1 Platone, Repubblica 508d-e.
2 Minucio Felice, Ottavio, Bari, Laterza, 1971, p. 66.
3 Türcke allude, ovviamente, alle famose parole pronunziate da Lutero alla Dieta di Worms. [N.d.T.]
4 GM III § 25, OFN VI**, p. 360.
5 Citato da L. Kuhlenbeck nella «Premessa» a G. Bruno, Zwiegespräche vom unendlichen All und den Welten, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1980, p. viii. Cfr. N. Copernico, De revolutionibus orbium coelestium, in Opere, Torino, utet, 1979, p. 172.
6 Citato da L. Kuhlenbeck nella «Premessa» a G. Bruno, Zwiegespräche cit., pp. xi sg.
7 G. Bruno, Zwiegespräche cit., p. xii.
8 J. Hübner, Die Welt als Gottes Schöpfung ehren, München, Kaiser Verlag, 1982, p. 119.
9 G. Bruno, De l’infinito, universo et mondo, in Id., Opere italiane 2, Torino, utet, 2002, p. 50.
10 R. Descartes, I principi della filosofia, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 49.
11 Ivi, p. 24.
12 Ivi, p. 36.
13 JGB § 16, OFN VI**, pp. 20-21.
14 I. Kant, Critica della ragione pura, Milano, Bompiani, 1987, vol. I, p. 155.
15 J.G. Fichte, Sul concetto della Dottrina della scienza, Bari, Laterza, 1971, p. 42.
16 JGB § 4, OFN VI**, p. 10.
17 «Puri fisici in effetti sono soltanto gli animali, giacché gli animali non pensano; mentre l’uomo, come essere pensante, è un metafisico nato» (G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche. La scienza della logica, Torino, utet, 1981, p. 283).
18 Al cospetto di questo interrogativo la pigra magia verbale con cui Heidegger pretende di oltrepassare la metafisica diventa trasparente come uno scongiuro magico. Che l’Essere sia qualcosa di fondamentalmente altro dall’ente, che il pensiero «essenziale» sia qualcosa di fondamentalmente altro dalla filosofia, che la metafisica abbia sempre «interrogato solo l’ente in quanto ente», ma mai «l’Essere in quanto Essere», che solo ora, dopo secoli di «oblio dell’Essere», cominci il «pensare rammemorante» l’Essere stesso e ch’esso collochi l’uomo al di là di ogni metafisica nello spazio di un’esperienza completamente nuova: l’esperienza della Lichtung/radura dell’Essere che, del resto, è anche il Niente, «perché l’essere – come Heidegger sostiene in Cos’è la metafisica? (in Segnavia, Milano, Adelphi, 1987, p. 75) – si manifesta solo nella trascendenza dell’esserci che è tenuto fuori nel niente» – questa schiuma concettuale virtuosisticamente contorta, che suggerisce l’irruzione verso sponde non metafisiche prima mai raggiunte, è chiaramente fabbricata in base al modello della buona vecchia prova ontologica dell’esistenza di Dio: presenta cioè l’essere astratto da ogni ente, dunque una vuota astratta realtà mentale, come fondamento di ogni ente. «Questo assolutamente altro rispetto a ogni ente è il non-ente. Ma questo Niente è [west] come l’essere che dà a ogni ente la garanzia di essere […] poiché mai un ente è senza l’essere». In quanto «è» [west], «illumina», «invia» o fa qualcosa d’altrettanto misterioso, per cui non esiste un linguaggio adeguato, l’Essere viene ammantato di tutta la dignità divina, da cui presuntamente si è preso congedo e manifesta chiaramente la sua funzione: cercare di soddisfare il bisogno metafisico di un fondamento e di un saldo punto d’appoggio, quel bisogno che la metafisica non riesce più a placare. «Nascondere la testa nella sabbia delle cose celesti» (Za [«Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo»], OFN VI*, p. 32) o nella sabbia dell’Essere non costituisce alcuna differenza in linea di principio. Entrambe le cose sono un unico movimento metafisico. Pertanto è una barzelletta che proprio Heidegger rimproveri a Nietzsche un’insufficiente radicalità: «il suo rifiuto di ogni metafisica e il passo in direzione verso il suo definitivo rinnegamento» sarebbero stati soltanto «il compimento della metafisica occidentale» (M. Heidegger, Nietzsche, Milano, Adelphi, 1994, p. 543), non il passo che la oltrepassa. Solo che in questa barzelletta si nasconde al contempo la perdurante attualità di Heidegger. Egli, cioè, con la sua trovata dell’Essere immemoriale che precede ogni ente ha istituito un concorso, la cui domanda a premio esige, ora come prima, sempre nuovi tentativi di risposta: come supero la metafisica, continuando a essere un filosofo accademico? Come mi dimostro abissalmente critico, senza rischiare, anima e corpo, un bel nulla? Risposta: in quanto invento una sfera libera dalla metafisica, che per millenni è stata sepolta o ancora mai visitata e che offre ciò che la metafisica è sempre meno in grado di fornire: fondamento, appoggio, verità, prospettive di vita. Se la proposta di soluzione indicata da Heidegger soddisfi già alla bisogna, oppure se ciò che egli chiama «Essere» sia ancora gravato dalle implicazioni metafisiche di principio, identità, fondamento, se per liberarsi dai lacci della metafisica non siano più adatti altri nuovi metodi, per esempio quello della «decostruzione», una nuova invenzione linguistica, come quella di différance, o se non sia stato Nietzsche stesso a inaugurare il pensiero postmetafisico, che Heidegger si è limitato a proseguire e che ora va a sua volta oltrepassato – queste sono tutte questioni che si muovono fin dall’inizio sui binari posti da Heidegger e testimoniano del suo contributo immortale perché resti in piedi l’azienda filosofica. «Nessuno dei miei tentativi sarebbe stato possibile senza l’apertura [ouverture] delle domande heideggeriane, […] soprattuto senza aver tenuto in conto ciò che Heidegger chiama la differenza tra l’essere e l’ente, la differenza ontico-ontologica, quale resta in certo modo impensata dalla filosofia» (J. Derrida, Posizioni, Verona, Bertani, 1975, p. 48), facendoci così conoscere qual tipo di radicalità intellettuale vuole propugnare. Il suo successo mondiale è solo la più recente fioritura di quella pianta perenne in cui si è trasformato nel frattempo il concorso filosofico inaugurato da Heidegger. Nietzsche qui funge come una sorta di polena. A Heidegger è riuscito così a fondo di presentarlo come suo precursore o come suo interlocutore che, in Germania, pronunciare tutto d’un fiato i nomi di Nietzsche e di Heidegger è diventato altrettanto ovvio come da altre parti pronunciare d’un sol fiato i nomi di Marx e Lenin.
