4. Fede come opzione
p. 107-133
Texte intégral
Una genealogia affermativa
1Siamo giunti oggi alla nostra ultima lezione e parlerò di un libro più recente che s’intitola Glaube als Option74. Come introduzione a quello vorrei richiamare alcuni punti metodologici di cui mi sono avvalso in La sacralità della persona. Potrei riassumerne così le motivazioni: dopo aver terminato il libro sulla nascita dei valori, ho avvertito il desiderio di scrivere un libro su un complesso specifico di valori. Volevo applicare la teoria della nascita dei legami ai valori a un esempio concreto e storico, in modo da verificare empiricamente ciò che avevo sviluppato nella teoria. Inoltre mi pareva d’obbligo correlare il pensiero intorno al tema della guerra e della violenza a quello sulla nascita dei legami ai valori, al fine di indagare il ruolo dell’esperienza della violenza nella nascita di tali legami. Per un breve periodo avevo meditato di fare il collegamento a partire da uno studio sul fascismo, ma poi non ho voluto scrivere un libro su valori che rifiuto e che considero profondamente sbagliati, e mi sono così dedicato all’origine e allo sviluppo storico di valori in cui credo. Utilizzo il verbo credere (glauben) in maniera consapevole, poiché sono convinto che nella nascita dei legami ai valori, anche quando non si parla di fede religiosa, siano in gioco più che mere convinzioni.
2Mi piacerebbe infine concludere con alcune parole su lavori ancora in essere, in modo da avere l’occasione di raccontare di cosa mi occupo attualmente. Per farlo, introduco un concetto a me molto caro, che ho definito «genealogia affermativa». Il termine genealogia si riferisce in maniera evidente a Friedrich Nietzsche e a Michel Foucault. In entrambi la genealogia in quanto metodo è caratterizzata da due aspetti fondamentali. Il primo riguarda la contingenza dei processi storici e, ancor più specificamente, la contingenza dei processi della nascita di valori. Nietzsche rifiuta categoricamente ogni idea teleologica; lo considero (insieme a James) uno dei pionieri dell’emergere della contingenza della storia, per me così importante. Il secondo aspetto che Nietzsche (e Foucault per larghe parti della sua opera) non ha mancato di riconoscere, è il fatto che la contingenza della storia e della nascita dei valori sconvolge i legami con i valori.
3La Genealogia della morale evidenzia chiaramente che può nascere qualcosa che non sarebbe dovute nascere, che la genealogia può avere effetto distruttivo quando la nascita di ciò che è nuovo e inaspettato spezza dei legami esistenti. Si può trattare di un indebolimento del legame a valori specifici o, in maniera ancora più radicale, dell’indebolimento del legame a tutti i valori. Nell’ultimo caso si afferma una superiorità individuale, legata al riconoscimento di poter fare a meno di tali legami, di non averne bisogno (con un conseguente possibile messaggio di tipo morale: l’idea che questa superiorità sia un bene).
4Personalmente nego che il riconoscimento della contingenza dei nostri legami a determinati valori porti necessariamente al loro indebolimento. Il riconoscimento della contingenza infatti non implica il relativismo; io sostengo che vi sia un’altra possibilità genealogica, un procedimento che non ha effetti distruttivi, ma che costituisce invece un procedimento di genealogia affermativa. Desumo il termine affermativo da Paul Ricœur, che non parla di genealogia, ma di ermeneutica affermativa, contrapposta alla cosiddetta ermeneutica del sospetto. L’affermatività indica la possibilità di dichiarare la propria appartenenza a un valore nella piena consapevolezza della sua contingenza e della sua genesi nella storia. Direi anzi che dichiariamo la nostra appartenenza al valore proprio nella consapevolezza della contingenza della sua genesi. L’appropriazione dei valori della democrazia e dei diritti dell’uomo da parte degli intellettuali tedeschi nel dopoguerra, per esempio, nacque dalla contingenza dell’avvenuto nazionalsocialismo. Questa contingenza non soltanto non indebolisce il legame con i valori della democrazia e dei diritti, ma addirittura li rafforza. Se il Terzo Reich non fosse stato, forse le mie idee rispetto alla democrazia e ai diritti dell’uomo non sarebbero diventate così importanti, ma poiché ho consapevolezza di questa contingenza, ho un motivo in più per ritenere che questi valori vadano protetti, in modo che ciò che è accaduto non possa accadere mai più.
5Vorrei inoltre introdurre ciò che chiamo «il fatto della formazione dell’ideale» (Faktum der Idealbildung): è il dato per cui i valori e gli ideali non sono situati al di fuori delle persone e delle società, tanto che non possiamo comprendere né le une né l’altra senza tenere conto dei loro ideali. Non si tratta di una forma d’idealismo: non sostengo che siano l’elemento più importante, né che la storia porti necessariamente alla loro realizzazione, ma che gli ideali esistono e che non siamo in grado di capire adeguatamente le persone se non ci mettiamo in relazione anche con i loro valori.
6Si pensi all’intersoggettività di Sartre, secondo cui nella relazione con gli altri facciamo spesso esperienza di vedere negata la nostra potenzialità. Ritengo sia più umano guardare all’altro anche in considerazione di ciò che potenzialmente potrebbe essere; l’amore è caratterizzato dalla convinzione che l’altro sia capace di cose straordinarie, è il fenomeno della trasformazione in una persona migliore attraverso lo sguardo dell’amore. Certo la consapevolezza di alcune contingenze può portare, a un primo livello, alla negazione dell’effetto distruttivo della contingenza: scelgo di non vedere. Il riconoscimento di alcune contingenze può non sconvolgermi affatto, potrei dire che non mi tocca. Altri riconoscimenti invece, come ho già detto, possono addirittura aumentare e rafforzare il legame ai valori. Posso ricorrere a contesti di esperienza che appartengono a me o ad altri per intensificare un tale legame.
7Ernst Troeltsch, nel discorso sullo storicismo e i suoi problemi, ha ripercorso quest’idea con grande profondità e credo che vi sia giunto grazie alla sua sensibilità per le questioni riguardanti l’interpretazione della Bibbia, estesa poi a tutto ciò che può avere pretesa di validità. Per lui un oggetto altamente storico come la Bibbia (un libro scritto in Estremo Oriente 2000 anni fa), che si potrebbe ritenere privo di significato per la contemporaneità, non può dischiudersi attraverso la negazione della storicizzazione, ma viene fatto parlare proprio attraverso una storicizzazione radicale. Non si tratta di sostenere che il cambiamento storico sia irrilevante, ma di riconoscere, attraverso un passaggio di estremo straniamento, che il mondo che ha dato origine a quello scritto è storicamente e radicalmente diverso dal nostro. Non è possibile comprendere questi testi se non si prende in considerazione proprio la diversità del mondo in cui sono nati. Attraverso la storicizzazione radicale il testo ricomincia a parlare.
8Riprendo un esempio che ho usato nelle discussioni sul tempo assiale, riguardante l’affermazione che Cristo è figlio di Dio. È una frase di cui molti ridono (musulmani e laici). Per quale ragione, ribattono, non ha avuto una figlia? Le reazioni indicano che i cristiani credono a delle stranezze. Penso che si possa rispondere soltanto attraverso una storicizzazione radicale, che ponga l’accento sul contesto storico in cui i testi sono nati: cosa vi significava l’espressione “figlio di Dio” e chi altro l’ha rivendicata per sé? La definizione di figlio di Dio era data ai regnanti, ed ecco che nella Bibbia viene invece attribuita al figlio di un falegname.
9La storicizzazione comporta certo degli scompigli, ma può anche portare a rafforzare ciò che chiamo il carattere appellativo del testo (Appellcharakter). Ho tentato d’illustrarlo con l’esempio della Bibbia, ma Troeltsch è riuscito ad ampliarne l’applicazione. La storicizzazione è necessaria a una comprensione adeguata degli avvenimenti (quando oggi si festeggia la ricorrenza della rivoluzione francese si deve ricordarne la contingenza storica: quali valori all’interno di quella contingenza ci parlano ancora oggi e quali di essi, grazie alla storicizzazione, possiamo scartare?). All’interno di questa genealogia affermativa esistono dunque anche elementi distruttivi.
10Il filosofo tedesco Eduard Spranger utilizza il termine di esistenzialismo storico per difendere la posizione di cui mi faccio portavoce. La storia del pensiero tedesco inclina a fornire temporalizzazioni: con l’espressione “dallo storicismo all’esistenzialismo” afferma che il primo termina nel 1918 e, a partire da quella data, inizia l’esistenzialismo. Non si tratta di una definizione del tutto scorretta, ma non direi che dallo storicismo si passi all’esistenzialismo soltanto. Scorgo dell’altro in figure come Martin Heidegger, Karl Barth o Franz Rosenzweig, per nominarne solo alcuni, anche se capisco che si tratta di un tentativo di definire un cambiamento epocale da un orizzonte di pensiero all’altro.
