Introduzione. Alcune peculiarità della pratica analitica lacaniana
p. 11-22
Texte intégral
1Una psicoanalisi lacaniana ha delle peculiarità che sono ormai note: la variabilità della durata e della frequenza delle sedute, l’uso ridotto dell’interpretazione, l’atto analitico, il punto di conclusione; solo per citarne alcune.
2Ciascuna di queste peculiarità è solidamente fondata sul corpus della teoria. A questo riguardo vale la pena ricordare che Lacan insiste sul fatto che la tecnica è strettamente dipendente dalla teoria che un analista adotta, anche nei casi in cui egli non ne sia consapevole.
3La pratica lacaniana è dunque legata a un insieme di concetti che partono da quelli freudiani ripresi da Lacan nel suo “ritorno a Freud” (con l’intento di mostrare quanto poco fossero stati capiti), si sviluppano con le innovazioni che egli stesso ha introdotto, per giungere fino alle più recenti tendenze sollecitate dall’insegnamento di J.-A. Miller.
4In guisa di introduzione estraggo alcuni punti che possono legittimamente venir considerati discriminanti della pratica lacaniana. In tal modo il lettore che è interessato potrà avere uno sfondo in cui collocare gli interventi pubblicati in questo volume, i quali sviluppano e discutono liberamente e in dettaglio alcuni di questi argomenti e molto altro ancora.
Asimmetria
5Innanzitutto, l’operazione analitica è volta a mobilitare i tre registri sui quali si struttura ogni realtà psichica: immaginario, simbolico e reale. Quale che sia la condizione di partenza, il percorso analitico sollecita un nuovo annodamento dei tre registri.
6Il fatto che i registri siano tre ha come correlato l’asimmetria della relazione analitica; questa non solo è inevitabile ma è l’essenziale strumento propulsivo del percorso.
7È la prima differenza radicale rispetto alle altre pratiche di cura psicologica, psicoterapeutica, e anche rispetto alle altre correnti psicoanalitiche. Nella pratica lacaniana ogni perturbazione che consenta di superare lo schermo dell’alleanza terapeutica duale tra l’ego dell’analista e l’ego dell’analizzante è dunque benvenuta.
8L’alleanza terapeutica è proprio una delle divergenze dalla pratica analitica standard, che si è diffusa dopo Freud, dalle quali ha preso le mosse la rivoluzione di Lacan. A ben vedere, se nella teoria questa rivoluzione è consistita in un ritorno a Freud, nella pratica si è sempre trattato di innovazione: di utilizzare ogni mezzo per superare la sclerosi di una pratica che si era fatta sempre più burocratica e psicologica.
9Guidato dall’idea di fondo che il processo analitico – per impiegare la sintesi di J.-A. Miller – sia un processo di soggettivazione che conduce l’analizzante a riconciliarsi con il suo punto di singolarità assoluta1, l’analista deve innanzitutto sottrarsi alla relazione speculare in cui propone il proprio ego come modello identificatorio all’ego del paziente2.
10Il clima della seduta, la regolarità e il comfort del setting, non godono di alcuna sacralità nella pratica lacaniana. Piuttosto, la seduta si trasforma in un appassionante campo di conquista in cui si succedono le sorprese e le giravolte, in cui la posizione del soggetto nel mondo vacilla e si capovolge più e più volte fino a che riesce ad alloggiarsi in un nuovo posto, là dove si trova il vero soggetto3 – nel buco che si scava dentro la pulsione4.
11Negli articoli che seguono, si troveranno parecchi esempi di questa pratica eretica. Si vedrà come il transfert negativo, per esempio, lungi dall’essere un problema sia invece il momento in cui non solo l’analisi comincia davvero, ma anche quello in cui si manifesta nell’esperienza analitica la passione dell’odio. Lacan situa quest’ultima al punto di giunzione tra immaginario e reale; analizzante e analista possono sfruttarla per produrre gli scatti decisivi di avvicinamento all’assenza di garanzie e di essere di cui soffrono sia l’Altro sia il soggetto.
