturali (o cosmiche) e forze spirituali, che non può essere eluso nel momento in cui la definizione del principio del sapere come esterno al sapere stesso è posto in affinità con la relazione rinvenuta dalle scienze del tempo tra le forze e la materia. Così come non si può pensare di spiegare le forze cosmiche mediante la materia, poiché questa presuppone le forze suddette, allo stesso modo non si può spiegare il “nostro sapere”, vale a dire la materia della nostra conoscenza, mediante il nostro stesso sapere, ma occorre anzi andare a quanto rende possibile tale sapere e conoscere. Ciò che supera e permette ogni nostro conoscere è la libertà trascendentale, che nell’Idealismo, vale a dire in quella filosofia superiore in cui Schelling si muove, si riconosce come Selbstbestimmung, ossia come autodeterminarsi dello spirito:
È quindi evidente – afferma Schelling – che sia la filosofia teoretica sia la filosofia pratica di Kant sono ugualmente prive di fondamento e incomprensibili se non derivano da un unico principio, quello della originaria autonomia dello spirito umano (SW, I/1, p. 399).
21Questa originaria autonomia dello spirito, in quanto è “fonte dell’autocoscienza”, è descritta da Schelling come puro volere: un volere assoluto che rimanda a un ambito ben più ampio di quello descritto dallo “spirito”, nozione che Schelling qui utilizza provvisoriamente per superare la contrapposizione fichtiana Io/non-Io, e così preparare la definitiva estensione del campo di riferimento all’Assoluto della filosofia dell’Identità. Già qui si comprende come il Wollen, quale fonte dell’autocoscienza, rinvii a un’autonomia originaria che non è semplicemente quella dello “spirito umano”, ma dello Spirito (Geist) in generale inteso qui da Schelling come organismo in cui agiscono in azione reciproca “attività ideale” e “attività reale”: di fatto un’anticipazione, mutatis mutandis, del Gesamtorganismus dell’Assoluto descritto nel Sistema di Würzburg. In quanto Schelling già qui afferma una priorità ontologica dell’“attività reale” rispetto all’“attività ideale”, il Wollen è posto di fatto come espressione di una forza naturale che precede, determina e anima l’autocoscienza e il “nostro sapere”.
22Nell’identificazione della libertà come principio di tutta intera la filosofia, Kant intendeva individuare quel «Principio tale che la ragione non vi si appelli a null’altro, quale motivo determinante rispetto alla causalità, ma, appunto con quel Principio, già contenga il motivo determinante, e dove dunque, come pura ragione, sia essa stessa pratica» (KpV, A 188).
23Kant pone come principio di tutta la sua filosofia pratica l’idea di autonomia24, ma tale autonomia, in quanto prerogativa per la quale la ragione dà a se stessa la propria legge, viene estesa dall’idealista Schelling alla natura, e ciò non in virtù di un semplice ribaltamento del tipo soggetto-oggetto / oggetto-soggetto, ma piuttosto in virtù di una concezione identitaria che implica una reciproca compenetrazione di natura e spirito, che nelle Abhandlungen si traduce nell’azione reciproca di attività reale e attività ideale ovvero nella successiva articolazione di natura e spirito nel sistema dell’Identità fondata (almeno in parte) su di una rielaborazione del sistema di Spinoza in chiave dinamica.
24Per avvicinarsi al significato che sta al fondo di questa rilettura “dinamica” di Spinoza, occorre tornare preliminarmente sul rapporto tra forze e materia accennato nel passo che stiamo considerando; il richiamo alla concezione dinamica della recente filosofia della natura introduce un parallelo tra forze e materia da una parte e volere e sapere dall’altra che conduce alla soluzione unitaria e identitaria della Darstellung del 1801, qui soltanto profilata. Non si anticipa semplicemente che «la dinamica è per la fisica ciò che il trascendentale è per la filosofia» (SW, I/4, p. 75), ma si prefigura piuttosto l’«identità del dinamico e del trascendentale» che sarebbe stata affermata nel Sistema dell’Idealismo trascendentale ed esplicitata ulteriormente per l’appunto nella Esposizione del mio sistema di filosofia, in cui il dinamismo della natura viene esteso esplicitamente all’essente in generale:
§ 52. L’essenza dell’identità assoluta, in quanto è immediatamente causa di realtà [Realität], è forza. Risulta dal concetto di forza. Giacché ogni fondamento immanente di realtà si chiama forza (SW, I/4, p. 145).
25In questa incisiva proposizione si condensano diversi aspetti utili alla comprensione dei fondamenti del sistema di filosofia dinamica che Schelling intende qui costruire. Innanzitutto, la forza è posta quale “essenza dell’identità assoluta”, vale a dire come “legge dell’identità” che trasferisce, trasmette, comanda realtà agli enti conservando in essi la potenza originaria. Non si tratta della spinoziana potenza di sé, a cui Schelling ancora si rifaceva qualche anno primo nello scritto Sull’Io25, si tratta altresì di un ulteriore approfondimento di quella nozione, possibile sulla base di una effettiva identità (dinamica) di natura e spirito, che si tradurrà negli anni di Berlino nella potentia potentiae dell’essere imprepensabile (unvordenkliches Seyn). Altro aspetto contenuto nel § 54 della Darstellung riguarda la descrizione della forza posta da Schelling quale essenza dell’identità: si tratta di fatto della forza di gravitazione, vale a dire di quella forza attrattiva che si ritroverà in altra forma nell’Anziehen dell’Unvordenkliches Seyn che rende possibile il poter-essere (das Seynkönnende) e quindi il passaggio all’essere come dýnamis della deduzione dei principi della filosofia positiva26. Infine, leggendo e rileggendo questo passo non si può evitare di pensare all’affinità di questa “forza” (Kraft), posta quale “essenza dell’identità assoluta”, al “volere assoluto” che nelle Ricerche filosofiche del 1809 è descritto come coincidente con l’essere originario: Wollen ist Urseyn; proprio qui risiede a mio modo di vedere il nodo da sciogliere per afferrare la (sovra)relazione che lega natura e libertà nel sistema di Schelling.