11Nel romanzo Il cerchio degli angeli75 Gertrud von Le Fort, allieva e confidente di Troeltsch, ne fornisce, a mio avviso, una descrizione letteraria. Vi racconta il parricidio che gli allievi compiono nei confronti del maestro. Durante una cena a casa sua, uno di loro (probabilmente Friedrich Gogarten, anche se i nomi sono contraffatti) si rivolge a lui più o meno nella maniera seguente: “Lei ha fallito completamente nel suo tentativo, è ancora legato allo storicismo e si trova ora in una strada senza uscita. Ciò che Lei ha fatto non ha più nulla da dire alla nostra generazione del dopoguerra”.
12Credo, e il romanzo di Le Fort lo sintetizza, che ci sia stato un momento di “parricidio esistenzialista” nei confronti degli storicisti, per segnare un passaggio a un’interpretazione che richiedeva (e vedeva in atto) un cambiamento radicale. Ma lo storicismo di Troeltsch, in realtà, conteneva già un elemento esistenzialista. Per questa ragione mi piace molto la definizione di storicismo esistenziale; non era più uno storicismo puro, ma uno storicismo già mutato, consapevole del fatto che ogni ricostruzione storica nasce da una situazione storica specifica, indotta dai problemi del presente e dalla volontà di dare inizio, in quella specifica situazione del presente, a un determinato futuro.
13In questo senso la ricostruzione storica è sempre una ricostruzione assicurativa, che anticipa il futuro a livello cognitivo e valutativo. Siccome vogliamo dirigere il nostro presente in una direzione specifica, cerchiamo i nodi di tale sviluppo nel passato, cercandovi le radici di ciò che del nostro presente rigettiamo e di ciò che nutre la nostra speranza per uno sviluppo nella direzione desiderata. Questa versione dello storicismo esistenziale mi appare un modo per riprendere la teleologia senza interpretarla come un’ideologia indipendente dagli accadimenti, ed è un tema che continua a interessarmi.
14Nel mio libro sui diritti dell’uomo dico in una nota che ci sono parallelismi interessanti tra il pensiero elaborato da Troeltsch negli anni Venti (che ho chiamato esistenzialismo storico) e le riflessioni dei pragmatisti dello stesso periodo. Anche per loro la prima guerra mondiale è un momento incisivo. Lo è in maniera più radicale in Germania, ma è argomento sensibile anche in America, dove la prima guerra mondiale ha fatto tacere la speranza di quei pensatori che credevano in un’evoluzione verso il bene. Dewey definisce la fede nel progresso antecedente la prima guerra mondiale come a fools paradise, un paradiso per folli. Chi è sopravvissuto alla guerra, come Mead e Dewey, ha rivisto la propria concezione della storia e del tempo e l’ha dovuta cambiare a fronte degli avvenimenti.
Esperienze di autotrascendenza. Angoscia ed entusiasmo
15Vorrei inoltre, sempre a scopo introduttivo, riprendere due pensieri del libro Abbiamo bisogno della religione?76 che, all’interno della logica di queste lezioni, mi paiono importanti. Prima di tutto, il tema dell’angoscia. Credo di aver sottolineato più volte, anche con una certa autocritica, che nel libro sulla nascita dei valori ho preso in considerazione solo quelle esperienze di autotrascendenza che oggi chiamerei le esperienze entusiasmanti. Ho sempre pensato a esperienze come l’amore o la fusione con natura, e le ho esposte nelle forme positive del bello. Ho tentato di correggermi con il libro sulla violenza e la guerra, dove ho parlato dei terribili sconvolgimenti dovuti a esperienze traumatiche, ma vi è ancora un ambito che, se si vuole elaborare in maniera ambiziosa un’ampia fenomenologia dell’autotrascendenza, va preso in considerazione: quello dell’esperienza dell’angoscia. L’angoscia è molto più della paura di fronte a un eventuale atto di violenza. In Abbiamo bisogno della religione? ho ripreso alcuni pensieri del teologo protestante Paul Tillich e ne ho utilizzato il sistema terminologico. Mi riferisco in particolare al suo libro Il coraggio di esistere77.
16Come ho già detto, credo che il titolo s’ispiri a James, anche se non ne fa esplicito riferimento. Anche Tillich però orienta le sue riflessioni a partire dalla dimensione dell’esperienza (non del sapere o del pensiero) e lì vi colloca la religiosità. Non è la consapevolezza della caducità universale, né l’esperienza della morte altrui ad avere un ruolo centrale, ma il loro effetto sulla sempre latente consapevolezza del nostro dover morire. Ho trovato molto pregnante il suo pensiero perché, sebbene sappiamo tutti di dover morire, la consapevolezza astratta non ha grande significato per la conduzione della nostra vita.
17L’esperienza della morte altrui naturalmente può avere per noi grande rilevanza. Credo che la morte di mio padre sia stato l’avvenimento più pregnante della mia esistenza. Morì improvvisamente quando avevo 10 anni, lasciandomi del tutto privo di mezzi per l’elaborazione di questa perdita. Si dice in psicologia che traumi di questo genere possono perdurare a lungo, mediamente per cinque anni e credo di poterlo confermare dal mio punto di vista biografico. Dai dieci ai quindici anni sono stato una persona improvvisamente e completamene diversa.
18A partire dalla morte altrui, si tende a concepire l’idea di sapere che cos’è la morte. Ma il confronto con la propria morte è cosa radicalmente diversa da quello con la morte altrui. Tillich colloca l’idea del coraggio di esistere proprio a questo livello, cioè nella capacità umana di relazionarsi a essa; non si tratta di un sapere, ma di una dinamica che nasce da un’esperienza che scuote l’intera persona, in questo caso l’angoscia. Ci sono modi e paure molto diverse. Non tutte le angosce sono paura della morte, alcune possono essere la paura di rendersi colpevoli, per esempio, e Tillich le indaga in maniera magistrale. Ciò che m’interessa in questa sede è il fatto che le esperienze di autotrascendenza, che ho descritto come esperienze dell’essere strappati al di là di sé in maniera entusiasmante, hanno una variante che non ci porta fuori da noi stessi, ma che ci rende particolarmente consapevoli dei limiti del nostro essere.
19Ciò ha un ruolo importante nella storia del pensiero religioso; si pensi a Schleiermacher e al sentimento di assoluta dipendenza. Descrive l’idea che io stesso, nelle mie azioni e nella mia richiesta di autonomia, non sono che un essere malfermo. Posso sentirmi forte e capace, ma posso avere esperienze che mi mostrano come tutto ciò sia estremamente caduco. Anche Heidegger ritengo sia una figura centrale in questa trasformazione del pensiero sulla storia e sul tempo, pur se attraverso una dinamica sua propria. Credo che Tillich abbia scritto dopo di lui, anche se non penso che abbia scritto sulla base del pensiero di Heidegger78.
L’esperienza religiosa
20Ritengo che uno dei punti forti della mia definizione di autotrascendenza sia il fatto che non definisca soltanto esperienze religiose in senso stretto, ma che comprenda anche esperienze estetiche o, più in generale, un’ampia gamma di esperienze umane. Alcuni pensatori tendono a chiamarle esperienze religiose, ma non lo sono sempre in senso stretto – per esempio se colui che le fa non le considera tali. Per questa ragione, cioè per il fatto che non tutti le considerano tali, non condivido questa terminologia. Credo invece che si possa evitare, grazie alla mia definizione, di dividere le persone nelle due categorie di credenti e di non credenti: una divisione che voglio assolutamente evitare.
21Una collega mi disse una volta che non riusciva a seguire il mio pensiero perché non aveva mai avuto esperienze come quelle da me descritte. Ma ciò che intendo con l’esperienza di autotrascendenza è un’esperienza che tutti hanno avuto. Detto religiosamente: Dio parla a tutti, anche a coloro che non credono in lui. Con l’idea dell’esperienza di autotrascendenza penso di fare un’offerta di dialogo in quanto credente ai non credenti; sto cercando di dire che le persone religiose non sono persone particolari, ma che interpretano queste esperienze, comuni a tutti, in una determinata maniera, pongono queste esperienze all’interno di un sistema interpretativo religioso.
22L’entusiasmo per la natura diventa, in una cornice interpretativa religiosa, l’incontro con la bellezza e la perfezione di Dio. Ma è innegabile che l’entusiasmo per la natura sia esperienza di molti, anche di tanti non credenti, che possono anche arrivare a sacralizzarla. Si potrebbe dire che non è l’esperienza a essere diversa, ma soltanto la sua interpretazione (che invece è molto divergente o in alcuni casi addirittura contrastante). Non possiamo fare tali esperienze senza metterle all’interno di un contesto interpretativo; esperienze importanti chiamano all’interpretazione.
