Presentazione
p. 11-14
Texte intégral
1Intento di questo lavoro è stato rileggere Kant alla luce del rinnovamento della problematica concernente il rapporto tra ontologia e teologia, che si è avuto negli ultimi decenni, soprattutto per influsso di Heidegger e di Levinas. Una rilettura impegnata in un’accurata analisi di alcuni testi chiave, interrogati con occhi e preoccupazioni nuove. La novità è data anzitutto dal fatto che non ci si è lasciati limitare l’orizzonte dell’interrogazione dall’alternativa del pro o contro la validità delle critiche kantiane alle prove dell’esistenza di Dio; bensì ci si è impegnati a studiare se, e in che misura, l’ontologia possa costituire in Kant una sorta di pre-comprensione per l’elaborazione della teologia, nonché se e in che misura tale pre-comprensione ontologica entri in circolo con la pre-comprensione etica.
2La «teologia» di Kant è in effetti un tema relativamente poco studiato, se non addirittura trascurato; e tanto meno esso è affrontato in relazione alla sua concezione dell’ontologia. Tra i motivi di questa trascuratezza, v’è senz’altro l’ipoteca dell’interpretazione dominante, che ha visto nella filosofia di Kant soprattutto la dichiarazione della fine della metafisica, con la conseguente critica radicale alla validità delle prove dell’esistenza di Dio e la presa di distanza da ogni forma di ontologia e di «ontoteologia». Stante questa interpretazione, ancora oggi molto diffusa, lo studio della «teologia» di Kant e dei suoi rapporti con l’ontologia è stato ritenuto per lo più di poco interesse, sia dai filosofi che dai teologi di professione. E ciò, nonostante la più recente letteratura kantiana vada mostrando che la posizione di Kant nei confronti della metafisica e della teologia sia molto più sfumata e variegata di quanto è stato divulgato; e Kant sia stato addirittura l’inventore del termine «ontoteologia», oggi così in voga anche se per lo più in senso spregiativo.
3I risultati di questo studio ci hanno consentito di mettere in luce che in Kant non si ha solo un’ontologia oggettuale di tipo finitista, quale rilevata da Heidegger, di certo incompatibile con la teologia; ma anche un’ontologia dell’ulteriorità e differenza noumenica, aperta all’infinito, elaborata, tra l’altro, proprio per far posto alla teologia. In Kant il tema teologico non è quindi marginale ma di interesse fondamentale, anche come molla per l’elaborazione del suo stesso pensiero critico. Questo non conchiude puramente e semplicemente alla distruzione della teologia razionale e dell’ontoteologia, come spesso si è pensato. Certamente ne ridimensiona le pretese speculative esorbitanti, proprie del razionalismo del tempo e deleterie per la stessa vita etica e religiosa. Ma ne sa anche valorizzare la portata veritativa trascendentale, fino a farne un fondamentale punto di riferimento per ogni possibile forma di teologia. Si ricorda sempre che Kant ha elaborato razionalmente una teologia «morale» a partire dall’orizzonte dell’etica; ma spesso si trascura che egli – come abbiamo cercato di evidenziare – mette in stretto rapporto tale teologia con l’ontoteologia, da lui considerata come il supremo frutto della conoscenza umana, in grado di interloquire in modo determinante sul concetto stesso di Dio, da qualunque parte esso provenga.
4Ma forse il risultato principale del nostro lavoro è stato quello di aver tentato di unificare gli elementi sopra indicati alla luce della particolare forma di «metafisica» che in Kant opera nei vari momenti del suo pensiero critico maturo. Non si tratta certo della metafisica razionalistica del tempo, che egli giudicava e criticava come «iperfisica», per la sua pretesa di passare senza soluzione di continuità e in forma di stringente dimostrazione dal mondo fisico a quello «meta-fisico». Ma neppure si riduce soltanto a quella «metafisica critica» che egli elaborò quale scienza dei concetti o principi a priori della ragione. In Kant è infatti presente e operante, negli snodi fondamentali del suo pensiero, anche quella speciale forma di metafisica che sa portare la ragione fino ai propri «limiti/confini» (Grenzen), aprendola in tal modo a ciò che la oltrepassa. Anzi, è presente una forma di metafisica che conduce la ragione a porsi in qualche modo addirittura «sui confini» tra la sfera della conoscenza scientifico-oggettuale e la sfera dell’ulteriorità propria della realtà teologica nella sua assoluta differenza, mettendola così in grado di indagare la relazione tra le due sfere. Indagine che essa può svolgere tramite quel singolare tipo di conoscenza, di natura analogica e simbolica, che è l’unico adeguato a salvaguardare per un verso il mistero incomprensibile di Dio e per altro verso il nostro rapporto con lui. Questo rapporto resta altamente significativo, anche per la coscienza religiosa, non “nonostante che” bensì “proprio perché” la ragione riesce a rapportarsi al mistero di Dio solo nella forma del «comprenderne l’incomprensibilità» o di «conoscerlo come ignoto».
