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Dall’inizio alla fine della cura: disidentificare

p. 183-191


Texte intégral

1Nello scritto del 1946 sulla causalità psichica, Lacan segnala che «Le prime scelte identificatorie del bambino […] non determinano infatti altro […] che quella follia per cui un uomo si crede un uomo»1. In questo momento dell’insegnamento di Lacan, credersi un uomo viene trattato tramite l’immaginario e la passione narcisistica: «[Questa] illusione fondamentale di cui l’uomo è servo, ben più che di tutte le “passioni del corpo” in senso cartesiano, e cioè quella passione di essere un uomo che è la passione dell’anima per eccellenza, il narcisismo, che impone la propria struttura a tutti i suoi desideri, anche ai più elevati»2. Lacan oppone alla passione narcisistica come fondamento, la dimensione della causa, la quale concerne l’identificazione che sarebbe fondata, dice, in «una forma di causalità che è la stessa causalità psichica, che è un fenomeno irriducibile, […] l’identificazione»3.

2Questo fenomeno irriducibile, che è l’identificazione, diventa un supporto, è la matrice primaria con cui il soggetto cercherà di darsi un nome, nominarsi come soggetto nell’Altro. Ma, come sappiamo, nell’Altro in quanto tale il soggetto manca, se c’è, è lì solo a condizione di essere rappresentato da un significante per un altro significante. Il soggetto dell’inconscio, che è parlato dall’Altro, dice infatti Lacan, non solo è contraddittorio e vano, ma è anche vuoto ed evanescente. Ed è proprio per questa stessa condizione di essere vuoto ed evanescente, carente di identità, possiamo dire, che cerca appassionatamente una nominazione a cominciare dalle identificazioni che lo hanno determinato. A partire dall’identificazione, aspira a nominarsi in un modo o nell’altro.

3L’esperienza analitica parte dalle identificazioni del soggetto per dirigersi verso il nucleo di godimento che le identificazioni racchiudono, il nucleo di godimento che è incapsulato nelle identificazioni e le disfa una per una, le fa cadere come i rivestimenti di una cipolla, per utilizzare la metafora freudiana. Ed è per questo che restituisce il soggetto, facendolo tornare alla sua vacuità primordiale. Restituire il soggetto alla sua vacuità primordiale è la formula che permette a Lacan di parlare, per esempio, di attraversamento del fantasma.

4Che cos’è l’attraversamento del fantasma? È ciò che il lavoro di un’analisi produce nel campo delle identificazioni, corrodendole, dissipando i veli che queste identificazioni intessono attorno all’oggetto. In ultima istanza, ciò che Lacan chiamava dis-essere4 è il punto d’incontro con questa vacuità primordiale, con questa assenza di nominazione dalla quale è attraversato il soggetto dell’inconscio.

5Una frase di Lacan illustra in modo abbastanza preciso la questione, quella de La direzione della cura e i principi del suo potere5 che si riferisce al momento dell’interpretazione e che allude al dito di San Giovanni che punta «[l’] orizzonte disabitato dell’essere»6. Verranno poi altre definizioni e aggiustamenti rispetto all’interpretazione, ma questa citazione permette di cogliere molto bene l’orientamento, il vettore verso cui mira la logica della cura, che va nella direzione opposta al discorso del padrone. Laddove quest’ultimo mira a produrre una soddisfazione delle identificazioni, laddove pretende di renderle consistenti, il discorso analitico si orienta per destituirle dalla loro potenza, o almeno dalla potenza del pathos che le identificazioni veicolano.

6Questo dettaglio del pathos è fondamentale perché, effettivamente, sia Lacan che Freud segnalano l’irriducibile delle identificazioni. Vale a dire, non esiste un soggetto assolutamente disidentificato, questo è un impossibile; si tratta di sgomberare, di far cadere le identificazioni alienanti, i tratti di godimento dell’Altro che ci abitano, di separarsi da ciò. E questo è un percorso che va dalle identificazioni immaginarie – che sono i modi con cui Lacan ha chiamato quelle che in Freud erano le identificazioni secondarie – fino alle identificazioni primarie, vale a dire, il campo degli S1, dei significanti padroni, che sono venuti a occupare il posto del vuoto di identità del soggetto.