23Se questa apertura al dialogo costituisce, come credo, la forza della mia terminologia, la sua debolezza potrebbe però risiedere nel fatto di non distinguere quelle che chiamiamo le esperienze religiose in senso stretto dall’ampia gamma di esperienze di autotrascendenza. Per permettere un’ulteriore specificazione introduco, probabilmente influenzato dal mio cattolicesimo, il termine di esperienza sacramentale. Per fare determinate esperienze è necessario disporre di un sistema interpretativo che le permetta. Nel caso prima citato ne andava di esperienze uguali con un’interpretazione diversa: non andiamo incontro all’esperienza come una tabula rasa, l’affrontiamo piuttosto con un bagaglio e una cornice interpretativa, con alcune aspettative rispetto a ciò che l’esperienza potrebbe significare79.
24Spiego ciò che intendo per esperienza sacramentale. Un sistema interpretativo religioso dà la possibilità di andare incontro ad alcune esperienze che, senza di esso, non sarebbero la stessa esperienza e non avrebbero lo stesso significato. Mi riferisco per esempio all’eucaristia che per un cristiano può essere un’esperienza sacramentale e un’esperienza di autotrascendenza. A chi non vi attribuisce alcun significato religioso, l’esperienza è preclusa. Molti protestanti parlano in questo senso di un pasto condiviso come di un momento importante ma, all’interno dello schema interpretativo religioso cattolico, che prevede una fusione con il corpo di Cristo, è molto più probabile che l’esperienza dell’eucaristia divenga un’esperienza di autotrascendenza (il che naturalmente non significa che ogni momento eucaristico debba essere tale per ogni cristiano).
25Alcuni studi spiegano che tale esperienza di autotrascendenza è motivo, per i cattolici, per recarsi a messa (mentre i protestanti vi si recano piuttosto per la predica). Max Weber, che non distingue magico da sacramentale, ha scritto che l’intensità della predica e della magia durante la messa protestante e cattolica sono inversamente proporzionali (e sebbene ritengo scandaloso che non distingua tra i due termini mi pare una definizione interessante).
26Intendo dire che, per certe esperienze, le interpretazioni preesistenti sono costitutive. Ci sono esperienze che un essere umano non può fare se non ha un’interpretazione che lo porta a pensare che quell’esperienza sia possibile. Introduco così la specificità dell’esperienza religiosa tra le esperienze umane, anche di esperienze specifiche (che non sono più universali), come l’esperienza della fusione nell’eucaristia, per le quali la vita religiosa è un presupposto.
La fede come opzione
27Possiamo così ora giungere al libro La fede come opzione80, di cui vorrei spiegare il titolo e la tesi fondamentale. Come molti avranno notato, il titolo riprende la terminologia del lavoro monumentale di Charles Taylor, L’età secolare81. Taylor è forse uno dei filosofi cattolici più influenti del nostro tempo e ha scritto un libro che definirei una “storia dello spirito della crescita dell’opzione secolare”. L’espressione “opzione secolare” è dunque sua. Egli mostra come, a partire dal tempo moderno, e in particolare a partire dal xviii secolo, s’imponga un’immagine del mondo che rinuncia alla trascendenza, che addirittura la rifiuta in maniera aggressiva: una cornice immanente (immanent frame). Ne risulta un’immagine del mondo interamente immanente, nel cui contesto avvengono grandi cambiamenti giuridici e politici: le dichiarazioni pubbliche di laicità vengono accettate in maniera crescente. La laicità è diventata un’opzione possibile, la censura, almeno in alcuni paesi, allarga le maglie e lascia passare pubblicazioni dal contenuto antireligioso. Proprio a causa della censura, è particolarmente difficile ricostruire le espressioni contrarie alla fede di tempi precedenti. Nonostante siano sicuramente esistiti precorritori del laicismo o dell’ateismo è quasi impossibile trovarne articolazione all’interno dell’Europa cristianizzata.
28Taylor definisce questo mutamento come opzione secolare. Mi sembra un’espressione geniale per due ragioni: in primo luogo perché è un termine migliore di secolarizzazione che, al di là della molteplicità di significati che può assumere, sembra sempre comprendere indistintamente intere comunità e società. Ed ecco che invece l’idea dell’opzione secolare lascia intendere che le persone possono evolvere in maniera diversa all’interno di una storia nazionale. Inoltre, e il secondo punto mi pare ancora più importante, l’espressione «crescita dell’opzione secolare» mostra che non si tratta tanto di dismettere qualcosa che già c’era, ma di aggiungere qualcosa di nuovo (mentre il termine secolarizzazione sembra invece indicare che qualcosa viene a mancare).
29Taylor parla di una storia della sottrazione anche all’interno dell’auto descrizione dei critici della religione. In molte autorappresentazioni ciò che esisteva prima dev’essere eliminato, come il fanatismo o la superstizione (i termini classici cui opporsi nel xviii secolo), così che si potrà esprimere la vera umanità, cioè la naturale razionalità dell’uomo. Credo però sia assurdo definire come naturale una cosa che non c’era mai stata prima. Nell’autodescrizione accade proprio questo: presuppone che ci sia storicamente una natura sepolta che si compie quando finalmente sono eliminati gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di ciò che da sempre sarebbe dovuto essere. L’idea della crescita dell’opzione secolare mostra invece che si aggiunge semplicemente la possibilità di diventare pubblicamente un non credente. Ciò non deve significare che tutti lo debbano essere, ma solo che possono diventarlo.
30La fede si deve mettere in relazione con questa nuova opzione. Non esiste però una legge che affermi che la fede deve sparire perché si è aggiunta un’altra possibilità. Per questa ragione, il passaggio successivo del mio pensiero è quello d’indagare se la nuova opzione viene assunta in maniera differente da persone e gruppi di persone diverse. Vorrei illustrarlo più ampiamente, poiché credo che lo studio di Taylor costituisca piuttosto un contributo di storia dello spirito e che per questa ragione manchi di alcuni fondamenti empirici dal punto di vista di un sociologo. Allo stesso tempo contiene una grande quantità di spunti da offrire alle domande sociologiche articolate.
Alcuni esempi
31Il movimento operaio in Germania del xix e xx secolo era fortemente secolare. La socialdemocrazia tedesca ha avuto a lungo, fin dopo la seconda guerra mondiale, una concezione secolare di sé, ed era in rapporto molto teso con la Chiesa cattolica82. Prima, sarebbe stato impossibile. A livello internazionale, questa situazione non era omogenea. Il movimento operaio inglese non fu secolare quanto quello tedesco, e al suo interno vi furono alcune correnti religiose. La percezione e la possibilità di prendere in considerazione l’opzione secolare non era neanche uniforme nelle diverse fasce sociali o nei diversi paesi. Non possiamo cadere nella trappola in cui sono caduti i sociologi tedeschi che, come Werner Sombart (e per alcuni versi anche Karl Marx), hanno interpretato il secolarismo del proletariato e del movimento operaio come sintomo dell’allontanamento dalla natura. Se fosse vero che coloro che lavorano a contatto con le macchine si allontanano dalla fede, ciò dovrebbe valere per tutti i paesi industrializzati. Io credo, come sostengo nel libro, che la spiegazione non vada cercata nelle condizioni dell’industrializzazione, ma che abbia che vedere piuttosto con una sociologia politica, per esempio con la delusione nei confronti della Chiesa. Un atteggiamento simile si manifestò all’interno del liberalismo prussiano, che nel 1848 abbracciò la rivoluzione nella speranza che la Chiesa (in questo caso quella protestante) sostenesse il suo desiderio di cambiamento. Ma la Chiesa protestante si mise dalla parte degli Hohenzoller; fu uno dei motivi fondamentali per il quale, a mio parere, il liberalismo tedesco (soprattutto nella seconda metà del xx secolo) si allontanò dalla Chiesa e divenne secolare.
32Naturalmente ciò può valere per paesi interi: il tema dominante nella sociologia della religione negli anni Sessanta e Settanta era la domanda sul perché gli Stati Uniti fossero tanto più religiosi rispetto alla media dei paesi europei. Appariva incomprensibile, perché si credeva che lo sviluppo europeo si svolgesse secondo una specie di naturale evoluzione sociologica secolare di cui l’America costituiva un’incomprensibile deviazione. Quando ero al Kennedy Institut di Berlino (l’istituto per la ricerca sul Nord America) seguii, insieme a un economista, una tesi di dottorato. La dottoranda mi chiese in che senso l’America, religiosamente parlando, fosse un paese in via di sviluppo. La tesi che soggiace a una tale dichiarazione è quella secondo cui i paesi in via di sviluppo sono religiosi, mentre i paesi economicamente avanzati come l’America non dovrebbero esserlo. Si tratta di una visione ingenua per cui la modernizzazione porta inevitabilmente alla secolarizzazione. All’interno di un’altra cornice di riferimento invece – quella dell’opzione secolare – ci si può chiedere perché negli Stati Uniti dal tardo xviii secolo le persone non abbiano sentito la necessità di scegliere l’opzione secolare. Si tratta di riformulare la domanda, in modo da lasciare spazio a nuove risposte.