12A questa concezione sono collegati anche i problemi del trattamento delle resistenze e dell’accettazione delle interpretazioni, temi che hanno fatto spendere fiumi di inchiostro ma che non sono all’ordine del giorno per un analista lacaniano. Infatti, se la pratica segue le indicazioni di Lacan e Freud, essa lascerà sempre il filo del discorso al soggetto. Quando incontra una battuta d’arresto, l’analista lacaniano non instaura una prova di forza per spingere il discorso da qualche parte, semplicemente lascia cadere il filo per afferrarne un altro e seguirlo fino a un punto altrettanto lontano. Fino a che il discorso giunga a isolare il punto di reale in cui si scrive lo scarto tra il desiderio e la parola, il punto in cui la resistenza del soggetto prende il suo significato di genitivo oggettivo, cioè coincide con quel resto del soggetto che resiste: «la resistenza […], in ultima analisi, può attenere esclusivamente all’incompatibilità del desiderio con la parola»5. Nelle testimonianze degli AE si può cogliere tutto questo.
Soggetto Supposto Sapere
13Più di un espediente introdotto nella pratica terapeutica analitica (ma anche non analitica) è volto invece a rafforzare la dimensione duale del rapporto e ad evacuare ogni traccia di ciò che rende impossibile la sua stabilità.
14L’asimmetria strutturale della relazione pende da un lato, verso il soggetto supposto sapere, concetto con cui definiamo l’oggetto investito dal transfert, che in parte coincide, in parte no, con l’analista. Di certo l’analista lo supporta, ma solo per condurre l’analizzante – attraverso tutte le passioni, le obiezioni e gli affronti che costellano il percorso analitico – al punto in cui il sapere incontra un limite di struttura, e il soggetto supposto si rivela come un reale che non ha nulla a che fare con il sapere. Questo punto è nominato negli articoli che seguono con termini diversi che rimandano a concetti impiegati da Lacan in epoche diverse del suo insegnamento. Su queste differenze ha messo l’accento J.-A. Miller nello sforzo di estrarne lumi che possano rischiarare vari aspetti della pratica analitica, in particolare nei suoi passaggi finali, quelli che conducono l’analizzante all’evaporazione del soggetto supposto sapere. Questa è la ragione per la quale il lettore troverà, per esempio, che al punto limite che può essere definito come “incompatibilità del desiderio con la parola” si allude anche nelle pagine che seguono con le espressioni “attraversamento del fantasma e caduta dell’oggetto”, “litorale tra sapere e godimento”, “isolamento del sinthomo”, “godimento fuori senso”, “godimento Uno”, “evento di corpo”, “godimento al di là di ogni articolazione significante”. Queste espressioni rimandano ai vari concetti attraverso i quali gli analisti lacaniani della Associazione Mondiale di Psicoanalisi si sforzano di teorizzare la loro pratica e in particolare i passaggi che scandiscono la conclusione, quando il punto limite si riconfigura come certezza che consente all’analizzante di concludere.
15Rosa Elena Manzetti ripercorre i cambiamenti dell’analista nel corso della cura, da soggetto supposto sapere a strumento di rivelazione. Se l’analista supporta il soggetto supposto sapere quando sostiene il lavoro di interpretazione che decifra l’inconscio, tutto ciò però è solo un inizio, volto a rivelare all’analizzante la verità inclusa nel sintomo, da cui deriveranno i benefici terapeutici stricto sensu. Dopo la decifrazione, viene il momento di ridurre il sintomo al suo reale e in questa fase il posto da cui l’analista manovra la cura è quello dell’oggetto a. È da quel posto che l’analista può fungere da perno dell’atto di produzione del soggetto con cui la cura si concluderà.
16L’analista lacaniano più che una guida è un perno; fa di sé uno strumento di interpretazione (nella pratica lacaniana più che interpretare in prima persona, l’analista è lo strumento grazie al quale è l’inconscio dell’analizzante che si interpreta)6 oppure di rivelazione della struttura.
