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Il tempo nelle mani dello psicoanalista

p. 117-127


Texte intégral

«La seduta analitica è una manovra essenziale con il tempo»1.

1Questa in esergo è una frase in cui si parla di manovra con il tempo, ed è questo infatti ciò con cui Lacan ha introdotto la sua sovversione del setting psicoanalitico quale esso era ed è ancora praticato nella tradizione postfreudiana. Mettendo nelle mani dell’analista questa manovra, Lacan l’ha fatta diventare parte essenziale della direzione della cura psicoanalitica.

2Questa manovra con il tempo nelle mani dell’analista è specialmente al livello di quello che Lacan, nel suo sofisma sul tempo logico2 del 1945 ha chiamato momento di concludere.

3Il momento di concludere, come sanno coloro che fanno e hanno fatto un’esperienza psicoanalitica lacaniana è una decisione dell’analista e anche una sua responsabilità, un suo rischio. Mentre l’analizzante è nel dire del tempo per comprendere, l’analista è nel momento di concludere, il che mette in luce come ci siano tempi diversi nella seduta, analizzante e analista non sono nello stesso tempo. Sono nello stesso spazio ma non nello stesso tempo.

4Il fatto che Lacan nel 19533 abbia messo nelle mani dell’analista il momento di concludere la seduta ha sottratto il tempo della seduta alla sua connotazione di tempo morto, soggettivamente, morto in quanto semplice oggettività cronometrica, misura nota in partenza della durata stessa della seduta.

5Assurto invece a decisione dell’analista, il momento di concludere ha fatto emergere il tempo della seduta come tempo vivente, effettività che eccede, travalica la mortificazione della misura regolata in anticipo. Con questa manovra in cui decide del momento di concludere, l’analista, possiamo dire, “corporizza” questo tempo che eccede la sua significazione oggettiva, calcolabile.

6Come vedremo meglio dopo, il momento di concludere in quanto decisione dell’analista se, nella seduta lacaniana, è ciò che si sostituisce al tempo regolato dal cronometro, non è però nemmeno lo stesso tempo del cronometro ma è un altro tempo, è logico, come lo ha presentato Lacan.

7Intanto è decisione, e questa non è affatto misurabile. Essa prende posto laddove tale decisione necessariamente non è possibile con altri mezzi. Non è possibile, per esempio, attendere che il paziente, impegnato in un dire il cui tempo «vacilla col suo limite»4, come dice Lacan del tempo per comprendere, arrivi da solo a una conclusione. Dato questo tempo indefinito in cui si trova l’analizzante, è necessario intervenga un supplemento, introdotto dall’analista, il momento di concludere ciò che non può trovarsi da sé nel discorso analizzante. È il fatto stesso di struttura dell’Altro che non ha in sé il significante che può significare l’Altro stesso, come scrive il matema lacaniano S(A/), qui c’è un buco, una mancanza radicale che, nota Miller, in questo caso fa sì che l’Altro da luogo statico della parola, possa inscrivere «una dinamica temporale»5.

8Ragion per cui – come dice a chiare lettere Lacan nel sofisma del 1945 – questa decisione, questa manovra con il tempo di concludere, è sempre un’assunzione di certezza anticipata che non vuol dire affrettata o avventata, vuol dire anticipata per struttura rispetto a ciò che non può prendere posto se non come atto, in ciò che non può fornirci il significante lui solo, ma appunto occorre che nell’effettualità questo supplemento che è tempo venga assunto dall’analista.

9Prima di giungere in Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi del 1953 a formulare la sua dottrina del tempo nella seduta, Lacan ne aveva già tracciato il fondamento nel sofisma sul tempo logico del 1945.

10Nominandolo tempo logico, Lacan sottolineava che non si trattava di tempo cronologico né tantomeno di tempo psicologico, con i suoi vissuti per intenderci, tempo che si basa su un soggetto preliminare, costituito, mentre nel tempo logico abbiamo un soggetto in via di costituirsi attraverso le scansioni di questo stesso tempo.

11Nel sofisma, Lacan suddivide una serie a noi nota, istante di vedere, tempo per comprendere, momento di concludere. Si tratta di tre tempi diversi, dice. Possiamo limitarci a isolare di ciascuno un fattore che può interessare sia la singola seduta che l’insieme della cura.