33In Francia, nel xviii secolo, la fusione tra altare e trono, tra monarchia e Chiesa era tale che chiunque fosse stato scontento per motivi politici, economici, o per ragioni teologiche, si sarebbe inevitabilmente scontrato contro questo monolite. L’unica opzione possibile era quella di rivolgersi contro entrambi. Si tratta, detto così, di una semplificazione, ma credo che a grandi linee la crescita della scelta secolare in Francia abbia che vedere con la fusione tra potere politico e religioso. In America invece una tale fusione non è mai esistita, perlomeno tra i protestanti83.
34Ma anche l’Europa, al suo interno, è molto eterogenea. Ci possono essere differenze tra Stati confinanti per i quali si potrebbe presupporre un orientamento similare (si pensi per esempio alla Repubblica Ceca, uno dei paesi più secolarizzati d’Europa, e alla Slovacchia, invece molto religiosa). Si tratta di evoluzioni e meccanismi molto complessi e naturalmente non basta un cambio terminologico per renderne accessibile la complessità, ma credo che l’idea della scelta dell’opzione possa servire a chiarirla.
35Del lungo elenco di esempi che potrei ancora fornire in merito, nomino ancora la differenza di genere. In Europa, in linea generale, l’opzione secolare viene scelta più spesso dagli uomini che dalle donne. In Germania negli anni precedenti la prima guerra mondiale ci furono veri e propri movimenti impegnati a fare uscire gruppi interi dalla Chiesa (per esempio il movimento operaio). Ebbero poco successo, e pare che uno dei motivi del loro fallimento fosse la resistenza delle donne, poco inclini ad accettare un allontanamento dalla chiesa da parte di mariti, figli e amanti. Dopo la seconda guerra mondiale ci fu un grande cambiamento. Uno storico britannico, Kelen Brown, parla di una “femminizzazione” della mancanza di fede negli anni Sessanta e Settanta, durante i quali le donne si allontanarono dalla fede e si moltiplicarono in maniera esponenziale gli abbandoni della Chiesa, poiché anche quegli uomini che prima non ne erano usciti a causa della resistenza delle donne, si sentirono liberi di farlo.
36Un’ulteriore domanda potrebbe riguardare gli omosessuali. La regola generale in sociologia dice che gli uomini omosessuali sono, in media, più religiosi degli eterosessuali, mentre le donne omosessuali sono più spesso secolarizzate. Si tratta di questioni empiriche e, anche se parlo di una regola generale, questa non costituisce certo una legge. Possono esserci grandi differenze, a seconda del livello sociale o dell’area geografica. In ambito sociale, la stessa domanda negli Stati Uniti dà risposte differenti da stato a stato e da un ceto sociale all’altro. Nella Germania dell’Est per esempio il ceto sociale più basso è piuttosto secolare, viceversa la borghesia è religiosa (mentre molto spesso si verifica il contrario). La religiosità si ripercuote anche sul sistema educativo, perché genitori non credenti possono scegliere scuole religiose per i loro figli. Sono i figli allora che possono influenzare i genitori da un punto di vista religioso.
37Cosa accade invece all’interno di diversi ambiti scientifici? Un’ipotesi triviale presuppone i biologi come non credenti. Si potrebbe pensare che i loro studi comportino processi e argomentazioni che contrastano con la fede religiosa. Nel 1916 la ricerca empirica sulla situazione indicò gli psicologi come i meno credenti, a differenza dei biologi, che in media lo erano di più. Nel 1969 la stessa analisi fu ripetuta con gli stessi risultati. Come avrete capito, questo tipo di analisi mi diverte e potrei continuare a lungo, ma credo di dover tornare invece all’analisi del titolo del mio libro.
Opzione e giustificazione
38Il titolo Glaube als Option si propone come reazione all’idea della nascita, dello sviluppo e della diffusione dell’opzione secolare. Intendo dire che, attraverso l’ampliamento dell’opzione secolare, cambiano i presupposti per i credenti poiché, non appena s’inserisce l’opzione secolare, i credenti si trovano di fronte alla necessità di giustificare la loro fede. Quando coesistono diverse forme di vita religiosa, l’eventuale giustificazione riguarda solo la scelta tra le diverse forme di fede. Con la presenza dell’opzione secolare invece, si aggiunge la domanda sul perché della fede stessa. Si tratta di una domanda difficile per i credenti a livello fenomenologico, perché coloro che credono non sono credenti “in generale”. La domanda “per quale ragione sei credente” presuppone che, prima della scelta di una fede specifica, ci sia stata la scelta della fede in sé. Ma quasi nessuno di coloro che hanno una fede religiosa si è deciso per questa in due momenti distinti (essere o non essere credente in un primo tempo e poi, successivamente, scegliere una delle possibilità di fede). Il church shopping di cui ho parlato avviene in una comunità in cui esiste una condivisione teologica su basi fondamentali.
39A causa dell’opzione secolare nasce però una nuova situazione di richiesta di giustificazione. La fede come opzione significa quindi: la fede di fronte alla possibilità di non credere. E ciò costituisce una differenza storica dalla situazione generale fino al xviii secolo. Per le società altamente secolarizzate non soltanto si tratta di giustificare la fede di fronte alla possibilità di non credere, ma di fronte alla normalità dell’assenza di fede. Se il xviii è il secolo della nascita dell’opzione secolare, il xix è quello della sua diffusione, e aggiungerei che in Europa occidentale, dopo il 1965, inizia il tempo della normalizzazione dell’opzione secolare.
40Gli equilibri sono cambiati: non sono più i non credenti a doversi giustificare per la mancanza di fede, ma al contrario i credenti a dover giustificare la loro religiosità. Uno studio ha mostrato che nella Germania dell’Est le persone rispondono alla domanda sulla loro religiosità (la risposta comporta un sì o un no) con la frase “no, io sono normale”. Per normale s’intende non cattolico, non protestante, non musulmano e non religioso in qualunque altra maniera. Quest’idea della mancanza di fede come normalità, chiaro segno di un processo di normalizzazione dell’opzione secolare, mi ha molto colpito. Non so se in Italia si presenti una casistica simile; io mi riferisco a paesi che conosco empiricamente e in cui è in atto un drammatico cambiamento storico.
41Ho dedicato il libro a mia nonna, «per la quale la fede non era ancora un’opzione». Non intendevo dire che non fosse credente, ma che era talmente credente da non essere nemmeno sfiorata dall’idea dell’opzione secolare. Mi ricordo che da bambino mi raccontò di aver sentito parlare dell’esistenza di persone non credenti. Non ne aveva mai conosciuta una. Che qualcuno potesse dubitare della cosa più evidente, cioè dell’esistenza di Dio, era per lei un caso incredibile. Le evidenze soggettive sono molto cambiate.
42Inizialmente avrei voluto intitolare il libro La religione nelle condizioni della contingenza, ma mia moglie mi fece notare che nessuno l’avrebbe letto, poiché nessuno avrebbe capito che cosa significava. È stato difficile trovare quest’altro titolo, che credo esprima il concetto che mi è caro, ma che implica un possibile fraintendimento: l’idea della religione come scelta. Peter Berger sottolinea che la religione è ormai oggetto di scelta. Ma io includo e sottolineo l’elemento passivo nelle nostre esperienze di autotrascendenza, che in tale concetto di scelta rischia di andare perduto. La scelta presuppone inoltre uno spettro di possibilità date tra le quali esprimo una preferenza, senza grande coinvolgimento interiore. Il termine è dunque inadatto alla fenomenologia delle esperienze di autotrascendenza e alla fenomenologia della nascita della fede. La fede non nasce per un atto di scelta; la scelta risiede semmai nel fatto di rendere pubblicamente riconoscibile ciò che è una spontanea sensazione di certezza soggettiva. Che un cristiano si possa sentire attratto dall’Islam non ha che vedere con una dimensione di scelta, ma con qualcosa di più profondo.
Possibilità di futuro per il cristianesimo
43Vorrei soffermarmi brevemente anche sul sottotitolo del libro: Possibilità di futuro per il cristianesimo. Si riferisce al titolo di un articolo del 1910 di Ernst Toeltsch cui ho semplicemente sottratto l’articolo84. “Zeitzeichen”, un’importante rivista protestante in Germania, mi chiese un discorso per un suo anniversario, che tenni nella Jebensstrasse di Berlino, esattamente nella casa accanto alla quale Troeltsch, nel 1910, aveva tenuto il suo. Decisi che avrei riletto il testo di Troeltsch sul futuro del cristianesimo cento anni dopo, e tentato di mettermi in relazione con ciò che aveva detto rispetto alle problematiche, alle possibilità e agli sviluppi del cristianesimo.
