C.S.T. Vieni! Resti! Non sognare di guarire! Dalla clinica psicoanalitica alla prospettiva del sinthomo
p. 45-54
Texte intégral
«Quello che devono sapere gli analisti è
che c’è un sapere che non calcola, ma che
nondimeno lavora per il godimento»1.
1È il 1982 quando Jacques-Alain Miller tiene l’intervento dal titolo C. S. T.2, Clinica Sotto Transfert.
2Sono gli anni della dissoluzione della Scuola di Lacan e della sua morte. Jacques-Alain Miller decide di intervenire con un testo di «ritorno alla clinica»3 a cui ritiene di dover richiamare gli psicoanalisti in conseguenza di quella che chiama «[una] deriva della teoria per la teoria»4.
3Il tentativo di Miller sarebbe quindi quello di riportare e riannodare gli usi della psicoanalisi alla pratica.
4In questo intervento, Miller definisce la clinica psicoanalitica come «il sapere del transfert»5: la funzione dell’analista viene messa nel posto del soggetto supposto sapere e da questa operazione si produce un nuovo sapere per il soggetto.
5Sappiamo per esperienza che è sempre qualcosa dell’ordine del non senso, nei pensieri e nei comportamenti, qualcosa che vacilla nelle garanzie che riponiamo nella nostra posizione fantasmatica che fa sì che ci possa essere appello all’analista in quanto soggetto-supposto-sapere.
6Potremmo anche dire che è quel particolare modo di interpretare la vita di cui il soggetto si vuole liberare per essere, in qualche modo, come tutti gli altri.
7La funzione dell’analista, per il modo in cui Lacan la formalizza intorno alla fine degli anni Settanta, ha la finalità di permettere al soggetto un oltrepassamento – la traversata del fantasma – del punto di vista sostenuto dal fantasma che produce effetti di sapere sul proprio desiderio.
8Più di venticinque anni dopo, nel Corso tenuto negli anni 2008-2009, Cose di finezza in psicoanalisi, Jacques-Alain Miller considera che nel testo del 1982 non avrebbe dovuto mancare di sottolineare un aspetto fondamentale, cioè il fatto che il transfert ha un «potere dissolvente sulla clinica, che la psicoanalisi limita severamente la prospettiva clinica e in un certo senso la invalida»6. E aggiunge: «Quando si varca la soglia di una psicoanalisi la clinica va lasciata alle spalle. La prospettiva del sinthomo per sua natura, è precisamente quella di scollarci dalla prospettiva clinica»7.
9Che cosa è cambiato? A partire dall’ultimissimo insegnamento, in particolare dal Seminario Il momento di concludere8, Lacan deve arrendersi all’evidenza che quarant’anni di testimonianze di passe hanno dimostrato che «c’era un al di là della conversione del desiderio in sapere, […] [che] l’essere di godimento rimane ribelle al sapere»9.
10Mentre la clinica ha a che fare con la classificazione, con la messa in ordine di segni e indici che sono stati precedentemente registrati – come avviene nel DSM –, con il fatto che ci sono diversi tipi di sintomi, la prospettiva del sinthomo è orientata alla singolarità e sostenuta dal fatto che «I soggetti di un tipo sono […] senza utilità per gli altri soggetti dello stesso tipo»10.
11Lacan fa riferimento alle testimonianze di passe, ma anche Freud, prima di lui, aveva detto che in un’analisi «tutto è da raccogliere – dove si vede che l’analista non può tirarsi indietro –, da raccogliere come se nulla mai fosse stato stabilito»11.
12Non c’è altro che questo nella pratica della psicoanalisi: l’orientamento verso il singolare.
13Nel numero 8 del a-periodico on line Rete Lacan12 è apparsa una lezione di Jacques-Alain Miller, la lezione del 15 marzo 2000 del suo Corso Les us du laps13, la cui traduzione italiana si trova nel numero 29 della rivista La Psicoanalisi14.
14Nella prima parte, intitolata La seduta dall’esterno, Miller dice che nella seduta analitica c’è «Un imperativo in atto [che] è preliminare a ogni altro, è “Vieni”»15. Un imperativo talmente imperativo che, dice sempre Miller, è persino «preliminare a: “Parla”»16.
15A partire da questa offerta che il «Vieni» dell’analista vuole rappresentare partirà la mia elaborazione del tema di questa giornata: C.S.T., Clinica Sotto Transfert.
