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6. La risposta dell’ordinamento alle molestie sessuali, nell’attesa di una nuova norma incriminatrice

p. 172-192


Texte intégral

1Sino ad oggi il legislatore italiano si è occupato espressamente di molestie sessuali solo nell’ambito lavorativo, nel quale è apparso essenziale rafforzare la tutela dei lavoratori (e delle lavoratrici soprattutto) che, oltre alle conseguenze sulla salute fisica e psichica, sono esposti al rischio di perdere il lavoro, in conseguenza della denuncia.

2Non esiste dunque nel nostro ordinamento una norma penale dedicata specificamente a reprimere le molestie sessuali: una lacuna che, seppur non impedisca che l’autore della molestia sia sanzionato penalmente attraverso altre disposizioni di legge, risulta problematica alla luce degli impegni assunti dallo Stato italiano in sede internazionale. Sin dal 2013, con la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul), il nostro Paese si è impegnato a sottoporre a sanzione penale le molestie sessuali, indipendentemente dal contesto, lavorativo o meno, nel quale si siano verificate (art. 40)1. E l’inadempienza del legislatore italiano a questo riguardo è stata sottolineata dal Gruppo di esperti incaricati di monitorare l’attuazione della Convenzione (GREVIO) nel Rapporto di valutazione concernente il nostro Paese, pubblicato agli inizi del 20202.

3Per questa ragione, dopo aver dato uno sguardo alle principali disposizioni che mirano a tutelare la lavoratrice dalle molestie subite sul luogo di lavoro, l’attenzione sarà rivolta principalmente alla tutela che l’ordinamento offre (e in futuro ancor più dovrebbe offrire) sul piano penale alle vittime di quei comportamenti che, ovunque e da chiunque realizzati, possono presentare un carattere altamente offensivo e produttivo di gravi conseguenze, come ogni indagine sul tema e i (relativamente pochi) casi giudiziari rivelano.

6.1. Le molestie sessuali nel Codice delle pari opportunità

4Nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. 198/2006) è inserita una definizione di molestie sessuali, che recepisce quella contenuta nella legislazione europea antidiscriminazione e in particolare nella Direttiva 2006/54/CE “riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”3. In quella definizione le molestie sessuali sono espressamente assimilate alle discriminazioni:

Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

5Ugualmente discriminatore sono definite le molestie sessuali, che si caratterizzano per il fatto di essere comportamenti indesiderati “a connotazione sessuale, che sono espressi in forma fisica, verbale o non verbale” (art. 26)4.

6Alle molestie sono infine equiparati – e considerati parimenti come discriminazione – “i trattamenti meno favorevoli subìti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato [le molestie] o di esservisi sottomessi” (art. 26 comma 2-bis) così come i provvedimenti adottati come “reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne” (art. 26 comma 3).

7Con la legge 205 del 2017 si è poi provveduto a tutelare la vittima delle molestie (di qualunque tipo) nei confronti di conseguenze lavorative sfavorevoli derivate dalla sua denuncia5, quali sanzioni disciplinari, demansionamento, trasferimento, licenziamento, o qualsiasi “altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro”. Tali provvedimenti, così come qualsiasi misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del/della denunciante, sono nulli e quindi non produttivi di effetti sul piano giuridico (art. 26 comma 3-bis).

8La stessa legge ha poi precisato che il datore di lavoro deve farsi carico della prevenzione delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro, “anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa più opportune”, al fine di assicurare condizioni di lavoro adeguate alla salvaguardia dell’integrità psicofisica del lavoratore e della sua dignità (art. 26 comma 3-ter)6. Il datore di lavoro, già obbligato a garantire “l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” (art. 2087 del codice civile), potrà dunque essere ritenuto responsabile delle molestie da chiunque realizzate sul luogo di lavoro se non ha predisposto le opportune cautele per prevenirle (ad esempio modificando l’orario di lavoro del lavoratore o della lavoratrice per evitare il contatto con un determinato collega o cliente molesto, ecc.)7.

9Sul fronte della lotta alle molestie sessuali sul luogo di lavoro va menzionata infine la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 190/2019 sulla violenza e sulle molestie, che è stata ratificata dall’Italia con la legge n. 4/20218. La Convenzione definisce l’oggetto del suo intervento affiancando a “violenza e molestie nel mondo del lavoro”9 la violenza e le molestie “di genere”, nel cui ambito sono ricomprese le “molestie sessuali”, che si caratterizzano per il fatto di essere rivolte “nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere” o di colpire “in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico” (art. 1 lett. b).

