Scansioni dell’interpretazione
p. 83-88
Texte intégral
1La psicoanalisi non è una scienza, ma non è nemmeno una saggezza, la psicoanalisi è una pratica e il nerbo di ciò che ne fa una pratica consiste nell’interpretazione e nelle sue conseguenze. Ma è proprio su questo nerbo che convergono le modifiche, gli spostamenti, le svolte che hanno scandito l’insegnamento di Lacan. Vorrei menzionarli qui a titolo di introduzione, non per cercare di estrarne una dottrina definitiva, non è la strada giusta, ma per mostrare come ogni definizione dell’interpretazione sia relativa a una prospettiva o, come segnala Jacques-Alain Miller, a una obiezione che Lacan fa a se stesso. Ciascuna ha la propria pertinenza.
2Vi è stato dapprima un rinnovamento fondamentale dell’interpretazione all’epoca del ritorno a Freud, quando Lacan si è opposto alla dottrina e alla pratica in vigore, centrata essenzialmente sull’interpretazione del transfert, costituita da una sorta di metalinguaggio psicoanalitico applicato al comportamento dell’analizzante in seduta più che alla sua parola. Lacan ha reintrodotto l’interpretazione che è in risonanza con il testo dell’analizzante, eco e punteggiatura dell’articolazione significante del suo discorso. È un primo approccio dell’interpretazione che possiamo definire come operazione del significante sul significante, destinata a indicare, a suggerire ciò che è inarticolabile nel significante stesso.
3Una prima svolta avviene nell’insegnamento di Lacan, quando, fin dal Seminario Il desiderio e la sua interpretazione1, introduce l’idea che a interpretare è l’inconscio e che il desiderio è la sua interpretazione, in quanto interpretazione del desiderio nel senso soggettivo del genitivo. Su questo spostamento dell’interpretazione dalla parte dell’analizzante, Jacques-Alain Miller ha incentrato il suo grande intervento all’École de la Cause Freudienne nel 1995, intitolato Il rovescio dell’interpretazione2, nel quale, al contempo, introduce la questione di quel che diviene l’interpretazione dell’analista e del posto che ancora può avere nella pratica. L’interpretazione ha certamente ancora un posto, ma come rovescio dell’inconscio, al contrario di quella dell’inconscio. È quindi essenzialmente un’operazione di disarticolazione, di taglio del rinvio S1-S2, così come indicato dalla doppia barra nel discorso dell’analista: S1//S2. Si tratta di isolare il significante prima che si articoli nella formazione dell’inconscio che gli dà senso – formazione che, da questo punto di vista, ha lo stesso statuto del delirio. Si tratta di isolare il significante come una sorta di fenomeno elementare prima che un S2 gli dia senso. L’analista trattiene l’S2 in modo che il soggetto sia ricondotto «ai significanti propriamente elementari sui quali, nella sua nevrosi, ha delirato»3.
4Possiamo mettere questa concezione dell’interpretazione, riformulata da Jacques-Alain Miller, in continuità con la definizione – che è più di una semplice definizione – che Lacan ne dà nel testo Lo stordito4. Qui l’interpretazione è messa in relazione con il reale come impossibile, quindi in quanto definito logicamente. Deve ritagliare il reale mediante l’equivoco, secondo le tre modalità dell’omofonia, della grammatica e della logica. Anche più tardi Lacan dirà che l’equivoco è l’unica arma che abbiamo per ridurre il sintomo e continuerà a farvi riferimento, in particolare quando si riferirà alla lalingua. Nella conferenza di Nizza del 19745, per esempio, dirà: «Se il motto di spirito ha un senso è proprio perché produce un equivoco, dandoci […] il modello della giusta interpretazione analitica»6. A questo punto possiamo dire che l’interpretazione passa da un’operazione del significante sul significante a un’operazione della lingua sulla lingua.