16Cercherò di mettere in luce, attraverso alcuni frammenti di caso clinico, la posizione dell’analista nel transfert orientato alla prospettiva del sinthomo, cioè della singolarità, in quanto, cito da Miller, «la virtù del caso per come lo intendo è precisamente di non rassomigliare a niente»17.
17Proverò anche ad argomentare come l’elaborazione di Lacan e Miller, in particolare, ci conducono a intendere il significante sotto della formula C.S.T., come riferimento ad una clinica che si sottomette al reale, che è sottomessa all’inconscio reale.
18Nel Seminario XXIII18, Lacan dice: «Possiamo toccare solo lembi di reale. Il reale, quello di cui si tratta in quello che chiamano il mio pensiero, è sempre un lembo o un torsolo. Certo, è un torsolo attorno a cui il pensiero ricama, ma il suo stigma, lo stigma di questo reale in quanto tale, è di non ricollegarsi a niente. Almeno è così che lo concepisco io, il reale»19.
19Ho dato al mio intervento il titolo Vieni! Resti! Non sognare di guarire!20
20Qualcosa ha risuonato, per me, a partire dal «Vieni», che ha condotto al Resti che è poi precipitato nella frase di Miller «Non sognare di guarire!», anche grazie all’equivoco di cui sono intrisi questi significanti.
21Potremmo dire alla fine del mio intervento se saranno stati condensatori e orientamento del percorso di questo testo che cercherà di interrogarsi sulla questione, a mio avviso cruciale: che cosa fa sì che nel transfert qualcosa si muova?
22Nella Proposta del 9 ottobre 1967 intorno allo psicoanalista della Scuola 21, Jacques Lacan fa questa affermazione: «All’inizio della psicoanalisi è il transfert»22.
23L’interesse di Gi. verso la psicoanalisi nasce alle scuole superiori, grazie ad un’insegnante che fa conoscere Freud e i suoi casi clinici. L’effetto è per lei folgorante: ogni riga risuonava potentemente. Ciò che la faceva patire era reale ed aveva un nome. In quell’istante, la decisione: avrebbe intrapreso degli studi ed una professione di cura delle persone in difficoltà.
24Una prima lettura dei testi di Freud fece sì che in Gi. si costruisse l’idea che fra l’analista e chi andava in analisi ci fosse un legame dell’ordine dell’innamoramento, una sorta di idealizzazione nei termini in cui Freud parlava nell’innamoramento.
25Gi. sognava di poter incontrare qualcuno che finalmente l’avrebbe capita e questo, di per sé, avrebbe portato pace alla sua tormentata esistenza prima di bambina e poi di adolescente. Le sembrava di non desiderare altro che di essere amata, come tutti.
26Non era proprio solo che non si sentisse capita: non si sentiva riconosciuta, in particolare dalla madre.
27Chi meglio di uno psicoanalista poteva volere il suo bene, lui che l’avrebbe conosciuta e riconosciuta come nessun altro? Insomma, l’analisi le sembrava un ideale di salvezza, un modello a cui fare riferimento.
28Gi., allora non lo sapeva, ma aveva già costruito un posto in cui installare comodamente l’analista.
29D’altronde, mentre, bambina, tramava già fittamente le sue angosce, consolidando il sentimento di sentirsi esclusa, rifiutata, messa da parte, Lacan, agli inizi degli anni Settanta, nel Seminario XX, Ancora 23, diceva: «Colui a cui suppongo il sapere io lo amo»24.
30L’idea che ci fosse qualcuno che aveva un sapere che la riguardava e che lei non conosceva la catturava profondamente. Le sembrava di non desiderare altro che di affidarsi, di rendersi arrendevole a questo Altro. Insomma, si stava avviando verso l’analisi piena di buone intenzioni!
31Scrive Freud nel capitolo del testo Psicologia delle masse e analisi dell’Io 25 dedicato a Innamoramento e ipnosi: «Dallo stato d’innamoramento all’ipnosi il passo, evidentemente, non è lungo. Le concordanze saltano agli occhi: la stessa umile sottomissione, la stessa arrendevolezza, la stessa assenza di senso critico nei confronti dell’ipnotizzatore come nei confronti dell’oggetto amato»26.
