XIII. La pratica della Passe1
p. 111-129
Texte intégral
1Quando ho ricevuto l’invito di Dudy Bleger a partecipare a questo Seminario della Sezione Clinica sulla pratica della Passe, non ho dubitato un solo istante a dire di sì.
2Dopo aver detto di sì, mi sono resa conto che lo avevo fatto senza pensarci perché se ci avessi pensato sarebbero sorti gli inconvenienti a livello dei dettagli che popolano la quotidianità della vita, stretta nell’ordinario dello spazio e del tempo.
3Ma ho detto di sì e non c’è stato alcun dubbio che fosse la risposta giusta.
4Da dove è venuto questo sì? Questo sì deciso è un sì che non dubita perché è vincolato a una causa. È un sì alla Causa freudiana quello che si conferma oggi in questo appuntamento con l’Argentina. Questo sì di oggi esisteva già da prima.
5Il tempo che è implicato nel «da prima» è quello che svilupperò qui.
6Situerò questo «da prima» nel suo momento iniziale quando, più di venti anni fa, ho detto sì a ciò che mi ha spinto a partire dall’Argentina, a ciò che mi ha strappato da questa terra dove sono nata per condurmi a Parigi, con l’unica ambizione nella valigia di voler incontrare la psicoanalisi pura.
7Il sì di oggi, dunque, trova la sua condizione di possibilità nel sì di ieri; ma il sì di oggi non è lo stesso perché, nel frattempo, il soggetto che ha detto sì è cambiato.
8L’atto di tornare oggi qui non si iscrive nella ripetizione dello stesso. Da una parte, la psicoanalisi in Argentina non è la stessa di venti anni fa dal momento che, nel frattempo, il mondo è cambiato. Ora qui è presente la Scuola di Lacan, incarnata nell’eol, e in questa Scuola la Passe è una realtà effettiva e non una finzione. Lo è da quando la Scuola si è data gli strumenti per stabilire la messa in funzione del dispositivo della Passe e, di conseguenza, di eleggere in Congresso i due primi cartelli della Passe.
9D’altra parte, colei che è tornata non è la stessa dato che, per me, nell’intervallo di questi venti anni si colloca il tempo dell’analisi e il tempo della Passe.
10Comincerò a sviluppare davanti a voi il tempo della Passe.
11Qui si intreccia la trama di due temporalità: la prima, che chiamerò temporalità istituzionale, e la seconda, temporalità soggettiva. Entrambe si trovano annodate logicamente.
12Quando mi sono decisa a domandare la Passe nell’ ecf erano passati dieci anni da quando avevo terminato la mia analisi. Perché ho aspettato tanto tempo per decidermi? In realtà non ho aspettato, il tempo è passato senza che io pensassi alla Passe.
13In primo luogo, negli anni in cui terminavo la mia analisi il dottor Lacan dissolveva la sua Scuola, l’efp, perciò non era possibile allora entrare nel dispositivo della Passe.
14Qualcosa di tanto centrale nella Scuola di Lacan come la Passe non è stato estraneo al fallimento della Scuola che ha condotto alla sua dissoluzione, dato che, secondo Lacan, l’efp non è stata fedele al suo progetto, avendo «fallito nella produzione di Analisti della Scuola (ae) che siano all’altezza»2. A partire da questo enunciato di Lacan possiamo misurare che una Scuola, per la psicoanalisi, smette di esserlo quando non produce analisti che assumano convenientemente una funzione nella trasmissione della psicoanalisi.
15Dopo la Dissoluzione si è creata l’ecf come contro-esperienza. Fin dalla sua fondazione l’ecf ha dato prove in atto di voler essere la Scuola di Lacan, rispondendo all’Atto di fondazione con un’accettazione della Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola3, collocando la Passe al centro della contro-esperienza. Questo implicava che la nuova ecf non accettasse che lo statuto dello psicoanalista si stabilisse a partire da una «co-elezione di saggi», così come è consuetudine nelle società psicoanalitiche esistenti, in funzione della quale lo psicoanalista è istituito come tale a partire da un principio corporativo e non a partire dal principio logico che regge nell’esperienza l’atto istituente lo psicoanalista come derivato dall’atto psicoanalitico.
16Se nella Scuola di Lacan si istituisce un altro modo di selezionare il suo analista attraverso la Passe è perché vuole sapere per poter di conseguenza rispondere alla seguente domanda: che cosa rende possibile che ci sia uno psicoanalista a partire da ciò che risulta da un’analisi? Che cosa permette di decidere che esiste la condizione di psicoanalista, indipendentemente dal fatto che abbia funzionato come tale?
17Questa è la scommessa della Scuola, che vuole sapere e, di conseguenza, garantire il suo analista.
18Mi è stato necessario un certo tempo fino a che non ho soggettivato l’esigenza logica della Scuola. Non la ignoravo, ma, sebbene certamente questa esigenza e la sua possibilità fosse valida nella Scuola per tutti e per me, si trattava piuttosto, allora, di una specie di esigenza iscritta nel campo della mia soggettività come virtuale e non come reale.
19Avendo percorso il mio cammino nell’analisi, avendo concluso questa esperienza, mi sentivo in regola, tanto nella mia pratica di psicoanalista, quanto nella mia partecipazione al lavoro della Scuola.
20Voglio mettere in luce che mi trovavo in una condizione di soddisfazione articolata al fatto di aver avuto accesso nella mia analisi a una nuova condizione. Era la soddisfazione procurata dall’aver raggiunto quella che io sentivo essere una posizione soggettiva inedita.
21Voglio segnalare qui che questa era una soddisfazione senza Altro, risultante dalla mia analisi. Da questa soddisfazione derivava la mia passione per il lavoro nella psicoanalisi.
22D’altra parte, la Scuola funzionava come l’Altro del legame sociale, dello scambio, della messa alla prova, dell’insegnamento. Rispetto a questo Altro un punto di insoddisfazione si profilava all’orizzonte. Questa insoddisfazione si relazionava con l’Altro della Garanzia che speravo che mi riconoscesse come chi aveva fatto le sue prove.