44Mi rendo conto che molte persone reagiscono in maniera irritata al fatto che sottolineo le possibilità future del cristianesimo. Ciò è legato al fatto che in Europa (non così in America) prevale la sensazione di decadenza e tramonto del cristianesimo. Secondo loro, la domanda più pertinente dovrebbe essere piuttosto se il cristianesimo può sopravvivere. Non condivido questa sensazione di decadenza e declino, forse anche a causa della mia vita condotta in diversi paesi.
45Tuttavia, al di là delle sensazioni, dobbiamo riconoscere che oggi ci troviamo di fronte a un momento di massima espansione storica del cristianesimo, anche se ciò non avviene in Europa. Uno storico anglo-americano, Philip Jenkins85, segnala, insieme alla crescita della popolazione dei paesi cattolici del terzo mondo (per quanto consideri un po’ anacronistica quest’espressione), un considerevole aumento dei cristiani, il che significa un deciso aumento delle conversioni al cristianesimo. In Africa, così Jenkins, il numero dei cristiani africani cresce mediamente ogni giorno di 23 000 unità, e ciò è dovuto tanto all’aumento della popolazione, quanto alle conversioni.
46Un altro caso interessante e molto studiato dalla sociologia è quello della Corea del Sud, che a sua volta contraddice l’aspettativa europea secondo cui modernizzazione e secolarizzazione sono in necessaria relazione. Il rapidissimo sviluppo della Corea del Sud negli anni dopo la seconda guerra mondiale non ha portato infatti a una secolarizzazione, ma piuttosto a una cristianizzazione protestante. Alcuni studi la deducono dal sentimento antigiapponese in Corea; non sono sempre soltanto fattori religiosi a portare alla cristianizzazione. Il caso più emozionante e il più difficile di cui parlare empiricamente è la Repubblica popolare cinese. Ci sono chiari segnali di forti conversioni al cristianesimo in grandi parti della Cina, non certo favorite da parte dello Stato. Sarebbe pura speculazione chiedersi che cosa accadrebbe se questa pressione diminuisse.
47In questo senso si può certo dire che esiste un futuro del cristianesimo, anche se potrebbe sembrare che esista al di fuori dell’Europa. Coloro che credono in una legge specifica dell’evoluzione saranno portati a credere che in quei paesi il cristianesimo sarà destinato a scomparire come in Europa, ma già nel presente ci sono enormi ripercussioni di quest’espansione sul cristianesimo europeo, a partire dalla migrazione, e là dove le chiese non sono organizzate all’interno di una struttura statale. Si tratta di una tematica molto importante per la Chiesa anglicana e in un certo senso anche per la Chiesa cattolica. La provenienza sudamericana dell’attuale Papa potrebbe essere letta come una ricollocazione consistente, un riconoscimento istituzionale del cambiamento del suo fulcro.
Secolarizzazione e modernizzazione
48Vorrei ora spiegare la tesi fondamentale di La fede come opzione, che è da poco disponibile in italiano e che spero vogliate leggere. I dibattiti di politica religiosa del xix e del xx secolo sono stati a lungo dominati da due tesi, entrambe sbagliate. Una di queste è sostenuta soprattutto dai secolarizzati e non credenti, l’altra invece dai credenti. La prima, la tesi della secolarizzazione, presuppone che la religione sia destinata a indebolirsi con la modernizzazione e, tendenzialmente, a sparire86. La tesi, già presente dal xviii secolo, vede un legame di necessità interna tra la modernizzazione, intesa come sviluppo economico e tecnico-scientifico, e l’indebolimento del cristianesimo.
49Sarebbe interessante indagare l’origine di questa convinzione. Il primo autore che ho trovato farvi riferimento è un inglese che, nel 1702, esprime l’opinione che da lì a duecento anni il cristianesimo in Europa non sarebbe più esistito. Si tratta di ricerche empiriche e sarei molto felice se qualcuno trovasse altri riferimenti alla genesi di quest’idea, molto difficile da ricercare. Ho trovato inoltre un passaggio in Tristam Shandy di Laurence Sterne, che parla di una decadenza del cristianesimo in Europa, anche se, dalle poche righe e per il carattere spesso ambiguo dell’autore, non è chiaro con che spirito egli lo profetizzi. Ci sono infine riferimenti al fatto che Federico II di Prussia sostenesse l’idea che la fine del cristianesimo sarebbe avvenuta nel giro di pochi decenni. In molti, nel tempo, hanno abbracciato questa tesi, che è giunta fino alla base delle discipline sociali dove, tolte alcune poche eccezioni, è divenuta un’idea dominante. Oggi invece i sociologi convengono che si tratti in effetti di una tesi sbagliata, e che la modernizzazione non comporti necessariamente la secolarizzazione.
50Una parte del libro sulla fede come opzione è dedicata proprio a questa posizione. Ci si può occupare di questo fenomeno empiricamente a diversi livelli. Si può domandare, per esempio, quale sia la concezione della religione implicita in coloro che propongono questa tesi (cos’è per loro la religione che viene meno). Spesso si scopre che è la concezione della religione stessa a determinare questo risultato. Se la parola “credere” viene intesa nel suo utilizzo quotidiano, allora comporta una specie di predeterminazione scientifica che condanna questo “credere” insicuro a essere soppiantato dal “sapere” scientifico. Si tratta, a mio avviso, di una concezione inadeguata della fede religiosa, che è anzi caratterizzata proprio da un carattere di certezza, quasi il contrario di ciò che è espresso dal verbo “credere”.
51I principali promotori di questa tesi della secolarizzazione sono lo studioso dei cambiamenti di valori Ronald Inglehart e il sociologo della religione tedesco Detlef Pollack. In Inglehart è chiaramente riconoscibile l’idea che la fede è espressione di una mancanza e di un bisogno non soddisfatto così che, là dove i bisogni diminuiscono, diminuisce la religiosità. Nelle sue parole ciò si definisce attraverso l’insicurezza esistenziale (existential insecurity). Egli si riferisce, per esempio, alla paura di morire o alla paura di fronte alle malattie. Una medicina più evoluta e migliori condizioni di vita determinerebbero quindi la secolarizzazione. Il tema è molto controverso e non posso ripercorrerlo per intero, ma sottolineo la possibilità di un nuovo livello di valutazione che coinvolge, per esempio, la riflessione sulla concezione implicita della religione che vi è sottesa. Credo che una concezione più adeguata della religione potrebbe portare a una migliore analisi della situazione, nonché a più precise prognosi.
52Un altro dato, più semplicemente empirico, riguarda la domanda se i fenomeni di secolarizzazione esistenti siano in effetti in relazione con processi di modernizzazione. È possibile trovarvi un nesso obbligato? Se si guarda agli Stati Uniti è poco plausibile, ma lo è anche per l’Europa. L’eterogeneità dell’Europa, anche in relazione all’eterogeneità dei comportamenti religiosi e del loro rapporto con la modernizzazione nei diversi paesi, non implica necessariamente questa tesi. Un pioniere della direzione di pensiero che propongo è l’inglese David Martin. Questo signore ormai ottantenne fu professore alla London School of Economics, un ambiente tendenzialmente di sinistra, dove negli anni Sessanta tutti erano convinti della tesi della secolarizzazione. Era considerato quasi pazzo perché era l’unico a non aderirvi87.
53L’apertura a una prospettiva extraeuropea minaccia in maniera naturale questa tesi della secolarizzazione, ed è uno dei motivi per cui direi che il 95 per cento delle opinioni all’interno dell’ambiente scientifico si sono ormai discostate da questa tesi. Le prognosi europee non si sono storicamente avverate e anche l’America, vista inizialmente come un’eccezione alla regola, costituisce ora piuttosto la normalità. In questo senso si potrebbe, esagerando, considerare l’Europa come l’eccezione.
54In ogni caso, il presupposto che la modernizzazione porti necessariamente alla secolarizzazione era sbagliato, e ciò significa molto per le discussioni sulla religione. Significa che coloro che non credono possono continuare a farlo, ma l’idea che la mancanza di fede li collochi all’apice dello sviluppo dell’evoluzione cade, come cade l’implicita definizione dei credenti come esseri retrogradi. La presupposizione del carattere retrogrado dei credenti ha a lungo determinato il dibattito della sociologia della religione, e in parte lo fa ancora (con il consueto ritardo tra opinione scientifica e opinione pubblica). Invito a porre particolare attenzione alla parola “ancora” nei dibattiti religiosi. Spesso si dice “vige ancora l’opinione”. Questo “ancora” deriva dalla teoria evolutiva per la quale molti credono di sapere in che direzione necessariamente la storia debba evolversi; in base a questo ragionamento pare che alcune persone si sentano più vicine di altre al télos della storia.