32Anche per Gi., in un primo tempo, dall’innamoramento verso la psicoanalisi all’ipnosi il passo fu breve. Sembrava una soluzione interessante. Proprio come era successo a Freud agli inizi della sua pratica, questa idea di addormentare la persona, fare uscire tutta la sofferenza e aprire la porta ad una vita meno angosciata, le sembrava la soluzione giusta!
33Rapita da questa illusione, si rivolgeva così ad una psicologa che praticava una sorta di ipnosi leggera, una specie di rilassamento suggestivo.
34Dopo qualche seduta, però, Gi. si rende conto che a quel desiderio di arrendevolezza da cui si sentiva animata, faceva obiezione il fatto che quella pratica la faceva sentire ridotta a puro oggetto nelle mani dell’Altro.
Anche Freud, d’altronde, riferisce di aver provato, a proposito della pratica applicata da Bernheim, un’oscura avversione nei confronti di questa tirannide della suggestione. Quando un malato che non si dimostrava arrendevole veniva redarguito con le parole “Ma che cosa fa? Vous vous contre-suggestionez!”, mi dicevo che questa era una palese ingiustizia e un atto di violenza. Se si tentava di soggiogarlo con la suggestione, l’uomo aveva certamente diritto di controsuggestionarsi27.
35Oltretutto, questa suggestione sembrava non far emergere nulla che Gi. non sapesse già. La terapeuta, dopo averla invitata a rilassarsi, a visualizzare, a visualizzare e ancora a visualizzare, le dice che ha dei problemi nel rapporto con la madre!
36Come se non lo sapesse già! Non fa che lamentarsene e lo aveva fatto più e più volte anche con la psicologa! Lo sa da sempre: non era lei che la madre voleva, ma una di quelle belle bambine delle foto che, diceva, aveva guardato durante la gravidanza. E poi, come se non bastasse, era nata la sorella.
37Da sempre, per sua madre, tutto quello che faceva non andava bene, mai, era sempre dell’ordine di un eccesso. Quando si trovava a parlare di Gi., la madre la descriveva come quella che voleva sempre stare fuori casa/non voleva mai stare a casa; voleva sempre parlare/non stava mai zitta.
38Gi. scoprirà molti anni più tardi che quelle parole avevano lasciato «una placcatura»28, un’afflizione, e che solo il transfert orientato al reale, incontrato nella sua esperienza di analisi, avrebbe permesso proprio a quelle parole di assumere lo statuto di lalingua.
39La prospettiva del sinthomo, indicata da Lacan come bussola nel suo ultimissimo insegnamento, aveva infatti permesso di far emergere che, al di là della sua funzione di articolazione, il significante trovava la sua propria ragione d’essere, sì, nel godimento del corpo, ma in un godimento fuori senso, che va al di là di ogni articolazione.
40E poi, a proposito della suggestione nella terapeutica, che era stata la prima esperienza di cura di Gi., Lacan dice che è il buon senso che ha a che fare con la suggestione, ed è proprio qui che la psicoterapia «fallisce bruscamente: non che non eserciti un qualche bene, ma questo riconduce al peggio»29.
41Delusa da quell’esperienza, tutt’altro che catartica, che aveva prontamente abbandonato, Gi. procede a rilento nei suoi studi, ma soprattutto si dedica a ripetere tutto ciò che alimenta i suoi sintomi, dando sempre più corpo a progressive inibizioni che arrivano ad invalidare in modo importante la sua vita.
42Come nella scena descritta da sant’Agostino e ripresa da Lacan ne Il complesso d’intrusione30, anche lei aveva guardato, livida, torva la madre che si dedicava alla sorella neonata e che la invitava ad avvicinarsi. «Vieni», le aveva detto e nello stesso istante, la decisione: «No, non mi muovo», aveva pensato, senza proferire parola.
43In quanto parlessere – cioè, soggetto che parla ma che è anche parlato –, Gi. aveva così costruito una condizione di legame con l’Altro all’insegna del rifiuto e dell’inibizione. Nel testo Joyce il sintomo31, Lacan dice: «Sono i casi della vita che ci spingono a destra e a sinistra mentre noi ne facciamo il nostro destino […] Noi crediamo di dire quello che vogliamo, invece è quello che hanno voluto gli altri, in particolare la nostra famiglia, a parlarci. […] Noi siamo parlati»32.