26La libertà trascendentale che Schelling introduce con Kant quale principio della filosofia teoretica e della filosofia pratica in un contesto ancora molto legato al criticismo e alla filosofia fichtiana, nel momento in cui si riconosce come sigillo dell’autonomia della natura27, quale presupposto di uno sviluppo identitario-dinamico di natura e spirito, diviene principio originario ed essenza dinamica dell’essente in generale comandata dal Wollen originario, che si esplica e manifesta secondo le differenti gradazioni di spirito e natura. L’identificazione dell’essere originario (ovvero dell’essenza della identità assoluta) con la “forza” nella Darstellung del 1801 e con il Wollen nelle Ricerche filosofiche, è da leggersi a monte in continuità con il passo del Primo abbozzo di sistema della filosofia della natura in cui Schelling afferma che «il concetto di essere come di qualcosa di originario va semplicemente eliminato dalla filosofia della natura (proprio come dalla filosofia trascendentale)» (SW, I/3, p. 13) e, a valle, con un passo della Einleitung in die Philosophie in cui si sottolinea come il prius assoluto, l’inizio dell’essere, presuppone sempre «qualcosa di positivo, quindi la volontà, la libertà, l’azione e non qualcosa di meramente negativo, penetrabile attraverso la sola necessità di pensiero»28. In entrambi i casi si chiarisce come al fondo dell’essere vi sia una tensione, una potenza e non qualcosa che possa venire afferrato concettualmente; tale tensione potenziale identificata dalla filosofia della natura con la “forza”, corrisponde al Wollen originario delle Ricerche filosofiche con ciò che questo comporta in relazione all’ontologia complessiva di Schelling nonché all’articolazione etica che ne discende.
27In quest’ottica risulta più facile comprendere perché Schelling affermi, sempre nella Einleitung in die Philosophie, che la filosofia della natura è il «fondamento dell’intera filosofia», o perché nelle Ricerche filosofiche asserisca che la libertà ha le sue radici «nel fondamento indipendente della natura»: solo a partire dalla filosofia della natura, e quindi dal concetto di natura correttamente inteso, è possibile infatti comprendere perché la libertà assoluta sia per Schelling l’unico autentico Principio del sistema dell’essere.
4. Natura naturans e natura naturata
28Se nel contesto ancora molto fichtiano del Sistema dell’Idealismo trascendentale Schelling espone la riflessione morale come articolazione della terza epoca che, dopo il passaggio dalla “sensazione originaria” all’“intuizione” della prima (epoca) e dall’“intuizione produttiva” alla “riflessione” della seconda, descrive il passaggio dalla “riflessione” all’“assoluto atto del volere”, nel Sistema dell’intera filosofia del 1804, l’Handeln, l’agire, viene descritto invece come seconda potenza della costruzione ideale del mondo – successiva alla costruzione naturale – e come quinta delle sei potenze29 complessive in cui si manifesta e articola l’Assoluto che Schelling andava delineando in quegli anni. Siamo qui nel pieno della filosofia dell’Identità, l’impostazione fichtiana è oramai alle spalle e Schelling si proietta esplicitamente nella rielaborazione in chiave identitaria del sistema spinoziano, presentando la successione delle potenze, in quanto manifestazioni dell’Assoluto, in un contesto nel quale è chiara la priorità ontologico-dinamica assegnata al naturale, in cui tuttavia la prassi e la norma che l’accompagna seguono sempre la ragione, ossia la definizione progressiva dell’ideale nell’uomo.
29In questo sviluppo sistematico, Schelling pare accogliere la questione della possibile, e anzi necessaria, relazione tra filosofia teoretica e filosofia pratica nella forma problematica proposta da Kant per tentarne però, come detto, una soluzione mediante una reinterpretazione del sistema di Spinoza, in cui l’etica deriva dalla più generale concezione ontologica. Non si tratta, è ovvio, di una semplice rilettura dell’Etica, che difficilmente, data la sua impostazione meccanicistica, avrebbe potuto servire allo scopo, ma anzi di una “rivoluzione” vera e propria dell’impianto panteistico spinoziano in chiave “dinamica”30, che ha inizio negli anni della filosofia dell’identità. Una tale “rivoluzione” del sistema di Spinoza passa innanzitutto per una riconsiderazione di “pensiero” e “estensione” – gli attributi della Sostanza che Schelling privilegia a scapito degli altri infiniti attributi, definendoli Geist e Natur – che vengono fatti interagire fra loro (cosa che non avviene chiaramente in Spinoza), da un lato, mediante una piena compenetrazione che restituisce una natura che è sempre anche spirituale e uno spirito che è sempre anche naturale e, dall’altro, attraverso un’articolazione triadica che si avvale della copula quale ‘legame’ che media e lega i due termini (natura e spirito) e al contempo li unisce al legame stesso così garantendo l’Identità fra i due relata nonché l’Identità assoluta.
30Schelling non rifiuta affatto la soluzione panteistica di Spinoza, è anzi interessato a recuperarne il fondamento e la plausibilità sulla base però di una concezione idealistica che restituisce vita alla Sostanza laddove, secondo Schelling, Spinoza sembrava averla sottratta riducendo tutto (forze e concetti compresi) a cose (SW, I/7, p. 349), in virtù di una lettura meccanicistica dell’essere; una lettura questa che non teneva conto della struttura dinamica dell’essere, la quale aveva già le sue solide basi nella fisica di Platone e nel neoplatonismo, ma che in particolare sarebbe stata messa in luce dalla filosofia della natura del tardo Settecento. Secondo Schelling tuttavia il sistema di Spinoza, malgrado il suo determinismo, si offriva per la struttura monistica generale come base filosofica per l’elaborazione dinamica suggerita dalla filosofia della natura del tempo:
Il concetto fondamentale di Spinoza, spiritualizzato (e cambiato in un punto essenziale) dai principi dell’idealismo, acquistò nella concezione superiore della natura e della riconosciuta unità del dinamico col sensibile e con lo spirituale una base vivente, su cui crebbe la filosofia della natura (SW, I/7, p. 350).