23In questa posizione speravo che l’iniziativa venisse dalla Scuola. Non era una posizione passiva. Era una posizione attiva di presentazione di prove, una e un’altra volta. La prova in sé non dipendeva totalmente dal registro della domanda, dato che era il risultato di un Desiderio e la sua produzione non era sprovvista di piacere. In questa dinamica, la mancanza di risposta lasciava supporre che le prove non fossero sufficienti o piuttosto che l’Altro della Scuola non avesse orecchie. Ma questa supposizione non teneva in conto la posizione del soggetto.
24Qual era la posizione del soggetto rispetto alla Scuola, dal momento che, da un lato, la Scuola l’aveva riconosciuta come uno dei suoi membri e, dall’altro lato, lei aveva dichiarato la sua pratica?
25In un certo modo c’era una disgiunzione, vale dire che la divisione del soggetto si giocava nel modo seguente: voler essere riconosciuta da un lato a partire da ciò che è più esterno, attraverso il lavoro nella Scuola, attraverso l’Altro della Garanzia e dall’altro lato da ciò che è più intimo, la relazione con un nuovo Desiderio su cui il soggetto radicava la sua posizione nell’atto analitico, con il corrispettivo correlato di certezza, da cui sorgeva la soddisfazione del suo nuovo essere, custodita come un tesoro.
26Da questa posizione, il soggetto non poteva riconoscere la Scuola come l’Altro della Passe che poteva convalidare quanto di più intimo della sua esperienza. Il filo occulto di questa posizione implicava segretamente il non ricevere dalla Scuola il riconoscimento nel luogo in cui lo aspettava come conferma del suo lavoro in quanto ame.
27In questo senso, la strategia che si sosteneva consisteva in una sottrazione e i termini di questa impasse soggettiva si possono formulare a partire dalla seguente enunciazione: «Considera quello che ti presento, come fanno tutti, ma riconoscimi a partire da quello che ti sottraggo».
28Felicemente c’è stata uscita da questa impasse. Ho incontrato questa possibilità in un momento cruciale della vita dell’ecf, un momento di crisi istituzionale che ora fa parte del passato della Scuola. In quel momento, grazie al lavoro di alcuni, di fronte alla rinuncia di altri, grazie al lavoro deciso di quelli che si trovavano coinvolti, a diverso titolo, nell’esperienza della Passe, la Scuola ha potuto attraversare la soglia di una certa ignominia, al fine di non cedere sulla sua vocazione e ricentrare il dibattito attorno alle questioni fondamentali che pone «la teoria della formazione»4.
29Il dibattito che si è aperto allora in seno alla Scuola «a cielo aperto», sottolineava la scommessa contro il non volerne sapere del «reale in gioco proprio nella formazione dello psicoanalista»5.
30La crisi ha prodotto i suoi effetti. La Scuola, che ha saputo dialettizzarla, è uscita da lì rinnovata. L’effetto principale è stato per me che, a partire da quel momento, la Scuola non è stata più la stessa: si è contraddetta la rappresentazione della Scuola come un tutto compatto; le risposte prodotte dagli uni e dagli altri – nella Scuola – hanno fatto valere l’«uno per uno» che rompe l’unità, per segnalare che «i tutti» sono diversi e che ci sono un «mucchio di tutti che sono radicalmente distinti»6.
31Di questo testimoniano i testi presentati in quelle Giornate di Autunno del 1990 Sul concetto di Scuola, l’esperienza della Passe e la trasmissione della psicoanalisi 7. Per me è stato evidente che questo insieme di testi «era sostenuto dal lampo».
32Questo sapere, elaborato autenticamente a partire da ciò che è più singolare dell’esperienza di ciascuno, ha avuto per me non solo il valore di risveglio, ma anche il valore di un incontro. Delle parole che ho ascoltato in quell’occasione non saprei dire oggi quali siano state per me decisive. Forse nessuna in particolare, ma sono state efficaci per far cadere ciò che mi aveva mantenuto fino a quel momento in una posizione di esteriorità rispetto alla Passe. Da quell’incontro sono uscita trasformata, dato che ne sono uscita sapendo che ora volevo sottomettermi a quella prova di verifica che si chiama la Passe. A partire da quel momento non mi era più possibile soddisfarmi dicendomi psicoanalista per il solo fatto di essermi autorizzata da me.
33Questo sì alla Scuola – sì a sottomettermi alla Passe come prova, così come il dottor Lacan la chiamava – si è inscritto in un atto di candidatura, rispondendo al mio desiderio di voler confermare nella Scuola che il «controllo di capacità» non dipende dall’ineffabile.
34Mi ci era voluto del tempo per comprendere: quasi dieci anni. Ma il momento di concludere era arrivato e, dunque, non potevo fare altro che precipitarmi verso l’uscita – come i prigionieri dell’apologo – per entrare nel dispositivo della Passe.
35Questo fatto estratto dalla mia esperienza, che mi sono permessa di presentare qui davanti a voi nel dettaglio, ha fatto valere per me che c’è un nodo tra il transfert di lavoro con la Scuola e le incidenze del lavoro di ciascuno sul desiderio di ciascuno degli altri. Questa forza che si annoda nel desiderio, con il desiderio dell’Altro, è ciò che spinge ciascun soggetto affinché possa trovare un’uscita all’impasse della sua posizione.
36Questo nodo del desiderio annoda una «logica collettiva», nella misura in cui «la verità per tutti dipende dal rigore di ciascuno»8. Possiamo dunque misurare la parte di responsabilità che coinvolge chi vuole ricevere dalla Scuola una Garanzia nella Passe, dato che si implica consapevolmente nel «diventare responsabile del progresso della Scuola»9. Questo è il sì che si dà alla Scuola quando si domanda la Passe: con il rischio di essere nominato, il candidato ha accettato la responsabilità che gli spetta nel progresso della Scuola.
