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Modi della presenza nella pratica analitica

p. 167-174


Texte intégral

«Sbattezzare il mondo
sacrificare il nome delle cose
per vincere sulla loro presenza.

Il mondo è una nuda chiamata,
una voce e non un nome,
una voce con il suo proprio eco in salita.

E la parola dell’uomo è una parte di questa voce,
non un segno con il dito,
né un faldone d’archivio,
né un profilo da dizionario,
né una carta d’identità sonora,
né una bandierina indicativa
della topografia dell’abisso.

Il mestiere della parola,
più in là della piccola miseria
e la piccola tenerezza di designare questo o quello,
è un atto d’amore: creare presenza»1.

Presenza

1Il “presente” come condizione della psicoanalisi è un presente che si sostiene nell’inconscio: tanto nella supposizione che questo costituisce quanto nel reale che comporta.

2Una logica del litorale non più binaria2 permette di superare il problema della presenza formulato come opposizione tra l’interpretazione dell’inconscio come memoria o la sua attualizzazione nel qui ed ora del transfert3.

3La presenza dell’analista è, nella sua azione di ascolto, la condizione stessa della parola, nella misura in cui resta, dice Lacan, discreta: «il senso più acuto della sua presenza è legato a un momento in cui il soggetto può solo tacere»4.

4Ammesso che il soggetto possa identificarsi nel linguaggio soltanto perdendocisi come un oggetto, la presenza dell’analista fonda il campo dell’inconscio come perdita, lì dove la sua parola lo fonda come sapere.

5La topologia propria dell’atto analitico si articola così alla funzione poetica, al «moterialismo, che nel suo centro racchiude un vuoto»5. Quando c’è interpretazione, l’analista incarna questo vuoto6, rinviando il soggetto all’assenza primaria, che è paradossalmente presenza del godimento opaco che lo singolarizza, Uno senza Altro.

6La presenza dell’analista è il silenzio che in atto costituisce un dire, andando contro tanto alla chiacchiera del sapere inconscio, quanto al mutismo della pulsione7. In questo silenzio si realizzano al contempo l’assenza che è il desiderio e la presenza che è il vivente indicibile.

Un nodo

7Se la fine dell’analisi segna l’attraversamento del piano delle identificazioni e la traversata del fantasma che sosteneva il desiderio come strategia nevrotica, difesa contro il reale di questo godimento Uno, come si può parlare allora del “desiderio dell’analista” senza legarlo alla pulsione? Come concepire un desiderio del quale nessun essere è il supporto?8 Essendo il desiderio sempre intricato nella dialettica tra il soggetto e l’Altro, resta la questione di come sia vissuta la pulsione quando l’Altro cade9.

8Proporrò come ipotesi che il “desiderio dell’analista”, operatore dell’atto nelle cure che si dirigono10, si costituisce come un nodo, che chiamiamo sinthome e che implica:

91) una modalità pulsionale depurata dalla disattivazione del fantasma fondamentale (nel quale si includono una o diverse specie dell’oggetto a); 2) un Altro godimento il cui accesso è reso possibile dall’apertura di un al di là della regolazione fallica e la cui esperienza, fuori dalla catena e indicibile come tale, riguarda un godimento nel corpo; 3) un modo di oggettivare la parte mortifera della pulsione non più fondato sulla repressione. Se lo chiamiamo sublimatorio è in quanto comprende una pratica della lettera come nuovo destino possibile della pulsione di morte11.

10Lo stile con cui ciascun analista risveglia ciascun analizzante, colloca la sua domanda, perturba la sua difesa e si inserisce nella produzione dell’inconscio in ciascun caso, porterà il segno di questo annodamento.

Soggetto diviso, oggetto perduto

11L’oggetto sguardo si è presentato nell’analisi in tre momenti cruciali, che qui ridurrò a un percorso da agalma a palea. L’operazione in gioco è stata, ogni volta, di estrazione, con il suo conseguente effetto di separazione. Ognuno di questi tre momenti ha richiesto la presenza fisica dei corpi. Questa sequenza risponde al tempo logico che ha portato l’esperienza dalla domanda intorno al desiderio dell’Altro alla questione del godimento dell’Uno; dall’inconscio come discorso dell’Altro, al corpo come Altro.

Lo sguardo che cade

12Era l’inizio della mia ultima analisi. Mi avevano condotta lì l’angoscia emersa nel diventare madre e la scissione tra l’amore e il desiderio sessuale. Ma nella mia domanda si giocava anche la decisione di aver ripreso a lavorare in un ospedale psichiatrico. La scelta della follia e una clinica dei casi impossibili costituiva la ripetizione di qualcosa che aveva determinato la scelta dei miei studi e segnato gli inizi della mia pratica clinica alcuni anni prima.