5Ma, su questo stesso versante, in un ultimissimo testo, la Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI 7, Lacan finisce con il separare completamente l’inconscio dall’interpretazione, isolando un inconscio che si trova per così dire al di sotto dell’inconscio freudiano, al di sotto dell’inconscio-interprete. Nel Seminario tenuto in quello stesso anno8, egli lo richiama attraverso una traduzione omofonica di Unbewusst che gioca sull’equivoco: une-bévue, una svista, in italiano. Lacan dice che siamo sicuri di essere nell’inconscio quando una svista «l’espace d’un lapsus, non ha più alcuna portata di senso (o interpretazione)»9. L’inconscio è così sfuggente, così evanescente che non si è già più nell’inconscio se lo si interpreta. Non si è già più nell’inconscio non solo appena vi si cerca un senso, ma anche appena vi si fa attenzione10. Abbiamo anche qui una sconnessione di S1 e S2, ma che è ora spinta a una conseguenza radicale, quella di una separazione dell’inconscio da qualsiasi dimensione interpretativa, quella di un inconscio pre-interpretativo.
6Da un altro lato, incontriamo degli sviluppi e degli enunciati sull’interpretazione che si collocano, in un certo senso, su un altro versante, il versante dove tutto l’asse della psicoanalisi è spostato da Lacan al di qua dell’Altro, verso l’Uno: l’uno del godimento, l’uno del sinthomo. È uno spostamento che ha avuto conseguenze decisive, concettuali e terminologiche allo stesso tempo, generando dei neologismi, che sono ormai entrati nel nostro discorso, come: il parlessere, la lalingua, lituraterra, a cui possiamo affiancare quello dell’apparola, ripreso da Jacques-Alain Miller per designare la funzione di apparato del godimento che la parola stessa ormai assume.
7Jacques-Alain Miller, che ha commentato ampiamente questa traslazione dall’Altro all’Uno11, fa notare che nessun neologismo è venuto qui al posto del termine interpretazione che è conservato fino alla fine. Ma, allo stesso tempo, diventa un termine problematico dato che il modo di godere è ormai installato al centro dell’esperienza analitica. A cosa può servire l’interpretazione, che è legata al «voler dire»12, quando è la parola che gode o il godimento che parla? Si interpreta il senso o la verità della parola, ma cosa può essere interpretare il godimento? Se il termine viene mantenuto, quali modifiche dobbiamo applicargli per renderlo operante sul «voler godere»13? Jacques-Alain Miller suggerisce che il «nuovo significante»14 di cui Lacan sostiene o invoca l’avvento potrebbe proprio riguardare ciò che dovrebbe venire al posto di quello di interpretazione15.
8«L’interpretazione si giudica a partire dall’evento di godimento che in definitiva è capace di produrre»16, dice Jacques-Alain Miller in uno dei suoi ultimi Corsi; una frase che non può non far pensare, mi sembra, a questo passo in cui Lacan afferma che «Il miraggio della verità, da cui ci si deve attendere solo la menzogna […], ha come termine solo la soddisfazione che segna la fine dell’analisi»17, soddisfazione che è sinonimo di sinthomo.
9Ciò che Lacan sviluppa, su quello che mi sono permesso di considerare come un primo versante, naturalmente non è abolito, in particolare non lo è la nozione di interpretazione come taglio. Ma, tenendo conto del nucleo di reale che il sintomo contiene cioè di qualcosa che non può ingannare, e che è situato tra la menzogna e l’angoscia18, Miller estrae e commenta i passi dell’ultimo insegnamento di Lacan, nei quali egli si interroga su come sia possibile che la parola, e l’interpretazione, abbiano effetti sul sintomo. In alcuni momenti Lacan può anche dire, in un modo un po’ provocatorio, che forse ciò che funziona nella psicoanalisi è, in fondo, una truccheria o qualcosa dell’ordine della suggestione. Ma, allo stesso tempo, fornisce delle indicazioni o delle risposte a questo interrogativo. Per esempio, suggerendo all’analista di ispirarsi alla poesia, ma alla poesia in quanto ha un duplice effetto: «effetto di senso ed effetto di buco»19 (quel buco che corrisponde all’inesistenza del rapporto sessuale).