17Reso edotto sin dai primi tempi della sua formazione che «nell’analisi non c’è altra resistenza che quella dell’analista»7, mentre sostiene il lavoro di interpretazione, l’analista è attento innanzitutto a non fungere da resistenza al discorso dell’analizzante. È questo il modo lacaniano di trattare i problemi connessi al controtransfert, e per questa ragione di questo concetto non si trova traccia nei contributi qui raccolti. Tutto ciò che potrebbe essere rubricato sotto quella voce viene discusso qui sotto la prospettiva dell’attraversamento del fantasma e della produzione di un desiderio epurato del godimento particolare – quello che si chiama il desiderio dell’analista – che è ottenuto dall’analizzante al prezzo di essersi riconosciuto nel godimento singolare, fuori senso, che lo abita.
Verità
18«lo psicoanalista è colui che si trova veramente ad assumere il supporto del soggetto supposto sapere»8, ma è al tempo stesso colui che «deve rinunciare inizialmente in modo pirroniano ad ogni accesso alla verità»9.
19Nessuna foga interpretativa può avere spazio in una pratica guidata dal disincanto sul rapporto tra sapere e verità, sintetizzato dall’aforisma «la verità ha struttura di finzione»10. Nella pratica lacaniana l’interpretazione va verso la riduzione della verità, ma non per entrare in un orizzonte narrativista di post verità, bensì per isolare la funzione indispensabile della verità11.
20Tutto dipende da come si fa vibrare la corda tesa tra sapere e verità. Per essere efficace, l’interpretazione deve essere evocativa, apofantica, equivoca: deve includere il significante e il suo al di là, l’oggetto a. Non solo a fini terapeutici, ma a maggior ragione per portare a compimento il fine ultimo dell’analisi – realizzare il soggetto – l’interpretazione deve orientarsi verso il punto in cui la verità rivela il suo statuto di finzione. Infatti, se seguiamo Lacan, il soggetto è nel punto in cui la verità manca al sapere ed è lì che l’interpretazione deve convocarlo: là dove la verità e il sapere del fantasma si disgiungono.
21In altre parole, l’analisi mira a risolvere il rapporto del soggetto con la verità tramite una soddisfazione che svuota la verità dal godimento e introduce il soggetto a un altro rapporto con il suo fantasma: «Il miraggio della verità, da cui ci si deve attendere solo la menzogna […], ha come termine solo la soddisfazione che segna la fine dell’analisi»12.
22A tal fine, occorre includere nella pratica una funzione che vada al di là della parola, che agisca in modo più preciso di quanto si può fare con l’interpretazione. È questa funzione che Lacan ha associato all’atto analitico13. Il lettore troverà approfondimenti su questo tema nella sezione del volume ad esso dedicata, su cui tornerò tra poco.
Fantasma
23Per molti psicoanalisti di orientamento non lacaniano, la realtà è un riferimento fondamentale per la direzione della cura. In base alla realtà si decide la direzione del lavoro e dell’interpretazione, senza porsi troppi problemi su cosa sia la realtà: la realtà è quella dell’analista. È così che la politica dell’analisi è divenuta un progressivo adattamento del paziente alla realtà così come la vede l’analista, né più né meno di quanto accade in ogni psicoterapia. Al contrario, nella pratica lacaniana il riferimento alla realtà è inscindibile dal fantasma, che è la finestra attraverso cui ciascuno vede il mondo.
24L’intera analisi è un processo che serve a mettere a fuoco le coordinate del proprio fantasma, per coglierne l’effetto di godimento che vi è legato – il godimento della propria verità – e anche per cogliere quel punto di reale che il fantasma serve a velare e che solo attraversando il fantasma si può afferrare. Silvia Morrone parla del transfert nel suo nesso con il fantasma. Essendo un’analista della Scuola (AE) nel suo periodo di testimonianza, la freschezza della sua esperienza personale le consente di affrontare il tema con particolare efficacia. Abbiamo qui la testimonianza dall’interno, dal lato dell’analizzante, del modo in cui il transfert evolve e si trasforma nel corso di un’analisi. Dall’entusiasmo dell’inizio, del “finalmente troverò chi mi capisce e mi riconosce”14, alla gioia – completamente diversa – della fine, quando la finzione fantasmatica si dissipa e per un attimo scorge il posto vuoto che per anni ha creduto occupato dall’analista.