Secolarizzazione, cristianesimo e morale
55Non vorrei che quanto dico venisse inteso come un’apologia della fede, poiché se vi è un’apparente certezza dei secolaristi, ve n’è una che, come vedremo, appartiene piuttosto ai credenti. Esistono inoltre laici, anche se costituiscono un’eccezione, che non hanno fondato l’idea della secolarizzazione su quest’idea della storia, così come ci sono stati credenti che invece vi hanno fatto ricorso. Alcuni cattolici, per esempio, hanno respinto la modernizzazione perché l’hanno interpretata come un pericolo per la fede (ciò vale probabilmente per le prime forme di fascismo di Franco).
56Esiste però una tesi che si contrappone alla teoria della secolarizzazione e che è sostenuta piuttosto in ambiente religioso. La controtesi nei dibattiti religiosi dice che, in fondo, un essere umano senza religione non può propriamente esistere. Che cosa ciò significhi e perché non possa esistere davvero trova motivazioni molto diverse, a partire dalla tesi che mira all’idea dello Stato e del collettivo, alla stabilità dell’ordine sociale dato dalla religione, fino alle tesi secondo cui chi è senza religione agisce in maniera meno morale, è più facilmente egoista e infelice, dato che gli viene a mancare un assunto antropologicamente fondamentale e addirittura, a livello medico, si ammala più spesso. In America molti psicologi e sociologi della religione, spinti dai fondamentalismi religiosi, hanno condotto studi empirici cercando di dimostrare che i non credenti sono più spesso afflitti dal cancro. Reagisco a questi studi con un certo possibilismo (il risultato empirico in quanto tale va rispettato), ma non li considero di grande interesse, intanto perché non credo che qualcuno possa essere attratto dalla fede perché gli viene spiegato che fa bene alla salute, e poi perché questo genere di ricerca riduce la fede a una terapia di suggestione. Istituiscono una pedagogia della minaccia piuttosto che un invito.
57Anche l’argomento che uno Stato non possa funzionare senza una religione non trova la mia approvazione, e può dare luogo a fenomeni di cinismo. A questo proposito amo citare Maurice Barrès, un pensatore che si orientava piuttosto a destra, e che dichiarava di essere «ateo, ma naturalmente cattolico». Significa, secondo me, che come intellettuale si considerava ateo ma, poiché era cosciente del fatto che la propagazione della consapevolezza esoterica e intellettuale poteva essere pericolosa per le istituzioni, s’impegnava politicamente per il mantenimento del cristianesimo, ritenuto appunto utile alla stabilizzazione dello Stato. Se la mia interpretazione è giusta, si tratta di una posizione profondamente cinica (in quanto implica il possesso di qualcosa che non intende condividere con gli altri).
58Oggi possiamo indagare in modo empirico e adeguato se queste due tesi siano sociologicamente attendibili. Si può investigare, per esempio, se nei paesi più altamente secolarizzati si sia instaurata una decadenza morale. Ho trascorso molto tempo in Svezia, un paese altamente secolarizzato. Per quanto riguarda gli indicatori della moralità pubblica, la Svezia è all’apice dei segnalatori di transparency international per assenza di corruzione a ogni livello, economico e statale (la morale delle tasse per esempio: la dichiarazione dei redditi di ogni singolo cittadino svedese è pubblicata in rete – non credo che valga la stessa cosa in Italia e in Germania, dove esiste il diritto al segreto). In Svezia si argomenta a partire dall’idea di essere parte di una comunità in cui nessuno ha nulla da nascondere. Vi è ampio consenso per questo modo di procedere, e non si tratta soltanto di un’imposizione normativa; è frutto di una moralità egualitaria che richiede si sia trasparenti. Si tratta, credo, di una tradizione protestante. La ragione per la quale gli olandesi non hanno le tende è legata, in maniera analoga, all’etica calvinista, che dice che non si deve avere nulla da nascondere allo sguardo degli altri cristiani.
59Ciò che voglio affermare è che non si può dire, anche se non si tratta di una prova causale, che i paesi europei più secolarizzati siano quelli con una morale pubblica meno diffusa. Attenzione però a quello che in sociologia si chiama il corto circuito ecologico (ökologischen Fehlschluss). Sarebbe sbagliato concludere che dove c’è un’alta moralità pubblica e un basso tasso di religiosità le due cose siano necessariamente in relazione. Un tale enunciato necessiterebbe di ulteriori analisi: la distinzione dell’atteggiamento tra gli svedesi credenti e i non credenti, per esempio.
60Non sappiamo se l’atteggiamento morale in Svezia, di recente secolarizzazione, sia connessa al retaggio protestante che ha fortemente segnato la storia svedese. Se davvero si tratta di una secolarizzazione sorretta da un’eredità religiosa, si potrebbe pensare che, nel giro di qualche generazione si indebolirà; esiste però la possibilità (e io propendo per questa ipotesi) che la morale pubblica si ricostruisca anche senza un sostegno religioso. Non credo infatti che la morale in ogni suo aspetto sia basata sui valori (come ho spiegato, può trarre origine anche da altre fonti). Ci sono fonti per norme che non si fondano sui valori e che non sono connesse a processi di secolarizzazione e ci sono norme basate su valori che non devono per forza essere religiosi. Bisogna tenere conto della possibilità che esista un’intensa moralità secolare, e che sia un fenomeno vivo e vitale. La ricerca empirica, in ogni caso, non sostiene nessuna delle due tesi sulle secolarizzazione.
61A questo riguardo cito anche l’articolo di Troeltsch che s’intitola l’etica atea. Molti atei hanno una forre struttura etica, e sono divenuti atei proprio a partire dalla loro moralità – magari perché si sono sentiti respinti dall’immoralità dei predicatori della Chiesa. In questo senso la moralità non diminuisce, ma acquisisce una caratteristica di particolare intensità. Credo che si tratti di un aspetto fondamentale per gli intellettuali atei del xix secolo in Germania88. Che la secolarizzazione porti necessariamente a un decadimento morale è una tesi ormai confutata. Si tratta di un dato empirico, anche se da un punto di vista di apologia della fede potrebbe fare piacere il contrario.
62Credo che in Europa ci troviamo in un momento storico in cui la discussione sulla religione tra credenti e non credenti potrebbe finalmente liberarsi di questi due argomenti, che non hanno via d’uscita. I non credenti dovrebbero smettere di considerare i credenti come dei relitti e i credenti dovrebbero finalmente smettere di considerare i non credenti come un pericolo potenziale per la morale (e di vedere sé stessi come moralmente superiori). Se si rinuncia a queste tesi, si può iniziare a parlare di questioni politiche lasciando a latere le questioni religiose e si può altresì parlare di fede. Non quindi della politica, ma delle esperienze umane (e naturalmente delle esperienze di autotrascendenza). Si tratta di creare un’atmosfera completamente diversa e più fruttuosa per la discussione e il dialogo.
La questione della modernità e il tema del futuro
63Ho poi dedicato alcuni capitoli alla questione del termine “modernità”89. L’opinione su quando questa modernità sia iniziata è molto varia. Si indicano momenti specifici per l’inizio della modernità, che sono collocati in uno spettro temporale assai ampio, tra il xv e il xx secolo. Non possono essere tesi vere allo stesso tempo; il che non deve fermare nessuno di fronte alla possibilità di dire: per me la modernità inizia con la Riforma, o con la scoperta dell’America, o con l’espugnazione di Bisanzio, o con la fine della guerra dei trent’anni, o della rivoluzione francese, o con la rivoluzione industriale, la prima guerra mondiale, l’invenzione della pittura astratta, o del romanzo politico, dei movimenti del Sessantotto o con il crollo del comunismo, e così via. Non è possibile però che sia vero per ognuna di queste. Si rischia di non riuscire a comunicare quando si parla semplicemente di modernità, invece di fornire un indice temporale definito e chiaro. Mi piacerebbe quindi fare un appello: chiedo di rinunciare al termine modernità per i prossimi cinquant’anni e di usare invece delle date e una cronologia (oppure uno stato di fatto) specifici.
64Nei capitoli centrali cerco dunque di scuotere la certezza del termine modernità e di risvegliare l’idea che ci serva un’alternativa, o attraverso l’indicazione di date o, ancora meglio, attraverso più raffinati enunciati teoretici sulle connessioni di ciò che nelle teorie della modernità ci appare in relazione. Cosa lega e come si relazionano capitalismo e democrazia? Si tratta di porre domande sulla connessione interna di quelle che consideriamo relazioni interdipendenti. Capitalismo e democrazia possono essere considerate come parte della modernità, ma il termine della modernità ne presuppone in maniera superficiale un nesso, ed è per questa ragione che ci si ritrova costantemente nella condizione di dover ammettere delle eccezioni. L’alternativa alla generalizzazione del termine “moderno” è molto complessa e, per trovarla, si deve opporre resistenza al feticismo della modernità, per dirla con un titolo del politologo canadese Bernard Yack90.
65La parte finale del libro sulla religione si rivolge al tema del futuro, sia da un punto di vista teorico, sia da un punto di vista sociologico (per quanto non credo che le due cose siano in contrapposizione). Una parte si occupa dunque delle sfide intellettuali per un futuro del cristianesimo, e l’altra si rivolge alle possibili prognosi sociali ed empiriche.