13Tuttavia, nel giro di pochi mesi dalle prime sedute, mia madre è morta improvvisamente, a 56 anni, senza che si potesse inscrivere alcun sapere sulla causa della sua morte. In quel momento, in un testo presentato al Seminario PARIS-USA12 Your first session: entering analysis scrissi quanto segue:

Sospesa nel tempo e aspirata dal vuoto che sono diventata, cerco in seduta di dire una frase: “Non saprò mai…” ma l’analista non ha permesso che la terminassi. Non c’era alcuna compassione. Ho visto la sua ombra sulla parete e l’ho sentito muoversi. Rannicchiata nel divano ho girato il volto e ho incontrato, con orrore, il suo sguardo. Si era fermato dietro di me, il suo viso vicinissimo alla mia testa, mi fissava. La mia voce si è rotta nel domandare: “Perché mi guarda così?”13 Poi ha aperto la porta, senza proferire parola. Inciampando nell’uscire, ho visto i miei occhiali cadere nel buco della scala a spirale. Quel giorno sono tornata molte volte, mentre il mio corpo mi ricordava che alcune parole portano qualcos’altro oltre al senso […] Avevo passato la vita cercando di essere l’unica agli occhi di mia madre, ora chiusi per sempre. Ho potuto confessare all’analista, non senza turbamento, che all’inizio avevo creduto segretamente di sapere quale fosse la storia che avrei scritto nell’analisi14.

14A questo testo ho dato il titolo: La prima cessione.

15È stato il racconto di come non sia possibile entrare in analisi senza che un certo godimento venga ceduto, senza l’estrazione di un oggetto. E di come questo oggetto provochi la dimensione dell’amore transferale, unica via attraverso cui si può far esistere l’inconscio come sapere15.

Lo sguardo buco

16Il secondo momento si collega alla deflazione della «bolla»16, il mio modo di nominare le identificazioni in quella che ho chiamato la mia malattia dell’identità.

17«È possibile guarire dall’Io? Restano sempre delle tracce, ma è possibile guarire dall’Io avendo un corpo al di là dell’immagine»17.

18Così ho scritto nella mia prima testimonianza: «Vari sogni hanno messo in scena il mio modo di esistere tra l’inflazione e il vuoto. Uno di questi, in cui mi vedo sul bordo di una scogliera, mi fa recuperare il ricordo di una fobia infantile per i balconi: non ci potevo salire, la sensazione di vertigine sdoppiata tra la domanda “chi garantisce che si sostenga? Come mai non si cade?” e l’angoscia di essere attratta, affascinata dall’imminente caduta»18.

19In quel momento invio all’analista un poema19 scritto quando ero all’università, con un’epigrafe de Gli uomini vuoti20 di T.S. Eliot, che introduce gli occhi come buchi neri facendo luce sul filo che mi manteneva sospesa allo sguardo dell’Altro di fronte all’abisso dell’enigma del suo desiderio.

20Ma quale altro sguardo veniva coperto? Avevo creduto fosse quello di mia madre. Sguardo critico, senza pietà, disposta sempre a trovare la macchia, ciò che stava male, l’inadeguato. E, soprattutto, sguardo di disapprovazione sul mio corpo di bambina mancante: troppo grassa, troppo virile, troppo rumorosa… All’enigma «Che vuole da me»21, il soggetto risponde facendo della propria sparizione l’oggetto del desiderio dell’Altro.

Guardami, mangiami

21L’attraversamento del fantasma, dopo che l’analista ha interpretato la mia posizione di sostenere il padre, ha dato il via all’angoscia più radicale mai vissuta, durata tre anni, finché si è prodotto il sogno che aprirà la via al tratto finale. Per la prima volta nella mia vita non potevo dormire. Non potevo mangiare. Qualcosa del programma pulsionale era stato toccato irreversibilmente: il mio corpo non era mai stato sede di tali fenomeni. Tutto intorno a me sembrava crollare. I legami sociali e familiari divennero “insostenibili”, dimostrando che ciò che li sosteneva non erano i personaggi della storia, della supposta realtà, ma il montaggio pulsionale e i suoi oggetti.

22Nella mia pratica le cose divennero opprimenti. Come se i miei occhi si fossero aperti all’improvviso, ho potuto rettificare la direzione della cura in diverse analisi e assumere la portata della gravità di un certo numero di casi sempre sul bordo del passaggio all’atto, nei quali restavo silenziosamente congelata nella posizione fantasmatica di «sopportare qualsiasi cosa»22, che era il rovescio del mio sostenere l’Altro23.

23Che cosa succedeva intanto nella scena transferale? Il transfert negativo se ne impadronì. Una furia intensa, un odio addirittura, verso l’analista. Il rimprovero non detto per il fatto che non mi vedesse. Di non esistere per lui.

24La presenza assoluta nella quale l’Io si trasformava nella scena del mondo (essere ovunque) e l’oblatività (fare tutto per tutti), velavano la pulsione di morte in gioco.

