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Premessa

p. 9-14


Texte intégral

1Il pensiero di Hans Joas, sociologo tedesco che nutre la sua riflessione in un proficuo incrocio tra cultura europea e cultura angloamericana, comincia a farsi strada anche in Italia, pur senza ancora aver raggiunto la notorietà che gli è riconosciuta negli Stati Uniti e in Germania. Confido che questo volume, che dà conto, secondo consuetudine, del seminario torinese della Scuola di Alta Formazione filosofica possa essere utile a inquadrare nel complesso della sua produzione quei contributi specifici che hanno cominciato a essere oggetto di traduzione1. Il volume mantiene naturalmente l’andamento che gli deriva dal fatto di dar conto di lezioni orali e non ha quindi il rigore terminologico proprio di un testo scritto. Ma proprio questo stile più libero e mosso, che si arricchisce anche delle osservazioni suggerite dai presenti, rende questo testo un documento prezioso e vivace, in grado al tempo stesso di introdurre al pensiero di Joas e di accompagnarne la lettura con copia di osservazioni puntuali e inedite.

2Il titolo che ho scelto, pur senza poter includere l’intero delle problematiche affrontate, indica nondimeno il fuoco entro cui esse si svolgono. Come si diceva, Joas è sociologo. Pur non disdegnando i riscontri empirici, e anzi continuamente confrontandosi con essi, egli non teme la teoria, né l’esplicito riferimento filosofico. Il termine società collocato al centro della triade indica chiaramente l’oggetto dell’indagine joasiana. La sua, secondo la migliore tradizione sociologica dell’origine, è una teoria della società ed egli studia dunque quei fenomeni che a una società danno forma. Ma la società, così come egli la legge, non è un Moloch, né una struttura che abbia leggi proprie e autonome; la società è il campo in cui le persone vivono, si esprimono e, potremmo dire, articolano la propria esistenza. Per meglio caratterizzare per via negativa questa dimensione sociale, potremmo fare riferimento a tre percorsi, che Joas non sceglie, probabilmente considerandoli unilaterali e scarsamente documentabili su base empirica: il percorso metafisico, quello esistenzialistico e quello politico. Sono percorsi ben noti alla filosofia e da questa sovente praticati, da cui però Joas prende in qualche modo le distanze, poiché non è interessato né a una teoria metafisica generale – che potrebbe per esempio dar luogo a una concezione ontologica dei valori – né, sartrianamente, alla rivendicazione del primato dell’esistenza individuale contro gli essenzialismi – che renderebbe socialmente illeggibili le opzioni dei singoli. E, per quanto ciò possa apparire sorprendente, non è neppure incline a una teoria politica, che pur sembrerebbe assai prossima alla sociologia, probabilmente perché vuole sottrarsi ai tratti meramente ideologici di quella o per non finire nel tecnicismo che essa, come semplice descrizione dei meccanismi di esercizio del potere, è venuta sempre più assumendo. La società appare ai suoi occhi l’orizzonte adatto e adeguato per studiare e descrivere anche quegli aspetti ideali, individuali e politici che in qualche modo soggiacciono agli altri approcci. La società è un luogo concreto, osservabile e verificabile, una sorta di filtro privilegiato, in cui s’intrecciano bisogni e aspettative personali, pretese di verità e forme di organizzazione politica.

3Inscrivendoli in questo contesto, Joas studia in particolare una serie di fenomeni che hanno appunto la capacità di coinvolgere ciascuno, ma al tempo stesso hanno rilevanza collettiva e che sono altresì in grado di dischiudere inattesi orizzonti di esperienza. Di qui i temi dei valori e della religione che il titolo evidenzia (ma a questi andrebbe aggiunta anche la questione della guerra, come esperienza che rivela, sia pure in negativo, un surplus di esperienza).

4Delineato così, per quanto sommariamente, il quadro complessivo del lavoro di Joas, due questioni merita affrontare più da vicino: i riferimenti filosofici che ne stanno alla base e il concetto di esperienza di cui egli si avvale.