Pulsione
25Nel corso di un’analisi la pulsione segue le vicissitudini della domanda; essa si trasforma fino a saldarsi al desiderio. Per la pratica lacaniana non si tratta dunque di neutralizzare la pulsione o di desessualizzarla – magari per portarla alla maturità di quella che viene chiamata altrove una relazione adulta con un partner genitale – ma di condurla al suo movente. In tal modo, quando dietro l’oggetto bramato si scorge il vuoto da cui la pulsione prende l’aire, il rapporto con essa cambia radicalmente: il soggetto può volere ciò che desidera. Il che, in fondo, è la posta in gioco in una psicoanalisi lacaniana, ciò che ne fa un’esperienza senza eguali e senza prezzo. Niente in comune con altre pratiche psicoterapeutiche, siano esse concentrate sulla sparizione dei sintomi o sull’adattamento sociale. Il fine della pratica lacaniana è talmente alto e l’esperienza è talmente intensa e sovvertitrice che tutto quanto caratterizza altre terapie arriva in genere presto e in sovrappiù: dalla scomparsa dei sintomi all’instaurarsi di un nuovo legame con gli altri, passando per un nuovo rapporto con la realtà. Vicente Palomera porta un esempio del modo in cui si realizza la trasformazione della pulsione, offrendoci l’occasione di entrare nel vivo della clinica e notare la cogenza di taluni concetti. In questa cura lacaniana con un soggetto in posizione nevrotica ossessiva, la vitalità e la mortificazione del fallo snodano il filo che scioglie l’angoscia e la presunta omosessualità del paziente.
Transfert
26La clinica psicoanalitica è essenzialmente una clinica sotto transfert, non perché sia l’unica nella quale il transfert si attiva – essendo un fenomeno che accompagna ogni relazione asimmetrica – ma perché lo prende a tema per oltrepassarlo. In questo senso, la psicoanalisi è l’unica pratica che mira a produrre un soggetto che non sia più suggestionabile.
27Il modo in cui il transfert è trattato e superato è un altro degli argomenti affrontati in questo libro. È noto che nella pratica lacaniana non si interpreta il transfert. Dunque cosa prende il posto dell’interpretazione del transfert? Ce ne parla Antonio Di Ciaccia, che si chiede: perché l’operazione analitica è efficace? Lo è indipendentemente dalle qualità intellettuali e morali dell’analista? Se così è, allora l’operatore del cambiamento non è l’analista dotato di queste o quelle qualità personali, bensì l’analista capace di trasformarsi nello scarto necessario a produrre un soggetto15. Queste riflessioni di Di Ciaccia seguono un filo del ragionamento che non porta a interrogarsi sul transfert nel suo rapporto con la fine dell’analisi, come solitamente si fa, ma sul transfert per tutta la durata della cura.
Interpretazione
28Come ho avuto già modo di dire parlando del soggetto supposto sapere, l’interpretazione ha una portata che va ben al di là della parola16 ed è variamente implicata nell’atto analitico. Alfredo Zenoni e Paola Francesconi passano in rassegna le diverse accezioni con cui l’interpretazione compare nella pratica lacaniana. Da Lacan a J.-A. Miller, l’interpretazione lacaniana muta e mostra tutte le sue differenza rispetto a Freud. In particolare, Zenoni e Francesconi seguono l’evoluzione dell’interpretazione in direzione dell’atto analitico propriamente detto e discutono le condizioni che consentono di asserire che l’interpretazione si sposta da una funzione di interpunzione a una funzione asemantica, di taglio e, infine, di fissazione del discorso al reale17.
29Seguendo la stessa direzione, altri autori di questo volume tendono ad accentuare la dimensione del godimento monologico e dei suoi effetti nel corpo, dando seguito all’indicazione data da J.-A. Miller in uno dei suoi ultimi corsi: «L’interpretazione si giudica dall’evento di godimento che è capace di produrre in definitiva»18.
Tempo
30Per introdurre la riflessione sul tempo della durata di un’analisi e sul tempo come strumento della cura, Miquel Bassols parte dalla struttura dell’apparato psichico. Riprende ed estende una tesi di Freud secondo la quale, invece di concepire lo spazio e il tempo come due a priori complementari, sulla falsariga di Kant, dovremmo concepire il tempo come eterogeneo rispetto allo spazio19. Solo a partire di qui è possibile ragionare sull’uso del tempo nella seduta e sull’importanza del tempo per la trasformazione soggettiva.