44Come la formichina che cammina sul nastro di Moebius nel quadro di Escher e sulla copertina della versione francese del Seminario X, L’angoscia33, Gi. aveva fatto di quella decisione la causa e l’effetto della sua esistenza, nel senso che rimproverava continuamente all’Altro di escluderla ma, al tempo stesso, ne faceva una sorta di baluardo che rappresentava il suo posto nel mondo.
45Quella formula, una «difesa contro il reale»34, diventa così l’investimento libidico privilegiato, il condensatore del posto in cui, inconsciamente, Gi. si posiziona per far desiderare l’Altro.
46Ma non c’è solo questo: oltre a puntare al desiderio dell’Altro, questa formula, allo stesso tempo, annoda il corpo al significante e soddisfa l’inerzia, nel corpo stesso, di un godimento opaco e incomprensibile. Ad esempio, Gi. racconta in analisi di «avere ancora nelle orecchie» la voce della madre che, da bambina, la chiamava imperativamente «Vieni!» e lei che ogni volta rispondeva in modo altrettanto imperativo «Un attimo!»
47Con questo bagaglio di derelizione e buone intenzioni si appresta ad andare ad incontrare quella che sarà la sua analista. Come un’anima bella, si presenta all’Altro volenterosa ma impotente: vuole curare le persone ma sta troppo male per proseguire gli studi e per lavorare. E poi, l’Altro dell’amore non la capisce, non la guarda, le domanda cose impossibili.
48Di fronte a questo scenario che per Gi. ha lo statuto dell’evidenza, l’offerta dell’analista si presenta sconcertante: la scansione delle sedute e l’entità della cifra del pagamento hanno per lei dell’inimmaginabile! Istantaneamente si riproduce, nel transfert, la costruzione fantasmatica che ha accompagnato fino a quel momento la sua vita e che dà posto all’analista in quanto ennesimo Altro cattivo da fare fuori.
49Possiamo dire a posteriori, che l’analista, con quella mossa, ha fatto proprio quello che Lacan sostiene a proposito della serietà con cui si dovrebbero condurre le analisi: «Occorrerebbe […] che si avesse nell’analisi – come ce l’ho io […] – il sentimento di un rischio assoluto»35.
50Al di là di ogni senso, quella prima seduta, l’effetto di un buon incontro produce un evento di corpo istantaneo: la furia verso quell’offerta insensata, senza che se renda conto, la fa muovere! E più si lamenta, recrimina, si dispera e più si formano lapsus, dimenticanze, atti mancati che danno alle sue sedute la temporalità di un lampo!
51Se abbiamo imparato che il fantasma, per il soggetto, «fa da schermo rispetto al reale»36, non possiamo prescindere dal considerare, come sottolinea Miller, che il fantasma «è anche una finestra sul reale»37 che ha la funzione di orientare l’analista al posto che è tenuto ad occupare in quella singolare cura.
52Nel testo Introduzione all’edizione tedesca di un primo volume degli Scritti Lacan dice che in analisi, «l’entrata nella matrice del discorso non è data dal senso ma dal segno»38.
53Quindi, l’analista punta a ciò che fa segno e non al senso, ma non c’è solo questo. Infatti Lacan prosegue dicendo che se l’atto dell’analista ha avuto degli effetti in una cura, esso non testimonia di nessun sapere, perché gli effetti dell’interpretazione, se è vero che hanno come mira il sapere inconscio, restano comunque e inesorabilmente incalcolabili.
54Già nel 1964, quando Lacan parla dell’inconscio non può separarlo dalla presenza dell’analista, in quanto manifestazione dell’inconscio, anche se fa delle considerazioni piuttosto bizzarre su cosa intendere per presenza dell’analista. Cito: «Presenza dell’analista – è un gran bel termine, che avremmo torto a ridurre a quella sorta di predicozzo piagnucoloso, a quel rigonfiamento sieroso, a quella carezza un po’ appiccicaticcia»39.
55Attraverso il matema del discorso analitico, Lacan darà un’indicazione precisa rispetto al posto dell’analista: sembiante di oggetto piccolo a, cioè dell’oggetto di godimento che funziona come causa di desiderio per il soggetto.