5Abbiamo detto fin dall’inizio della matrice transatlantica del suo pensiero. Questa diviene evidente nell’importanza ch’egli attribuisce al pragmatismo americano, cui del resto aveva dedicato i primi studi. Formatosi in Europa e influenzato dallo storicismo e dall’ermeneutica (ma anche dalla fenomenologia), sensibile a un pensiero politico genericamente definibile di sinistra e radicato in una personale appartenenza alla tradizione cattolica, Joas vede nel pragmatismo un pensiero in grado di correggere l’elitarismo che si connette, per quanto in maniera diversa, con tutte queste forme culturali. Come egli osserva esplicitamente, nessuna di esse si nutre davvero dello spirito della democrazia. Il pragmatismo propone invece un concetto di verità non aristocratico, alla portata di tutti e attento alla concretezza della situazione. È vero infatti ciò che è efficace, e non nel senso di un’efficacia funzionale e strumentale, bensì nel senso della capacità di dare una riposta creativa a una specifica situazione. Questa verità non ha carattere esclusivamente teorico, ma dà luogo a un’azione e a una comunicazione; essa ha la sua radice nella scelta dell’individuo, ma ha un’apertura verso la collettività; ancora, essa dà luogo a qualcosa d’inatteso e di nuovo che arricchisce l’esperienza e in tal modo, si potrebbe dire restando nella tradizione europea, dà vita a un inedito orizzonte ontologico.

6Da questo punto di vista il pragmatismo è confrontabile con tutte le direzioni culturali sopra citate, e ne costituisce al tempo stesso un correttivo e un arricchimento in senso democratico. L’emozionante sintesi del pensiero pragmatista che Joas ci offre nelle prime pagine di questo libro, andando contro tendenza rispetto al sentire diffuso nella comunità intellettuale europea, è in grado di sollevare seri dubbi nei confronti della vulgata narrativa cui siamo avvezzi. In certo modo essa, attraverso il passo indietro verso i pragmatisti, è in grado persino di prefigurare antidoti rispetto alla deriva analitica, che si può forse considerare come il prezzo pagato per certi eccessi della tradizione continentale (simbolicamente si potrebbe dire che, tra Dewey e Heidegger – per molti aspetti affini, secondo Joas –, avendo scelto il non linguaggio di Heidegger, se ne pagano ora, per contrappasso, le conseguenze).

7Ma l’aspetto più importante che si può ricavare da quest’attingere nuovamente alle sorgenti del pragmatismo è una nozione di esperienza non meno ricca di quella della nostrana fenomenologia (cui peraltro Joas, con prevalente riferimento a Merleau-Ponty, attinge), ma ben più duttile. Viene di qui l’importanza da lui attribuita alla creatività, al ruolo che in essa giocano anche gli elementi corporei e di passività, e al suo significato per la descrizione tanto del rapporto con i valori quanto con la religione (paradigmatico per lui è quanto scrivono Durkheim in Les forme élémentaires de la vie religieuse e James in The Varieties of Religious Experience). Affrontiamo dunque partitamente questi due aspetti.

8Il tema dei valori, che ha rilevanti conseguenze politiche (si pensi per esempio alla questione, lungamente discussa nel libro, dei diritti umani) ed etiche (si pensi al dibattito italiano, ma non solo, della “non negoziabilità” dei valori), è luogo privilegiato di sintesi di quanto abbiamo tentato di dire. I valori non sono in sé astorici, sono correlati alle contingenze della biografia delle persone e delle vicende della storia. Essi costituiscono rappresentazioni emotivamente dense di ciò che ciascuno ritiene desiderabile per sé e auspicabile per la società. L’adesione ai valori evidenzia un legame con ciò che è in quelli rappresentato. Il valore traduce un’esperienza. Esso, in questo senso, contiene assai di più di ciò che possa essere esprimibile razionalmente: contiene infatti il legame, affatto personale, che ne ho e l’investimento che ne derivo. Il valore trattiene un’esperienza di autotrascendenza, che è peraltro comune a tutti gli uomini. Il legame con i valori si compie all’interno del processo della formazione del sé, ma decisivo è il passaggio che avviene attraverso esperienze – che Joas non esita a definire paradossali, per quanto siano alla portata di ognuno – di una pienezza di senso, che non si lascia però esprimere adeguatamente e che in certo modo strappano l’individuo fuori di sé. L’articolazione che ne deriva si chiama appunto valore, che, per riprendere un’efficace espressione di Scheler, citata da Joas, potrebbe essere considerata il “bene in sé per me”. Ma in Joas l’accento viene posto sul legame che interviene con questo bene in sé per me2.