25Nell’uscire da una seduta, un’altra, trascorsa nel silenzio completo, decido di non tornare all’ora pattuita. Può perdermi?24 Mi sentivo in colpa. Ovviamente, prima non avevo mai mancato una seduta. Nella mia realtà fantasmatica “mancare” era impossibile25.

26Il giorno dopo, d’impulso, compro un regalo e lo consegno all’analista. È una scatola di sardine di cioccolato. Essere guardata. Equivoco detto e letto con l’odio che tingeva il transfert, è stato quindi possibile soggettivare il male che mi abita. E nominare come proprio lo sguardo implacabile.

27È stato questo a permettere il passaggio dal «correggere l’Altro per sostenerlo»26 alla produzione del mio essere come oggetto: essere un «errore»27. Il colmo del godimento dell’eccesso: farsi eccezione identificandosi a «ciò che eccede»28 a «ciò che è di troppo»29.

28La pulsione scopica e orale, messe in gioco nella presenza reale del transfert, hanno permesso il cambiamento soggettivo della modalità nevrotica di farsi eccezione30.

29Ho deciso dunque di lasciare il mio posto nell’ospedale psichiatrico. Il congelamento dell’atto si andava sciogliendo. Il mio sguardo affascinato smetteva di offrirsi al godimento distruttivo messo in scena da alcuni analizzanti. È cambiato anche il mio modo di abitare il silenzio.

UnAltr@31

30«Quello che è l’agalma nell’Altro, vale a dire, la cosa preziosa, si trasforma in palea quando si estrae dall’Altro. [nell’] attraversamento del fantasma […] l’oggetto a è spogliato del suo abito agalmatico per rivelare le sue fondamenta di palea che, come sterco, letame viene al posto dell’oggetto causa di desiderio»32.

31Per questo, «il luogo dove si gioca la fine dell’analisi non è dal lato dell’essere inconsistente di un desiderio che sarebbe una pura metonimia significante, ma dal lato del fantasma che è sostanza godente»33.

32Passaggio dall’Uno totalizzante della volontà egoica all’Uno fuori senso che l’inconscio reale ha prodotto come lettera, anello barrato e poi, alla fine, anello di fuoco34. Questo Uno nuovo apre uno spazio dove la differenza assoluta, l’Alterità, può avere qualche occasione per avvenire.

33Il godimento disinvestito del fantasma e investito nel sintomo, crea così un passaggio possibile tra il tutto che l’eccezione istituisce, e la logica del non-tutto, dove l’eccezione è di altro ordine35: non più “l’unica” ma “una sola”36, una qualunque, mai la stessa37. Con questo, con questo Un@ sol@ e la sua soddisfazione, un analista può arrivare a fare, con i casi della sua pratica, il paio38.

Notes de bas de page

1 R. Juarroz, Poesía Vertical [1965], Genova, Editorial de lo imposible, 2012, p. 116.

2 Cfr. O. Ventura, Presentación del Seminario Internacional de otoño de la ELP, La práctica psicoanalítica hoy. Invención y real, 2020, inedito.

3 Cfr. É. Laurent, The Outside Meaning: Between Sublimation and Corporisation, [2017], “The Lacanian Review”, 4, 2018, pp. 149-153. «Concludiamo con la questione della presenza dell’analista. […] Il vero dibattito si riferisce alla corporizzazione del significante. […] l’interpretazione centra il punto solo quando c’è corporizzazione, quando l’analista è nel posto dell’oggetto a, e non nel posto di un qualsiasi significante. Le parole non sono sufficienti: bisogna pagare di persona», trad. nostra.

4 J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere [1958], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974 e 2002, vol. II, p. 614.

5 É. Laurent, La interpretación acontecimiento [2018], “Virtualia”, 37, 2019, trad. nostra, http://www.revistavirtualia.com/articulos/831/destacado/la-interpretacion-acontecimiento

6 Secondo l’espressione di J.-A. Miller, si tratta della parte non simbolizzabile del godimento.

7 Cfr. J.-A. Miller, Jacques Lacan e la voce [1988], “La Psicoanalisi”, 46, 2009, pp. 180-189.

8 Cfr. J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973], Torino, Einaudi, 2011, p. 120.

9 Cfr. A. Stevens, The Fall of the Other [2020], http://www.iclo-nls.org/wp-content/uploads/Pdf/ICLO-NLS.The%20Fall%20of%20the%20Other.June2020.pdf e J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi [1964], Torino, Einaudi, 2003, p. 269. «Che cosa diventa, allora, colui che è passato attraverso l’esperienza di questo rapporto, opaco all’origine, con la pulsione? In che modo un soggetto, che ha attraversato il fantasma radicale, può vivere la pulsione? Questo è l’al di là dell’analisi».