10Più l’accento è posto sull’opacità del sintomo, «Godimento opaco perché esclude il senso»20, e più la domanda insiste: come può l’interpretazione agire su un godimento che è impossibile da negativizzare? L’indicazione va allora piuttosto nella direzione di un dire speciale dove la dimensione del corpo è accentuata. Così Lacan può affermare che «l’interpretazione non implica necessariamente un’enunciazione»21, che un dire silenzioso può avere una portata, il che non significa che sia sufficiente tenere la bocca chiusa22. E può sottolineare la materialità, la sonorità del significante, chiedendosi «se l’effetto di senso nel suo reale dipenda dall’impiego delle parole o piuttosto dalla loro giaculazione»23. Jacques-Alain Miller ne propone una variante quando parla di «vociferazione»24, come modo di superare la divisione dell’enunciato e dell’enunciazione: «La vociferazione […] non si mette a distanza da “chi dice”. […] [la vociferazione] include il suo punto di emissione»25.
11Così intesa, l’interpretazione potrebbe avere un effetto sul godimento, non di negativizzazione, che è per definizione escluso, ma di modificazione, di fluidificazione, di riconfigurazione: tutte nozioni che hanno il loro equivalente nel «saperci fare con il […] sintomo»26 o nel servirsene diversamente. È a questo proposito che Miller si chiede se, quando evoca questo «nuovo significante», Lacan non intenda un significante che sia più sui bordi del simbolico, in modo tale che qualcosa dell’incrinatura che il godimento provoca nella campana del simbolico risuoni27.
12Nello stesso tempo, in questa ricerca che Lacan persegue circa il posto che l’interpretazione può avere nella pratica di una psicoanalisi, incontriamo anche una risposta un po’ laterale per esempio quando dice che «è necessario sollevare la questione di sapere se la psicoanalisi non è un autismo a due»28, perché se tutto l’asse della psicoanalisi si sposta al di qua dell’Altro, verso l’Uno, è difficilmente concepibile che sussista un dialogo nel senso di un legame, di un discorso. E non si vede infatti come una interpretazione sia possibile in questo regime monologico poiché l’inter-pretazione è inter, cioè fra. Lacan dà allora una risposta piuttosto enigmatica, ma che sottolinea l’incidenza necessaria dell’interpretazione, sottratta così alla condanna di questo spostamento dell’asse verso l’Uno: «ma questo non-c’è-dialogo ha il suo limite nell’interpretazione attraverso cui, come per il numero, si assicura il reale»29.
13In un contesto in cui la parola è ridotta a apparola autistica e all’esclusione di ogni dialogo, Lacan evoca ancora l’interpretazione, ma attribuendole una funzione completamente opposta alla funzione di rilancio quale la si concepisce abitualmente, e cioè una funzione di «arresto»30 a questo «non-c’è dialogo», una funzione di limite alla riuscita senza limiti del godimento dell’apparola. Affinché la pratica dell’analisi non sia puramente e semplicemente abolita, occorre quindi fare spazio all’interpretazione, non in quanto rilancia il senso, ma in quanto assicura un reale. Possiamo intenderlo grazie alla lettura che ne ha dato Jacques-Alain Miller31, che servirà anche da conclusione a questo rapido percorso.
