La presenza dell’analista
p. 57-62
Texte intégral
1L’incontro di oggi dobbiamo iscriverlo sotto l’incidenza, nella pratica analitica, di una crisi sanitaria che per un certo tempo ha perturbato il modo di vivere e impedito l’incontro fisico fra l’analizzante e il suo analista.
2Questa crisi ha impedito inoltre il primo incontro dell’AE (Analista della Scuola) con il pubblico al convegno dell’AMP che avrebbe dovuto svolgersi ad aprile 2020 a Buenos Aires. Momento importante che fa risuonare, in modo lacaniano, la parola “incontro”, attribuendole, quale plusvalore, ciò che l’AE ha estratto dalla propria cura e di cui dà testimonianza, introducendo del nuovo.
3Così, Davide Pegoraro inizia la sua funzione di AE, senza aver ancora testimoniato alla Scuola, ma non senza che la nomina ex-sista per lui, incidendo nel suo discorso che avrà senza dubbio una certa colorazione, quella della sua modalità di presentificare il passaggio all’analista. Siamo sensibili a una certa densità, a quel qualcosa che si farà sentire nell’enunciazione dell’indicibile, al quale ha necessariamente dato nome e incarnazione.
4Davide Pegoraro fa un percorso attraverso Freud e Lacan fino ad arrivare alla condensazione dell’«osso di niente»1. Ciò che qui ritengo cruciale è l’annodamento del vuoto e dello stile.
5Nel momento della crisi, di fronte all’imperativo del confinamento e della lontananza dei corpi, fra gli analisti, AME o praticanti o chi ha voluto porsi la domanda, ci sono state varie discussioni sui blog o sulle diverse reti. Potevamo o no fare un’offerta di proseguire le cure via telefono o via Skype? Potevamo ridurre la presenza dell’analista alla voce, e continuare a fare Scuola assieme con le conferenze Zoom?
6Si trattava di tener conto del momento, in quanto era esso stesso un reale che faceva buco nel discorso del padrone. Come allora l’analista poteva o no, fare a sua volta buco nel reale attraverso un mantenimento a minima del corpo, usando la tecnologia? Marco Focchi AME della SLP ci invita a domandarci attraverso cosa passa la presenza dell’analista, dato che non si può intendere come semplice presenza fisica2.
7C’è un rapporto intimo tra un’impasse venuta dal discorso del padrone, alleato o meno con la scienza, e una risposta dell’analista. La risposta non è mai ubbidienza cieca che cancella ogni soggettività e neppure passaggio all’atto o scommessa di tipo tutto o niente, ma è presa in conto del reale nel tempo logico di Lacan, del quale sappiamo che conduce, che equivale all’atto. Atto che è consustanziale a una certa presenza dell’analista.
8La presa di posizione di Lacan contro la ritualizzazione in vigore all’IPA – altro nome della pulsione di morte, in quanto legata alla fissità del tempo delle sedute e alla postura imperturbabile dell’analista – prosegue tuttora e ci orienta, attraverso l’insegnamento di Jacques-Alain Miller. Si tratta di un rimaneggiamento continuo e perciò vivo. Lo vediamo dalle questioni aperte da Davide Pegoraro, su cosa nella psicoanalisi viene a costituirne il reale, un reale che passa per via singolare, un reale dunque che non è il reale della scienza. Per questo è una psicanalisi senza standard ma non senza principi e continuerà così, visibile, palpabile attraverso la serie delle testimonianze degli AE, in opposizione al discorso del padrone, che nei fatti è ora sostituito dall’alleanza della scienza col discorso del capitalista.
9Noterei, nella relazione di Davide Pegoraro, che già dalla prima frase egli si chiede, non come cogliere o capire il tema della presenza dell’analista ma «quale sia il posto corretto da cui interrogarlo secondo la psicanalisi»3. Si parla infatti a partire da un luogo, il luogo dove è stato riconosciuto il proprio godimento e dove ormai c’è dell’analista che fa posto al desiderio dell’analista4, cioè all’unicità del dire dell’altro e al suo reale. C’è dell’analista in quanto non-tutto, in quanto desiderio non puro dell’analista.
10Ci possiamo domandare se questo può concordare con l’enunciato di Lacan: «Il desiderio dello psicoanalista è la sua enunciazione»5 e con il concetto di sinthomo, modalità di congiunzione del significante e del godimento, al di là del fantasma, come indica Jacques-Alain Miller nella sua lezione del 26 maggio 19996. Ritornando a La direzione della cura dalla quale Davide Pegoraro ha preso spunto, vorrei inserire il concetto di assenza che mi sembra consustanziale alla presenza. Lacan lo introduce in questo stesso testo riprendendo la metafora del gioco del bridge e così dice:
Qui espressione fissa e bocca cucita non hanno affatto lo stesso scopo che nel bridge. Piuttosto, in questo modo l’analista s’aiuta con ciò che in questo gioco si chiama “il morto”, ma solo per fare sorgere il quarto come partner dell’analizzato, e di cui l’analista con le sue giocate si sforzerà di fargli indovinare le carte: ecco il legame, di abnegazione potremmo dire, che la posta della partita nell’analisi impone all’analista7.