31Se sin dai tempi del Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura del 1799 sembra profilarsi in Schelling una sorta di “spinozismo della fisica” (SW, I/3, p. 273), la rilettura dinamica della Sostanza di Spinoza permetteva a Schelling di avanzare nelle Ricerche filosofiche una possibile soluzione all’antinomia kantiana di Natura e Libertà all’interno di un monismo diretto dalla superiore legge dell’identità. Non si trattava evidentemente di precisare la libertà della Sostanza come causa sui, ma anzi di conservare la libertà nell’articolazione della sostanza stessa, perché solo così sarebbe stato possibile affrancarla dal ferreo determinismo che la caratterizzava, restituendo un concetto non solo formale di libertà a ogni sua espressione – essere umano incluso, ovviamente.
32La prima delle definizioni dell’Etica di Spinoza31, a cui fa eco la terza a definire nello specifico la sostanza come causa sui 32, coincide con la più alta definizione che si possa dare della libertà come assenza di vincoli (libertà da, libertà negativa) e assoluta potenza di sé (libertà sia negativa, sia positiva); tuttavia, nello sviluppo che segue tale definizione la libertà positiva della Sostanza si traduce per Spinoza in un determinismo che fa coincidere libertà e necessità in una connessione di tipo meccanico.
33La rilettura schellinghiana della libertà positiva della sostanza spinoziana è già all’opera nel Sistema di Würzburg, laddove si legge una opportuna e decisiva integrazione alla definizione di causa libera:
§ 302. Può dirsi causa libera soltanto quella causa che, in virtù della necessità della sua essenza, senza alcun’altra determinazione, agisce secondo la legge dell’identità (SW, I/6, p. 538).
34Nel momento in cui afferma che può dirsi causa libera soltanto quella causa che “agisce secondo la legge dell’identità”, Schelling esclude esplicitamente, chiarendolo nella dimostrazione della proposizione suddetta, il comune concetto di una libera autodeterminazione, poiché «dall’essenza di una cosa in quanto essenza non può seguire nulla secondo la legge di causalità, nemmeno riguardo a se stessa» (SW, I/6, p. 539). Ciò non descrive soltanto l’impossibilità dell’agire libero di un “determinato” che non si armonizzi con il “determinante a sé”, ossia di un finito che non ottemperi alla norma insita nell’infinito che lo sostiene, ma chiarisce altresì come la legge dell’identità (di natura e spirito) renda impossibile una deduzione meccanico-deterministica dell’articolazione della sostanza o dell’Assoluto (per usare l’espressione schellinghiana), nelle sue manifestazioni. La legge dell’identità comanda infatti una relazione interna all’Assoluto del tutto differente: in quanto è libera, la causa non determina uno sviluppo che possa essere descritto dal principio di ragion sufficiente, bensì da una causalità di tipo “dinamico” che trasmette e lascia al determinato, o finito, la medesima libertà del determinante, o infinito. Non a caso Schelling parla a proposito delle manifestazioni dell’Assoluto di potenze e non di modi, o concetti; nella potenza è di fatto contenuta tanto la potenzialità passiva del ricevere quanto la potenzialità attiva dell’agire. Si prepara qui il terreno per la rilettura della natura naturans e della natura naturata di Spinoza che Schelling avrebbe ulteriormente chiarito negli Aforismi per una filosofia della natura del 1805-1806.
35Nell’Etica, e precisamente nello scolio della proposizione XXIX, Spinoza chiarisce che per natura naturante si deve intendere «ciò che è in sé ed è in sé concepito per sé, ossia gli attributi della sostanza, che esprimono essenza eterna e infinita, cioè Dio [quale sostanza] come causa libera». Dio è causa libera per Spinoza non semplicemente perché è causa immanente e non transeunte (proposizione XVIII) degli enti, bensì anzitutto in quanto è coincidenza di essenza ed esistenza, poiché «esiste per la sola necessità della sua natura e agisce per la sola necessità della sua natura» (prop. 17, corollario 2). Nell’affermare che la natura naturans risiede negli attributi e nel ribadire il ruolo di Dio come causa libera, Spinoza esplicita la potenza di sé della Sostanza come causa immanente che si trasmette alla natura naturata determinandola però secondo necessità. Ma gli attributi della Sostanza, e in particolare pensiero ed estensione, essendo per definizione infiniti, non sono in comunicazione tra loro e ricevono la potenza naturante, o creativa direttamente da Dio. Nella rilettura proposta da Schelling, la natura naturans del Tutto è l’eternità ovvero la stessa eterna copula della sostanza – eterna, perché è tutte le cose, e della sostanza, in quanto è l’unità di tutte (Aforismi sulla filosofia della natura, XXIX) –, e «poiché quell’infinità è un’infinità esistente actu ed effettivamente reale, ogni cosa è nella sostanza, come natura naturans, solo come in un presente puro e immutabile, ed eternamente» (Aforismi, XXX).
36Il passaggio dal meccanicismo di Spinoza al dinamismo di Schelling, che restituisce all’ente vita e dýnamis si chiarisce ulteriormente con l’introduzione del concetto di Ineinsbildung:
Come nella natura naturans le cose non sono presenti in modo fisico (XXX), ma è essa stessa queste cose in modo essenziale, così nella realtà anche il loro rapporto con la sostanza non può più essere fisico – come se fossero in essa allo stesso modo in cui una cosa è in un’altra cosa, penetrandovi o dividendola –, ma può essere soltanto nello stesso modo in cui un prodotto o in-formazione (Ineinsbildung) è nell’anima. Non si può parlare di discesa o di passaggio, ma solo di presenza al suo interno che, in quanto essenzialmente immaginativa, non la divide e neppure la moltiplica (Aforismi, LI; SW, I/7, pp. 208 e seg.).