7Da un lato, il discorso del padrone che pretende di catturare l’identificazione, fissare gli S1; dall’altro, il discorso analitico che opera disfacendo le identificazioni nelle quali il soggetto resta intrappolato.

8Se seguiamo l’evoluzione dell’insegnamento di Lacan, possiamo apprezzare come opererà progressivamente un cambiamento nel regime delle identificazioni.

9Freud, in Psicologia delle masse e analisi dell’Io7, ha situato tre livelli dell’identificazione. Questi tre livelli li ha fatti dipendere dall’Altro, vale a dire che l’Altro era il garante dell’identità per mezzo dell’identificazione. Il primo meccanismo isolato da Freud, la forma primaria dell’identificazione, è l’identificazione al padre per mezzo dell’amore; è ciò che verrebbe ad assicurare, possiamo dirlo così, la stabilizzazione della realtà. Il padre sostenuto mediante l’identificazione garantisce l’ordine del mondo.

10Il secondo processo dell’identificazione viene definito da Freud a partire dall’isteria. Conosciamo lo stretto legame del discorso dell’isteria con la psicoanalisi. L’isteria, abitata dalla passione per la mancanza-a-essere, mira a trovare nel simile la mancanza dalla quale essa stessa è abitata e produce, per mezzo dell’identificazione, il sintomo.

11La terza forma è l’identificazione al tratto unario, non importa quale sia questo tratto; la condizione è che stia nell’Altro, è l’identificazione ad un tratto qualsiasi, aleatorio, marchio che il soggetto estrae dall’Altro e che incorpora come un elemento proprio che condiziona il suo modo di abitare il mondo, ovvero, il suo modo di godere.

12Ciò che, dunque, abbiamo in primo piano quando partiamo dalla teoria dell’identificazione in Psicologia delle masse è un fatto di struttura. È dall’Altro che si organizza il campo delle identificazioni.

13Nel Corso intitolato L’inconscio reale8, dell’anno 2006-2007, Jacques-Alain Miller individua una soluzione di continuità, cruciale nell’insegnamento di Lacan. Il suo ultimo insegnamento segna un vero e proprio punto di svolta, poiché in esso assistiamo a un cambiamento concettuale, a una trasformazione della prospettiva nella quale eravamo abituati a muoverci a partire dai significanti che orientavano il dispositivo dottrinale classico. Occorre precisare che questa trasformazione, alla quale assistiamo nell’ultima parte dell’insegnamento, non invalida o annulla, per nessun motivo, quello che è l’insegnamento precedente. Questo è un fatto da tenere in considerazione in quanto, a volte, corriamo il rischio di introdurci in quest’ultimo insegnamento in modo precipitoso. In realtà, esiste una solidarietà tra l’ultimo insegnamento e il precedente, uno non è senza l’altro e questo è palpabile nell’esperienza clinica.

14Effettivamente, nell’ultima parte dell’insegnamento assistiamo a una riformulazione, a una torsione dei concetti classici; è un’operazione topologica. Le cose non funzionano più nello stesso modo di prima. Ed è proprio il concetto di identificazione ad essere la chiave in questo cambiamento.

15In Psicologia delle masse abbiamo, dunque, il regime dell’identificazione organizzato dall’Altro. Nell’ultimo insegnamento di Lacan, l’Altro è destituito e il soggetto viene concepito a partire dal reale, dal simbolico e dall’immaginario, in quanto sono tre consistenze. A partire da qui, e con un movimento progressivo, lo statuto del soggetto si modifica, non è più il soggetto del significante e nemmeno il soggetto dell’identificazione, ma l’uomo, LOM come abbrevia Lacan nello scritto su Joyce il Sintomo9, ossia, l’essere umano in quanto tale, che Lacan definisce essere parlante, utilizzando il neologismo parlêtre. In qualche modo, è a questo che si vede ridotto il primato del linguaggio che Lacan aveva precedentemente elaborato.

16In questa prospettiva del parlêtre, troviamo un cambiamento del regime delle identificazioni. Nel luogo dell’Altro, che è già spostato, c’è un principio di identità completamente diverso, che è il corpo. È un passaggio che va dall’Altro del significante, dell’S1 al quale ci identifichiamo, all’Altro in quanto corpo. Non è il corpo dell’Altro ma, come diciamo solitamente, il corpo proprio. C’è un ripiego sulla funzione originaria della relazione con il proprio corpo che è fondante del parlêtre, differente dalla relazione dell’S1 con il soggetto.