10L’ambito di protezione assicurato dalla Convenzione – e dalla Raccomandazione 206/2019 che l’ha integrata, formulando un piano comune di azione – è particolarmente ampio, con riguardo sia alle vittime che ai luoghi e alle circostanze nei quali la violenza o le molestie si sono realizzate. Innanzitutto, sono protette tutte le persone che lavorano, indipendentemente dallo status contrattuale (quindi anche tirocinanti e apprendisti, volontari, aspiranti lavoratori) e anche le persone licenziate; irrilevante è pure l’ambito nel quale il lavoro viene svolto, sia esso nel settore privato o pubblico, di economia formale o informale e di aree urbane o rurali (art. 2). Quanto ai luoghi e alle circostanze nei quali la violenza e le minacce possono dirsi realizzate “nel mondo del lavoro”, la Convenzione mira ad essere omnicomprensiva, includendo quelle realizzate “in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro”: sono così ricompresi anche luoghi meno scontati, come quelli destinati alla pausa o alla pausa pranzo e gli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro; allo stesso modo, la tutela si estende agli spostamenti, anche per recarsi al lavoro e per il rientro dal lavoro, ai viaggi di lavoro, formazione, eventi o attività sociali correlate con il lavoro”.

11La ratifica della Convenzione dell’OIL ha comportato per il nostro Paese anche un rinnovato impegno sul fronte della risposta sanzionatoria che le molestie sessuali devono ricevere: una risposta che sia efficace e proporzionata alla loro gravità e della quale si stava a quel tempo già discutendo nelle aule parlamentari, in vista dell’attuazione della Convenzione di Istanbul anche su questo aspetto (si veda il paragrafo 6.4).

6.2. La repressione penale delle molestie sessuali

12Come si è anticipato, l’assenza di una specifica disposizione che reprima le molestie sessuali non significa che esse siano totalmente sottratte alla sanzione penale: se le forme “più lievi” possono entro certi limiti assumere rilevanza penale attraverso il reato di “molestia o disturbo alle persone” (si veda il punto alla lettera e), per le forme che appaiono più gravi, per carica offensiva o reiterazione nel tempo del comportamento molesto, il sistema penale vigente offre più strumenti di contrasto, con conseguenze sul piano sanzionatorio anche di una certa gravità (almeno sulla carta). Vediamo dunque brevemente quali sono le figure di reato utilizzate dalla giurisprudenza per reprimere le forme di molestia sessuale portate alla sua conoscenza.

 

a) Il reato che più si presta a reprimere le molestie sessuali che si estrinsecano in un comportamento fisico è quello di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), che ricorre ogniqualvolta sia imposto ad un’altra persona un atto sessuale qualsiasi, avendo la riforma della metà degli anni ’90 eliminato la originaria distinzione tra stupro (“congiunzione carnale violenta”) e “atti di libidine violenti”10. Secondo la giurisprudenza, tuttavia, per atto sessuale deve intendersi quello che comporti un contatto corporeo, restando quindi esclusi dall’ambito di applicazione della norma quei comportamenti “come un gesto di autoerotismo o esibizionismo sessuale compiuti dinnanzi a terzi, i quali, pur integrando una manifestazione di istinto sessuale, non si concretano in un contatto corporeo tra il soggetto attivo e passivo ovvero non coinvolgono la corporeità di quest’ultimo”11. In altre parole, secondo questa impostazione, la libertà sessuale della vittima non sarebbe lesa da un comportamento che pur riguardando la sfera sessuale non coinvolge direttamente (fisicamente) il suo corpo; altre disposizioni sarebbero eventualmente disponibili per reprimere questo tipo di comportamenti12, che offenderebbero la “libertà morale” della persona – intesa come generale volontà di agire a proprio piacimento – anziché la libertà sessuale.

13Stando alla lettera della legge, la costrizione a compiere o subire l’atto sessuale deve essere realizzata “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità”: è questo un importante (e ingiustificato) limite all’operatività della norma che tuttavia ha subìto un notevole ridimensionamento grazie all’interpretazione elaborata nel corso del tempo dalla Corte di cassazione. Da un lato, infatti, si è chiarito che l’abuso di autorità può ricorrere anche quando sia un privato ad approfittare della sua posizione sovraordinata nei confronti di un’altra persona: è il caso, ad esempio, del datore di lavoro o del superiore gerarchico che molestino sessualmente una loro dipendente13. Dall’altro lato, si riconosce che la “violenza” non deve consistere necessariamente nell’uso della forza fisica, della quale quindi devono essere di volta in volta riscontrate le tracce.

