V. Leggo la lallazione
p. 33-38
Texte intégral
1Che cosa mi ha preso per volermi analizzare in una lingua Altra rispetto alla mia, rivolgendomi a un analista che non parlava la mia lingua?
2Se scelta c’è stata, è stata piuttosto dell’ordine di una scelta forzata, che mi ha spinta a lasciare il mio paese per andare a vivere in Francia, a Parigi, dove lui risiedeva e riceveva.
3Inoltre, poco tempo dopo il mio arrivo, si è scatenata una «caccia alle streghe» nel mio paese di origine, segnando la mia partenza con il sigillo del non ritorno, cioè dell’esilio. Eravamo a metà degli anni Settanta, prima dell’aumento dello scambio e dei viaggi fra gli abitanti di continenti differenti, che più tardi la spinta della globalizzazione avrebbe imposto.
4Ebbene, questa sequenza si ordina retroattivamente solo nel prendere in conto una serie di contingenze, di incontri, che si trovano all’origine di questa scelta. Se sono arrivata a cercare questo analista è perché lo avevo già incontrato leggendo gli Scritti. Leggendo Funzione e campo della parola e del linguaggio senza aver compreso un granché mi sono però sentita toccata dall’enunciazione. La lettura di alcune affermazioni, come «l’inconscio è strutturato come un linguaggio», «le risonanze dell’interpretazione», hanno provocato in me un forte impatto. Questi enunciati hanno risuonato, hanno toccato il mio corpo, e mi hanno fatto sentire un «è questo!» dell’ordine di una certezza anticipata. Questo momento inaugurale mi ha spinta verso l’uscita. Per me era questione di risolvere la mia impasse soggettiva, annodata all’impasse della mia formazione, ossia al limite incontrato nella mia esperienza di analisi di allora. Una specie di scelta forzata si è imposta a quel punto strappandomi dalla mia terra, spingendomi al pellegrinaggio al fine di bussare a un’altra porta.
5Quando mi ha ricevuta non parlavo ancora con fluidità in «lingua materna francoys»1. Ciò nonostante questa difficoltà per lui non ha costituito un’obiezione. Ha preso sul serio la mia domanda e ha dedicato il suo tempo a valutarla nel corso di un primo colloquio. Per lui era cruciale chiarire tanto ciò che mi aveva spinta a chiedere una prima analisi all’età di diciannove anni quanto l’esplicitazione di questa scelta rivolta a lui e non a qualsiasi altro.
6In maniera magistrale ha isolato successivamente le coordinate del sintomo e il significante del transfert.
7Nel corso di quel primo colloquio ho detto: «Nous avions venus» (siamo venuti) e lui mi ha segnalato: «In francese si dice Nous étions venus». È stata la prima e unica volta che mi ha corretto una forma grammaticale imperfetta. Ah! Mi ero sbagliata con il trapassato prossimo! In effetti, si può ascoltare che avevamo preso l’aereo (l’avion) per arrivare in Francia, ma nel difetto della mia coniugazione si insinuava la mia lalingua, romanza come il francese, nella quale il verbo «avere» aveva espulso molto presto il verbo «essere» come ausiliare nella coniugazione del tempo passato.
8Nonostante questo tutt’altro che perfetto, ha accettato di farsi mio partenaire, mettendo l’accento, in atto, su altre condizioni, annunciandomi alla fine di questo colloquio «che una psicoanalisi è una faccenda seria» e che lui praticava «prima di cominciare la psicoanalisi propriamente detta, i colloqui preliminari». Io allora ero lontana dal supporre che avrebbe sottoposto la mia domanda a una dura messa alla prova, nel corso di questo tempo chiamato «preliminare», affinché dessi prova di un desiderio deciso.
9All’inizio per me si è prodotta la caduta dell’illusione della tanto sperata comunicazione tra di noi. Credendo che fosse in ragione del fatto che non parlavamo la stessa lalingua, cercavo, nella misura delle mie possibilità di allora, di costruire molto bene le mie frasi, al fine di commuoverlo. Sforzo inutile! In quel momento aspiravo solo a ottenere il suo consenso perché mi lasciasse dormire al fine di proseguire il mio sogno, secondo il quale in una seduta di analisi si versano continuamente lacrime, alimentate da una chiacchiera di sofferenza, tutto di pari passo a una conclusione relativa al senso. Lui opponeva senza sosta un rifiuto categorico, riducendo le sedute a delle unità a-semantiche2, secondo la modalità della frase interrotta. Prima che la significazione si agganciasse chiudendosi in un cerchio, sferico tanto quanto l’immagine allo specchio, Lacan concludeva con la velocità del lampo, chiudendo la seduta, opponendosi così all’intenzione di significazione.
10Al posto dell’effetto di senso sperato si imponeva l’effetto di siderazione, la foschia del dispetto e la vertigine della perplessità. L’ego non usciva indenne davanti a simili scosse sismiche.