37Questo è ciò che si è trasformato per me; è lì che c’è stato un cambiamento di posizione:
- da una parte c’è una differenza tra lavorare, e che la Scuola si faccia responsabile della risposta che accorda a questo lavoro, riconoscendolo, dal momento che in questo caso il responsabile è l’Altro, quello che dà la risposta: «Tu sei il mio ame»;
- e, dall’altra parte, dare una risposta alla Scuola, che implica che il soggetto sia responsabile, prenda parte e partito per fare esistere la Scuola. Qui il soggetto dice «Tu sei la mia Scuola e, in quanto tale, in ciò che sei e come sei, sei una conseguenza dei miei atti».
38Da qui emerge la ragione logica da cui si sostiene che «il discorso analitico non può sostenersi su uno solo»10.
39Essendo arrivata a questo punto, mi sbarazzavo della soddisfazione che avevo custodito per anni. Me ne disfacevo nel preciso istante in cui avevo scelto di fare la Passe, ossia di parlare della mia esperienza personale e trasformare così la mia soddisfazione in un bene comune. Questo equivale a dire che ciò che l’analisi mi aveva insegnato ormai non l’avrei più tenuto per me, ma lo avrei trasmesso agli altri, grazie alla Passe.
L’incontro con i passeurs
40Varchiamo ora la porta del dispositivo della Passe, nel tempo che segue all’atto di candidatura. Se la domanda di Passe è accettata dalla Scuola, il primo tempo è quello del sorteggio dei passeurs. È il tempo del caso e della sorpresa. Con questi due nomi, ormai sono tre quelli che entreranno in funzione, in interviste a due.
41Nell’incontrare ciascun passeur per la prima volta si sta di fronte a ciò che è più sconosciuto. Il passant sa che deve parlare, ma sa che non si tratta dello stesso esercizio di parola di quello che ha conosciuto nel dispositivo analitico, sostenuto dal principio dell’associazione libera. Si tratta, questa volta, di inventare una nuova forma di dire e per questo è necessario che ci sia incontro tra il passeur e il passant e che da questo incontro sorga la possibilità di un dialogo autentico, ovvero un dialogo nel quale è il passant che occupa il luogo della parola e il passeur, nella misura in cui è colui che lo ascolta, è colui che sa fare le domande pertinenti. Il passeur è un buon interrogante e non un semplice curioso. Siccome ci si trova – nella propria analisi – nella destituzione soggettiva, lui è la Passe. Così, il passant riceve dal passeur il suo proprio «voglio sapere».
42Di quelle interviste conservo un buon ricordo. Senza esitare, con l’uno e con l’altro ho trovato una forma di dire e di trasmettere le mie analisi precedenti. È appassionante constatare il modo in cui si costruisce, nel corso delle interviste, la logica del percorso analitico. Logica della quale si sa, prima della Passe, che è un fatto, ma che non si è articolata in detto.
43In questo senso il passeur contribuisce – nella struttura temporale del processo logico della passe – apportando le scansioni sospensive necessarie, siano esse la modalità di obiezione logica, siano esse il dubbio del soggetto. Vale a dire che qui il dubbio del passeur, nel non accordare un consenso a ciò che ascolta, ha un valore di metodo, dato che sospende la certezza del passant e lo conduce a fare nuovamente riferimento al punto che espone e a darne fondamento. Qui il passeur opera come filtro e forza il giudizio assertivo a trasformarsi in argomento deduttivo.
44Con l’uno e l’altro passeur, sebbene si parli della stessa cosa, dell’analisi, non se ne parla nello stesso modo. Con l’uno si privilegiano determinati aspetti, si sviscerano alcuni dettagli in una direzione e con l’altro altri.
45Per parlare del mio percorso analitico, ho preso come punto di partenza il sintomo che mi aveva portato all’analisi.
La Passe vera e propria
46Il punto di partenza è stato costituito dalla ricostruzione della congiuntura drammatica, responsabile della mia entrata in analisi, in un momento di estremo dolore, di crisi soggettiva, a 19 anni: era una questione di vita o morte e si trattava di una vera richiesta di aiuto. Questa crisi, scatenante l’attualizzazione della nevrosi, è stata favorita da un cattivo incontro dell’ordine della tyché. La caduta, poco tempo prima, di uno dei nomi del padre più eminenti, quello del Dio della religione, alla quale si era aggiunto un cattivo incontro, ha determinato la spinta per far cadere il soggetto nel luogo senza fondo aperto nell’Altro.
47L’incontro con il primo analista e le sedute che sono seguite hanno permesso che i significanti della psicoanalisi si iscrivessero come Nomi del Padre e venissero a sostituirsi nel luogo lasciato vuoto dalla caduta del sembiante principale. La psicoanalisi venne a occupare il posto lasciato vuoto dalla religione: l’emergenza di un nuovo senso che avrebbe ricoperto il reale, non senza produrre un effetto terapeutico innegabile. Anche quest’analisi mi ha aperto la porta per andare più in là.
48Ciò ha supposto separarsi dall’analista, dalla famiglia, dalla pratica, dal paese. Questa volta con un desiderio nuovo che è risultato da quell’analisi: voler fare un’analisi che mi conducesse a una posizione di analista legittima. Non sapevo bene cosa volesse dire, ma in quel momento significava voler accedere a una posizione garantita da un Padre. Era voler cercare nella psicoanalisi il Nome del Padre che fosse idoneo per nominarmi psicoanalista. Questo era il lato rimosso della mia ricerca nevrotica. Il lato manifesto era la faccia di sofferenza che la nevrosi provocava e di cui mi volevo sbarazzare una volta per tutte. Per rendere possibile questo progetto è stato necessario trasferirsi in un altro paese.