31Maurizio Mazzotti riprende i capisaldi dell’insegnamento di Lacan circa l’uso del tempo da parte dell’analista e li ricollega ai meccanismi del linguaggio – metafora e metonimia – per spiegare come proprio attraverso il maneggiamento del tempo il linguaggio possa operare in vista della produzione del soggetto. La scansione della seduta e il suo taglio sono strumenti fondamentali nelle mani dell’analista per far addivenire il soggetto là dove era l’inconscio (per la via della metafora) e per far ritrovare il soggetto nel posto lasciato vuoto dall’oggetto (per la via della metonimia).
32Gian Francesco Arzente è un’analista della Scuola (AE) e testimonia di una analisi in cui il rapporto con il tempo struttura le identificazioni fondamentali. Mostra come l’uso del tempo e dell’interpretazione l’abbiano condotto a separarsi dal godimento di cui queste identificazioni erano intrise. L’insegnamento che ne trae è che l’uso del tempo nella seduta lacaniana punta a deludere ogni volontà di comunicazione.
33Possiamo dire che se l’interpretazione mira alla verità del sintomo, essa si completa con il maneggiamento del tempo. Questo secondo aspetto rientra già in quello che Lacan ha definito atto analitico e consente all’analista di arrivare al reale del soggetto passando attraverso l’oggetto a. La nozione di taglio, che ritorna in più di un contributo, fa da ponte concettuale tra le due dimensioni dell’azione analitica, interpretazione e atto.
Atto analitico
34L’atto analitico è un nome dell’intervento che l’analista mette in opera per produrre l’evacuazione dell’oggetto irreale che imprigiona il godimento più intimo, la caduta della «libbra di carne»20. Gli interventi che si possono mettere in atto per sollecitare questo processo nel corso dell’analisi sono descritti in diversi testi raccolti in questo volume, sia dalla prospettiva dell’analista, sia dalla prospettiva dell’analizzante (nei resoconti degli AE).
35È fuori discussione però che l’aspetto più importante e anche più originale del concetto di atto analitico riguarda la fine della cura. Su questo si sofferma Éric Laurent. Atto analitico è infatti il concetto che descrive anche il momento in cui il soggetto incontra la soddisfazione che cercava, la soddisfazione alla quale in queste pagine si fa riferimento con il termine sinthomo. Il soggetto la incontra in forma paradossale – raggiunge il suo godimento sulla scala rovesciata della legge del desiderio21 – quando l’oggetto a, in cui è allocato il suo essere, si produce come resto del compito in cui l’analizzante si è ingaggiato.
36La fine dell’analisi lacaniana è un momento in cui si verificano molti accadimenti complessi, la cui portata di cambiamento è di molto superiore a tutti i cambiamenti che di norma si verificano nell’arco di tempo che la precede. Questi accadimenti che compongono la sceneggiatura finale si trovano spesso diluiti in un arco di tempo più o meno esteso, per poi precipitare in una certezza che mette capo all’atto conclusivo. Solo allora il soggetto oscilla dalla posizione di analizzante a quella di analista, posizione che egli stesso assume con questo atto che lo supera e del quale è il paziente; solo allora il soggetto può accomodarsi in un vuoto: il posto vuoto che ogni analista viene a ricoprire con le fattezze desiderate da chi lo cerca. L’intervento di Éric Laurent mostra come si snodano questi passaggi finali e come si possono leggere in filigrana nelle testimonianze alcuni dei punti più complessi dell’insegnamento di Lacan.
Presenza dell’analista
37La pandemia ci ha colti quando la pratica in modalità telematica era già cosa assodata per molte psicoterapie. E anche per molti analisti. Un approfondimento sulla funzione della presenza dell’analista è dunque necessario. In cosa consiste la presenza dell’analista? Certo, la presenza dell’analista non è solo la sua presenza fisica. Ma si può ridurre la presenza dell’analista alla sua voce o alla sua immagine? Francesca Biagi-Chai, Marco Focchi e Domenico Cosenza provano ad avviare una riflessione sulla pratica analitica per via telematica durante la pandemia da coronavirus.