9Se si pone mente a questa descrizione dell’esperienza dei valori si comprende anche perché a più riprese Joas prenda le distanze da Habermas. Ciò che nel valore trova espressione si lascia certo tradurre e argomentare su base razionale, ma solo fino a un certo punto. O meglio, ciò che interamente sfugge a quest’argomentazione è precisamente il dato decisivo del legame che la persona ha con il valore. Da questo punto di vista resta sempre, anche nel dibattito pubblico, una soglia che non può essere né propriamente espressa e giustificata né superata. Ma ciò non produce agli occhi di Joas né incomunicabilità né relativismo, bensì ci espone a quell’esperienza fondamentale della nostra società, con cui dobbiamo apprendere a convivere democraticamente, che è il pluralismo.

10La religione è uno dei possibili modi in cui si articola un’esperienza di autotrascendenza. O meglio, potremmo forse dire che l’esperienza di autotrascedenza, che è comune a tutti, credenti e non, e che non sarebbe legittimo considerare come esperienza religiosa, è però suscettibile di essere interpretata in una cornice che è religiosa3. Tale interpretazione religiosa era una cornice costitutiva dell’autointerpretazione degli uomini in epoche precedenti alla nostra. Come sostiene Charles Taylor (cui Joas si richiama pur con qualche distinguo) nella nostra età secolare questa cornice interpretativa non è però più scontata. Mentre un tempo era il non credente a dover giustificare il proprio convincimento divergente, ora è piuttosto il credente chiamato a dare giustificazione della propria fede. La fede come opzione è lo scritto in cui Joas dà conto, nelle condizioni presenti, della possibilità della fede. Quest’opzione in età non secolare non era data, poiché era in qualche modo un presupposto. Ora, al contrario, l’opzione, non tanto di scegliere questa o quella fede, ma di prendere in considerazione la fede come possibilità, è ciò che costituisce la premessa di un credere religioso. Con ciò non si vuole peraltro considerare la religione come oggetto di una scelta, quasi che, nel supermercato delle ideologie, a ciascuno fosse data la possibilità di procurarsi la credenza che più gli aggrada. Ciò sarebbe in contrasto con la concezione joasiana dell’esperienza e dell’esperienza di autotrascendenza, cui è sempre collegato un momento di passività (e quindi anche di contingenza). L’opzione non riguarda questo liminare momento, ma il momento successivo, quello in cui si sceglie di rendere pubblicamente riconoscibile ciò che costituisce anzitutto una certezza soggettiva, ossia il momento in cui quel “bene in sé per me” interviene nel circuito pubblico della comunicazione.

11Che vi possa intervenire, però, è fuor di dubbio, dal momento che tutti i momenti valoriali, nessuno escluso, hanno il medesimo modo di costituzione. Il racconto dominante, che legge l’età moderna come tempo della secolarizzazione e che conseguentemente considera la religione come un relitto del passato, è radicalmente rifiutato su base sia empirica sia teorica. Su base empirica le religioni appaiono in sviluppo e l’equazione tra processi d’industrializzazione e sviluppo della secolarizzazione risulta confutata (ovunque, dall’America ai paesi emergenti, sì da fare dell’Europa un’eccezione). Su base teorica, il paradigma della secolarizzazione, come già aveva sostenuto Taylor, appare una sorta d’imbuto costruito per sottrazione che condanna la modernità (un concetto polivalente e non congeniale a Joas) a un esito unidirezionale, potremmo persino osare chiamarlo un vicolo cieco.

12La religione ha invece futuro. Anzi dischiude futuro, perché attiva elementi capaci di sconfessare processi, soprattutto politici, di sacralizzazione – e quindi processi autoritari –, introducendo la forza di una desacralizzazione di ciò che da sé si è costituito come sacro. La desacralizzazione non è secolarizzazione: al contrario è la confutazione di ogni forma, religiosa e non, di enoteismo, ossia di riduzione a un unico Dio (e questo Dio, come hanno mostrato i nazionalismi, può essere affatto mondano). Il monoteismo radicale, invece, è la confutazione di queste forme enoteistiche di autosacralizzazione, perché riserva alla sacralità dell’unico di Dio, che si manifesta però nella varietà delle forme religiose (James!), la capacità di smascherare le sacralizzazioni politiche illusorie con cui si tende a sostituire la divinità.