12L’istante di vedere è quello di vedere il problema, di cui non si conosce la soluzione.

13Il tempo per comprendere è il tempo in cui si avanzano delle ipotesi circa il problema in funzione della sua soluzione. È il tempo in cui è impegnato l’analizzante. Questo tempo – dice Lacan – è una durata, non un istante. È il tempo, come ho ricordato prima, che vacilla con il suo stesso limite, poiché non lo si può definire in anticipo.

14Il momento di concludere – Lacan precisa – è di concludere il tempo per comprendere, cioè far finire la vacillazione indefinita del tempo per comprendere. Esso è il tempo di un’asserzione – dice Lacan – che viene assunta, è atto. Questo tempo è sotto il segno precipuo dell’urgenza, la cosa è sottolineata da Lacan, che dice, cito: «Non è dunque in ragione di una contingenza drammatica […] è sotto l’urgenza del movimento logico che […] la tensione del tempo si rovescia nella tendenza all’atto»6.

15Nel momento di concludere, dunque, c’è un rovesciarsi del tempo in atto, l’assunzione di conclusione è un rovesciamento frutto di una tensione d’urgenza logica che attraversa la singola seduta ma anche l’insieme dell’esperienza analitica. Nel rovesciarsi in atto, questa urgenza logica s’incorpora nell’analista, senza il corpo niente atto, e senza atto non c’è più la stessa effettualità, Wirklichkeit, di questa logica.

16L’urgenza esiste già all’inizio, nell’istante di vedere, è l’urgenza che spinge all’analisi, è l’urgenza dettata dalla contingenza drammatica. E anche alla fine siamo nell’urgenza ma qui ha cambiato di segno, è logica non drammatica. L’insieme dell’esperienza analitica è nell’urgenza e l’analista è lì a rispondere ma dalla posizione in cui lo implica il tempo logico, non quello psicologico.

17Così, se il momento di concludere è sotto il segno dell’urgenza, il suo tempo non può che eccedere la sua misura regolata, ed esso non può che prendere posto come supplemento incarnandosi nell’analista che ne assume il rovesciamento in atto. Non si può quindi concludere la seduta con un ragionamento o una dimostrazione se si conclude con l’atto.

18Il tempo analitico non è quello in cui prima viene la dimostrazione, il ragionamento e poi, come si dice, la conclusione seguirà. È esattamente il contrario, prima viene l’atto di concludere poi il ragionamento, la dimostrazione seguiranno, se seguiranno.

19Per cui Lacan parla di assunzione anticipata nell’atto in cui il tempo si rovescia nel movimento d’urgenza logica, laddove mette fine a una vacillazione altrimenti indefinita attorno a un impossibile a dire. Vorrei ricordare che, alla fine del testo sul sofisma, Lacan dirà che questa forma logica del tempo può trovare applicazione nella pratica, e cita tre pratiche, il tavolo da gioco del bridge, la conferenza diplomatica e la manovra nella pratica psicoanalitica. La prima verrà ripresa in Funzione e campo, la seconda è fattore della politica, il che è già di estremo interesse ma esula dal nostro contesto, la terza, possiamo dedurre fosse già nel 1945 all’attenzione di Lacan.

20Otto anni dopo diventa uno dei punti salienti del suo manifesto psicoanalitico. In esso, il tema della conclusione della seduta assume portata sovversiva in rapporto all’ortoprassia del postfreudismo e diventerà una delle cause principali della rottura con l’istituzione che lo rappresenta. Lacan dirà allora che il gruppo analitico non era in grado di rompere con un tabù, quale si presentava essere la durata prefissata cronometricamente della seduta postfreudiana.

21In Funzione e campo, il termine con cui Lacan ha siglato l’intervento dell’analista nel momento di concludere è «una felice interpunzione a dare il […] senso al discorso del soggetto»7, laddove invece l’interruzione del timing cronometrico, essendogli del tutto esterno, non può che lasciare questo discorso in un’ambiguità fatale. Interpunzione è un termine estratto dalla pratica interpretativa biblica nella tradizione ebraica a cui ancora successivamente Lacan fa riferimento parlando di «colui che sa leggere»8 a proposito dell’ebreo formatosi al Talmud. L’interpunzione è un procedimento in cui si mettono in rilievo gli elementi costitutivi di una frase, il punto, la virgola, i due punti o un’intonazione particolare, eccetera. Dunque, si tratta di un intervento che definisce la frase, puntando a far emergere il senso. Possiamo dire anche, servendoci di quel che Lacan formalizzerà poco tempo dopo, nel grafo del desiderio, che in tal modo la manovra con il tempo logico come interpunzione che dà senso assume portata di punto di capitone che chiude un’articolazione significante.