38L’insegnamento di Lacan rifiuta la standardizzazione e ciò autorizza a una certa libertà nella ricerca; ma esso tiene fermi taluni principi, che pongono dei limiti alle condizioni di funzionamento del discorso psicoanalitico. Per fare avanzamenti nella pratica, occorre mettere bene a fuoco il rapporto tra le funzioni del discorso che operano in analisi e il supporto corporeo. Francesca Biagi-Chai ritorna a Lacan: «Che cosa c’è nel discorso analitico tra le funzioni di discorso e il supporto corporeo […]?»22 E colloca proprio la presenza dell’analista tra le funzioni e il supporto. È la presenza silente dell’analista che porta dentro la relazione analitica la pulsione. La funzione di oggetto a dell’analista è veicolata dal modo in cui l’analista con la sua presenza riesce – non già a evocare la sua assenza – ma a bucare la sua stessa presenza. Dunque, è solo attraverso la presenza che il reale dell’oggetto a arriva a bucare la reciprocità della relazione interpersonale e presentificare l’Alterità assoluta.
39Anche Domenico Cosenza e Florencia F.C. Shanahan, reduci dalla loro recente esperienza di AE, evidenziano i limiti della seduta in modalità telematica: l’analisi non è solo un’arte dell’interpretazione dell’inconscio come sapere23, ma anche – sin dalla prima seduta – una cessione dell’oggetto pulsionale del godimento solitario – Uno – ancorato nel corpo; questa cessione richiede giocoforza la presenza dei corpi. Essa infatti procede da un lembo di reale che l’analista mette in gioco per disturbare l’intesa duale. Possiamo aggiungere che la testimonianza di AE a volte permette proprio di ricostruire il filo rosso che dimostra come «l’analista era lì a titolo di incarnazione»24 sin dal primo istante. Seppure solo sporadicamente emerga in modo chiaro, è la natura incarnata dell’etereo soggetto supposto sapere a catturare la pulsione dell’analizzante, ed è solo grazie a questa cattura che la pulsione potrà trasformarsi. Di questa trasformazione scrive Davide Pegoraro. Anch’egli è un’analista della Scuola (AE) nel suo periodo di testimonianza e «un osso di niente»25 è il nome che egli assegna al suo stile pulsionale dopo l’attraversamento dell’analisi; di ciò vi è traccia anche nella scrittura del suo contributo.
40Nel volume non mancano i riferimenti alla vita della comunità degli analisti. Per Freud, la comunità degli psicoanalisti (IPA) va concepita come un’associazione di mutuo soccorso che deve proteggere la psicoanalisi dagli attacchi che le vengono dalla società. Per Lacan, la comunità degli analisti deve essere una Scuola impegnata nello sforzo collettivo di cogliere i principi dell’azione analitica – unico modo per contrastare gli effetti di potere a cui altrimenti essa si riduce. Per J.-A. Miller, la Scuola è un soggetto collettivo che, per non cadere nella sclerosi istituzionale, va sottoposto costantemente a interpretazione. La tendenza alla regressione e alla debilità delle dinamiche di gruppo deve essere contrastata con gli stessi mezzi che si usano con un soggetto in analisi: l’interpretazione e l’atto. Tra gli altri, Alejandro Reinoso riflette su come intendere questa funzione alla quale soprattutto gli AE in esercizio – quale egli è – sono sollecitati: essere interpreti della Scuola. Patricia Tassara Zárate, Raquel Cors Ulloa e Oscar Ventura, che hanno da poco terminato il loro mandato di AE, svolgono delle riflessioni sulla pratica che portano il segno della loro esperienza analitica.