14In particolare, l’uso della costrizione fisica non è più ritenuto necessario quando l’atto sessuale sia imposto in modo repentino (ad es., toccamenti fugaci a sfondo sessuale) oppure insidioso (il caso del medico che abusa subdolamente della paziente), perché la “violenza” richiesta dalla norma è in questi casi già presente nella modalità con la quale l’agente ha di fatto impedito alla vittima di esprimere il suo dissenso, cogliendola di sorpresa o approfittando della sua buona fede (si parla infatti di violenza “implicita o potenziale”)14. Allo stesso modo vengono considerati i casi nei quali l’atto sessuale risulta imposto con violenza perché realizzato in una situazione di paura o comunque di forte soggezione psicologica della vittima nei confronti dell’agente, della quale quest’ultimo approfitta (cd. “costrizione ambientale”)15: situazioni che ricorrono tipicamente nei casi di violenza domestica, ma che possono riscontrarsi anche in ambito lavorativo, nei confronti, ad esempio, di una vittima di mobbing.

15D’altra parte, sin da una pronuncia del 2016 la Corte di cassazione ha affermato che, per la sussistenza del reato di violenza sessuale, non solo non è necessario che l’agente abbia fatto uso della forza fisica – come nei casi appena ricordati –, ma neanche si richiede una manifestazione esplicita di dissenso da parte della vittima, dal momento che non sussiste

un qualche indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato, […] un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella sua sfera di intimità sessuale; si deve, piuttosto, ritenere che tale dissenso sia da presumersi, laddove non sussistano indici chiari ed univoci volti a dimostrare la esistenza di un, sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco, consenso.16

16Si è così pervenuti a individuare il disvalore del reato di violenza sessuale nell’imposizione di atti sessuali a una persona non consenziente e il cui (eventuale) consenso non è stato previamente verificato dall’agente, essendosi evidentemente basato sulla comune opinione – che si vuole scardinare – che sia la vittima a dover esprimere il suo dissenso all’atto sessuale, respingendo le avances di cui è fatta oggetto.

17Attraverso queste soluzioni interpretative, che consentono di dare rilievo decisivo all’assenza di consenso all’atto sessuale da parte della vittima, la norma sulla violenza sessuale contenuta nel nostro Codice penale appare in linea con quanto richiesto dalla Convenzione di Istanbul, che nell’art. 36 identifica come violenza sessuale lo stupro e ogni altro atto sessuale realizzato su una persona “senza il suo consenso”. Tuttavia, per rendere vincolanti quelle interpretazioni nell’applicazione della norma da parte dei giudici di merito, va accolta con favore la sollecitazione, rivolta dal GREVIO alle autorità italiane, “a considerare di modificare la propria legislazione affinché il reato di violenza sessuale si basi sulla nozione di consenso prestato liberamente, come richiesto dall’art. 36, comma 1, della Convenzione di Istanbul”17.

18La disposizione in esame è oggi di grande importanza nella lotta contro le molestie sessuali (fisiche) ed è applicata in presenza sia di prestazioni sessuali ottenute con la forza o con la minaccia del licenziamento quando ad agire è il datore di lavoro, sia di palpeggiamenti e baci improvvisi, anche da parte di sconosciuti, approfittando dell’assenza di testimoni o della vicinanza fisica con la vittima18. Una eventualità, quest’ultima, che può realizzarsi anche sul luogo di lavoro, come nel caso di una funzionaria di banca oggetto di una vera e propria aggressione sessuale da parte di un cliente che, “dopo aver compiuto le consuete operazioni”, l’aveva raggiunta nel suo ufficio e “appena entrato nella sua stanza le si era avvicinato, le aveva stretto la mano in segno di saluto, afferrandola nel contempo con la mano sinistra al volto, all’altezza della mandibola, dandole un bacio sulla bocca con la lingua”. La donna, “attonita, aveva voltato di scatto la testa e l’imputato le aveva riafferrato ancora più saldamente la mandibola cercando di riaprirle con il pollice l’arcata mandibolare e, a quel punto, le aveva dato un secondo bacio con la lingua”19. Lei, allora lo aveva allontanato da sé con più decisione e gli aveva intimato di andarsene, martoriandosi peraltro, nei giorni seguenti, per non essere stata in grado di reagire con prontezza.