49In queste condizioni sono arrivata a suonare alla porta di chi mi ha ricevuta. Quando ho bussato alla sua porta è stato come suonare al campanello dell’ultima chance. Anche allora era una questione di vita o di morte, anche se questa volta il suo correlato patetico si giocava in un registro differente da quello della prima domanda di analisi.
50Quella porta si è aperta. Mai l’incontro con qualcuno mi ha segnato tanto come quel primo colloquio con quell’analista. Quando mi sono presentata di fronte a lui mi ha domandato cosa poteva fare per me. Gli ho risposto che volevo fare un’analisi con lui, per diventare analista.
51Questo è il paradosso della domanda del nevrotico. Invece di presentare le vere ragioni della domanda di analisi, la sofferenza del sintomo, quello che non funzionava, ciò che si metteva di traverso nel mio cammino, ciò che mi faceva soffrire, ho presentato, al contrario, una domanda di riconoscimento della mancanza-a-essere. Una serie di domande – una di esse ripetuta diverse volte – ha fatto emergere in entrata il significante del transfert correlato con il sintomo, così come il pathos che vi era implicato.
52Nel corso di questo primo colloquio si andava delimitando il programma successivo, tagliando e ricentrando la domanda in una modalità che si poteva dedurre a posteriori – nell’ après-coup della seduta – come incentrato sui seguenti punti:
- Si fa un’analisi perché si soffre di un sintomo. Da questo si deduce il secondo punto.
- Un’analisi non può iniziare a partire da una domanda di formazione.
- All’analisi vera e propria si giunge dopo una messa alla prova della domanda fino a condurla a un grado di decisione che spinge in avanti. È questa la funzione dei colloqui preliminari; si può quindi dire che in essi si deve produrre una trasformazione soggettiva che faccia passare il soggetto alla posizione di analizzante.
- Retroattivamente, questo primo colloquio appare marcato dall’atto dell’analista. Egli opera fin dall’inizio ed è il responsabile della caduta delle false ragioni della domanda e dell’emergenza di una domanda vera. Questo atto deve essere messo in relazione con un sì dell’analista che, alla fine dell’analisi, si legge come il sì all’entrata che marca, per l’analizzante a venire, un prima e un dopo e che si enuncia come un «Sì, ti condurrò fino alla fine della soluzione del tuo desiderio».
53C’è qui una scommessa: a partire da questa scommessa di inizio analisi si decide la possibilità che ci sia analisi oppure no, così come si stabilisce il percorso in funzione del suo inizio che determina la conclusione alla quale si arriverà.
54Pertanto questa analisi mi ha anche insegnato l’importanza del primo incontro e dei colloqui preliminari affinché si creino le condizioni di possibilità dell’entrata dell’analizzante nel lavoro analitico, grazie alle incidenze dell’atto dell’analista.
55Qui l’atto dell’analista forza uno spostamento del soggetto. Questo spostamento porta il soggetto a rinunciare al suo «io sono» di identificazione, dove si rifugia l’io, il narcisismo e il disconoscimento della sua divisione, per portarlo ad ammettere l’«io non sono» dell’inconscio con il suo correlato di pensiero. Questo presuppone far sloggiare il soggetto dalle significazioni che gli danno consistenza immaginaria per fargli ascoltare, nell’equivoco in cui risuona il cristallo della lingua, «l’inconscio come sapere che non pensa, non calcola e non giudica, cosa che non gli impedisce di lavorare»11.
56La fine dei colloqui preliminari, un anno dopo, marcherà il passaggio alla posizione analizzante propriamente detta che si salda con il passaggio al divano.
57In questo passaggio si è prodotto:
- La fine del lamento.
In questo passaggio il lamento e il pathos di godimento a esso associato sono stati posti al servizio del lavoro analizzante, facendo sparire il lamento e lasciando aperta la nudità della divisione soggettiva da cui ha potuto essere interrogato il significante padrone che è stato messo al lavoro per produrre un sapere. - La decisione è estrema, c’è qualcosa che spinge.
Comincia qui l’analisi propriamente detta. In questa fase la tensione è estrema, tra il «voglio sapere» (che si è sostituito al «voglio che mi curi») e l’orrore che suscita il sapere. Occorre dire che estrarre, grazie all’analisi, il godimento incluso nel significante, ha presupposto il fatto di rispettare, per molti anni, il dispositivo analitico più sconcertante e sorprendente che si possa conoscere. Qui si plasmava l’anti-consuetudine, l’anti-ipnosi, e un anticonformismo per promuovere il difficile risveglio, puntando al reale grazie all’atto analitico.
58Riassumerei così questa tappa: si può dire che in essa si vada a circoscrivere quello di cui il soggetto era prigioniero come matrice dell’inibizione, correlato dell’angoscia, e la riduzione del sintomo fino al punto indecifrabile del marchio che ex-siste come evento di corpo.
59Il percorso logico della traversata di questo tempo ha potuto essere ricostruito après-coup nella Passe. Qui ha avuto luogo l’estrazione delle coordinate della nevrosi infantile e della posizione del soggetto rispetto al desiderio dell’Altro e alla castrazione. Vale a dire che il lavoro di estrazione operato in analisi rende possibile il fatto che nella Passe si scrivano queste coordinate come ciò che cessa di non scriversi.
60Lo scatenamento della nevrosi infantile, tardivo, trova la sua congiuntura drammatica attorno a un evento sociale la cui conseguenza fu la destituzione del padre dall’alto incarico che occupava. Questa caduta è la caduta di un ordine che regnava, con le sue regole, sia nel sociale che nel familiare. A questo si aggiunse, quasi simultaneamente, un altro evento familiare che venne a significare, per la bambina di nove anni, che il suo posto nel desiderio dell’Altro non poteva più situarsi a partire dalle coordinate falliche che erano servite per darle soddisfazione. Appare l’Altro dell’Amore che rompe gli ormeggi immaginari che sostenevano la piccola soggetto nella sua identificazione all’agalma del desiderio. D’altra parte la destituzione del padre la lasciava senza appoggio, dandole l’occasione di poter riaggiustare la propria posizione.