11Solo in un secondo tempo ho potuto ascoltare l’equivoco che germogliava dal taglio attraverso la disgiunzione del significante S1 e l’altro significante, S2, responsabile dell’effetto di senso. A partire da quel momento l’analisi è virata per me dal patetico al comico, non senza aver fatto prima la dura prova di una rottura in atto dell’«apparecchio del godimento»3, che non è altro che il linguaggio. In effetti, se l’impatto dell’enunciato proferito da Lacan nel corso del suo primo insegnamento, «l’inconscio è strutturato come un linguaggio», mi aveva condotto verso di lui, con il passare del tempo, nel cammino percorso lungo il suo insegnamento, Lacan ne ha spinto più lontano le conseguenze e, nelle sue successive riformulazioni concettuali relative all’inconscio e al sintomo, ha puntato non solamente agli effetti di verità, ma al campo del godimento. Troviamo esplicitata questa riformulazione nel momento in cui enuncia: «Io mi spingo oltre, fin dove è attualmente possibile, dicendo che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Partendo da qui, non c’è dubbio che questo linguaggio si chiarisce in quanto si pone come apparecchio del godimento»4.
12Un po’ più tardi, attraverso Joyce, Lacan «tenta di situare ciò che dovrebbe essere un concetto rinnovato dell’interpretazione che tocca il sintomo»5 e ai fini di questo obiettivo opererà in maniera tale che «l’ordine del linguaggio si mostra scomposto, disfatto»6 per far risuonare i marchi di godimento de lalingua.
13Ho avuto l’esperienza in carne e ossa di questa polverizzazione in atto dell’ordine del linguaggio, constatando inoltre come l’analista potesse servirsi della forma singolare nella quale io pronunciavo alcuni suoni della lingua francese attraverso la contaminazione fonetica che proveniva dallo spagnolo, per far risuonare con impeto l’equivoco fra i suoni de «l’elingue»7.
14Mi limito qui a un esempio, un’interpretazione che è stata memorabile, come tante altre. Un giorno ho ricordato un evento traumatico in cui, avendo commesso un atto mancato – il quale si rivelerà più tardi riuscitissimo –, mio fratello mi ha domandato: «Perché lo hai fatto?». Gli ho risposto: «Perché sono troppo cattiva (je suis trop méchante)». Taglio della seduta.
15Retrospettivamente, dopo il taglio della seduta, ho sentito: «Io pulisco, sopporto, assorbo troppo, ma canta!» (j’essuie trop, mais chante!). Questo ha prodotto in me un effetto di risveglio, le cui risonanze sono state la deflazione del valore di «essere troppo», che implica sempre un «non essere sufficiente», entrambi allineati al significante m’essere (m’être è omofono con maître: padrone), che «è forse l’essere al comando, e che ci troviamo dinanzi al più strano specchietto per le allodole»8. Nel posto dell’«io sono» l’interpretazione permette di ascoltare «essuie (pulisco, sopporto, assorbo), rimandando etimologicamente a exsucare, che implica rappresentare il succo, la linfa, il sugo e, in questo caso preciso, la linfa del godimento di lalingua in cui il corpo «si gode». Successivamente si produce la caduta del significato di «cattiva» grazie all’annullamento operato tramite l’equivoco. Il senso di questa parola, «mala» in spagnolo, viene da «male», come pure la parola méchante in francese, che così come ricorda Lacan: «Ha a che vedere con il male se consideriamo la prima sillaba “mé”, la quale è presente nelle parole maledire (médire) e disprezzare (méprise). La seconda sillaba concerne la caduta (choir). Malvagità è cadere male o cadere nel male»9.
16Più avanti, nel corso dello stesso intervento, Lacan osserva che «la malvagità è dell’ordine dell’atto mancato. Si commettono malvagità solamente nel perseguimento del bene di qualcuno. E pertanto, manchiamo».
17Così si è svuotato il senso-goduto dell’essere che cade male, nel male, nella cattiva sorte (malchance). Al suo posto è risuonato il «ma canta!» (mais chante!), di cantare, verbo latino che molto presto ha sostituito il verbo canere, lingua augurale le cui formule sono canti ritmici10.
18E così siamo stati condotti dall’equivoco verso le risonanze dell’oracolo.
19Nella sua pratica Lacan svuota l’essere puntando, con la sua operazione radicale, a «produrre una bascula nel raggiungimento dell’effetto di senso […] in un modo che vada al di là della parola» e dei suoi effetti di fascinazione, con il fine di produrre «un effetto di senso che sia reale»11.
20Questa breve sequenza della mia analisi, prodotta nel corso di una breve seduta ridotta a una frase interrotta, rinvia a un evento di corpo molto precoce, forse non il primo.