37Questa prospettiva sull’ente dipende dalla concezione dinamica della materia che riconosce le forze non semplicemente come sue componenti essenziali e costitutive, ma anzi come presupposti privi di sostrato che determinano la materia stessa “costruendola” come substratum ancor sempre dinamico, ovvero potenziale, in quanto quella dýnamis fondamentale non si esaurisce e spegne nella transizione all’ente come cosa, come morta natura (accezione deteriore della natura naturata), ma permane in quanto costante “presenza al suo interno”. Nel Sistema di Würzburg, Schelling si avvale della teoria della “doppia vita” delle cose particolari per spiegare come ogni ente risulti costituito dall’intrecciarsi di infinito e finito e come dunque non si possa di fatto ridurre alcunché a mera cosa (come farebbe Spinoza agli occhi di Schelling). Se è vero che il finito considerato in sé e per sé è nulla, mera apparenza, μή ὄν, ciò non è che il risultato di un’astrazione che non tiene conto di come in ogni finito alberghi l’infinito che l’ha determinato e continua a conservarlo in quella ‘potenza’ che esso è sempre divenendo.
§ 68. Le cose particolari, nell’infinita sostanza reale, hanno una doppia vita: una vita nella sostanza e una vita particolare, in se stesse (quest’ultima ne determina la caducità) […]. Le cose particolari hanno una vita nell’infinita sostanza reale – questa comprende infatti l’essenza di tutte le cose, vale a dire l’idea – e una vita in se stesse, attraverso la relazione che esse nel contempo, sebbene in quanto nulle, stabiliscono con l’essenza (la vita in sé è pertanto mera vita apparente) (SW, I/6, pp. 218 e seg.).
38La doppia vita presente nelle cose particolari è garantita per Schelling dal ruolo che egli assegna alla natura naturans come eterna copula della sostanza. Così intesa essa è costantemente presente in ogni ente, in ogni legato, in ogni concreto e «per questo legame attivo in quanto unità vivente delle cose in un singolo, non c’è altro concetto – afferma chiaramente Schelling – se non quello dell’anima, che in verità non è null’altro che una forza di presentificazione del molteplice nell’Uno» (Aforismi, LXX)33.
In quanto è la singola cosa, la sostanza, in virtù della sua eterna libertà, è anche immediatamente tutte le cose che possono essere contemporaneamente e unitariamente con quella cosa singola nella natura naturans e nell’in-formazione divina che risolve ogni conflitto e non possono essere diversamente nella natura naturata. Se dunque essa sembra progredire, non è, come dicono alcuni, perché la materia non è mai sazia e vuole sempre di più, ma perché essa stessa (anche essendo il singolo) è actu di più di quanto questo singolo, a causa della sua limitatezza, possa essere, e pertanto gli sembra di fluire e rifluire continuamente in un singolo sempre diverso (Aforismi, LXXXV; SW, I/7, p. 216).
39Questa precisazione da parte di Schelling a proposito della libertà che caratterizza la materia in ogni singola cosa troverà un’ulteriore e decisiva conferma ancora negli anni della filosofia positiva, nell’ultima opera dedicata alla filosofia, la Darstellung des Naturprocesses del 1844, in cui la costruzione della materia coincide con il passaggio dalla deduzione ideale del Positivo alla deduzione effettiva o attuale, che afferma da un’altra prospettiva il libero fondamento dell’esistente in generale34.
5. Intorno alla libertà umana
40È evidente che la concezione dinamica dell’essere che caratterizza la filosofia di Schelling si pone in continuità con la famosa tesi platonica secondo cui l’essere è fondamentalmente dýnamis (Sofista, 247d), tuttavia la rilettura dinamica di Spinoza proposta da Schelling trova spunti interessanti – oltre che in Oetinger35 – anche nell’influenza esercitata dalle opere di Giordano Bruno nonché dalle Enneadi di Plotino, con le riflessioni sulla materia incorporea36, ma soprattutto con la sua definizione di natura come contemplazione (teoria).
41Nel dialogo De la causa, principio et uno, testo nel quale peraltro Giordano Bruno utilizza l’espressione “natura naturante” di più antica tradizione scolastica, si legge che
lo universo che è il grande simulacro, la grande immagine e l’unigenita natura, è ancor esso tutto quel che può esser per le medesime specie e membri principali e continenza di tutta la materia […]. Uno è quello che è tutto e può esser tutto assolutamente […]. La potestà sì assoluta è […] quel che può esser ogni cosa. Potenza di tutte le potenze, atto di tutti gli atti, vita di tutte le vite, anima di tutte le anime, essere de tutto l’essere37.
42La potenza assoluta di Bruno più che potenza di ogni ente in quanto atto inerte in cui la potenza si esaurisce, è anzitutto potenza di tutte le potenze e, in quanto tale, «essere de tutto l’essere», ossia essenza della sostanza. È lungo questa impostazione che in Schelling la spinoziana “potenza di sé” si esplica e si manifesta infatti ancora e sempre nelle potenze, che di fatto sostituiscono l’articolazione in attributi e modi in un intreccio dinamico che conserva costantemente l’intrinseca relazione (identitaria) tra spirito e natura, consentendo la ragione e quindi la conoscenza di ciò che è38, nonché il conseguente agire che si fa etico in quanto e se rimane coerente alla dinamica fondamentale della natura naturans, ovvero della copula: vale a dire se dirige, come stiamo per osservare più da vicino, con amore nella direzione di creazioni che lascino a ciò che creano quella infinita libertà che anima la copula come natura naturans.
43L’idea di una natura spirituale, funzionale a tale impostazione, deriva a Schelling certamente dalle prime letture di Platone39, ma trova in Plotino un supporto fondamentale, sebbene la conoscenza dell’opera di quest’ultimo fosse assai parziale e sovente di seconda mano40.
44Per Plotino, la natura è contemplazione (teoria), «ma come può la natura essere dotata di contemplazione?», si domanda con accenti assai simili a quelli usati da Schelling già a partire dalla Introduzione alle Idee per una filosofia della natura del 1797. Certo, si risponde Plotino, non potrà avere contemplazione del tipo che deriva dal ‘ragionamento’, intendendo con questa espressione “la possibilità di ricercare quello che ha in sé”, vale a dire la sua essenza, o forma.