61La destituzione reale del padre nel sociale, tuttavia, non faceva altro che aprire la beanza già prodottasi in precedenza. Era il tempo dei quattro anni. In quel momento l’incontro con l’impostura dell’Altro che rappresenta la Legge lasciava fuori dal campo del senso il nome sostenuto dalla funzione. In questo tempo si realizzava, come momento di vedere, l’accesso al rovescio dell’Insegna dell’Altro, il suo rovescio di godimento. Questo godimento articola le coordinate del fantasma. Il fantasma assunse dunque, come punto di prospettiva per velare la volontà di godimento, l’imperativo morale con cui sarà ricoperto, per la soggetto, l’orrore del godimento nascosto dal fantasma.
62Da un lato il fantasma (S/<> a) come significazione inconscia articola la risposta al desiderio dell’Altro e, dall’altro lato, questo messaggio inconscio trova il suo punto di capitone terminale nell’Ideale dell’Insegna I(A). Tra questi due poli si giocherà il destino del soggetto e l’impossibile del suo desiderio.
63L’equivalenza del soggetto al più-di-godere da un lato e dall’altro all’insegna, non lascia altra alternativa nella sua oscillazione che quella del posto di eccezione assicurato dall’Ideale oppure quella di eccezione nel posto dello scarto. Questa ambivalenza soggettiva è in relazione con la posizione del padre: prima nella insigne-funzione e poi nel luogo dello scarto dell’operazione di espulsione.
64Disarticolare questa polarità ha significato attraversare uno a uno i significanti che pietrificavano l’identificazione del soggetto nell’ideale dell’angelo per giungere a estrarre nell’enunciazione il singolare di un «io sono» del godimento, come rovescio orribile della caduta che otturava il vuoto del soggetto.
65Nel corso di questo implacabile tragitto, senza cedere alla domanda d’amore, l’atto dell’analista, quasi inumano, ha forzato le barriere della pietà, della compassione, della bellezza, per fare apparire una lettera di godimento. L’atto dell’analista ha reso possibile questa traversata. L’agente, l’analista, ha assicurato con la sua presenza e il suo dire un «non ti lascerò cadere» fino a farmi passare dall’altro lato: dall’altro lato del dolore di esistere che si salda con l’incurabile del soggetto; dall’altro lato della mancanza del padre e della colpa che cessano di scriversi quando si produce la caduta dell’Altro che ne sigla l’inconsistenza, un’inconsistenza solidale con l’impossibile scrittura del rapporto tra i sessi che apre alla scoperta del ben dire.
66Mi trovavo dall’altro lato della significazione che aveva organizzato, come prima interpretazione, i termini della mia vita. Questo passaggio è il passaggio all’altro lato della domanda d’amore. Qui si racchiude il silenzio dell’enunciazione, lo spazio in cui la domanda d’amore non ha altra faccia se non quella della pulsione di morte: orrore ultimo che si rivela per il soggetto come il luogo dell’indicibile.
67Questo impossibile a dire fece risuonare «l’insondabile rapporto che univa il bambino con i pensieri che avevano ruotato attorno al suo concepimento»,12 rendendo possibile, in analisi, tradurre il nome ultimo del desiderio dell’Altro in termini di pulsione: qui si dimostra ciò che il fantasma occulta, velo di godi-senso che ricopre il reale fuori senso come impossibile.
68Uscire da questa matrice, grazie all’analisi, è stato l’equivalente di una rinascita. In ogni caso il soggetto, separato dall’Altro, accedeva a un nuovo modo di essere, a uno stato inedito. Uscire dalla mortificazione mi ha permesso l’accesso a un sapere allegro e a un desiderio inedito il cui indice era l’entusiasmo.
69Giunta a questo punto, l’analista mi propose di fare un controllo. Questa proposta ha potuto essere letta, nella Passe, come il segno del desiderio inedito a cui l’analisi mi aveva condotto: desiderio di offrirmi nel posto di oggetto causa del desiderio per l’altro.
70Mi trovavo in questa ultima tappa della mia analisi quando accadde un fatto comico che vi racconto: un giorno mi sono recata alla mia seduta e l’analista mi fece entrare nel suo studio come al solito. Questa volta però non arrivò. Rimasi da sola, stesa sul divano e dopo un certo tempo me ne andai. Il giorno seguente accadde esattamente la stessa cosa. Mentre ero da sola mi resi conto del vuoto che mi circondava. Ascoltai il silenzio di questo vuoto e mi fece molto ridere. La volta successiva, quando tornai, gli dissi che in realtà avevo fatto la mia seduta da sola e che mi ero accorta che questo succedeva già da tempo. Egli lo confermò. Questa affermazione, alla quale il soggetto accedeva per mezzo dell’atto analitico, apriva al dis-essere dell’analista e derivava dalla perdita di consistenza della sua presenza che era stata provocata dalla sua assenza deliberata.
71Lì cominciò, precipitosamente, l’elaborazione del tempo dell’uscita. Con lo svanire dell’illusione del soggetto supposto sapere, precipitò il tempo di concludere. Questo tempo fu caratterizzato dalle proposizioni conclusive enunciate con economia e precisione.
72Ricordo l’euforia di quel momento, l’allegria che accompagnava questa fase conclusiva, la gioia a cui potei accedere. Mi sembrava incredibile che si potesse vivere in questo modo, nella pienezza di ogni istante. Era come scoprire la vita. Questa altra soddisfazione, nuova, inedita, alla quale accedevo, proveniva dall’estrazione di un singolare modo di godere la cui energia era stata conquistata come forza del desiderio. La soggetto aveva ali. La sua storia, ciò che le era successo in questa analisi, le sembrava qualcosa di incredibile.
73Questo è ciò che ho trasmesso ai passeurs. Ho raccontato anche del momento della separazione dal mio analista, che avevo lasciato, giunto il momento, sapendo che di questa operazione analitica solo ora lui aveva saputo, mentre a me si era rivelato il volto di sembiante nel quale, fin dall’inizio, lui aveva sostenuto la sua posizione.