22L’interpunzione chiude il discorso arrestando lo scivolamento altrimenti indefinito della catena del significato sotto quella del significante, innescando lo sviluppo retrogrado del senso, la retroazione con cui la struttura dell’articolazione significante incide sul significato, Nachträglich, come aveva detto Freud, après-coup, dove quel che viene dopo, la conclusione, incide su quel che era là da prima, l’intenzione di significazione, la premessa di partenza.

23Nell’interpunzione che conclude la seduta, il rovesciamento retrogrado con cui il tempo tende a passare all’atto di concludere s’inscrive come punto di capitone del discorso, innescando la retroazione di senso che pertiene all’articolazione della struttura del significante. Il rovesciamento retrogrado del tempo innesca in atto l’effetto retrogrado del senso prodotto dalla catena significante. E qui ritroviamo la specificità del tempo psicoanalitico in cui ciò che viene dopo è logicamente primo nella causazione, sovvertendo l’idea che la causazione sia una semplice successione temporale, che si passi, in modo lineare, da quel che viene prima a quel che viene dopo. Qui, invece, nella retroazione dell’effetto significante, abbiamo che è ciò che viene dopo a poter rimodulare, ridare senso a ciò che era prima, o a ciò che non aveva avuto lo stesso senso prima. Una rimodulazione dell’essere stato in sarà stato, al futuro anteriore.

24Lacan su questo punto fa un riferimento diretto a Freud e al caso dell’Uomo dei lupi9. Egli dice qui che «l’anamnesi psicoanalitica»10 sul tempo in cui s’inscrivono gli eventi che hanno marcato la storia clinica del soggetto (la scena primaria, la scena di seduzione, il sogno dei lupi) non equivale affatto in Freud a una ricerca sul fatto di realtà ma risponde a un orientamento sulla verità. Nella misura in cui – dice Lacan – gli interventi di Freud «[riordinano] le contingenze passate dando loro il senso delle necessità future, quali le costituisce quella poca libertà con cui il soggetto le rende presenti»11.

25Riordinare le contingenze passate dando loro il senso delle necessità future implica esattamente che il senso dato dagli interventi di Freud s’inscrive laddove prima non ce ne era stato e ogni volta questo senso viene rimodulato in rapporto a quanto nel soggetto può renderlo nel presente. In altri termini, Freud compie una soggettivazione del senso che era stato imprigionato nell’evento originario e questo ha effetto di verità retroattiva nel presente del discorso del soggetto, cosa ben diversa da un adeguamento del suo discorso a un’oggettività temporale, stabilita per il tramite della memoria.

26Ora è proprio per questo che Lacan dirà che gli interventi di Freud testimoniano «un’arditezza che sfiora la disinvoltura»12 quando «Egli annulla […] i tempi per comprendere a favore dei momenti di concludere, che precipitano la meditazione del soggetto verso il senso da decidere dell’evento originale»13.

27In questa affermazione di Lacan, la manovra temporale dell’analista è ribadita nettamente per come si attua e per cosa induce nel discorso del soggetto, cioè il progresso che gli può giungere dall’altro senso di verità di un evento originale. La manovra di Freud innesca un altro senso ma sta al soggetto se lo vorrà accogliere come una verità soggettivatagli dopo dell’evento originale di prima. Sta qui il margine di liberta del soggetto nella causazione del senso altro indotto dalla manovra analitica. Ed è questo che apre agli effetti di mobilizzazione del suo discorso. Notiamo, altresì, che Lacan vede nella manovra di Freud una hardiesse, arditezza, a testimoniare di un atto attraversato dalla tensione temporale che presiede alla seduta analitica, sotto il segno dell’urgenza logica che rovescia il tempo nell’atto, che s’incarna nello scatto dell’analista verso la conclusione, che decide in anticipo sulle deduzioni.