56Un oggetto che, come abbiamo visto, non è dell’ordine di un sapere saputo, precostituito ma è piuttosto un buco, come il ricorso alla topologia metterà ben in luce, una mancanza costitutiva a cui ciascun soggetto cerca di dare corpo – in assenza del rapporto sessuale, cioè di un programma che supplisca quell’assenza – con un sintomo che possa dare senso e speranza alla propria esistenza.
57«L’uomo – dice Lacan – si mette nel posto di quella feccia che è – perlomeno agli occhi di uno psicoanalista che ha una buona ragione per saperlo, giacché lui stesso si mette in quel posto. Occorre passare per quella feccia in modo deciso per, forse, ritrovare qualcosa che sia dell’ordine del reale»40.
58Sarà grazie al Seminario XXIII, Il sinthomo, che Lacan potrà complessificare e illuminare la natura di questo «scarto»41 che la posizione dello psicoanalista è chiamato ad incarnare.
59Se Lacan aveva indicato che il posto dell’analista era l’oggetto a, oggetto causa di desiderio, in questo Seminario formula che l’analista è un sinthomo.
60Questo non vuol dire che non si decifra più l’inconscio, che non esiste più il riferimento all’inconscio transferale, in quanto articolazione significante che mette in rilievo come si annodano il linguaggio e il corpo.
61Il fatto che l’analista è un sinthomo sta lì ad indicare che c’è un limite alla decifrazione, che la decifrazione si ferma sul fuori senso del sinthomo, il quale non parla a nessuno.
62Per questo Lacan prende il sinthomo da Joyce che considera disabbonato all’inconscio, l’esiliato per eccellenza dall’articolazione: «qualcosa di assolutamente singolare. […] La distanza da qualsiasi comunità. Niente in comune. È rinchiuso su se stesso»42.
63Partendo da Joyce, la posta in gioco, la vera sovversione è però, giustamente, quella di dimostrare che il concetto di sinthomo è valido anche per i soggetti che non sono disabbonati all’inconscio. «Ebbene, – dice Miller – è ciò che Lacan ha colto: c’è sinthomo in ciascuno. […] In ciascuno c’è la singolarità del sinthomo, ma è ricoperta»43.
64Possiamo dire che assumere Joyce come paradigma della singolarità, e quindi dell’irriducibilità del modo di godere proprio a ciascuno, può diventare così il paradigma di ciò che si può ottenere dal soggetto alla fine della propria analisi: «Prendere il punto di visto del sinthomo vuol dire sapere che c’è, che ci sarà ciò che non cambierà, […] è l’incurabile iscritto sulla porta d’entrata»44.
65Che cos’è, quindi l’analista nella clinica del sinthomo? «È almeno un soggetto che si è reso conto del suo modo di godere in quanto assolutamente singolare, […] che ha colto […] che il suo godimento in quanto tale è fuori senso»45.
66È il limite al «furor sanandi»46, il Resti e il Non sognare di guarire! messo nel titolo.
67È l’uscita dell’analista dai percorsi già battuti perché anche per il parlessere si possa dispiegare un’esistenza fuori dai percorsi già battuti.
68Si tratta di indicazioni cliniche complesse, preziose per la nostra comunità analitica, per essere a tempo con ciò a cui i sintomi, oggi, ci convocano.
69Avviandomi alla conclusione riporto una citazione di Jacques-Alain Miller dalla presentazione del ix congresso dell’AMP, Un reale per il xxi secolo:
nel xxi secolo la psicoanalisi deve esplorare un’altra dimensione: quella della difesa contro il reale senza legge e fuori senso. […] L’inconscio lacaniano, quello dell’ultimo Lacan, si trova a livello del reale, e diremo, per comodità, che sta “sotto” l’inconscio freudiano, in modo che, per entrare nel xxi secolo, la nostra clinica dovrà concentrarsi sullo smontare la difesa e sullo scombussolare la difesa contro il reale.
In un’analisi, l’inconscio transferale è già una difesa contro il reale, perché mantiene viva un’intenzione, un voler dire […] mentre l’inconscio reale […] sta nella modalità del “è così”47.
70D’altronde, già Lacan nell’intervento dal titolo La terza 48, tenuto nel novembre del 1974, così ci avvisava: «Il bello sta nel fatto che negli anni a venire l’analista dipenderà dal reale e non il contrario. L’avvento del reale non dipende assolutamente dall’analista. Egli ha la missione di contrastarlo. Nonostante tutto, il reale potrebbe prender la briglia, soprattutto da quando ha l’appoggio del discorso scientifico»49.