Ma la natura possiede quello che ha in sé, e, anzi, proprio in quanto lo possiede, può creare. Creare ed essere quello che è, nel caso della natura si identificano […]. In quanto ragione formale è soggetto e oggetto di contemplazione, e se può creare è perché si trova a essere a un tempo contemplazione, oggetto contemplato e ragione. Ecco dunque che la creazione ci si è rivelata come contemplazione, come l’esito di un atto contemplativo che resta qual è, appunto contemplazione, e senza avventurarsi in una qualche azione, già semplicemente per essere contemplazione, crea (Enneadi, III, 8, 3).
45Nella seconda introduzione dello scritto Sull’anima del mondo del 1806, in un momento in cui l’opera di Plotino è senz’altro presente ai suoi occhi41, Schelling afferma che «la natura non è il mero prodotto di una inafferrabile creazione, ma è questa stessa creazione» (SW, I/2, p. 378), in quanto natura naturans. Come si legge negli Aforismi, la natura naturans che è in tutto e tutto tiene assieme è l’eterna copula dell’Assoluto, che nell’uomo si rivela «come ragione, la quale rende testimonianza al nostro spirito»:
L’assoluta copula della gravità e della luce è […] la natura stessa, che è essa sola veramente produttiva e creatrice […]. Da essa scaturisce tutto ciò che nel Concreto ci riempie con l’idea della realtà dell’esistenza (SW, I/2, p. 372).
46La copula che si è ipostatizzata nel concreto, ossia nella realtà di ciò che tiene assieme, in quanto è centro e unità della gravità e della luce, ossia del fondamento e dell’esistenza, «può ritrovare se stessa solo nell’Uno, e solo da questo può di nuovo espandersi in un mondo infinito ripetendo il suo svolgimento. Quell’Uno è l’Uomo, nel quale il legame rompe completamente il concreto e ritorna in sé nella sua eterna libertà» (SW, I/2, p. 376).
47La libertà dell’uomo sta nel poter fungere da copula, ossia nella possibilità sempre in lui presente di incarnare e vivere la Liebe: quell’amore che caratterizza la tensione che anima la copula e lega assieme fondamento ed esistenza42 originariamente distinti proprio da quella scintilla vitale che li lascia in tensione e attrazione. La libertà dell’uomo sta per Schelling in quella superiore possibilità, offerta e garantita dal grado di spiritualità posseduto, di recuperare nel Grund der Seele quella potenza superiore che, da un lato, lo accomuna a ogni altro ente (in cui si agita una doppia vita) e, dall’altro, lo vincola all’atto originario della creazione mediante una Mit-wissenschaft originaria che lo contraddistingue come «Quell’Uno […] nel quale il legame rompe completamente il concreto e ritorna in sé nella sua eterna libertà» (SW, I/2, p. 376). In un passo delle Conferenze di Erlangen si chiarisce ulteriormente il ruolo assegnato alla libertà umana:
a) Nell’uomo soltanto torna a esserci quell’abissale libertà […]; a lui è concesso di tornare a essere l’inizio; egli è dunque l’inizio ripristinato. b) Nell’uomo si agita certamente l’oscuro ricordo di esser stato una volta l’inizio, la forza (Macht), il centro assoluto di tutto. Ed egli infatti lo è in un duplice senso: 1) in quanto è la stessa eterna libertà che esisteva all’inizio, ma è questa libertà in quanto ricostituita; egli dunque sarebbe il centro assoluto anzitutto in quanto è quell’inizio, e inoltre 2) in quanto è la libertà ricostituita (SW, I/9, p. 227).
48In forza della sua superiore co-scienza dell’atto originario, resistendo al “volere del fondamento” che intende astrarre il finito dalla sua relazione all’infinito (isolandolo nella sua nullità), l’uomo è posto nelle condizioni di poter convertire il Wollen in volontà d’amore, ossia di restaurare la funzione creativa della copula (il suo essere anzitutto natura naturans), conformandosi a un agire che deve poter produrre creazioni (concrete o astratte che siano) che conservano il loro rapporto all’infinito, la loro libertà in sé. Si può quindi affermare che nella libertà dell’uomo, in quanto questa si traduce nell’agire etico, si compie il passaggio dal puro Wollen – ancora indistinto tra principio egoistico e principio universale – alla “volontà d’amore”, o volontà universale, quale adesione della ragione umana (come potenza dell’assoluto) all’eterna copula. Per questa via si comprende del resto come l’arte, ultima delle sei potenze descritte a Würzburg, finisca per essere l’esito inevitabile di un agire autenticamente etico43.
49In quello stesso Wollen risiede poi la risorsa ultima per il passaggio dalla filosofia negativa alla filosofia positiva, vale a dire per quel passaggio all’esistente in generale privo di determinazioni richiesto al culmine del sapere razionale: qui sta la possibilità di accedere a quel sapere positivo, che precede la conoscenza stessa poiché è anzi Weisheit – un sapere che mentre conosce crea – e che coincide con la libertà stessa; una sapienza da cui non può che scaturire un agire etico in quanto si conforma alla struttura ontologica generale e alla legge che la governa, ossia la legge dell’identità:
L’atto libero – si legge nelle Ricerche filosofiche – è un’immediata conseguenza della parte intellegibile dell’uomo […].
Se è certo che l’essere intellegibile opera liberamente e assolutamente, è anche certo che non possa operare [quando opera liberamente e dunque eticamente] se non conforme alla sua propria e intima natura [che lo accomuna all’essere in generale], ovvero l’azione non può non seguire dal suo intimo [in pieno accordo con la Mit-wissenschaft], secondo la legge dell’identità e con assoluta necessità, la quale soltanto è anche l’assoluta libertà; poiché libero è ciò che opera solo conforme alle leggi della sua propria essenza (SW, I/7, p. 384)44.