17Questo corpo proprio è una consistenza, Un-corpo10, come lo chiama Miller nel corso di cui si parlava prima. Tutto ciò che era investito nella relazione con l’Altro si sposta verso questo Un-corpo come consistenza. E di questo corpo, dice Lacan, si ha un’idea, un’idea come di se stesso, che nomina riscattando l’antica parola freudiana di ego11. Lacan segnala con molta attenzione che la definizione di ciò che una persona è in quanto ego, non ha nulla a che vedere con la definizione del soggetto che passa per le rappresentazioni del significante. L’ego, piuttosto, si stabilisce a partire dalla relazione con Un-corpo. Inoltre, in questo piano, in questa prima impronta, non vi è più identificazione, piuttosto c’è pertinenza, proprietà.

18Si tratta di qualcosa che va al di là della divisione psichica operata dal tratto unario, si tratta di questi pezzi ai quali ci si identifica. Non mira neppure alla mancanza nell’Altro, come accade nell’identificazione isterica. Tuttavia, ha a che vedere con l’amore, ma non è, come in Psicologia delle masse, l’amore per il padre, è piuttosto l’amor proprio, nel senso dell’amore dell’Un-corpo.

19«Il parlessere adora il proprio corpo»12, dice Lacan nel Seminario XXIII. Questo corpo, inteso come una consistenza, è la cosa più sicura che ha. Questo corpo è ciò che verrebbe al posto delle tre modalità freudiane di identificazione. Quando Lacan insiste su questa proprietà del corpo e gira attorno a questo cambio di statuto dell’identificazione, di questo corpo dice che non lo si è, ma lo si ha. Anche se questa nozione di avere un corpo non è altro che una credenza, afferma Lacan, cioè la credenza nel senso di avere un corpo come fosse un oggetto disponibile. Ad ogni modo, il corpo si pone più dal lato dell’avere che dell’essere. L’Un-corpo, dice Lacan, è l’unica consistenza del parlêtre. Bisogna aggiungere che quando Lacan parla qui di consistenza, dice che è una consistenza mentale, da cui si deduce che non attiene all’immagine. Cito Lacan, su questo punto nel Seminario XXIII: «Il parlessere adora il proprio corpo perché crede di averlo. In realtà non ce l’ha, ma il suo corpo è la sua sola consistenza. Consistenza mentale beninteso, perché il suo corpo se la squaglia a ogni istante»13. E aggiunge: «È già abbastanza miracoloso che sussista per il tempo della sua consumazione, che è, dunque, per il fatto di dirlo, inesorabile. Non ci si può fare niente, essa non si riassorbe»14. Il corpo sussiste il tempo di distruggersi, ma non evapora, non sfuma, da qui Lacan lo tratta come una consistenza.

20Troviamo dunque, in primo piano, non già la nozione di identificazione, ma quella di pertinenza, di proprietà. L’Altro, tramite i processi di identificazione, produce soltanto mancanza in essere, vuoto, mentre Un-corpo si prende per la sua consistenza. Nel luogo dell’amore per l’Altro, il padre, troviamo l’adorazione per il corpo che è un misto di immaginario e reale: immaginario in quanto Lacan definisce questa consistenza come mentale, poiché il pensiero non fa altro che trasmettere questa adorazione; e reale perché questo corpo è la sede del godimento che non ha nessuna possibilità di essere rappresentato, che sfugge alla logica della metafora e della metonimia e, pertanto, al senso.

21Questo momento dell’ultimo insegnamento di Lacan consiste nel definire il corpo, non dalla sua immagine e come un effetto di senso, ma come corpo godente organizzato dagli orifizi corporei di cui Freud aveva già articolato la solidarietà con le pulsioni. Questi buchi del corpo producono senso in quanto hanno origine nelle esperienze di godimento e successivamente lo aspirano. I buchi del corpo localizzati in Un-corpo funzionano come marcatori, è una specie di scrittura indecifrabile, ma non inscritta, paradossale se vogliamo e radicalmente refrattaria a poter essere formalizzata dal simbolico.

22Tuttavia, bisogna tenere in conto di quale sia la logica per cui i concetti cambiano e dei vari passaggi che permettono di cogliere una riformulazione clinica.