74Uno dei passeurs insisteva perché spiegassi come era stato possibile destituirlo in quanto soggetto supposto sapere. Gli risposi che era un analista che si lasciava destituire e che non ostacolava la sua caduta nel dis-essere, dato che non operava mai a partire dal significante del sapere, né dal discorso del padrone e che in quanto era stato il mio analista era caduto dal luogo in cui io gli supponevo detenere il sapere dei significanti che si articolano nella catena inconscia, ma che questo non mi impediva di confrontarmi con il suo insegnamento e sperimentare che in questo insegnamento, così come nell’opera di Freud, si trovava articolato un sapere inesauribile.
75Quando gli annunciai che me ne andavo e che non sarei tornata, che era l’ultima seduta, non mi accompagnò. Questa volta rimase seduto sulla sua poltrona di analista. Prima di oltrepassare la porta girai la testa e, incontrando il suo sguardo, sperimentai un’immensa tenerezza.
76Non sapevo che non lo avrei mai più visto. Me lo lasciavo alle spalle come resto dell’operazione di deciframento dell’enigma che lui aveva polarizzato. Il valore di enigma si era trasformato in sapere e il valore d’uso era tramutato in desiderio.
77Finisce qui il tempo della testimonianza.
78I passeurs andarono a testimoniare al Cartello. Dopo due mesi, il Cartello comunicò la sua risposta.
La nomina
79La nomina di ae segna un’altra tappa nella pratica della Passe.
80Analista della Scuola designa un posto nel gradus della Scuola. Questo posto implica che lo si voglia occupare, il che significa che per accedere al titolo di ae occorre aver fatto richiesta di Passe. Vuol dire aver chiesto di «chiamare in causa a fini di esame»13 la propria destituzione soggettiva.
81Il dispositivo della Passe nella Scuola raddoppia il momento della Passe nell’analisi, sottomettendolo alla prova della trasmissione. Questo raddoppio, questo nuovo giro, è ciò che Lacan indica con il termine suspense, che significa un momento o un passaggio la cui proprietà è quella di far sorgere un sentimento di attesa angosciante. Questo si verifica di fatto nel passaggio attraverso il dispositivo: c’è suspense.
82Tra la suspense e la messa in questione con finalità di esame si colloca, secondo Lacan, la posizione dell’ae nella Scuola, dando conto del «precario». Dire che la posizione dell’ae è precaria vuol dire che la sua funzione si esercita in maniera transitoria e anche che il suo avvenire e la sua durata non sono assicurati. L’ae non è un proprietario solidamente insediato in una posizione stabile, è piuttosto un passeggero che passa un certo tempo in una situazione di precarietà. Ma è al precario ae che Lacan affida la sua Scuola. È all’ae che si imputa di potere dar testimonianza dei problemi cruciali per la psicoanalisi.
83Chi domanda la Passe non può ignorare che una risposta possibile da parte della Scuola, per via del Cartello, sia la nomina di ae. Questo significa assicurare nella Scuola una trasmissione: fare lo sforzo di contribuire al progresso della psicoanalisi con il proprio lavoro e la propria testimonianza e di questo fare serie. È una responsabilità con la Scuola, un impegno nello sforzo del ben dire.
84Il Cartello che lo nomina scommette sul fatto che a quel candidato si possa affidare la Scuola a livello dell’intensione, nella misura in cui Lacan sperava che l’ae fosse analista dell’«esperienza della Scuola».
85L’ae non entra in funzione in quanto padrone, ma nel posto dello schiavo che lavora per produrre un significante nuovo. Questa funzione suppone un nuovo patto del soggetto con la causa analitica, in rapporto con la Scuola. Questo nuovo patto può anche significare voler andare più in là nell’operazione analitica, voler sapere un po’ di più, voler strappare un altro pezzo al reale. Questo non vuole dire che l’ae si veda spinto all’analisi da un mero volere dell’ordine dell’epistemico. Ciò che spinge non può essere altra cosa che uno dei nomi che sostengono il nodo della sua struttura: nomina del reale come angoscia, nomina del simbolico come sintomo, nomina dell’immaginario come inibizione.
86Non sarebbe esagerato concludere che la nomina di ae operi un appello rivolto al luogo in cui il significante manca per nominare L’analista che, come La donna, non esiste e che, di conseguenza, in quel buco risponde solo uno dei nomi che fanno esistere la consistenza della struttura. Per ciò che mi riguarda, la risposta è stata l’angoscia.
87In ogni caso, ciò che ho messo di fronte a voi non è una speculazione. È stato per me un fatto di esperienza. Siccome ho avuto l’occasione di testimoniare nell’ultimo Incontro Internazionale, a Parigi – luglio 1994 –, la nomina di ae mi ha portato a riprendere il bastone di analizzante per iniziare ancora il cammino del pellegrino, seguendo l’orientamento segnato dalla Via Lattea, che qui altro non è che quello del desiderio dell’analista.
L’analisi dopo la Passe
88Il bastone del pellegrino analizzante non si riprende senza dolore, per lo meno se non c’è qualcosa che spinge.
89A me pareva incredibile che questo succedesse. Ma era necessario che mi accordassi con un partner che valesse per chiarire questa irruzione di angoscia tanto sorprendente.
90Da un lato, mi animava la convinzione di essere arrivata nella mia analisi a una vera conclusione, che si saldò con una soluzione di desiderio. La difficoltà si presentava dal lato del potersi prestare nuovamente al gioco del soggetto supposto sapere, al di là del suo dissolvimento. Questo fu possibile perché trovai un analista che fece valere per me il desiderio di sapere, al di sopra di ogni considerazione. Così, questo analista si presentava come chi non ha nessuna idea preconcetta sulla fine analisi, né pregiudizi analitici sulla Passe e fece valere nella sua purezza il desiderio dell’analista come unica direzione. Questo spinge ad andare più lontano.