50Se letto, come andrebbe fatto, in parallelo al già citato § 302 del Sistema di Würzburg45, questo passo chiarisce ulteriormente come la libertà umana si realizza nel momento in cui si conforma alla legge generale dell’essere, vale a dire alla legge dell’identità. Nell’uomo, è presente la più alta possibilità non solo di conformarsi alla “legge dell’identità”, ma di (ri-)attivare la funzione creativa della copula producendo azioni che conservano quella potenzialità, quella dýnamis che impedisce un ‘prodotto’ (concreto o astratto) slegato dalla relazione all’infinito. L’azione libera, in quanto si conforma alla legge dell’identità, gode di una co-scienza originaria che un tempo ha deciso l’atto iniziale dell’essere, e in piena adesione a questa mira ad agire in modo analogo. Riandare a quell’atto iniziale è dunque certamente frutto di una tensione teoretica, ma non c’è sapere fuori dall’essere, e in quanto l’essere (che noi stessi siamo) è autoaffermazione e autorivelazione quella superiore conoscenza (descritta come Weisheit) non può essere fine a se stessa, ma deve anzi produrre e continuare quell’autorivelazione che da sempre è. Ciò è possibile esclusivamente in un atto teoretico che sia allo stesso tempo pratico: autorivelarsi non significa apparire a un soggetto esterno a quella autorivelazione, significa anzi continua affermazione dell’essere che si esplica nella creazione che l’atto conoscitivo produce. Riecheggia qui, nel contesto della filosofia positiva, un passo del Primo Abbozzo del 1799 in cui Schelling afferma che «pensare la natura significa crearla». Pensare l’inizio, l’oggetto della filosofia positiva, significa crearlo effettivamente, ossia compiere un’azione concreta che s’inserisce nella prassi che è l’autorivelarsi dell’essere in conformità alla legge dell’identità.
51A questa altezza ritengo possa risultare più chiara anche l’espressione di Schelling con cui abbiamo aperto il saggio, secondo la quale «i più alti concetti speculativi sono sempre contemporaneamente quelli più profondamente morali, che stanno più vicini a ciascuno» (SW, II/3, p. 67). L’oggetto di indagine della filosofia positiva è di per sé unvordenklich, ossia imprepensabile, poiché è la stessa Weisheit da cui proveniamo e della quale abbiamo quella co-scienza da riscoprire e riattivare mediante quella che Schelling chiama “estasi della ragione”. Tale ‘estasi’ non è da intendersi però come una resa all’irrazionalità ma come una semplice uscita dalla contrapposizione soggetto-oggetto per identificarsi con il soggetto stesso, ovvero con la libertà che regge ogni determinazione dell’essere, noi esseri umani inclusi. In questo campo il metodo adatto non può che essere la speculazione; era infatti una particolare forma di speculazione a guidare la filosofia della natura che, proprio in quanto ‘fisica speculativa’ andava formulando ipotesi sul carattere fondamentale dell’essere stesso per cercarne successivamente conferma nell’esperienza; e non può che essere una superiore forma di ’speculazione’ a orientare la ricerca filosofica al culmine dell’indagine razionale che ha per oggetto il fondamento ultimo dell’essere, il suo inizio. Qui, la filosofia razionale si arresta e la ragione compie con un atto di volontà il necessario “rovesciamento” nella co-scienza originaria e dunque procede per ipotesi, che devono trovare conferma nella libertà dell’azione etica che è tale solo se e in quanto si conforma alla libertà assoluta o ontologica quale inizio e fondamento dell’essere in generale.
Notes de bas de page
1 L’inizio della filosofia positiva è infatti un inizio che «non è capace di alcuna fondazione (Begründung)», in F.W.J. Schelling, Einleitung in die Philosophie, a cura di W.E. Ehrhardt, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1989, p. 13.
2 E.C. Corriero, Pensare la Natura. La Naturphilosophie di Schelling alla luce della sua filosofia positiva, in «Annuario Filosofico», 30, 2015, pp. 171-193; Id., The ungrounded Nature of Being: Schelling’s Grounding of a Dynamic Ontology, in «Kabiri, International Journal of North American Schelling Society», I, 2017.
3 J. Habermas, Theorie und Praxis. Sozialphilosophische Studien, Berlin, Neuwied, 1963, p. 108; cfr. anche H.J. Sandkühler, Freiheit und Wirklichkeit. Zur Dialektik von Politik und Philosophie bei Schelling, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1968, pp. 10 e seg.
4 Habermas sostiene infatti che, diversamente da Hegel, a fondamento dell’idea di storia Schelling non pone la negazione (superata e vinta in quanto categoria della logica) bensì la contrazione, un principio che deriva per l’appunto dalle tesi della sua Naturphilosophie e da cui scaturisce la forma statuale che da ‘seconda natura’ si rivela essere semplicemente una falsa unità; cfr. E.C. Corriero, Vertigini della ragione. Schelling e Nietzsche, Torino, Rosenberg & Sellier, 2008, pp. 141 e segg.
5 Cfr. solo a mo’ d’esempio L. Siep, Praktische Philosophie im Deutschen Idealismus, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1992; L. Fonnesu, Per una moralità concreta. Studi sulla filosofia classica tedesca, Bologna, il Mulino, 2010.
6 Si vedano H.J. Sandkühler, Freiheit und Wirklichkeit cit.; Id., Idealismus in praktischer Absicht. Studien zu Kant, Schelling und Hegel, Frankfurt a. M., Peter Lang, 2013; H. Pawlowski, S. Smid, R. Specht (a cura di), Die praktische Philosophie Schellings und die gegenwärtigen Rechtsphilosophie, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1989.
7 J. Habermas, Das Absolute und die Geschichte: Von der Zwiespältigkeit in Schellings Denken, Bonn, 1954, § 20, in particolare p. 243.
8 Cfr. J. Jantzen, P.L. Oesterreich (a cura di), Schelling philosophische Antropologie, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 2002.
9 Questo nuovo interesse per le opere di Schelling passa in buona misura per una riconsiderazione delle tesi della sua Naturphilosophie. Tra le opere che hanno contribuito a questo rinnovato interesse, oltre alle numerose traduzioni, vi sono senz’altro i volumi collettanei The New Schelling (a cura di J. Norman e A. Welchman, 2004), Schelling Now (a cura di J. Wirth, 2004), Nature and Realism in Schellings Philosophy (a cura di E.C. Corriero e A. Dezi, 2013) e Interpreting Schelling (a cura di L. Ostaric, 2014), nonché la fondamentale monografia di Iain Hamilton Grant, Philosophies of Nature After Schelling (2006), e il libro di Bruce Matthews, Schelling’s Organic Form of Philosophy. Life as the Schema of Freedom (2011).