19Benché nei casi portati all’attenzione dei giudici emerga spesso una reazione istintiva di chiaro dissenso da parte delle vittime, quantomeno quando l’atto imposto sia inequivocabilmente una molestia sessuale e non ci sia quindi il rischio di fraintendimenti, non mancano casi nei quali l’apparente accettazione di atti sessuali reiterati nel tempo – in quanto posti in essere nell’ambito di un rapporto continuativo, professionale o educativo – è in realtà riconducibile a quella “costrizione ambientale” prima richiamata, trovandosi la vittima intrappolata in un contesto violento, non diverso da quello di cui mariti e compagni si avvalgono nei casi di violenza domestica. E proprio per questo si tratta per lo più di casi nei quali si possono ravvisare anche gli estremi del delitto di maltrattamenti (art. 572 c.p.), con il quale si punisce la violenza ripetuta esercitata in un contesto familiare o “para-familiare” (si veda il punto alla lettera b)20.

20Per il delitto di violenza sessuale è prevista una pena piuttosto elevata (la reclusione da 6 a 12 anni), a seguito dell’inasprimento introdotto con la legge 69/2019 (c.d. Codice rosso)21; tuttavia, le molestie sessuali vengono spesso ricondotte ai casi “di minore gravità” (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p.), in presenza di una limitata compressione della libertà sessuale della vittima, consentendo così l’inflizione di una pena ridotta che, quando non supera i 2 anni di reclusione, può essere sospesa condizionalmente22. La concessione di questo beneficio è oggi subordinata alla partecipazione del reo a “specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati”. Una soluzione che, se e quando potrà essere adeguatamente attuata, per la presenza diffusa di simili percorsi su tutto il territorio nazionale23, potrebbe preludere a risultati migliori, in termini di prevenzione della recidiva, rispetto sia a una mera sospensione della esecuzione della pena, vuota di contenuti24, sia alla reclusione del condannato, per un periodo più o meno lungo, in un istituto penitenziario25.

21Due parole, infine, sul regime di procedibilità di questo reato, che è sottoposto a una disciplina del tutto particolare: al di fuori dei casi in cui l’atto sessuale sia stato imposto a una persona minore di età, per procedere nei confronti dell’autore di una violenza sessuale è necessaria la querela della persona offesa, che ha tempo un anno dal fatto per presentarla26. Una volta presentata, la querela è poi irrevocabile: ciò significa che il procedimento penale prosegue indipendentemente da un eventuale ripensamento della vittima. Vi sono tuttavia delle ipotesi nelle quali la violenza sessuale, ancorché realizzata nei confronti di una persona maggiore di età è procedibile d’ufficio (art. 609-speties c.p.).

 

b) Come si è anticipato, le molestie sessuali, se ripetute nel tempo o comunque inserite in un contesto di abituale denigrazione e umiliazione per la vittima, potrebbero assumere rilevanza ai fini del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.), eventualmente in aggiunta al (più grave) reato di violenza sessuale.

22La norma punisce non solo la condotta di chi maltratta “un familiare o convivente” ma anche quella rivolta a “una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”: queste ultime ipotesi sono incluse nella disposizione perché implicano nell’agente un rapporto continuativo con la vittima, analogo a quello che intercorre con un familiare o un convivente e che, proprio per questa ragione, viene dalla giurisprudenza definito come “para-familiare”27.

23La fattispecie di maltrattamenti è stata applicata dalla giurisprudenza anche nei casi di mobbing e di molestie sul luogo di lavoro, a condizione che, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa, “il soggetto attivo si trovi in una posizione di supremazia, connotata dall’esercizio di un potere direttivo o disciplinare”28 e che il rapporto interpersonale con il dipendente si caratterizzi per una comunanza di vita assimilabile a quella del consorzio familiare: a questo riguardo, la Cassazione ha chiarito che può farsi riferimento “al consumo comune dei pasti, al pernottamento nei medesimi luoghi, alla costante ed assidua vicinanza fisica, al mutuo soccorso, alla solidarietà morale e alla confidenzialità tra il datore di lavoro e il/la lavoratrice”29. Una situazione di para-familiarità è stata ad esempio ravvisata nella quotidianità lavorativa di una donna addetta alla cassa e al servizio ai tavoli di un esercizio commerciale che aveva, nella “relazione diretta ed immediata, fatta di condivisione di spazi e tempi” con il superiore, “la condizione di lavoro ordinaria, unica ed esclusiva”30.