11Notiamo la parola «si aiuta con», con la quale viene indicato che l’analista non fa il morto (come all’IPA), non è vincolato a un ideale di impassibilità anche se così potrebbe apparire. Non c’è nessuna funzione né di specchio né d’immagine nella presenza dell’analista, «Ma quel che è certo è che i sentimenti dell’analista hanno un sol posto possibile in questo gioco, quello del morto»8. Il silenzio non è la statuificazione. Il taglio della seduta viene a togliere la presenza da un legame con il Super-io, rilanciando nell’assenza il soggetto verso le proprie associazioni orientate dal desiderio. Non è neppure il silenzio del morto, perché, a rianimarlo, il gioco prosegue senza che si sappia chi lo dirige.
12Un’altra parola ci interpella ne La direzione della cura, è la parola «abnegazione». Essa dice di più di un ritiro padroneggiato, formalista, ci fa sentire l’eco di un al di là, al di là del concetto immaginario del sacrificio, essa dona una colorazione assoluta alla mancanza, anticipazione del buco, dell’Altro barrato. Così Lacan può dire che «l’analista è meno libero nella sua strategia che nella sua tattica. […] L’analista è ancor meno libero in ciò che domina strategia e tattica: cioè la sua politica, in cui farebbe meglio a trovare un punto di riferimento nella sua mancanza-ad-essere che nel suo essere»9. E subito dopo apre tutto un capitolo su come agire con il proprio essere, includendovi la mancanza.
13La presenza non può allora essere intesa come semplice presenza fisica, riconducibile alla presenza piena – il che farebbe ricadere nella metafisica – né c’è l’Altro dell’Altro. Si tratta dunque di tenere il posto dell’oggetto, ovvero in ultima istanza la presenza del vuoto.
14La presenza dell’analista è necessaria a far sorgere l’assenza, un certo tipo di assenza non opposta simbolicamente alla presenza, ma come modalità particolare dell’assenza cioè come non risposta alla domanda, che porta a far sorgere il pulsionale dal quale il reale si stacca. Il transfert è una vera e propria messa in atto della realtà sessuale dell’inconscio10 che può solo emergere dalla dissimmetria della relazione. Colui che viene dall’analista si aspetta di incontrare il partner-sintomo che da sempre sostiene il suo modo di essere, soprattutto il suo modo di godere. Jacques-Alain Miller ci porta a identificare il partner come l’oggetto a11. Il partner-sintomo del soggetto è l’oggetto a, l’analista, che come minimo ne sa qualcosa sul proprio oggetto a, non risponde da quel posto ma da quello svuotato che ha nome “desiderio dell’analista”, poiché «l’analista, nella sua presenza, […] incarna la parte non simbolizzata del godimento»12 scrive Jacques-Alain Miller in La Cause du Désir 97.
15Lo sappiamo, l’analisi non è solo un’esperienza di parola, la parola è il mediatore verso il godimento. Così la presenza dell’analista mette in funzione il fantasma, basta leggere la linea superiore del discorso dell’analista, che Lacan situa precisamente nell’ultima lezione del Seminario … o peggio13. Rispetto agli altri discorsi si pone la domanda di come possa il discorso analitico riuscire «ad acchiappare dei corpi»14. «Che cosa c’è nel discorso analitico tra le funzioni di discorso e il supporto corporeo […]?»15 C’è essenzialmente il fatto di dire, la spinta a dire, l’oggetto a del fantasma che causa il desiderio e aggiunge «Il dire ha i suoi effetti con cui si costituisce quello che chiamiamo fantasma, ovvero il rapporto fra l’oggetto a […] e quel qualcosa che si condensa tutt’attorno come una fessura, e che si chiama soggetto»16. Vediamo qui come si costituisce il parlessere, altro nome dell’inconscio in quanto dipende dall’ascolto non essendo una sacca piena di ricordi e di affetti. In quel caso la presenza dell’analista non avrebbe più significato, basterebbe un registratore.
16Il posto del desiderio dell’analista, al contrario, occupa per l’analizzante la funzione di sembiante di oggetto a. Questo perché l’analisi non si può svolgere come impostata sul solo significante, cosa che la seduta con una durata fissa realizza, rivelando un’assenza dell’atto dell’analista e aprendo a una inflazione di senso mortifera. Ciò che caratterizza la nevrosi è infatti proprio quell’inflazione di significanti che nutre l’idealizzazione e gonfia l’immaginario, mentre tenta di rincorrere un senso ultimo che non c’è. Il reale è così sottratto al soggetto come incurabile, lasciandolo alla sua impotenza. Lacan l’ha dimostrato, ciò conduce a un’ossessivizzazione delle cura e spinge il soggetto a incarnare lo scarto per mancanza di taglio a non farlo emergere come causa. Al contrario del ripiego autistico, lo svolgimento della cura lacaniana – dove l’assenza è buco incluso nella presenza – mette in rilievo un’isterizzazione dell’esperienza. Una modalità di legame e non di autosufficienza.