19 E. Bloch, Im Christentum steckt die Revolte, Zürich, Arche Verlag, 1971, p. 32.
20 Le parti si rovesciano: mentre i teologi moderni oggi di norma si presentano come aperti al progresso copernicano e agiscono come se il vangelo potesse esser tranquillamente distaccato, come un francobollo, dalla concezione del mondo geocentrica, purché lo si interpreti esistenzialmente, politicamente o in qualche altro nuovo modo, è il critico della teologia, Nietzsche che rifiuta di negare il punto di vista tolemaico, invece ormai abbandonato da tempo dalla teologia che così può offrire il suo messaggio come un messaggio neutrale rispetto all’immagine del mondo: una merce ugualmente fruibile tanto in condizioni tolemaiche che copernicane.
21 Redatto nel 1873, all’epoca di una acuta sofferenza agli occhi che gli impediva di leggere e scrivere, costringendolo a dettare. Cfr. C.P. Janz, Vita di Nietzsche. Il profeta della tragedia 1844-1879, Roma-Bari, Laterza, 1980, vol. I, p. 521. Anche questo un indice del delicato intreccio tra filosofia e malattia: proprio mentre la sua vista si indebolisce, Nietzsche dedica un trattato specifico al conoscere – una circostanza che pur non trasparendo mai nel testo non gli è, tuttavia, solo esteriore.
22 WL § 1, OFN III**, p. 355.
23 In greco Udeis. «Ancora al nostro orecchio Odisseo e Udeis hanno un suono simile e ci si può ben immaginare che in uno dei dialetti in cui era tramandata la storia del ritorno a Itaca il nome del re dell’isola suonasse in tutto come “nessuno”» (M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1966, p. 76).
24 Omero, Odissea IX, 364 sgg.
25 WL § 1, OFN III**, p. 356.
26 Ivi, pp. 357-358.
27 Ivi, pp. 360-361.
28 Guglielmo di Ockham, Log. I, cit. in K.H. Haag, Zur Kritik der neueren Ontologie, Stuttgart, Kohlhammer, 1960, pp. 22 sg.
29 Guglielmo di Ockham, Log. I, cit. in Id., Texte zur Theorie der Erkenntnis und der Wissenschaft, Stuttgart, Reclam, 1984, p. 73.
30 WL § 1, OFN III**, pp. 356-357.
31 JGB § 4, OFN VI**, p. 10.
32 WL § 1, 1, OFN III**, p. 356.
33 Ivi, pp. 358-359.
34 WL § 2, 1, OFN III**, p. 368.
35 WL § 1, OFN III**, pp. 358; 359-360.
36 Aristotele, De coelo 268a.
37 I. Kant, Critica della ragione pura cit., «Dialettica trascendentale», passim.
38 Più tardi, quando una volta arrischia un aforisma sull’antropogenesi e sulla genesi della coscienza, Nietzsche concepisce in modo abissale la metabasi che ivi ha luogo come un divenir riflessivi da parte degli istinti: «Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono all’interno – questo è quella che io chiamo interiorizzazione dell’uomo: in tal modo soltanto si sviluppa nell’uomo quella che più tardi verrà chiamata la sua “anima”. L’intero mondo interiore, originariamente sottile come fosse teso tra due epidermidi, si è stemperato e dischiuso; ha acquistato profondità, latitudine, altezza a misura che è stato impedito lo sfogo dell’uomo all’esterno» (GM II, § 16, OFN VI**, p. 284).
39 WL § 1, OFN III**, p. 355.
40 Sono dunque puro fumo negli occhi tutti i progetti, i prolegomeni, i lavori preliminari in vista di un pensiero emancipato dal logocentrismo, come se da esso ci si potesse sbarazzare come ci si libera di una camicia e poi continuare serenamente a pensare. Il tipo di gaia scienza che ne viene fuori si emancipa unicamente dal rigore logico e dalla sua coscienziosità, presenta assurdità del tutto comuni, che Nietzsche avrebbe chiamato «sordidezze dello spirito» (JGB § 58, OFN VI**, p. 63), come araldi del nuovo pensiero non più tenuto logocentricamente al guinzaglio e tradisce già così quanto poco sia disposto ad affrontare lo scandalo su cui si è accesa e si è consumata la forza del pensiero di Nietzsche. L’umanità si libererà dal logocentrismo solo se si farà saltare in aria.
41 NF (primavera 1888 14[173]), OFN VIII***, p. 148.
42 NF (primavera-estate 1888 16[25]), OFN VIII***, pp. 277-278.
43 Nietzsche, FW2 («Prefazione» § 3), OFN V**, p. 17.
44 G.E. Lessing, Emilia Galotti [1772], IV atto, scena VII, in Id., Teatro, Torino, utet, 1971, p. 350.