24La condotta umiliante e vessatoria può realizzarsi attraverso gesti, parole e comportamenti che, se anche non costituiscono di per sé reato, vengono sanzionati perché nel loro insieme e nella loro ripetizione nel tempo sono arrivati a produrre nella vittima una condizione di prostrazione e di avvilimento da rendere penose le sue condizioni di vita. Il reato di maltrattamenti – in concorso con quello di violenza sessuale – è stato ritenuto sussistente nella condotta del titolare di uno studio odontoiatrico che per circa un anno ha offeso la dipendente, assistente alla poltrona e segretaria,

rivolgendole frasi ingiuriose, chiedendole di toccarlo, controllandole la borsa e il telefono, leggendo i messaggi che le inviava il suo compagno […] denigrandola e svilendola al punto di convincerla che non avrebbe trovato un altro lavoro e che non fosse idonea a quella professione, criticando la vita che conduceva, gli studi effettuati, la sua cultura e la sua persona in genere, creando in lei uno stadio ansioso depressivo.31

25Anche per questo reato la pena prevista è piuttosto elevata, a seguito dei ripetuti innalzamenti intercorsi negli ultimi dieci anni. Dopo le ultime modifiche inserite dal Codice rosso, la pena può oscillare tra 3 e 7 anni di reclusione, che tuttavia può essere diminuita dal giudice per la presenza di eventuali circostanze attenuanti, sino ad arrivare alla soglia dei 2 anni che consente di beneficiare della sospensione condizionale; quest’ultima è anche in questo caso concedibile solo a condizione che il reo partecipi a un programma per uomini maltrattanti o che usano violenza, come abbiamo visto in precedenza. Il reato è sempre procedibile d’ufficio e se concorre con la violenza sessuale rende non necessaria la querela anche per quest’ultima.

 

c) Un altro reato che può realizzarsi nei casi di molestie sessuali reiterate è quello di atti persecutori (comunemente detto stalking), introdotto nel 2009 per sanzionare comportamenti assillanti e ossessivi, non sempre costituenti reato, in grado di provocare nella vittima eventi traumatici importanti (descritti dalla norma come “un perdurante e grave stato di ansia o di paura”, oppure “un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”) o comunque di incidere significativamente sulla sua vita quotidiana (costringendola “ad alterare le proprie abitudini di vita”); comportamenti, tra l’altro, che l’esperienza ha dimostrato possano preludere a manifestazioni di violenza ancora più serie.

26È pacifico nella giurisprudenza che a causare questi effetti pregiudizievoli per la vittima possano bastare anche due sole condotte persecutorie, realizzate a distanza di poco tempo l’una dall’altra32. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la vittima si decide a denunciare il suo persecutore quando le condotte si sono protratte per un certo arco di tempo, di solito sufficiente a determinare più di una di quelle conseguenze, che la legge considererebbe tra loro alternative. Ciò significa che la modifica delle proprie abitudini di vita da parte della vittima, che appare come la conseguenza meno grave – soprattutto se raffrontata alle altre –, raramente si presenta da sola nel singolo caso concreto e su di essa soltanto si basa una sentenza di condanna.

27Oltre ai casi di condotte assillanti di ex-partner e di condomini fastidiosi, questa norma è stata applicata dalla giurisprudenza pure in casi di mobbing33 e del cosiddetto stalking lavorativo, in alternativa alla disposizione sui maltrattamenti – appena considerata – quando non si ravvisi una situazione di “para-familiarità” o manchi la volontà dell’agente (il dolo) di umiliare e rendere penosa la vita altrui.

28I caratteri della condotta persecutoria sono stati riscontrati, ad esempio, nel comportamento del dipendente Comunale addetto al servizio di biblioteca che in diverse occasioni, per lo più durante la pausa pranzo o fuori dall’orario di lavoro, ha imposto alla bibliotecaria, sua dipendente, atteggiamenti oppressivi a sfondo sessuale, che l’hanno costretta a presentare “una richiesta di mobilità con conseguente cambio di collocazione lavorativa per porre fine alle condotte vessatorie”, divenute sempre più pesanti di fronte ai rifiuti da lei opposti. Così la donna descrive ai giudici la situazione che stava vivendo:

Mi sentivo come un topo in trappola perché a qualsiasi donna può capitare di subire però, una volta respinte le attenzioni, sono respinte. Invece le sue erano irrespingibili perché io non potevo scappare dal lavoro. Lui approfittava del fatto di essere gerarchicamente superiore a me per impormi la sua presenza costante dentro e fuori dal lavoro. Io mi portavo a casa uno stato di tensione così violento che a un certo punto è esploso. […] Arrivavo a casa e piangevo tutti i giorni.34

29Il delitto di atti persecutori prevede una pena più lieve rispetto ai due precedenti reati: quella della reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi. Come nel caso della violenza sessuale (in danno di persona maggiorenne), si tratta di un reato procedibile a querela, anche se differiscono i tempi a disposizione della vittima per sporgere denuncia (6 mesi anziché 12) e vi è la possibilità di ritirarla (sia pure – in base alla legge – sotto il controllo del giudice)35.