28Successivamente, nel Seminario Il desiderio e la sua interpretazione14, Lacan parlerà, a proposito del momento di concludere, di coupure, taglio. Cambia così l’accentuazione della manovra. Essa come taglio ha di mira «Il punto elettivo del rapporto del soggetto […] [al] suo essere puro di soggetto»15.

29Occorre precisare che quel che qui Lacan definisce l’essere puro del soggetto è l’essere di mancanza-ad-essere, l’essere che equivale al desiderio che è metonimia della mancanza. Lacan fa qui un riferimento clinico alla nevrosi dicendo che «il soggetto [nevrotico] non si presenta […] come […] essere puro [être pur] […] bensì come un essere per [être pour]. L’ambiguità della posizione del nevrotico sta tutta in questa metonimia, la quale fa sì che in questo essere per risieda tutto il suo per essere»16.

30È una metonimia regressiva con cui il nevrotico obietta a ciò che s’impone con la metafora paterna che indica al soggetto che se vorrà avere il fallo, via l’identificazione al padre, non potrà più esserlo. Il nevrotico vuole invece continuare ad esserlo il fallo, e a tal fine cela questa sua volontà dietro al non averlo, è sempre qualche piccolo altro che lo ha, non lui. Ma questo non averlo vuol dire de facto che lui lo è il fallo, e così obietta alla legge del padre.

31Esemplare in tal senso il sintomo del giovane Goethe a Strasburgo che Lacan aveva commentato tempo prima17. Goethe, ogni volta che si trova a incontrare Federica Brion, che desiderava, le si presentava indossando gli abiti di un altro. Ogni volta che era necessario mettere in gioco il desiderio di fronte a lei, ogni volta si faceva sostituire da un altro, vestendo abiti che inoltre sminuivano il suo status sociale.

32Il taglio dell’analista per Lacan è qui quello che ha di mira la rottura della metonimia regressiva del soggetto, che nasconde il voler essere il fallo dietro la finzione del non averlo, tramite cui fa intervenire l’altro al suo posto di desiderante. È il taglio che punta all’essere puro di mancanza, che restituisce questo essere al desiderio, liberandolo dalla metafora del sintomo in cui il soggetto nel desiderio è sostituito da un altro.

33Così mentre l’interpunzione faceva del momento di concludere una metafora, dando senso al discorso, qui il taglio libera la metonimia dell’essere di pura mancanza, restituisce questo essere al taglio che, cito Lacan, «è […] l’ultima caratteristica strutturale del simbolico come tale»18.

34È uno spostamento d’accento sulla manovra con il momento di concludere. Se l’interpunzione fa emergere il senso, via la metafora, il taglio fa emergere un meno di senso, in cui il soggetto è omogeneo alla mancanza data dalla struttura stessa del significante. Solo successivamente, Lacan farà cadere il taglio anche su ciò che non è omogeneo al significante, l’oggetto a. Qui però l’atto di concludere ha iniziato a orientarsi contro, come dice Miller, «la scelta preferenziale del soggetto»19 verso l’identificazione. La cosa apparirà nettamente in Posizione dell’inconscio20 e nel Seminario XI21.

35In Posizione dell’inconscio, la manovra dell’analista è direttamente inserita nel processo di causazione del soggetto, tra alienazione e separazione. Qui – dice Lacan – appare il soggetto che «traduce una sincronia significante in […] pulsazione temporale»22. A questa la manovra dell’analista deve accordarsi per orientare la scelta del soggetto al di là dell’identificazione.

36La prima pulsazione è l’alienazione, il fatto proprio del soggetto nel campo significante. Il significante primo, S1, fa sorgere il soggetto ma al prezzo di cancellarlo. Quel che c’era non è più non essendo altro che significante. Da qui la scelta obbligata, il vel dell’alienazione, o ricevere il senso dal legame del primo significante agli altri della catena o la pietrificazione dell’essere. È la scelta del senso che tuttavia farà emergere il vuoto del soggetto, una perdita. L’elisione costituente il soggetto barrato.