66Un argomento già ricordato riguarda l’attuale tendenza del cristianesimo alla globalizzazione, che ha conseguenze future prevedibili, mentre il capitolo sulle sfide intellettuali è più impegnativo. Ci sono, io credo, quattro aspetti per i quali il cristianesimo è particolarmente forte, anche se per far emergere tale forza servirebbe un grande lavoro intellettuale. Sono l’etica dell’amore cristiano, la concezione della persona, quella della comunità nella condivisione del culto e quella della trascendenza. I quattro punti avrebbero bisogno di una spiegazione approfondita, e ognuna di queste concezioni presenta problemi specifici nel farsi strada all’interno di un’egemonia intellettuale da cui sono esclusi. Si tratta per me di un passaggio programmatico, quasi di un manifesto, che contiene argomentazioni che desumo anche da pensieri precedenti e che invito ad approfondire con la lettura dei libri citati91.
67Qualcuno potrebbe dire che mancano due punti che hanno un ruolo importante nel dibattito pubblico, almeno nel cristianesimo cattolico. Il primo è quello relativo alla sessualità, ma mi permetto di dire che non vi vedo alcuna sfida intellettuale, soltanto una necessità di riforma interna e istituzionale (i cattolici americani per esempio hanno una vera ossessione nei riguardi delle domande sulle questioni sessuali). Posso rispondere sul tema, ormai logoro, soltanto a partire dall’etica dell’amore cristiano, e non certo a partire da idee antropologiche. È possibile trattare questi argomenti, ma la vera sfida intellettuale non risiede qui e il nuovo papa fortunatamente sembra avere un atteggiamento vitale, che colloca questo tipo di domande a un altro e più semplice livello.
68La seconda apparente mancanza riguarda ciò che il precedente papa Ratzinger chiamava il principale problema intellettuale dell’attualità: la dittatura del relativismo. Mi permetto di dire che il termine dittatura è scorretto, poiché sono ben cosciente, anche a causa di ragioni storiche tedesche, di non vivere affatto sotto una dittatura e si potrebbe piuttosto parlare con Gramsci di egemonia. Ma anche l’idea del relativismo mi sembra sbagliata. Non vedo né dominanza né egemonia intellettuale del relativismo, e credo che il termine nasca in coloro che hanno una concezione sbagliata delle condizioni dell’oggettività della conoscenza (e cioè hanno una consapevolezza non pragmatica o pragmatista delle condizioni dell’obiettività della conoscenza o della valutazione).
69Coloro che non hanno questa consapevolezza tendono continuamente a vedere gli altri come se fossero dei relativisti, mentre credo che il numero dei veri relativisti sia minima. Certo, il numero delle persone che hanno una concezione diversa da me rispetto a ciò che è vero può essere molto alta, ma esse ritengono vero qualcos’altro e non niente. Le diverse e concorrenti pretese di verità ci mettono di fronte a una situazione di pluralismo e non di relativismo. Chiunque sia convinto di certe pretese di verità ha il dovere, proprio per questa pretesa, di mettersi allo stesso livello degli altri (che hanno, a loro volta, pretese di verità). Si tratta di una concezione democratica della verità. Costituisce, a mio avviso, una sfida intellettuale.
70Concludo così le brevi considerazioni sul libro La fede come opzione, nella speranza che abbiano fornito un breve invito alla lettura.
Ultime riflessioni
71Vorrei utilizzare gli ultimi minuti per parlare del mio lavoro attuale. Quest’anno per me è segnato dalla stesura di brevi testi distinti. Ne richiamerò qui solo due. Il primo l’ho presentato in Olanda come lezione Tommaso Moro, e al Wissenschaftskolleg a Berlino. Costituisce un seguito al libro sui diritti dell’uomo.
72Siccome la mia trattazione specifica dell’abolizione della schiavitù in America e dell’abolizione della tortura in Europa è stata utilizzata, contro le mie intenzioni, per sostenere la superiorità morale dell’occidente o del cristianesimo, ho tentato di approfondire l’argomento. Con una metodologia che si muove tra la storia della sociologia e la filosofia ho tentato di dimostrare che la schiavitù non è mai stata tanto sistematizzata quanto in occidente proprio nel momento storico (il xviii secolo) da tutti descritto come fondamentale nella storia della libertà europea. Nello stesso periodo in cui diventa impensabile che degli europei siano privati dei loro diritti, vengono condannate alla schiavitù migliaia di persone, proprio da coloro che promuovono il principio della libertà. Si pensi a Locke, per esempio, che possedeva delle azioni nella tratta degli schiavi.
73Analogamente la tortura – come ho già detto – non fu abolita nelle colonie nel xx secolo, proprio in un momento in cui Inghilterra e Francia furono attive nei confronti dei diritti dell’uomo. Non soltanto avevano mantenuto la tortura nelle colonie, ma la eressero a sistema in grande stile, con conseguenze che giungono fino a oggi, per esempio nella conduzione bellica americana. Si tratta di una tematica molto interessante su cui ho scritto un piccolo testo autonomo.
74Il secondo è un breve studio sul tema del tempo assiale. Gli dedico un capitolo che è la rielaborazione di quanto già avevo scritto in un volume curato insieme a Robert Bellah92. Questi è stato per me uno dei più importanti punti di riferimento e di dialogo. Per tale ragione l’ho dedicato a lui. Il tema specifico che sviluppo è che tutti i contributi empirici su questo tema possono anche essere interpretati come tentativi degli intellettuali di prendere posizione rispetto a una possibile trascendenza.
75Il prossimo, più ampio libro, avrà il titolo Die Macht des Heiligen (Il potere del sacro). Esso vuole offrire un’alternativa a un modello storiografico basato sull’idea di disincantamento. Credo che oggi sia importante non tanto criticare la teoria della secolarizzazione, ormai superata, quanto procedere a smontare la teoria del disincantamento, per darle un’alternativa valida. Le teorie di Weber non sono una teoria della secolarizzazione, ma qualcosa di molto più complesso; sto elaborando una tesi che vi contrapponga i processi contingenti e sempre nuovi di sacralizzazione e la nascita di valori come conseguenza di costellazioni di esperienze di entusiasmo o di violenza e della loro interazione.
76Il libro si lega in parte a ciò che è stato detto del pragmatismo in queste lezioni. La psicologia empirica della religione è stata un’invenzione di William James, che ha tentato di trattare la religione con i mezzi della psicologia, a un livello che non si fondasse su presupposti teologici né secolaristici. Nelle discussioni sullo stato scientifico della teologia o della ricerca non teologica della religione si confondono spesso il secolare e il secolaristico. Secolare significa, a mio avviso, che l’analisi scientifica della religione al di fuori della teologia non si può fondare su presupposti teologici, ma non significa parimenti che debba fondarsi su presupposti secolaristici. Serve dunque un livello metodologico che permetta a credenti e non credenti di lavorare insieme su oggetti scientifici, in modo da poter raggiungere un consenso. Dovrebbero poter mantenere la stessa distanza tanto dai presupposti teologici quanto da quelli secolaristici.
77Sono dell’idea che a James sia riuscita questa prospettiva, nel libro sulla varietà delle esperienze religiose. Non mi riferisco alla disciplina della scienza della religione, che è una disciplina molto delimitata, ma alle analisi scientifiche della religione nella storia umana, nella sociologia, nella psicologia e nelle scienze politiche, dove occorre trovare un diverso approccio metodologico. La mia indagine si sviluppa in primo luogo a livello della storia della religione. La prima trattazione empirica, scientifica e non teologica della storia universale della religione si trova, a mio parere, in David Hume, e credo che nella psicologia sia avvenuta con James, precorso per certi versi (troppo complessi per essere approfonditi qui) da Schleiermacher; in sociologia infine, con il maestro di Durkheim, Numa Denis Fustel de Coulanges.
78In tre movimenti che vanno nella stessa direzione, tenterò di connettere gli stati di fatto empirici. Intorno al 1900 molti dei più importanti pensatori avevano riconosciuto che questi diversi ambiti andavano uniti. Come ho già raccontato, mi aveva profondamente colpito il discorso di Troeltsch a Saint Louis, in cui diceva che la storiografia della religione tedesca e la psicologia della religione americana andavano messe insieme. Ernst Troeltsch e Max Weber avevano capito che il sapere che si era accumulato in cent’anni avrebbe dovuto essere unito, anche se i due autori lo fanno con prospettive radicalmente diverse.
79Oggi il problema della ricezione riguarda il fatto che Weber viene letto e interpretato in tutto il mondo, ed è canonizzato nella sociologia, mentre Troeltsch viene trattato (al di fuori della teologia protestante) come il fratello minore di Weber, i cui scritti è superfluo leggere se si conosce il primo. Secondo me ciò è del tutto sbagliato, perché Troeltsch aveva in mente un programma fondamentalmente diverso da quello di Weber. Intendo mostrare che si tratta, in realtà, di un enorme conflitto tra due programmi scientifici (in uno, il più insoddisfacente, prende il sopravvento la rappresentazione di un progressivo processo di razionalizzazione e di disincantamento).