10 Cfr. tra gli esempi più rilevanti J. Habermas, Das Absolute und die Geschichte cit.; Id., Theorie und Praxis cit.; Id., Bloch Ernst, Ein marxistischer Schelling, in Id., Philosophisch-politische Profile, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971, pp. 147-167; E. Bloch, Subjekt-Objekt. Erläuterungen zu Hegel, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1949; Id., Das Materialismusproblem, seine Geschichte und Substanz, in Id., Gesamtausgabe, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1959-1978, vol. 7, 1972; M. Frank, Der unendliche Mangel an Sein. Schellings Hegelkritik und die Anfänge der Marxschen Dialektik, München, Wilhelm Fink, 1992 (prima ed. 1975, Frankfurt a. M., Suhrkamp).
11 Mi riferisco qui a letture classiche e fondamentali come quelle di L. Pareyson, Schelling, Milano, Mursia, 1975; Id., Ontologia della libertà, Torino, Einaudi, 1995; X. Tilliette, L’Absolu et la philosophie, Libraire philosophique, Paris, Vrin, 1987; Id., Schelling. Une philosophie en devenir, Libraire philosophique, Paris, Vrin, 1990; e ancora di J.F. Courtine, Anthropologie et anthropomorphisme. Heidegger lecteur de Schelling, in Nachdenken über Heidegger. Eine Bestandsaufnahme, a cura di U. Guzzoni, Hildesheim, Gerstenberg, 1980, pp. 9-35; Id., Extase de la raison. Essai sur Schelling, Paris, Galilée, 1990.
12 Cfr. W.E. Erhardt, Nur ein Schelling, in «Studi Urbinati» 51 B (1977), pp. 111-122.
13 Ora anche in edizione italiana: Filosofie della natura dopo Schelling, cura di E.C. Corriero, Torino, Rosenberg & Sellier, 2017.
14 «Quest’opera [Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana] ricorre al concetto naturale di fondamento esaminato da Kant nei suoi scritti precritici sul vulcanismo e sulle epoche del mondo, vale a dire sulla geologia o ‘geofilosofia’, al fine di risolvere l’antinomia del giudizio teleologico. Schelling rielabora questa antinomia come la combinazione dinamica del ‘non-fondamento che precede ogni fondamento’ (SW, I/7, p. 406) e della ‘spontaneità del fondamento’ (in quanto ‘agente di per sé’; SW, I/7, p. 379) che dà luogo alla natura come ‘fondamento dell’esistenza’ (SW, I/7, p. 358). La soluzione dell’antinomia proposta da Schelling si basa da un lato sull’eliminazione dei limiti dell’agire imposti agli esseri razionali diretti con coscienza e dall’altro sulla conseguente attribuzione dell’attività alla natura stessa» in I.H. Grant, Filosofie della natura dopo Schelling cit., p. 45.
15 Si pensi anche soltanto alla descrizione offerta da G. Luckács, Die Zerstörung der Vernunft. Der Weg des Irrationalismus von Schelling zu Hitler, Berlin, Aufbau, 1954.
16 Cfr. supra: M. Frank, Identità reduplicativa.
17 Cfr. F.W.J. Schelling, Timaeus, a cura di H. Buchner, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1994; B. Matthews, Schelling’s Organic Form of Philosophy. Life as the Schema of Freedom, New York, Suny Press, 2011.
18 M. Frank, Natura e Spirito. Lezioni sulla filosofia di Schelling, a cura di E.C. Corriero, Torino, Rosenberg & Sellier, 2010, pp. 285-290.
19 W.E. Erhardt, Die Naturphilosohie und die Philosophie der Offenbarung. Zur Kritik materialistischer Schelling-Forschung, in Natur und geschichtlicher Prozess. Schelling zur Naturphilosophie F.W.J. Schellings, a cura di H.-J. Sandkühler, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1984, pp. 337-359.
20 Nel volume T. Buchheim, Eins von Allem. Die Selbstbescheidung des Idealismus in Schellings Spätphilosophie, Hamburg, Meiner, 1992.
21 Cfr. E.C. Corriero, The Ungrounded Nature of Being cit.
22 «Se, dunque, si vuole attribuire la libertà a un ente la cui esistenza è determinata nel tempo, non lo si può peraltro escludere almeno dalla legge della necessità di tutti gli eventi nella sua esistenza, quindi anche dalle sue azioni; infatti ciò equivarrebbe a consegnarlo al cieco caso. Ma poiché questa legge concerne inevitabilmente ogni causalità delle cose, in quanto la loro esistenza sia determinabile nel tempo, ebbene, se questo fosse il modo in cui dovesse essere rappresentata anche l’esistenza di queste cose in se stesse, si dovrebbe respingere la libertà, quale concetto nullo e impossibile. Di conseguenza, se si vuole ancora salvarla, non resta altra scelta che quella di attribuire l’esistenza di una cosa, in quanto è determinabile nel tempo, quindi anche la causalità secondo la legge della necessità naturale, meramente al fenomeno, ma la libertà proprio al medesimo ente, quale cosa in sé» (KpV, A 171).
23 Al volume appartenevano anche Dell’Io come principio della filosofia ovvero sull’incondizionato nel sapere umano (1795) e le Lettere filosofiche su Dogmatismo e criticismo (1796).
24 «L’autonomia della volontà è l’unico principio di tutte le leggi morali e dei doveri a esse conformi […]. L’unico principio della moralità consiste nell’indipendenza da ogni materia della legge (e cioè da un oggetto desiderato), ma insieme nella determinazione dell’arbitrio da parte della mera forma legislativa universale di cui una massima deve essere necessariamente capace. Ma quell’indipendenza è libertà in senso negativo, mentre questa attività legislatrice propria della ragion pura e in quanto tale pratica è libertà in senso positivo» (KpV, A 59).