17A questo si lega il silenzio che porta il soggetto a fare l’esperienza della sua mancanza-a-essere. Non si tratta però di un silenzio formale bensì di un silenzio che il taglio della seduta accompagna, e questo è a carico della presenza dell’analista. Se il tempo e il silenzio sono prestabiliti, la presenza sparisce e con lei l’incontro del soggetto con il «Che vuoi?»17 L’esperienza della relazione analitica si fonda allora sulla presenza presa nel fantasma e l’identificazione all’analista rappresenta la modalità del diventare analisti, nelle cure, senza la bussola del reale. Solo la seduta breve permette di potare le identificazioni per giungere al reale, la presenza dell’analista ne è lo strumento in quanto presentifica al soggetto il proprio enigma. Presentificare ha qui un significato forte, rende presente un al di là di se stesso, mobilitando l’inerzia della pulsione di morte. Si mette allora in moto la consistenza logica dell’oggetto.
18«lo psicoanalista […] opera in quanto non pensa»18 dice Lacan e, come riprende nel suo commento Jacques-Alain Miller ne l’uno-tutto-solo19 «Nel suo atto, l’analista si cancella, trattiene la sua volontà di pensare, resta tuttavia la sua presenza, deve infatti essere presente. Per dirla in modo essenziale, l’analista deve consegnare il suo Dasein, sebbene al limite si potrebbe addirittura sostenere che si possa fare a meno della sua stessa presenza»20. Riferendo poi un aneddoto che con malignità circolava su Lacan, Jacques-Alain Miller gli restituisce una verità di discorso. Lacan aveva fatto pagare una seduta a un paziente mentre era lui a essere assente Questo, sottolinea Miller, non è del tutto infondato, poiché chi doveva pensare, l’analizzante, aveva già messo in moto le proprie associazioni e il fatto di non poter vedere Lacan o stringergli la mano diventava secondario21. Un effetto si era prodotto, ma non a caso, perché era avvenuto sullo sfondo delle sedute in corso, sullo sfondo della presenza, di un essere lì. Sarebbe un errore interpretare l’aneddoto a livello della tattica, perché è a livello della strategia che c’è l’essere lì fondamentale.
19E in effetti la dimensione della presenza è variabile, in parallelo allo sviluppo del transfert. Nel Seminario XIX … o peggio Lacan precisa l’importanza del confronto dei corpi nei colloqui preliminari22. «È proprio perché si parte da tale incontro di corpi che non si tratterà più di questo dal momento in cui si entra nel discorso analitico»23, nel quale la presenza fa da supporto all’assenza.
Notes de bas de page
1 D. Pegoraro, La presenza dell’analista e del suo non-tutto traducibile in parole, in questo volume.
2 Cfr. M. Focchi, Presenza barrata, in questo volume.
3 D. Pegoraro, La presenza dell’analista e del suo non-tutto traducibile in parole cit.
4 Cfr. J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere [1958], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974 e 2002, vol. II, p. 610.
5 Id., Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola [1967], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 249.
6 Cfr. J.-A. Miller, Biologia lacaniana ed eventi di corpo [1999], “La Psicoanalisi”, 28, 2000, p. 53.
7 J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere cit., p. 584.
8 Ibidem.
9 Ivi, p. 585.
10 Cfr. Id., Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi [1964], Torino, Einaudi, 2003, p. 145.
11 Cfr. J.-A. Miller, La teoria del partner [1997], “La Psicoanalisi”, 34, 2003, p. 39.
12 Id., L’inconscient à venir [1999], “La Cause du Désir”, 97, 2017, p. 108, trad. nostra.
13 Cfr. J. Lacan, Il Seminario, Libro XIX, … o peggio [1971-1972], Torino, Einaudi, 2020, p. 222.
14 Ivi, p. 226.
15 Ivi, p. 227.
16 Ivi, p. 228.
17 Id., Il Seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione [1958-1959], Torino, Einaudi, 2016, p. 18.
18 Id., L’atto psicoanalitico. Resoconto del seminario del 1967-1968 [1969], in Altri scritti cit., p. 371.
19 J.-A. Miller e A. Di Ciaccia, l’uno-tutto-solo. L’orientamento lacaniano [2010-2011], Roma, Astrolabio, 2018.
20 Ivi, p. 123.
21 Cfr. ibidem.
22 Cfr. J. Lacan, Il Seminario, Libro XIX, … o peggio cit., p. 226.
23 Ibidem.
Auteur

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