30Tra le diverse circostanze aggravanti previste per questo reato compare anche quella della commissione del fatto “attraverso strumenti informatici o telematici”: è questa una previsione in grado di cogliere il particolare disvalore del c.d. cyber harassment, che si realizza con l’invio di messaggi offensivi, ingiuriosi o minacciosi, e con comportamenti inappropriati e persecutori sui social media.

 

d) Tra le aggressioni realizzate “con sistemi informatici o telematici” – e per questo sottoposte a un inasprimento della pena – vi è anche la diffusione non autorizzata di immagini o video sessualmente espliciti, oggetto di uno specifico reato da poco introdotto con il Codice rosso (art. 612-ter c.p.). Purtroppo, per come è stata formulata, la norma sembra avere un ambito di applicazione limitato, rispetto alle esigenze di protezione che era destinata a soddisfare: il fatto di richiedere che oggetto di diffusione illecita siano immagini e video “destinati a rimanere privati” porta a dubitare che possano essere inclusi anche quelli, più frequenti e più subdoli, prodotti all’insaputa della vittima, che non potrebbe quindi aver voluto dare ad essi alcuna specifica destinazione36.

31Nessun dubbio invece sussiste sulla applicabilità della norma ai casi in cui una foto sessualmente esplicita sia stata realizzata con il consenso della donna e poi diffusa contro la sua volontà a terze persone da parte di chi ne sia in possesso. Una eventualità che può realizzarsi in diversi ambiti, incluso quello scolastico o lavorativo, nel quale la diffusione può avere conseguenze devastanti per la vittima, ben al di là dell’imbarazzo e della vergogna che questi comportamenti sono in grado di determinare.

32La pena prevista per questo reato è simile a quella dello stalking (la reclusione da 1 a 6 anni), così come analogo è il regime di procedibilità (querela della persona offesa entro 6 mesi dal fatto e sua revocabilità solo in giudizio, davanti al giudice).

 

e) Vanno poi ricordate delle figure di reato minori, quanto a trattamento sanzionatorio, attraverso le quali le molestie sessuali potrebbero comunque essere perseguite penalmente: è il caso della diffamazione (art. 595 c.p.), che ricorre quando di una persona assente si lede la reputazione “comunicando con più persone”, e della violenza privata (art. 610 c.p.), che si realizza quando con violenza o minaccia si costringe una persona a “fare, tollerare od omettere qualcosa”: condotte, queste ultime, che caratterizzano di solito il comportamento persecutorio, che viene poi qualificato come stalking se è arrivato ad uno stadio tale da indurre nella vittima uno di quegli eventi traumatici indicati nella norma.

33Infine, vi è la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), cui si è fatto cenno all’inizio di questa carrellata sulle norme penali utilizzabili per contrastare le molestie sessuali, e che si trova formalmente inclusa tra i reati “concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica”, anche se nella giurisprudenza si propende a considerarla come posta direttamente (e non solo mediatamente) a tutela della tranquillità personale37.

34La disposizione punisce condotte, realizzate “in un luogo pubblico o aperto al pubblico” oppure “col mezzo del telefono”, che abbiano arrecato ad altri “molestia o disturbo”; se il primo requisito costituisce un limite importante all’ambito di applicazione della norma (ravvisandosi solo nelle forme occasionali e più lievi di molestie, come quelle di strada), il secondo consente invece di ricomprendere anche comportamenti molesti più “tecnologici” – oggi sempre più diffusi – come l’invio, attraverso il telefono, di SMS o di messaggi istantanei attraverso l’applicazione WhatsApp, avendo la giurisprudenza riconosciuto il carattere altrettanto invasivo della sfera personale altrui di queste nuove forme di comunicazione (in quanto comunicazione sincrona)38.

35Nella giurisprudenza, non copiosa per la scarsa propensione alla denuncia (laddove consapevoli di essere vittima di un reato) da parte delle persone offese, si ritrovano anche condanne per forme più tradizionali di molestie: pedinamenti o inseguimenti in auto da parte di sconosciuti, oppure corteggiamenti non graditi all’interno di locali pubblici, come bar e hotel39.