91Così ho potuto cominciare a decifrare e delucidare l’irruzione di angoscia che aveva suscitato la nomina. Essa si produceva come conseguenza di un discorso, al rovescio della destituzione del padre dalla sua alta funzione; tuttavia, pareva che l’angoscia di oggi fosse la stessa di ieri; quindi, un filo conduttore orientava verso l’angoscia infantile.
92Se nell’analisi precedente il fantasma e il sintomo erano stati estratti come nucleo della nevrosi e come la sua armatura logica, è vero anche che questa rivelazione ha reso possibile disarticolare la funzione di eccezione e il suo corollario di identificazione al tratto unario. Quest’ultima apparve come articolata, da una parte, al fallimento della funzione paterna e, dall’altra, connessa al fantasma con un appiglio di godimento. Tuttavia, ciò che è venuto a porsi in evidenza in questo aggiornamento post-nomina, attraverso due sogni, è stata la necessità di sottoporre a revisione la mancanza, non dal lato dell’eccezione, ma dal lato del senza eccezione, relativo a S(A/). Detto in altro modo, era necessario ora rivedere le conclusioni logiche alle quali ero giunta in precedenza dal lato dell’al di là del padre.
93Un primo sogno si colloca nel tempo della suspense, tra la fine della testimonianza e prima di ricevere la risposta del Cartello: due messaggeri vengono a portare alla soggetto una risposta. Questa risposta è un sì, un’affermazione, dal momento che le dicono che sì, hanno trovato una marca nel suo corpo e che questo tratto è il marchio della morte.
94La soggetto comprende esterrefatta nel sogno che se quel marchio non lo aveva mai visto allo specchio, è perché non è visibile, allora deduce che è, al contrario, un marchio che non si vede, ma che si legge e la sua iscrizione significa che non le rimane tanto tempo, che la scadenza è fatale. Si producono quindi nel sogno una precipitazione e una lucidità insopportabili, che non sono altro che la funzione della fretta allo stato puro, che conduce al risveglio.
95In quel sogno l’inconscio rispose, facendo avere alla soggetto quello che del proprio messaggio faceva segno. Segno di ciò che rimane come marchio dopo la sua elaborazione: ciò che non cessa di non scriversi, l’Urverdrängt come rimosso originale che «pare confluire in modo pertinente con la morte»14.
96Un secondo sogno si produce immediatamente nel momento di riprendere l’analisi: la soggetto sogna che prende un aereo per un viaggio transatlantico. In questo aereo viaggiano solo bambine e donne. Lei si sorprende nel constatare che è salita su quell’aereo senza portare alcun bagaglio. Sullo schermo dell’aereo appare scritta solo una sezione del quantificatore della sessuazione dal lato femminile: Non esiste una x che neghi la funzione Phi di x. L’enigma di questa scrittura è responsabile del risveglio. Qui, in questa scrittura, che presentifica che non c’è alcuna esistenza che si iscriva negando la funzione della castrazione, si circoscrive nel sogno il buco, la mancanza di significante che dal lato femminile iscrive l’assenza della funzione di eccezione come limite. L’angoscia era il segno proveniente da quel posto dove nessuna esistenza si iscrive come eccezione. Il senza nome di quella beanza nel simbolico si apriva di fronte alla chiamata della nomina e provocava la stessa vertigine infantile: l’abisso angosciante dell’infanzia che si produceva quando la soggetto non trovava appoggio in nessuna esistenza che la includesse nella funzione fallica, come impotenza del linguaggio a includere il non-tutto del godimento femminile.
97Un altro sogno portò all’attenzione un ricordo infantile: la scena succedeva in un universo femminile, quello della scuola delle suore. Il luogo che il sogno metteva in evidenza, tanto frequentato durante l’infanzia, era un posto nel quale regnava una pantomima del «per tutti, senza eccezione», mentre gli atti denunciavano la ricerca permanente e l’insediamento, incessante, dell’eccezione e del godimento dell’eccezione. In quella morsa emerge il seguente ricordo: un giorno, passando di fronte al quadro d’onore che si trovava nel grande atrio d’ingresso della scuola, a sinistra, dove si mostravano le foto e i nomi delle migliori alunne di ogni classe, scoprii nel benemerito quadro che nel posto che prima era occupato dalla mia foto e dal mio nome c’era un buco.
98Il quadro d’onore diventò, immediatamente, un quadro d’orrore. Dal fondo di questo buco emerse l’inevitabile Che vuoi? L’istante di vedere mi fece sprofondare nella perplessità e poi, nell’istante di comprendere, giunsi senza indugio a una conclusione che permase sempre silenziosa: se i miei voti non erano cambiati, né il mio lavoro, né la mia attenzione, allora voleva dire che le benemerite suore mi associavano alle circostanze politiche che avevano segnato la caduta di mio padre, che mi legavano alla stessa roccia, che eravamo diventati così lo stesso Sisifo.
99La nomina di ae come quadro vuoto, vuoto del significante dell’Analista, veniva a convocare quell’episodio traumatico.
100Che cosa emergeva dal buco lasciato vuoto dal nome e dal viso?
101Da una parte l’innominabile del soggetto, l’irrappresentabile, l’impensabile dell’equivalenza del soggetto al suo statuto di oggetto. E anche il buco nella sua triplicità borromea, dove ogni cerchio di corda, reale, simbolico e immaginario, non circoscrive nient’altro che un buco.
102La nomina di ae come tale non si produce a partire dal riconoscimento di un’insegna identificatoria, ma dal suo rovescio, ovvero dalla produzione del buco, dal vuoto del soggetto e dalla caduta dell’orrore di sapere che cosa otturava il vuoto. È per questo che la nomina permetteva l’incrocio del quadro d’orrore e del quadro d’onore. L’angoscia emergeva come segno proveniente dall’al di là del sembiante, del posto che resta scoperto quando si estrae il nome e l’immagine: il puro reale.