Notes de bas de page
1 J. Lacan, Introduzione all’edizione tedesca di un primo volume degli Scritti [1973], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 550.
2 J.-A. Miller, C. S. T. [1982], “La Psicoanalisi”, 1, 1987.
3 Id., Cose di finezza in psicoanalisi [2008-2009], “La Psicoanalisi”, 59, 2016, p. 158.
4 Ibidem.
5 Id., C. S. T. cit., p. 146.
6 Id., Cose di finezza in psicoanalisi cit., p. 158.
7 Ibidem.
8 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXV, Le moment de conclure [1977-1978], inedito.
9 J.-A. Miller e A. Di Ciaccia, l’uno-tutto-solo. L’orientamento lacaniano [2010-2011], Roma, Astrolabio, 2018, p. 38.
10 J. Lacan, Introduzione all’edizione tedesca di un primo volume degli Scritti cit., p. 549.
11 Ivi, p. 548.
12 J.-A. Miller, La seduta analitica, “Rete Lacan”, 8, 13 aprile 2020, https://www.slp-cf.it/rete-lacan-n8-13-aprile-2020/
13 Id., Les us du laps [1999-2000], leçon du 15 mars 2000. Los usos del lapso, Buenos Aires, Paidós, 2005.
14 J.-A. Miller, La seduta analitica [2000], “La Psicoanalisi”, 29, 2001.
15 Ivi, p. 14.
16 Ivi, p. 15.
17 Id., Cose di finezza in psicoanalisi cit., p. 175.
18 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo [1975-1976], Roma, Astrolabio, 2006.
19 Ivi, p. 119.
20 «Non sognare di guarire!» è preso da J.-A. Miller che considera questo enunciato come «l’incurabile iscritto sulla porta d’entrata» di ogni analisi, in Id., Cose di finezza in psicoanalisi cit., p. 168.
21 J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 intorno allo psicoanalista della Scuola [1967], in Aa. Vv., Scilicet 1/4, Milano, Feltrinelli, 1977.
22 Ivi, p. 22.
23 Id., Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973], Torino, Einaudi, 2011.
24 Ivi, p. 64.
25 S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io [1921], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1977, vol. 9.
26 Ivi, p. 302.
27 Ivi, p. 279.
28 J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo cit., p. 91.
29 Id., Televisione [1973], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 509.
30 Id., I complessi familiari nella formazione dell’individuo [1938], Torino, Einaudi, 2005, p. 20.
31 Id., Joyce il sintomo, in Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo cit.
32 Ivi, p. 159.
33 Id., Il Seminario, Libro X, L’angoscia [1962-1963], Torino, Einaudi, 2007.
34 J.-A. Miller, Un reale per il xxi secolo [2012], in Aa. Vv., Scilicet. Un reale per il xxi secolo, Roma, Alpes, 2014, p. xxiv.
35 J. Lacan, Joyce il sintomo cit., p. 42.
36 J.-A. Miller e A. Di Ciaccia, l’uno-tutto-solo. L’orientamento lacaniano cit., p. 36.
37 Ibidem.
38 J. Lacan, Introduzione all’edizione tedesca di un primo volume degli Scritti cit., p. 550.
39 Id., Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi [1964], Torino, Einaudi, 2003, p. 123.
40 Id., Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo cit., p. 121.
41 Id., Televisione cit., p. 515.
42 J.-A. Miller, Cose di finezza in psicoanalisi cit., p. 165.
43 Ivi, p. 166.
44 Ivi, p. 168.
45 Ibidem.
46 Ibidem.
47 J.-A. Miller, Un reale per il xxi secolo cit.
48 J. Lacan, La terza [1974], “La Psicoanalisi”, 12, 1993.
49 Ivi, p. 21.
Auteur

Le texte seul est utilisable sous licence Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Amore e odio per l’Europa
La psicoanalisi interroga la politica
Domenica Cosenza et Marco Focchi (dir.)
2019
Guerre senza limite
Psicoanalisi, trauma, legame sociale
Marie-Hélène Brousse et Paola Bolgiani (dir.)
2017
Declinazioni del desiderio dello psicoanalista
L’esperienza di Serge Cottet
Adele Succetti (dir.)
2020