36Nonostante la sua specifica destinazione al contrasto di comportamenti molesti, la norma in esame viene utilizzata solo in via sussidiaria, quando nessun’altra figura di reato risulterebbe applicabile e si tratta comunque di condotte aventi una delle due caratteristiche richieste (realizzazione in luogo pubblico oppure con il mezzo del telefono). Essa possiede infatti una scarsa efficacia deterrente, dovuta a una pena relativamente lieve – l’arresto fino a 6 mesi o l’ammenda fino a 516 euro – che per di più, trattandosi di una contravvenzione (e non di un delitto), può risolversi nel pagamento di una somma di denaro – poco più di 250 euro – con conseguente estinzione del reato40. Non è un caso, infatti, che le fattispecie di molestie sessuali contenute nelle proposte di legge presentate sino ad oggi (si veda il paragrafo 6.4) siano configurate tutte come delitti e siano punite con una pena decisamente più severa di quella prevista dall’art. 660 c.p., in coerenza con il disvalore reale – ancorché forse non sempre percepito – dei fatti che sarebbero destinate a reprimere.

6.3. Il problema della vittimizzazione secondaria delle donne nelle aule dei tribunali

37La mancanza di una disposizione specifica e adeguata per le molestie sessuali non è il solo (e forse neanche il principale) problema da affrontare con riguardo alla prevenzione e alla repressione penale del fenomeno: particolarmente allarmante è la diffusione di pregiudizi e stereotipi sessisti contro le donne tra giudici e pubblici ministeri, ossia tra coloro che le norme devono poi applicare.

38La stessa interpretazione “evoluta” che la Corte di cassazione adotta nei confronti della disposizione sulla violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) – cui principalmente si fa riferimento in presenza di una molestia sessuale – non sempre viene condivisa dai giudici di merito, restii a condannare un molestatore (ma talvolta anche l’autore di quella che viene denunciata come vera e propria aggressione sessuale) in assenza di una violenza, sia pure “implicita”, che permetta di ritenere provato il dissenso della vittima, altrimenti considerato in partenza (dai giudici, al pari dell’agente) come insussistente.

39Esemplare in questo senso una recente pronuncia con la quale l’autore di molestie sessuali sul luogo di lavoro è stato dichiarato non punibile, per mancanza di dolo, perché la vittima non avrebbe espresso istantaneamente il proprio dissenso41. Il caso riguardava un sindacalista, al quale un’assistente di volo, su consiglio di un’amica, si era rivolta per alcune questioni lavorative: dalla ricostruzione dei fatti presente nella sentenza risulta che, mentre la vittima “narrava i problemi lavorativi sfogliando la documentazione che aveva con sé, l’uomo si era alzato, aveva chiuso la porta che si trovava dietro la sedia sulla quale [lei] era seduta, le aveva posto le mani sul collo e dicendole di sfogarsi dal momento che non c’era nessuno e di rilassarsi, le aveva baciato il collo; aveva quindi preso a massaggiarle la schiena, giungendo a toccarle il seno e infine le aveva infilato le mani nello slip, tirandolo come per farla alzare”. Di fronte a questo inatteso e indesiderato comportamento, la donna “dopo un lasso di tempo che ella ha individuato in circa venti-trenta secondi [sic!], lo ammoniva chiedendogli cosa stesse facendo; lui rispondeva che la stava solamente facendo rilassare e lei ribadiva: ‘No, tu mi stai facendo incazzare’ ”, allontanandosi subito dopo.

40Se in questo caso l’assoluzione dell’uomo è stata motivata sul piano della colpevolezza (l’uomo non avrebbe avuto contezza del dissenso della donna), perché i fatti sono stati ritenuti provati anche grazie alla testimonianza di alcune colleghe della vittima, alle quali era stato riservato un trattamento analogo, non poche sono le vicende nelle quali allo stesso risultato di impunità si arriva perché i giudici ritengono non attendibile la vittima e quindi non veritiera la sua versione dei fatti, mostrando talvolta in modo molto chiaro, per le parole usate nella sentenza, la loro assoluta ignoranza del fenomeno della violenza sulle donne di cui quei fatti sono espressione.

41Del resto, più volte nell’arco dell’ultimo anno sono stati portati all’attenzione della Corte Europea dei Diritti Umani procedimenti penali e civili che hanno riguardato casi di violenze di genere e lo Stato italiano è stato condannato per la vittimizzazione secondaria che le donne hanno subito all’interno delle aule giudiziarie o comunque nelle decisioni dei giudici42.