103In quella nuova analisi sono stati ripresi alcuni assiomi costruiti nell’analisi precedente e si è lavorato così sulla revisione di quelle deduzioni e conclusioni. Questo aprì la possibilità di trarre altre conclusioni, portando più in là le deduzioni; aprì dunque la possibilità di inventare. Di conseguenza c’è stata apertura dell’inconscio e invenzione di un sapere nuovo relativo alla non iscrizione di un’esistenza che faccia eccezione alla funzione fallica. Vale a dire che qui le deduzioni, rispetto alla posizione femminile della soggetto, permisero di andare più in là nel deciframento della significazione del trauma per ciò che concerneva la scelta della posizione sessuata. Ciò permetteva di circoscrivere l’insondabile decisione e la scelta del soggetto a quattro anni, da dove si distaccava la condizione d’amore che avrebbe retto la sua vita amorosa, in maniera sintomatica.
104Senza dubbio, guardare con la lente di ingrandimento le conclusioni precedenti e condurle – non tutte – a spingere il limite del sapere fino a ottenere qualcosa di nuovo, comportò di denudare un po’ di più l’osso del sintomo, fino a farlo apparire ridotto al supporto o cerniera che sostiene la struttura; una riduzione estrema nella quale il sintomo si fa equivalente al nome.
Il lavoro nella scuola
105L’ae contribuisce attivamente, apportando il proprio lavoro alla Scuola, durante i tre anni della durata della sua funzione. La scommessa è di riuscire a fare di ciò che c’è di più cruciale dell’esperienza analitica qualcosa di trasmissibile. Il che non è sempre evidente, poiché si tratterebbe di riuscire a trasmettere agli altri quello che l’atto analitico ha scatenato come sapere al posto della verità. Qui trasmissione non equivale tanto a insegnamento, ma sarebbe, piuttosto, dell’ordine della virtù, dato che si tratta di trasmettere qualcosa che non è articolato come un sapere perché sia insegnabile. Detto altrimenti, come fare matema, ossia trasmissione, del più singolare di un dire che si ritaglia come prodotto nell’esperienza, estratto dalla sequenza di ciò che viene detto? Questo si traduce in un modo di dire che segna lo stile.
106Nella Scuola l’ae, grazie al suo lavoro e al suo stile, può essere degno di incarnare, a volte per un altro, l’agalma del desiderio, a condizione di non confonderlo con l’agalma della sua persona. Non sarebbe esagerato dire che l’ae vale come esempio per ciò che riguarda la creazione: da un lato, è un esempio di non modello, in tal caso sempre unico e, d’altra parte, la sua creazione consiste nel fare qualcosa a partire dall’ex-nihilo proveniente dal culmine di destituzione soggettiva, che risulta dalla sua analisi e raddoppiata dalla nomina.
107Questo implica che non cessi di passare la sua Passe, che non cessi di scriversi il trattamento, sempre rinnovato, del suo non volerne sapere. Detto altrimenti: non cessare di confrontarsi all’impossibile può condurlo all’esercizio del ben dire, come modo incessante «di trattare il godimento per mezzo del discorso»15.
108Può capitare che l’ae diventi membro di un Cartello della Passe: in che misura gli serve il sapere che ha acquisito dalla sua Passe per trattare l’esperienza di altri? Ciò che ha saputo dalla sua Passe, gli avrà insegnato che ciò non costituisce la misura che serve a giudicare gli altri. Ciò nonostante, dalla sua Passe sarà riuscito a farsi un’idea di ciò che significa l’incompletezza e l’inconsistenza dell’Altro e si sarà lasciato insegnare rispetto al punto in cui la logica della Passe rifugge la logica dell’universale, sostenuta dall’Uno dell’eccezione che traccia il contorno del Tutto. In questo senso, egli potrà forse ascoltare, nella faglia del sapere che la testimonianza rivela, la posizione enunciativa del passant.
109Perciò l’ae è un cartellizzante avvertito e può, con facilità, farsi credulo della testimonianza, il tempo sufficiente per concludere.
110Oggi ho sviscerato, di fronte a voi, il corpo della Passe nei suoi tempi successivi. Sicuramente non vi ho detto tutto. Ciò che vi ho comunicato, compiendosi il suo destino di perdita, lascerà come scia un piccolo resto nel dire. In futuro, se ciò avrà qualcosa a che vedere con questo o quell’altro desiderio di Passe, potrà supporsi, allora, che il messaggio che attraversa queste Giornate sarà arrivato a destinazione.
Notes de bas de page
1 Conferenza pronunciata nel maggio 1995 alla Sezione clinica di Buenos Aires.
2 J. Lacan, Un Otro falta, «Escansión», nueva serie n. 1, Buenos Aires, Manantial, 1989.
3 Id., Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola, in Altri scritti cit., pp. 241-256.
4 Id., Comunicato all’École, in Altri scritti cit., p. 289.
5 Id., Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola, in Altri scritti cit., p. 242.
6 Id., Sobre la experiencia del Pase, “Ornicar?”, 1, 1981, p. 36; trad. nostra.
7 Actes de vecf, vol. xviii; trad. nostra.
8 J. Lacan, Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata, in Scritti, vol. I cit., p. 206.
9 Id., Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola, in Altri scritti cit., p. 241.
10 Id., Televisione, in Altri scritti cit., p. 526.
11 Id., Televisione, in Altri scritti cit., p. 513.
12 Id., Suplemento de Escritos, Barcelona, Argot, 1984, p. 126; trad. nostra.
13 Id., Discorso all’École freudienne de Paris, in Altri Scritti cit., p. 267.
14 Id., Réponse à une question de Marcel Ritter, “Lettres de l’École Freudienne”, 18, 1975; trad. nostra.
15 J.-A. Miller, Gli affetti nell’esperienza analitica [1986], “La Psicoanalisi”, 8, 1990.
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