37Scegliendo il senso resta comunque qualcosa che Lacan definisce écorné, scornato, cioè un senso sberciato da un non senso, che è quello stesso dell’essere che non è entrato nell’Altro. È questo che qualifica l’inconscio e che – nota Lacan – deve prendere posto, per quanto attiene all’analista, «nella sua poltrona»23, come a dire che è questo senso scornato a cui egli deve accordarsi nel suo intervento. Ma come? A partire dalla seconda pulsazione, la separazione, la chiusura della causazione del soggetto. Chiusura, va precisato, che dà essa stessa la chiave del proprio spazio, il che vuol dire che non è lo spazio connotato da un dentro e un fuori, ma che qui è in gioco una struttura di bordo tale per cui – cito Lacan – «il sesamo dell’inconscio […] esige dall’analista che ritorni sul modo della sua chiusura»24.

38Questo modo non è più quello del vel, dell’alienazione ma quello di un velle, un volere, tramite cui il soggetto opera in relazione alla propria perdita originale, quella dell’alienazione, per reintrodurla però nel suo rapporto con l’Altro, puntando a che questa sua mancanza faccia sorgere una mancanza nell’Altro stesso, positivizzando così libidicamente la propria in modo oggettuale. Qui dunque il soggetto si fa valere come oggetto a.

39Lacan ha sottolineato che questo volere di separazione è qui nel senso di se parere, in latino, la cui radice è parere, un vocabolo che pertiene al giuridico nel senso di procurarsi uno stato civile. La separazione è così l’operazione in cui il soggetto fa della sua perdita d’essere all’origine, la pars che è il suo scorno originario, l’a-parte dalla catena significante, qualcosa in cui è implicato l’Altro che diventa ciò attorno a cui si muove la pulsione nel suo movimento di andata e ritorno.

40È qui che si situa esattamente quel che Lacan dice, che l’importanza «è cogliere come l’organismo si faccia prendere nella dialettica del soggetto»25 nella sua relazione all’Altro. Infatti, con questa pars, separata, troviamo collocata l’incarnazione oggettuale dello scorno d’essere dell’alienazione significante. La parte che è stata fuori corpo nell’alienazione, cioè fuori corpo significantizzato, ma non fuori dell’organismo. L’organismo, essendo qui per Lacan l’organismo libidico che va al di là dei limiti del corpo significantizzato, come dimostra la natura ectopica dell’oggetto pulsionale, fin dal seno, che è del corpo del soggetto ma è collocato ectopicamente nel corpo della madre, collocatovi libidicamente, a farsi prendere nella dialettica tra il soggetto e l’Altro, ma non in quanto identificazione ma in quanto pulsione.

41La manovra dell’analista, come dicevo, accorda qui il momento di concludere alla pulsazione temporale del soggetto, tra alienazione e separazione, operando per far sì che il soggetto, invece di confondere il significante primo dell’alienazione, S1, con l’oggetto a, si scopra nel suo rapporto con l’oggetto originario, e che vi si riconosca. Dunque, qui la manovra punta a far emergere la parte scornata dell’essere dell’alienazione nella stessa operazione di separazione per far cessare la confusione che maschera la pulsione, consentendo al soggetto di lasciare la scelta privilegiata per l’identificazione a favore della scelta del suo essere di vuoto, l’essere al di qua del senso.

42Necessariamente quindi, questa è una manovra che anticipa sulla possibilità che la seduta si chiuda come unità semantica26, definita e distinguibile nel suo senso, che è quello dell’Altro. È una manovra che asseconda quel che nel soggetto la separazione isola dall’Altro. È qui che il termine della seduta diventa esso stesso un po’ uno scorno per il soggetto, assumendo un’opacità dal colore di vuoto, pulsionale appunto. Momento di concludere in cui l’analista incarna la parte perduta, diventando il semblant dell’oggetto a, e non è più solo l’operatore del punto di capitone che chiude la significazione retroattiva del discorso.

43Che questo vada contro la scelta privilegiata del soggetto verso l’identificazione è stato teorizzato da Lacan, in quegli stessi anni, con la dottrina della traversata del fantasma, la traversata delle identificazioni per farvi emergere l’oggetto che vi era soggiacente. Traversata che libera il soggetto dalla prigione delle significazioni costruite per difendersene. Traversata che è stata per lungo tempo la dottrina della passe, di conclusione dell’analisi.

44Come noto, Lacan, alla fine del Seminario XI poneva l’interrogativo: «come può un soggetto, che ha attraversato il fantasma radicale, vivere la pulsione?»27

45Egli aveva già la risposta: come desiderio dell’analista, il desiderio che porta la traccia del pulsionale liberato però dal fantasma dell’Altro.