80Spero che vogliate credere che, quando ho scritto La sacralità della persona, sapevo che sarei andato in rotta di collisione con molti kantiani. Qualcuno mi disse di non assumere come titolo di un capitolo Né Kant né Nietzsche, perché sarei andato verso la rottura non soltanto con i kantiani, ma anche con i nietzschiani. Mi si disse che avrei dovuto intitolarlo Kant e Nietzsche, per significare che li stavo unendo (e trovare così il plauso dei sostenitori di entrambi). Con questo libro so che andrò invece in rotta di collisione con i weberiani, molto forti nella sociologia tedesca. Se in sociologia in Germania si contraddice Weber, si sarà probabilmente definiti degli idioti, esattamente come quando si parla contro Kant in filosofia. Ma credo davvero che Weber abbia avuto fondamentalmente torto. Si tratta della parte più difficile del libro che sto scrivendo (e la difficoltà sta anche nel decidermi a pubblicarla).
81Concludo con alcune parole su quello che sarà un capitolo del prossimo lavoro e che inserisce l’argomento del tempo assiale. Negli anni Venti Leo Strauss dichiarò che la psicologia della religione poteva essere utile all’indagine delle religioni primitive, ma non delle religioni della rivelazione, ovvero che era insufficiente per religioni più impegnative. Sono dell’idea però che le ricerche scientifiche sul tempo assiale o sulle culture segnate dal tempo assiale costituiscano proprio il tentativo di avvicinarsi scientificamente, storicamente, psicologicamente e sociologicamente alle religioni della rivelazione, per guardarle come particolari fenomeni storici (e non certo in senso sminuente). Su questa base si sviluppa il capitolo Gefährliche Prozessbegriffe (processi concettuali pericolosi)93 che intende presentare elementi di resistenza contro l’idea che la storia segua un filo di razionalizzazione, di differenziazioni funzionali, o di modernizzazione. L’ultima parte infine contiene un discorso sulla relazione d’interscambio delle dinamiche di sacralizzazione e desacralizzazione nella creazione del potere (soprattutto in relazione alla creazione dello stato), parte del quale è già contenuta nella conferenza tenuta qui a Torino e che costituisce l’ultimo capitolo di questo libro.
82Incrociate le dita perché io possa riuscire in quest’impresa.
Notes de bas de page
74 H. Joas, Glaube als Option. Zukunftsmöglichkeiten des Christentums, cit.
75 G. von Le Fort, Das Schweißtuch der Veronica. Band II: Der Kranz der Engel, München, Franz Ehrenwirth, 1948.
76 H. Joas, Braucht der Mensch Religion?, cit.
77 P. Tillich, The Courage to Be, cit.
78 Cfr. P. Tillich, Der Mut zum Sein, Stuttgart, Steingrüben, 1958 (prima edizione 1953).
79 Si pensi al caso dell’innamoramento. Vi è una grande differenza di esperienza se, quando ci si innamora, la categoria dell’amore fa parte del proprio bagaglio interpretativo. Nella nostra cultura è considerata un’esperienza naturale, ma si tratta di un dato culturale. Non credo, beninteso, che prima del romanticismo non sia esistito l’amore, ma ci sono categorie dell’interpretazione dell’esperienza che sono determinate culturalmente. Uno studio sull’Indonesia mostra che ciò che noi riconosceremmo come un fenomeno d’innamoramento può essere interpretato come l’effetto di un sortilegio. Se passo accanto a una donna e non posso fare a meno di guardarla, ciò accade perché lei mi ha stregato. In Indonesia il matrimonio costituisce un importante rafforzamento e allargamento delle reti relazionali della famiglia, e colei che strega è sempre una donna al di fuori di questa rete relazionale; l’innamoramento, all’interno di questo contesto, rappresenta un pericolo – così che l’uomo innamorato si recherà dallo stregone per chiedere un antidoto. Nel mio sistema interpretativo si tratterebbe semplicemente di un uomo innamorato di una donna che non può sposare, perché ciò metterebbe in crisi tutto il suo sistema di relazioni familiari.
80 Cfr. H. Joas, Glaube als Option. Zukunftsmöglichkeiten des Christentums, cit.
81 Cfr. C. Taylor, A Secular Age, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2007; trad. it. a cura di P. Costa, L’età secolare, Milano, Feltrinelli, 2009.
82 Georg Leber, ministro dei trasporti e della difesa, un grande leader sindacalista, era cattolico (una grande eccezione per il tempo). Nella sua autobiografia narra come sua madre in confessione venisse interrogata circa l’orientamento politico del figlio, e pregata di convincerlo ad abbandonarlo. La posizione della Chiesa nei confronti della democrazia sociale (e viceversa) era dunque molto critica.
83 All’interno del protestantesimo, quando non si è teologicamente o anche politicamente felici della versione proposta dalla propria Chiesa, si può semplicemente cambiarla (lo dico con una certa cautela e approssimazione). Forse avete già sentito parlare del cosiddetto church shopping. In America ci sono molte correnti religiose e spesso la chiesa di appartenenza viene scelta piuttosto in relazione alla vita comunitaria ch’essa offre che non alle specificità teologiche, che in effetti sono esigue. Credo che questo elemento serva, almeno in parte, a spiegare la vitalità religiosa dell’America (e il fatto che si formino spesso nuovi gruppi religiosi). Le Chiese si fanno pubblicità perfino nelle pagine gialle e offrono questionari sulla soddisfazione dei cosiddetti clienti, il che mi ha sempre un po’ sconcertato. Applicano principi di mercato, affinché la Chiesa si presenti attraente per la comunità. Ciò si contrappone al modello tedesco tradizionale, dove invece metaforicamente si tirano le orecchie a coloro che non si presentano a messa (metodo peraltro del tutto assurdo, poiché gli assenti, in quanto tali, non ne sono affatto colpiti).
84 Cfr. E. Troeltsch, Die Zukunftsmöglichkeiten des Christentums, in “Logos” 1 (1910/11), pp. 165-85.
85 Ph. Jenkins, The New Christendom. The Coming of Global Christianity, Oxford, Oxford University Press, 2004.
86 Benché sia consapevole che esistono ambiti di studio che possono servirsi della stessa terminologia, quando parlo della tesi della secolarizzazione intendo riferirmi a questo. Non mi riferisco all’analisi della storia della separazione tra potere statale e religioso, anche se le questioni non ne sono del tutto separate.
87 Martin negli anni Settanta ha scritto un classico trattato di sociologia dal titolo A General Theory of Secularization. Si tratta di un libro molto importante, che è stato definito the most gloriously mistitled book (il libro più gloriosamente male intitolato) nella storia della sociologia della religione. Si tratta, in effetti, di un titolo fuorviante, poiché ciò che il libro non contiene affatto è proprio una teoria universale della secolarizzazione. Dimostra anzi la contingenza storica di specifiche situazioni di secolarizzazione, e lo consiglio caldamente. Cfr. D. Martin, A General Theory of Secularization, Oxford, Blackwell, 1978.
88 Gottfried Keller è sicuramente uno di questi. La sua decisione di rifiutare la religione fu compiuta in base a motivazioni morali ed estetiche. Credeva che la fede fornisse una falsa consolazione rispetto alla finitezza della vita che, senza la fede, poteva essere percepita in maniera più radicale e dare luogo a un’aumentata consapevolezza del mondo, con importanti conseguenze sulla condotta di vita.
89 Il fatto che la mia discussione dell’argomento si trovi all’interno di un libro che si occupa in maniera approfondita di religione forse non ne ha facilitato l’accesso a chi si occupa del tema della modernità. Cfr. H. Joas, Glaube als Option. Zukunftsmöglichkeiten des Christentums, cit.
90 B. Yack, The Fetishism of Modernities: Epochal Self-Consciousness in Contemporary Social and Political Thought, Notre Dame (Indiana), University of Notre Dame Press, 1997.
91 Per quanto riguarda la concezione della persona rimando evidentemente al mio libro sulla sacralità della persona. Cfr. H. Joas, Die Sakralität der Person. Eine neue Genealogie der Menschenrechte, cit.
92 Cfr. R. Bellah e H. Joas, The Axial Age and its Consequences, Cambridge (MA), Harward University Press, 2012.
93 Ne esiste già una prima versione in H. Joas, Gefährliche Prozessbegriffe. Eine Warnung vor der Rede von Differenzierung, Rationalisierung und Modernisierung, in K. Gabriel, C. Gärtner e D. Pollack, Umstrittene Säkularisierung. Soziologische und historische Analysen zur Differenzierung von Religion und Politik, Berlin, Berlin University Press 2012, pp. 603-622.
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