23Si tratta, per esempio, dei passaggi che vanno dal sintomo, che veicola il deciframento e il senso, al sinthome, che mostra piuttosto una modalità di funzionamento e che esclude il senso a favore di un saper fare con l’irriducibile del godimento, che è sempre racchiuso nel sintomo stesso. Vi è anche il passaggio che va dal soggetto dell’inconscio al parlêtre e che rende conto di un cambiamento nello statuto stesso dell’inconscio. L’Altro non è più il tesoro dei significanti, piuttosto Lacan è propenso a descriverlo come un ingombro di significanti, il che anticipa il passaggio che va dall’inconscio a lalingua, scritto tutto attaccato. Tale concetto de lalingua ci permette di avvicinare il punto cruciale che va al di là dell’identificazione, un punto nel quale si può situare con precisione il modo con cui Lacan interroga la struttura del linguaggio.

24Quindi, al posto dell’inconscio strutturato come un linguaggio, troviamo lalingua, a partire dalla quale Lacan afferma di non essere per niente sicuro che la lingua serva per il dialogo. Nello scrivere lalingua in una sola parola, senza distinguere l’articolo dal sostantivo, indica così che la lingua serve per il godimento e, pertanto, il godimento non comunica. Ci troviamo di fronte alla presenza di una lingua che non comunica e che è al servizio del godimento e fondamentalmente fissata nel godimento del senso, joui-sens, il godi-senso, come dice Lacan.

25Il linguaggio e la sua struttura appaiono come secondari e sono più che altro derivati di ciò che Lacan chiama lalingua. Lalingua la possiamo definire come la parola prima della sua organizzazione grammaticale e lessicografica, separata quindi dal linguaggio. Con questa condizione, Lacan pone un’inclusione originaria e privilegiata del godimento, che va a discapito della struttura e delle sue articolazioni. Questa inclusione, questa irruzione di godimento, precederebbe ogni costruzione di senso veicolata dal funzionamento delle identificazioni. Sarebbe pre identificatoria, se così si può dire.

26L’identità nella prima parte dell’insegnamento di Lacan non sarebbe altro che il prodotto di una identificazione, in ultima istanza sempre vuota, passibile di essere destituita, modificata. Con lalingua, Lacan mira in modo preciso a ciò che vi è prima dell’identificazione: unità pre identità.

27Vediamo dunque come il corpo, a cominciare da questa nuova prospettiva, sia concepito a partire da ciò che è più strettamente primario, in un tempo ante. Se lo consideriamo con attenzione, ciò che chiamiamo evento di corpo rivela proprio qualcosa che è solidale con il concetto di lalingua: un corpo che è attraversato, colpito da lalingua.

28Cosa vogliamo dire con questo?

29L’evento di corpo – questa irruzione di godimento, come lo definisce Miller – è uno degli assi privilegiati per cogliere il cambiamento che si opera nell’ultimo insegnamento di Lacan. L’evento di corpo ci permette, tra le altre cose, di intendere la logica di uno spostamento definitivo nel campo dell’identificazione così come l’avevamo tradizionalmente concepita. Questo permette di situare un incontro precedente all’immaginario e precedente anche alla morsa stessa del significante nel corpo. Un incontro con lalingua dove l’impatto fa emergere un affetto che si imprime nel corpo. Un marchio, un tono vitale che si incarna e che fa legame al di là dell’identificazione.

30Si può cogliere molto bene il destino di questo marchio e la sua formalizzazione nell’esperienza clinica. Per esempio, è ciò che si mette in rilievo nell’esperienza della passe, dove vediamo verificarsi, in modi sempre singolari, come alla caduta delle identificazioni segue di solito un evento inedito che colpisce nel corpo e che fa eco in un al di là di ogni rappresentazione. Si può dire in un altro modo: quando il corpo smette di essere perturbato dal pathos del senso, quando il senso, per così dire, cessa di essere la malattia del parlêtre, il corpo si orienta in un altro modo nel legame sociale, tutto sembra indicare in un modo più amabile, diretto, in coerenza – come dice Éric Laurent ne Il rovescio della biopolitica15 – tanto con la réson, cioè, con ciò che risuona, con ciò che fa eco, quanto con la ragione16.