21Avevo l’uso della parola, avrò avuto circa due anni. Mia madre stava cantando una ninna nanna per addormentarmi. La mia testa riposava sul suo petto. Io conoscevo il senso monotono della ninna nanna e all’improvviso, separandomene, ho ascoltato con stupore solo il suono che proveniva dal corpo di mia madre, dall’interno del suo corpo. Fino ad allora i suoni che mia madre emetteva per me erano esterni al suo corpo e alla sua bocca, e in quel momento ho scoperto che il suo corpo era una cassa di risonanza, come un siku, una kena o una zampogna12. Allora ho scoperto stupefatta che il suo corpo era bucato! Sono stata catturata da una sensazione di felicità e presa da una viva emozione, commossa dalle delizie dei suoni che uscivano dal corpo di mia madre e che, attraverso il mio orecchio, risuonavano nel mio corpo. Mi sono addormentata subito e forse, quasi per sempre. Questo momento in cui l’impatto de lalingua ha percosso il mio corpo è stato indubbiamente poi ricoperto da un mucchio di finzioni guidate dal linguaggio, però sono rimaste le tracce che con il passare del tempo avrebbero preso una tonalità sul versante del patetico.
22Possiamo concepire dunque la portata del significante «risonanze», il cui impatto con l’orientamento della lettura degli Scritti ha segnato un incontro, nella misura in cui si è ripercosso in un «era scritto». Lacan ha ravvivato questi marchi, convocando con la sua operazione il significante Uno solo, non come tratto, piuttosto come buco, nella misura in cui il linguaggio è legato a qualcosa che buca il reale13.
23Così, l’analista troumatique (buco-traumatico), giocando alla lallazione, facendo vibrare le risonanze de lalingua sul corpo, svuotando i miraggi dell’essere, ha spostato le conseguenze dell’operazione analitica verso il luogo di ciò che ex-siste, al di là delle risonanze, nella «consonanza» del reale, il quale, annodandosi come terzo all’immaginario e al simbolico, «è ciò che fa accordo» «rispetto ai poli costituiti dal corpo e dal linguaggio»14.
24Un sogno, che ha aperto verso la conclusione dell’analisi, non si è privato di giocare alla lallazione, introducendo una scrittura.
25Un mese di vacanze a Creta mi aveva dato l’occasione di divertirmi imparando alcune parole in greco. Sogno allora un pesce uscito dal mare (la mer-mère), che giace sulla sabbia. Lo prendo e constato che il suo corpo non è chiuso, è aperto, tagliato, lasciando a cielo aperto la spina sulla quale è scritto Ψαρι, psari, pesce in greco.
26Le risonanze dei suoni di lalingua usciti dal corpo di mia madre e il suo corteo di significati sofferti sono stati svuotati dai tagli praticati dall’analista. Il sintomo così denudato dei suoi sembianti è stato ridotto a un osso15, una spina, superficie di iscrizione della lettera Ψ.
27Ho potuto leggere dunque in quel momento un passaggio dal senso-goduto della voce verso un’altra via della voce, la quale implica un altro uso dei suoni e delle orecchie, aprendomi la possibilità di assumere la funzione di spina-sinthoma per altri, potendo operare di volta in volta, in maniera troumatique (buco-trauma).
28Avete sentito «Ψαρι? Psi ha riso?». Non invano Lacan enunciava: «In più santi si è, più si ride è il mio principio, addirittura l’uscita dal discorso capitalistico»16.
Notes de bas de page
1 Espressione che proviene dall’ordinanza reale di Villers-Cotterêts firmata da Francesco I nel 1539.
2 J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazione, “La Psicoanalisi”, 19, 1996, p. 125.
3 J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973] cit., p. 53.
4 Ibidem.
5 J.-A. Miller, Al di qua dell’inconscio, “La Psicoanalisi”, 63-64, 2018, p. 52.
6 Id., Pezzi staccati. Introduzione al Seminario XXIII “Il Sinthomo”, a cura di A. Di Ciaccia, Roma, Astrolabio, 2006, p. 27.
7 “L’élangues”, omofono di les langues, condensa langues (lingue) ed élan (slancio, impeto): J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo [1975-1976] cit., p. 10 e P. Sollers, Joyce y compañia, in Théories des Exceptions, Paris, Gallimard, Folio Essais, 1985, p. 90.
8 J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973] cit., p. 38. M’essere: gioco di parole tra maître, “padrone”, e m’être, “m’essere”: nota 2, p. 30.
9 Id., Réponse à une question de Mm Ch. Strohl, le 27 janvier 1975 à Strasbourg, in Lettres de l’École freudienne de Paris, XVII, 1976; trad. nostra.
10 Le Robert, dictionnaire historique de la langue française, sous la direction d’Alain Rey, Paris, 1998.
11 J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXII, rsi, “Ornicar?”, 4, p. 93; trad. nostra. Sul tema si veda anche: Éric Laurent, L’interpretazione: dalla verità all’evento, consultabile su https://www.slp-cfr.it/rete-lacan-40-10-febbraio-2022/#art_1.
12 Nomi di strumenti musicali dei popoli indigeni costruiti con tubi.
13 Cfr. J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo [1975-1976] cit., p. 30 e Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973] cit., pp. 121-123 e pp. 137-138.
14 Id., Il Seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo [1975-1976] cit., p. 38.
15 J.-A. Miller, L’osso di un’analisi, Milano, Franco Angeli, 2001.
16 J. Lacan, Televisione [1973], in Altri scritti cit., pp. 515-516.

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