13Le religioni non solo hanno futuro, ma costituiscono una riserva di futuro per la storia. Con queste note, che non vorremmo chiamare ottimistiche, ma che certamente sono fiduciose, chiude la riflessione di Hans Joas, un sociologo che non disdegna di prendere posizione teorica e quindi di elaborare uno schema interpretativo (forzatamente legato all’individualità della persona che lo propone) e che lo fa nel convincimento che nell’esperienza di ogni uomo – questo il dato di fiducia che lo contrassegna – vi sia una vitalità anche sovrabbondante cui attingere. In luogo di restringere a un sapere tutto incentrato difensivamente su preoccupazioni di metodo – il metodo cartesiano e poi della modernità che ne deriva sono un atteggiamento di protezione rispetto a eventi che non si riesce a padroneggiare – Joas allarga fiduciosamente a una concezione plurale e impegnativa della verità, a un bene in sé per me che può essere posto anche a base di una società di uguali.

Notes de bas de page

1 Cito qui i nomi dei partecipanti: Mirko Alagna (Trento), Francesco Barba (Kassel), Roberto Behrendt (Freie Univ. Berlin), Emil Blümel (Potsdam), David Borgardts (Humboldt Univ. Berlin), Rana Bose (Humboldt Univ. Berlin), Marco Brignone (Torino), Sterpeta Cafagna (Bari), Dario Consoli (Torino), Francesca Ferrara (Napoli Orientale), Gianfranco Ferraro (Salento, EPHE Paris, Pisa), Felix Geyer (Ludwig Maximiliams Univ. München), Chiara Giovenco (Palermo), Matthias Hoesch (WWU Münster), Micha Knuth (Albert-Ludwigs-Universität Freiburg, Institut d’études Politiques d’Aix-en-Provence), Fabio La Stella (Normale di Pisa, Humboldt Univ. Berlin), Rosa Lanzafame (Milano Statale/Parma), Patricia Löwe (Humboldt Univ. Berlin), Matthias Mader (Humboldt Univ. Berlin), Arianna Marchente (Trieste), Roberto Navarrete (Madrid Autonoma), Florian Ossadnik (Koblenz-Landau), Marina Pisano (Cagliari), Justus Maximilian Quecke (Humboldt Univ. Berlin), Davide Sisto (Torino), Marco Solinas (Firenze), Roberta Travia (Università Mediterranea di Reggio Calabria), Irene Treccani (Verona), Lorella Ventura (Roma Sapienza), Marco Viscomi (Perugia). Con il sostegno di un consistente contributo della Guardini Stiftung, che desidero particolarmente ringraziare, anche per la presenza del suo presidente Ludwig von Pufendorf, ha visto per la prima volta una cospicua partecipazione di dottorandi tedeschi. A tutti va il mio sincero ringraziamento per il contributo che hanno offerto alla riuscita del seminario. Eloisa Perone ha provveduto alla trascrizione e alla traduzione delle lezioni di Hans Joas e il suo aiuto bilingue è stato indispensabile per il buon svolgimento delle discussioni. Il grazie che le è dovuto è tanto più forte in quanto la sua disponibilità a svolgere il ruolo di tutor è intervenuta all’ultimo momento e ci ha consentito di superare difficoltà che non erano state previste. Infine Annamaria Pastore ha, come sempre, curato con efficacia la redazione finale del testo. Anche a lei va il mio ringraziamento.

2 Non è questo il luogo per un’esposizione più ampia. Basti segnalare che, come tutte le esperienze, anche le esperienze di autotrascendenza hanno carattere ambiguo. Possono ingenerare entusiasmo e positività ed essere accrescimenti della vita, ma anche angoscia e dischiudere la via al male. I temi della violenza e della guerra, che Joas ha lungamente discusso ne danno documentazione.

3 Vi sono poi esperienze religiose specifiche, come quelle che Joas chiama sacramentali; queste ovviamente valgono solo all’interno del sistema religioso di riferimento e non vengono attinte come tali dal non credente.

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