14In un regime dove tutto riesce alla pulsione – qualunque cosa gli accada, qualunque cosa viva, «Il soggetto è felice»32 dal punto di vista del godimento – un limite a questa riuscita non può prodursi se non mediante un impossibile, un reale quindi, quale si ottiene solo mediante una formalizzazione logica. Al rovescio del discorso dell’associazione libera, l’interpretazione passa dal lato dello scritto, costituendo un limite al godi-senso della parola. Solo un certo «non [voler] dir niente»33, che la scrittura formalizzata appunto comporta, sembra in grado di costituire un limite all’esito monologico della parola. Estrarre il «voler godere», sembra qui indicare Lacan, non può effettuarsi se non attraverso un certo «non [voler] dir niente», laddove l’inconscio, come «voler dire», maschera il «voler godere».
15L’interpretazione costituisce una problematica d’insieme, ma che si presenta secondo angoli diversi a seconda della questione da cui si parte. Questa diversità non è quindi da concepirsi semplicemente come una successione evolutiva, ma come rispondente alla diverse implicazioni nell’atto analitico di una funzione che, come dice Lacan, ha una portata che va ben al di là della parola34.
Notes de bas de page
1 J. Lacan, Il Seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione [1958-1959], Torino, Einaudi, 2016.
2 J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazione [1995], “La Psicoanalisi”, 19, 1996.
3 Ivi, p. 125.
4 J. Lacan, Lo stordito [1972], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013.
5 Id., Il fenomeno lacaniano [1974], “La Psicoanalisi”, 24, 1998.
6 Ivi, p. 22.
7 Id., Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI [1976], in Altri scritti cit.
8 Cfr. Id., Il Seminario, Libro XXIV, L’insaputo che una svista sa va alla morra [1976-1977], “Ornicar?”, 4, 1979, p. 9, lezione del 16 novembre 1976.
9 Id., Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI cit., p. 563.
10 Cfr. Ibidem.
11 J.-A. Miller, Dall’Altro all’Uno [2007], “La Psicoanalisi”, 59, 2016.
12 Id., Il monologo de l’apparola [1996], “La Psicoanalisi”, 20, 1996, p. 24.
13 Ivi, p. 33.
14 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXIV, L’insu que sait de l’une-bévue s’aile à mourre [1976-1977], “Ornicar?”, 17/18, 1979, p. 23.
15 Cfr. J.-A. Miller, Dall’Altro all’Uno cit., p. 17.
16 Id., Tout le monde est fou [2007-2008], leçon du 12 mars 2008. Todo el mundo es loco, Buenos Aires, Paidós, 2015, trad. nostra.
17 J. Lacan, Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI cit., pp. 564-565.
18 Cfr. J.-A. Miller, Il Seminario di Barcellona su Die Wege der Symptombildung, in Aa. Vv., Il sintomo ciarlatano. Da Freud a Lacan, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 55-56.
19 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXIV, L’insu que sait de l’une-bévue s’aile à mourre cit., pp. 21-22, leçon du 17 mai 1977, trad. nostra.
20 Id., Joyce il Sintomo [1979], in Altri scritti cit., p. 562.
21 Id., Le Séminaire, Livre XXII, R.S.I. [1974-1975], “Ornicar?”, 4, 1975, p. 96, trad. nostra.
22 Cfr. ibidem.
23 Ibidem, trad. nostra.
24 J.-A. Miller, Tout le monde est fou cit., leçon du 11 juin, trad. nostra.
25 Ibidem, trad. nostra.
26 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIV, L’insaputo che una svista sa va alla morra cit., p. 11.
27 Cfr. J.-A. Miller, Al di qua dell’inconscio [2007], “La Psicoanalisi”, 63-64, 2018, p. 52.
28 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXI, L’insu que sait de l’une bévue s’aile à la mourre cit., p. 13, trad. nostra.
29 Id., … o peggio [1975], in Altri scritti cit., p. 543.
30 J.-A. Miller, Il monologo de l’apparola cit., p. 37.
31 Cfr. ivi, pp. 36-37.
32 J. Lacan, Televisione [1973], in Altri scritti cit., p. 521.
33 J.-A. Miller, Il monologo de l’apparola cit., p. 38.
34 Cfr. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXII, R.S.I. cit., p. 95.
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