25 «L’idea più alta che esprime la causalità della sostanza assoluta (dell’Io) è l’idea di potenza assoluta. L’Io, infatti, produce se stesso, pone ogni realtà in se stesso e annichila, per assoluta potenza di sé, tutto ciò che tende a contrastarlo […]. La potenza assoluta della sostanza unica è per [Spinoza] l’ultimo, o meglio, l’Unico. […] La sua stessa essenza è soltanto questa potenza» (SW, I/1, p. 195).
26 «Questo è l’interno inizio di ogni esistere – l’in-itium [An-fang], per il fatto che esso, appunto attraverso il suo infinito non-essere, è la potenza attraente dell’essere altrettanto infinito, il quale è quindi il secondo, e soltanto il secondo. Anfangen [iniziare] e Anziehen [attrarre] sono concetti equivalenti già nel loro aspetto letterale: nell’attrarre sta l’inizio» (SW, II/3, p. 355).
27 Cfr. H. Krings, Natur als Subjekt. Ein Grundzug der spekulativen Physik Schellings, in R. Heckmann, H. Krings, R.W. Meyer (a cura di), Natur und Subjektivität. Zur Auseinandersetzung mit der Naturphilosophie des jungen Schelling, Stuttgart - Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1985, pp. 111-128.
28 F.W.J. Schelling, Einleitung in die Philosophie cit., p. 53.
29 La prima è la materia; la seconda comprende la materia nelle sue forme di attività (il magnetismo, l’elettricità, il processo chimico o galvinismo); la terza potenza è la natura organica; la quarta potenza è quella del sapere (con le forme a esso subordinate della sensazione, dell’intuizione produttiva e della libera riflessione); la quinta potenza è quella della prassi (i suoi momenti sono la libertà, la moralità, e l’agire guidato da principi); la sesta potenza è l’arte.
30 Cfr. K-J. Grün, Das Erwachen der Materie. Studie über die spinozistischen Gehalte der Naturphilosophie Schellings, Hildesheim, Olms, 1993, in particolare pp. 118 e segg.
31 «Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza, ossia ciò la cui natura non può essere concepita se non come esistente», in B. Spinoza, Etica, in Id., Opere, ed. it. a cura di F. Mignini, Milano, Meridiani Mondadori, 2007, p. 787.
32 «Per sostanza intendo ciò che è in sé ed è concepito per sé: ossia ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale debba essere formato», ibidem.
33 Per la relazione platonica che intercorre nel primo Schelling fra materia e anima, rimando al mio Volontà d’amore. L’estremo comando della volontà di potenza, Torino, Rosenberg & Sellier, 2011, pp. 62 e segg.
34 Cfr. E.C. Corriero, The Ungrounded Nature of Being cit.: «To explain the transition that he introduces [here], Schelling takes advantage of the universio concept that describes the inversion of the One, namely the subversion of the principles that had constituted the Idea of reason of what exists in general. As the transition to actual reality is possible, it is in fact necessary that what was the subject (–A) of the ‘preactual’ Existent becomes the object, while the object (+A) becomes the subject. That matter in the form of B becomes the subject is not, however, something that can be affirmed with necessity: even though the subjectification of B is indispensable to creation, B has the freedom to define itself (“we cannot unconditionally posit the subordination of B under +A”). In the speculative context within which Schelling works, this means that not only the transition from Idea to Reality remains a speculative hypothesis, but also that the matter as primum existens, that is as a real ground (Realgrund) for the existence of subjects that arise from it, retains its freedom. And this freedom, that later manifests itself as space, coincides with the matter’s freedom to offer itself as a potency».
35 B. Matthews, Schelling’s Organic Form of Philosophy. Life as the Schema of Freedom, New York, Suny Press, 2011, pp. 46 e segg.
36 Plotino, Enneadi, a cura di G. Reale, Milano, Meridiani Mondadori, 2002, Enneade II, 4, pp. 339-373.
37 G. Bruno, Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto, Milano, Meridiani Mondadori, 2000, p. 250.
38 Nella critica all’impostazione fichtiana, Schelling precisa che essere e conoscere coincidono poiché l’essere è autoaffermazione che si fa conoscenza in quanto autorivelazione e quindi autocoscienza: «Esistenza è autoaffermazione e autoaffermazione è esistenza. L’una cosa è del tutto sinonimo dell’altra e per questo stesso motivo noi abbiamo anche designato quello intercorrente fra di loro come un rapporto di indifferenza. Solo l’opposizione assolutamente non-vera tra un mondo soggettivo e uno oggettivo viene da quest’ultima tolta e completamente concellata» (SW, I/7, p. 53).
39 Cfr. M. Franz, Schellings Tübingen Platon-Studien, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1996.
40 Cfr. W. Beierwaltes, Platonismus und Idealismus, Frankfurt a. M., Vittorio Klostermann, 1972, pp. 100-144.
41 Cfr. W. Beierwaltes, Platonismus und Idealismus cit., pp. 102 e segg.
42 Distinzione fondamentale che Schelling riconosce quale ulteriore merito e risultato della filosofia della natura (SW, I/7, p. 357).
43 «§. 320. Nell’arte il principio di ogni conoscenza assoluta si fa obiettivo, tuttavia non soltanto come principio del conoscere, ma anche come principio dell’agire. – Risulta chiaro da quel che precede. Ciò che nel sapere e nell’agire si fugge, bruciando per così dire in fiamme separate, ed è riunito soltanto in un sapere assoluto e in un agire assoluto (cioè nell’arte), è insieme soggettivo e obiettivo. Questa proposizione è insieme l’identità e la differenza della scienza e dell’arte» (SW, I/6, p. 573).
44 I testi tra parentesi quadra e in corsivo sono mie integrazioni alla citazione.
45 «§ 302. Può dirsi causa libera soltanto quella causa che, in virtù della necessità della sua essenza, senza alcun’altra determinazione, agisce secondo la legge dell’identità» (SW, I/6, p. 538).
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Libertà e Natura
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