10 J. Lacan, Del Trieb di Freud e del desiderio dello psicoanalista [1964], in Scritti cit., p. 857. «È il reale che esse [le pulsioni] mitizzano, come fanno ordinariamente i miti: in questo caso, il reale che fa il desiderio, riproducendo in esso la relazione del soggetto con l’oggetto perduto […] Questo dramma non è l’accidente che si crede. È di essenza: giacché il desiderio viene dall’Altro, e il godimento è dal lato della Cosa. […] la pulsione divide il soggetto dal desiderio. […] È la struttura del fantasma. Quale può essere allora il desiderio dell’analista? Quale può essere la cura cui si vota?»

11 Cfr. F. Dassen, Una mirada rasgada [1997], “Uno por Uno”, 45, 1997, pp. 52-57.

12 “The PARIS-USA Lacan Seminar”, Paris, 1 & 2 may 2010, http://www.amp-nls.org/nlsmessager/2009/628.html

13 La beanza aperta dall’equivoco rispetto al soggetto del verbo: «chi» mi guarda.

14 F. F.C. Shanahan, La prima cessione [2010], inedito, trad. nostra.

15 Cfr. J.-A. Miller, Una fantasia [2004], “La Psicoanalisi”, 38, 2005, p. 34.

16 F. F.C. Shanahan, Lasciare che passi… [2019], “attualità Lacaniana”, 27, 2020, p. 146.

17 É. Laurent, Poética pulsional [2018], “Revista Enlaces”, 24, 2018, p. 8, trad. nostra.

18 F. F.C. Shanahan, Lasciare che passi… cit., p. 146, traduzione leggermente modificata.

19 Id., «Sono neri gli spazi/ ma i bordi/ sono sempre chiari. Solo che (quando non ci sono bordi) quando il nero è/ gola in grido/ una donna che partorisce/ buco del sonno…/ Poi/ c’è un occhio che guarda/ senza riflettere quello che vede», inedito, trad. nostra.

20 T.S. Eliot, Gli uomini vuoti [1925], in Poesie, Milano, Mondadori, 1972, p. 251. «Gli occhi non sono qui/ Qui non vi sono occhi».

21 J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano [1960], in Scritti cit., p. 817.

22 F. F.C. Shanahan, Lasciare che passi… cit., p. 144.

23 Cfr. ivi, pp. 144-145. In questa prima testimonianza ho elaborato l’imbroglio cominciando con il districare nell’analisi l’equivoco trans-linguistico nella coppia «supportare/sostenere» [to support / supporter / soutenir].

24 Cfr. J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi cit., p. 210.

25 Mancare (faltar) in spagnolo mantiene l’equivocità tra mancanza come errore, colpa o fallimento e mancanza come assenza o perdita.

26 Cfr. F. F.C. Shanahan, Lasciare che passi… cit., p. 147, traduzione leggermente modificata.

27 Ibidem.

28 Ibidem.

29 Ibidem.

30 Eccezione: 1) un’istanza o caso che non si adatta alla regola generale; 2) critica, opposizione, obiezione.

31 In spagnolo il simbolo @ scrive, al contempo, il femminile e il maschile: una, un, e altra, altro.

32 J.-A. Miller, Des réponses du réel [1983-1984], leçon du 21 mars 1984, inedito, trad. nostra.

33 D. Holvoet, Argument [2014], Congrès de la NLS, 17 et 18 mai 2014, Gand, Ce qui ne peut se dire. Désir, fantasme, réel, http://www.amp-nls.org/page/fr/173/argument, trad. nostra.

34 J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora cit., p. 121. «Il suddetto anello è di certo la più eminente rappresentazione dell’Uno, nel senso che racchiude solo un buco».

35 Ivi, p. 125. «fare dell’Uno qualcosa che si sostenga, cioè che si conti senza essere».

36 Cfr. A. Stevens, The fall of the Other cit. «Con l’ultimo scritto di Lacan, la Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI, la fine dell’analisi e la passe si spostano dall’attraversamento del fantasma al sinthomo. La caduta dell’Altro non è lì meno presente, in quanto ogni AE testimonia, in un modo o in un altro, di una formula, di un nome, di una lettera senza senso che arriva a dire il resto a cui lui o lei è stato ridotto. Fuori senso, così come Lacan parla dell’inconscio reale, un S1 solo, […] che esclude l’interpretazione. […] un S1 senza S2» [in francese la seule vs. seule].

37 Cfr. F. F.C. Shanahan, Urgence:¡Jamais la même! [2019], https://www.nlscongress2019.com/messagesb/urgencenbspnbspnbspjamais-la-mmenbsp «L’urgenza del parlessere è, come la lettera e come la donna, sempre Una. Una che, tuttavia, non è mai la stessa», trad. nostra.

38 Cfr. J. Lacan, Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI [1976], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 565.

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