31Non c’è alcun deciframento possibile per l’evento di corpo. Nel migliore dei casi si fa sinthome con esso. Tra altre concettualizzazioni possibili, possiamo pensare l’evento di corpo come una molla, una sorta di Aufhebung che implica la possibilità per ciascuno di costruirsi uno sgabello su misura; a prescindere dal fatto che la possibilità di sublimazione, il potenziale in ogni soggetto, sia tanto o poco e a prescindere dal destino di questa sublimazione.

32Se seguiamo questo orientamento, è lecito dire che se c’è un’identità che possa, in qualche modo sostenersi, è quella che Miller propone di chiamare «identità sinthomatica»17, che non è un tipo di identità che corrisponde al soggetto, ma che piuttosto si inscrive dal lato dell’Uno-tutto-solo, del corpo stesso, del corpo dal quale non possiamo fuggire, dei buchi del corpo in cui la contingenza dei significanti spinge a far funzionare in ciascuno esperienze differenti, esperienze uniche che chiudono a qualsiasi tipo di omogeneità possibile, senza alcuna scrittura identificatoria. Esperienze che possono essere perfino triviali, ma che rendono conto di un modo strettamente singolare di abitare il mondo, di mostrare qualcosa che è dell’ordine di ciò che Lacan ha chiamato la differenza assoluta.

33La logica della cura, l’osso dell’operazione analitica dal suo inizio fino alla sua conclusione, si inscrive come una politica della disidentificazione.

34In un’analisi si tratta di estrarre questi marchi indelebili di ciascuno, queste esperienze uniche che rendono conto del godimento sintomatico del soggetto. L’esperienza analitica è una macchina per estrarre i momenti in cui un dire ha marchiato un corpo, questo implica una riduzione degli enunciati e una liberazione dell’enunciazione. L’enunciazione, la buona forma del dire, è l’effetto di questa operazione e questo fa eco nel corpo. «le pulsioni sono l’eco nel corpo del fatto che ci sia un dire»18, dice Lacan. Una volta che gli ostacoli, gli impedimenti, i grovigli delle identificazioni, che erano alimentate dal senso, cadono, ciò che resta è piuttosto un funzionamento che modifica il legame con il corpo e con l’Altro. La caduta del senso e dell’interpretazione permettono di positivizzare il sintomo, di metterlo non-tutto al servizio del godimento, di organizzare un saper fare con questo.

35Questa positivizzazione del sintomo costruisce un orientamento che implica di non rispondere alla domanda di identificazione e questo a beneficio di un isolamento radicale della singolarità. Si tratta di andare contromano rispetto alle identità per poter isolare il più proprio, di inventare qualcosa, lì dove il senso sfugge. E questo offre la possibilità di un nuovo legame.

36A partire dall’evento di corpo si articola una logica del legame che si discosta definitivamente dal campo delle identificazioni. La questione cruciale è far pendere la questione in direzione del sinthome, di un funzionamento che permette di inscrivere la soggettività al di là delle identità. Disidentificare implica la messa in atto di una politica che permette di bucare le significazioni assolute. È andare contro i deliri totalitari.

Notes de bas de page

1 J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica [1946], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974 e 2002, vol. I, p. 181.

2 Ibidem.

3 Ivi, p. 182.

4 Cfr. Id., Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola [1967], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 252.

5 Id., La direzione della cura e i principi del suo potere [1958], in Scritti cit., vol. II.

6 Ivi, p. 637.

7 Cfr. S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io [1921], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1977, vol. 9, pp. 293-298.

8 J.-A. Miller, L’inconscio reale [2006-2007], “La Psicoanalisi”, 49, 2011, pp. 195-209.

9 J. Lacan, Joyce il Sintomo [1975], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 558.

10 Cfr. J.-A. Miller, Il rovescio di Lacan [2007], “La Psicoanalisi”, 61, 2017, p. 17.

11 Cfr. J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo [1975-1976], Roma, Astrolabio, 2006, p. 146.

12 Ivi, p. 62.

13 Ibidem.

14 Ibidem.

15 É. Laurent, Il rovescio della biopolitica [2016], Roma, Alpes, 2017.

16 Cfr. ivi, p. 129.

17 J.-A. Miller, L’inconscio reale [2007], “La Psicoanalisi”, 43-44, 2008, p. 251

18 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo cit., p. 16.

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