46La cosa comunque non si è fermata qui. Lacan ha compiuto un passo ulteriore verso ciò che non poteva essere attraversato, il sinthomo. Con quest’ultimo c’è un rapporto diretto con il significante della lingua, non un rapporto indiretto mediato dal fantasma. Qui il significante ha un effetto di godimento diretto sul corpo, è un traumatismo evenemenziale. È la contingenza più radicale. Qui si opera con l’equivoco della lingua, con le sue torsioni, come si tirasse un filo poi un altro e così via, per rimodellare il nodo di Reale, Simbolico e Immaginario, fino a che si trova il nodo che soddisfa il soggetto. Il nodo di fine analisi.

47Questa soddisfazione potrà dare al soggetto lo scatto di concludere la sua analisi. Questo alla fine non è lo scatto che può fare l’analista, come è stato lungo tutta la serie delle sedute in cui si è realizzata l’esperienza analitica. Questo momento di concludere l’analisi non è a carico dell’analista ma del soggetto che sarà stato analizzante. Questo atto è a suo carico, come ha ricordato Miller, e «non c’è fine analisi che a condizione che l’analizzante costruisca»28.

48Prima viene la conclusione poi la costruzione, perché nel tempo logico analitico il momento di concludere viene sempre prima, è sempre anticipato rispetto ai termini che potranno poi prendere posto in una costruzione effettiva di fine analisi.

49L’essente stato analizzante, infatti, dopo la conclusione dell’analisi, se vuole potrà sottoporsi alla prova del dispositivo della passe in cui passare dalla certezza anticipata della conclusione alla costruzione, all’elaborazione tramite cui i passeurs a cui ne parla, possano riconoscere, al tempo in cui essi sono della loro analisi, che la traccia insuperabile dell’ex-sistere desoggettivato che è in lui, il passant, non è ancora in loro, i passeurs, trovarlo in se stessi, perché, se sono prossimi, non sono però ancora alla fine.

Notes de bas de page

1 J.-A. Miller, Introduzione all’erotica del tempo [2004], “La Psicoanalisi”, 37, 2005, p. 26.

2 Cfr. J. Lacan, Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata. Un nuovo sofisma [1945], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974 e 2002, vol. I.

3 Cfr. Id., Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi [1953], in Scritti cit.

4 Id., Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata. Un nuovo sofisma cit., p. 199.

5 J.-A. Miller, Les us du laps [1999-2000], leçon du 10 mai 2000. Los usos del lapso, Buenos Aires, Paidós, 2005, trad. nostra.

6 J. Lacan, Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata. Un nuovo sofisma cit., pp. 200-201.

7 Id., Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi cit., p. 245.

8 Id., Radiofonia [1970], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 425.

9 S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico clinico dell’uomo dei lupi) [1914], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1975, vol. 7.

10 J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi cit., p. 249.

11 Ibidem.

12 Ivi, p. 250.

13 Ibidem.

14 Id., Il Seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua intepretazione [1958 -1959], Torino, Einaudi, 2016.

15 Ivi, p. 440.

16 Ivi, p. 482.

17 Cfr. J. Lacan – J.-A. Miller – M. Silvestre – C. Soler, Il mito individuale del nevrotico [1953], Roma, Astrolabio, 1986.

18 J. Lacan, Il Seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua intepretazione cit., p. 441.

19 J.-A. Miller, Ce qui fait insigne [1986-1987], leçon du 4 février 1987. Los signos del goce, Buenos Aires, Paidós, 1998, trad. nostra.

20 J. Lacan, Posizione dell’inconscio [1964], in Scritti cit., vol. II.

21 Id., Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi [1964], Torino, Einaudi, 1979.

22 Id., Posizione dell’inconscio cit., p. 839.

23 Ivi, p. 845.

24 Ivi, p. 841.

25 Ivi, p. 852.

26 Cfr. M. Bassols, Logique de la séance courte [2004], “la Cause freudienne”, 56, 2004, p. 125.

27 J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi cit., p. 277.

28 J.-A. Miller Tout le monde est fou [2007-2008], leçon du 26 mars. Todo el mundo es loco, Buenos Aires, Paidós, 2015, trad. nostra.

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