41L’ordine con cui i testi sono raccolti riflette l’ordine dei lavori agli incontri della Scuola Lacaniana che nel 2020 hanno preso il posto dell’annuale convegno e che, per cause di forza maggiore, si sono tenuti in modalità telematica. Questo non è un libro introduttivo, bensì un volume che va al cuore della ricerca in corso. Gli aspetti teorici sono discussi nel dettaglio, gli aspetti clinici sono vagliati al fine di verificarne la rispondenza alle elaborazioni teoriche. Si tratta di una testimonianza su come procede il confronto e il lavoro in una comunità di analisti che ha scelto di avanzare nel solco aperto da Jacques Lacan.
Notes de bas de page
1 Cfr. J.-A. Miller, Cose di finezza in psicoanalisi [2008-2009], “La Psicoanalisi”, 59, 2016, pp. 165-166.
2 Cfr. J. Lacan, Introduzione al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud [1954], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974 e 2002, vol. I, p. 366. «se avete a che fare, nel momento che stiamo studiando, con l’ego del soggetto, è perché in tale momento voi siete il supporto del suo alter ego».
3 Cfr. Id., Nota sulla relazione di Daniel Lagache: Psicoanalisi e struttura della personalità [1960], in Scritti cit., vol. II, p. 652. «il vero, se non il buon soggetto, il soggetto del desiderio, tanto nell’illuminazione del fantasma che nella sua insaputa dimora, non è che la Cosa, la più prossima a lui e insieme quella che più gli sfugge».
4 Cfr. ivi, p. 658. «la questione […] sarebbe piuttosto quella di sapere come il soggetto vi troverà un posto qualsiasi. Fortunatamente la risposta viene subito: nel buco che ci si scava».
5 Id., La direzione della cura e i principi del suo potere [1958], in Scritti cit., p. 637.
6 Cfr. J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazione [1995], “La Psicoanalisi”, 19, 1996, p. 122.
7 J. Lacan, Introduzione al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud cit., p. 369.
8 Id., Il Seminario, Libro XVI, Da un Altro all’altro [1968-1969], Torino, Einaudi, 2019, p. 345.
9 Id., Le Séminaire, Livre XIII, L’objet de la psychanalyse [1965-1966], leçon du 2 février 1966, inedito, trad. nostra.
10 Id., Il Seminario, Libro XVI, Da un Altro all’altro cit., p. 346.
11 Cfr. Id., Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973], Torino, Einaudi, 2011, p. 102. «Ciò che il discorso analitico fa sloggiare mette la verità al suo posto, ma non la fa vacillare. Essa è ridotta, ma [è] indispensabile».
12 Id., Prefazione all’edizione inglese del Seminario XI [1976], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, pp. 564-565.
13 Cfr. Id., Le Séminaire, Livre XXII, R.S.I. [1974-1975], “Ornicar?”, 4, 1975, p. 95.
14 S. Morrone, C.S.T. Vieni! Resti! Non sognare di guarire! Dalla clinica psicoanalitica alla prospettiva del sinthomo, in questo volume.
15 Cfr. A. Di Ciaccia, C.S.T., in questo volume.
16 Cfr. J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXII, R.S.I. cit.
17 Id., … o peggio [1972], in Altri scritti cit., p. 543. «ma questo non-c’è-dialogo ha il suo limite nell’interpretazione attraverso cui, come per il numero, si assicura il reale».
18 J.-A. Miller, Tout le monde est fou [2007-2008], leçon du 12 mars 2008. Todo el mundo es loco, Buenos Aires, Paidós, 2015, trad. nostra.
19 Cfr. S. Freud, Risultati, idee, problemi [1938], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1979, vol. 11, p. 566.
20 J. Lacan, Il Seminario, Libro X, L’angoscia [1962-1963], Torino, Einaudi, 2007, p. 135.
21 Cfr. Id., Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano [1960], in Scritti cit., vol. II, p. 830.
22 Id., Il Seminario, Libro XIX, … o peggio [1971-1972], Torino, Einaudi, 2020, p. 227.
23 Cfr. J.-A. Miller, Una fantasia [2004], “La Psicoanalisi”, 38, 2005, p. 34.
24 Id., Les us du laps [1999-2000]. Los usos del lapso, Buenos Aires, Paidós, 2005, p. 23, trad. nostra.
25 D. Pegoraro, La presenza dell’analista e del suo non-tutto traducibile in parole, in questo volume.
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