5Il modulo della «ragione sul confine» ritorna non solo a proposito della teologia speculativa (tra cui l’ontoteologia), che procede in base ad una pre-comprensione ontologico-trascendentale, ma anche a proposito della teologia morale, che procede in base ad una pre-comprensione di tipo etico-universale; e della stessa teologia rivelata, che si staglia sullo sfondo di una pre-comprensione di tipo storico-ermeneutico. Il modulo della ragione «sul confine» può quindi a buon diritto essere considerato come la chiave di volta di tutta la riflessione kantiana attinente la tematica teologica.
6Metodologicamente abbiamo dedicato un primo capitolo a dare le coordinate dello sfondo problematico di questa rilettura di Kant, presentando le posizioni di Heidegger e di Levinas a proposito dei rapporti tra ontologia e teologia. Ci siamo poi preparati ad accostarci alla lettura dei testi di Kant facendo un breve bilancio delle interpretazioni metafisiche e non metafisiche di Kant, nonché dei vari significati con cui i termini di metafisica, ontologia e teologia appaiono nei suoi scritti. Entrando nel vivo del discorso ci siamo dedicati, con l’aiuto di Heidegger, a mettere in luce un primo modello kantiano di ontologia, ove l’essere è inteso come «oggettività fenomenico coscienziale» radicalmente finita. Un esame analitico del capitolo Phaenomena e Noumena della Critica della ragion pura, ci ha però permesso di mostrare che in Kant si dà anche un secondo modello di ontologia, ove l’essere è «altro» da tale oggettività. Un modello di ontologia che ad un tempo risolve le antinomie della ragione e fa positivamente spazio alla teologia. Con un particolareggiato commentario dei §§ 57-60 dei Prolegomeni, abbiamo in seguito messo in luce la precisa portata di quella metafisica come «scienza sul limite», che sta alla base anche delle riflessioni teologiche di Kant. Abbiamo così potuto rileggere in forma nuova, anche seguendo alcune preziose indicazioni di D. Henrich, le importanti pagine dedicate da Kant all’ontoteologia nella Dialettica trascendentale, nonché rivisitare l’effettiva portata delle sue famose critiche alle prove dell’esistenza di Dio. Una puntuale analisi del Canone della ragion pura ci ha quindi permesso di evidenziare la precisa natura della fondazione etica della teologia che Kant ci ha offerto, nonché la configurazione epistemologica di quell’atto di «fede razionale» in cui tale fondazione sfocia. Ha conchiuso l’itinerario l’esame dei rapporti tra ontologia, etica e teologia rivelata, quali traspaiono nell’opera La religione nei limiti della semplice ragione; e anche qui è venuto in primo piano il modulo della «ragione ai confini», di cui si è detto: questa volta ai confini della “paradossale” trascendenza cristiana.
7Abbiamo cercato il più possibile di far emergere la nostra interpretazione da un’analisi diretta dei testi kantiani, fino a presentare, di alcuni di essi, veri e propri commentari. La sterminata letteratura critica che su tali testi si è sviluppata è stata per lo più lasciata sullo sfondo, per non appesantire troppo il filo del discorso. Verso di essa siamo certamente in più modi debitori, anche se ne abbiamo dato conto solo per gli snodi fondamentali dell’analisi. Ci auguriamo che il lavoro possa essere utile per introdurre ad una più agevole lettura di alcuni fondamentali testi di Kant, il quale ha indubbiamente ancora oggi qualcosa da insegnarci anche in campo «teologico». Egli infatti ci «dà a pensare» non solo per le questioni che ha saputo dipanare, non solo per i nuovi modelli di pensiero che ha elaborato, ma anche per i problemi che ha intravisto, pur lasciandoli insoluti. Un ritorno alla lettura di Kant è quindi forse tra i modi migliori per prepararci a pensare rivolti al futuro.
8Torino, 13 giugno 1996.

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