42Limitando lo sguardo ai procedimenti penali43 riguardanti episodi di violenza sessuale, denunciati dalla vittima ma non ritenuti veramente tali dai giudici, va ricordato il caso di una giovane donna vittima di stupro da parte di sette giovani, al termine di una serata trascorsa insieme a bere e a divertirsi, in un’arena estiva della città di Firenze. Nel giudizio d’appello tutti i giovani erano stati assolti dall’accusa di violenza sessuale di gruppo (con abuso delle condizioni di inferiorità della vittima, visibilmente ubriaca), non avendo i giudici ritenuto credibili le dichiarazioni della ragazza, rese tra l’altro nell’ambito di un contro-interrogatorio umiliante da parte dei difensori degli imputati, perché incentrato su aspetti della sua vita personale e intima, per lo più estranei ai fatti da giudicare e che erano stati poi oggetto di valutazioni offensive e poco lusinghiere da parte degli stessi giudici nella motivazione della sentenza (come il riferimento alla vita “non lineare” della ragazza, per “l’attitudine ambivalente rispetto al sesso”).

43Nel condannare il nostro Paese, la Corte di Strasburgo ha in questo caso stigmatizzato il “linguaggio colpevolizzante e moraleggiante che scoraggia la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario”, proprio per la “vittimizzazione secondaria cui le espone”: secondo la Corte “il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e che impediscono una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere nonostante un quadro normativo soddisfacente”44.

44Un ulteriore esempio è offerto dalla recente Opinion espressa dal Comitato della CEDAW in un caso relativo alla denuncia per stupro presentata da una donna nei confronti di un agente di polizia giudiziaria, che si era recato a casa sua con la scusa di poterle dare informazioni sulle indagini in corso per l’aggressione subìta dal marito e da lei denunciata il giorno prima. Anche in questa vicenda, nel giudizio di appello si era arrivati ad una pronuncia di assoluzione, ritenendosi false le dichiarazioni della donna, che secondo i giudici si sarebbe in realtà pentita di aver “ceduto, in un momento di debolezza, alla seduzione del carabiniere”. La falsa denuncia, secondo la Corte d’appello, nasceva dalla sopravvenuta consapevolezza della donna “di essere stata semplicemente usata per un’avventura momentanea e […], subito dopo, abbandonata dall’altro uomo di cui si era nel frattempo innamorata”45.

45Questa diversa lettura dei fatti denunciati, basata sulla ritenuta inattendibilità sia delle dichiarazioni della vittima, per ragioni (fantasiose) del tutto prive di alcun riscontro, sia della spiegazione che i medici avevano dato ai segni di violenza sul suo corpo (considerati piuttosto prova dell’“esuberanza” del seduttore), era stata poi avvalorata dalla Corte di cassazione, che aveva ritenuto congrua e logica la motivazione della sentenza, nonostante la evidente mistificazione della realtà che rifletteva. Una conseguenza, anche questa, del possibile condizionamento di stereotipi e pregiudizi di genere che, come ci ricorda il Comitato CEDAW, “possono indurre i giudici a interpretare o applicare in modo errato le leggi” e comunque “compromettono l’imparzialità e l’integrità del sistema giudiziario”, arrivando a determinare “errori giudiziari compresa la rivittimizzazione dei denuncianti”46. E le molestie sessuali, tanto più se sul posto di lavoro, non sfuggono a questo rischio una volta denunciate, come ben sanno le vittime.

46Contestualmente alla ricerca di una soluzione normativa per reprimere in maniera proporzionata ed efficace le molestie sessuali, si prospetta dunque l’esigenza di programmare e attuare una seria formazione sulla violenza di genere per tutti i magistrati, a prescindere dalle specifiche funzioni giudiziarie svolte, per aiutarli quantomeno ad essere consapevoli della esistenza di stereotipi e pregiudizi nelle loro valutazioni e imparare a gestirli.

6.4. Verso l’introduzione di una nuova figura di reato

47Non resta a questo punto che dare uno sguardo alle proposte di legge presentate nel corso degli ultimi anni per offrire migliori strumenti di tutela alle vittime di molestie sessuali sul piano penale47; e benché durante i lavori parlamentari si sia pervenuti alla redazione di un testo unificato di quelle proposte, esse appaiono interessanti, prese singolarmente, per ragionare sui nodi problematici che l’intervento legislativo in questo ambito deve affrontare e poter quindi valutare le diverse soluzioni prospettate.

48Innanzitutto, andava definito il rapporto della nuova figura di reato con quelle già presenti nell’ordinamento e utilizzabili per la repressione delle molestie sessuali, quantomeno nelle forme più gravi. Sotto questo profilo, la soluzione prevalente – e maggiormente condivisibile, perché evita un involontario affievolimento della tutela penale – è stata nel senso di rendere la nuova figura di reato sussidiaria rispetto a quelle già esistenti punite più severamente, inserendo la previsione che deve trattarsi di fatti che già non costituiscano un più grave reato e delimitando l’oggetto del nuovo reato di “molestia sessuale” alle condotte verbali o gestuali (quindi non fisiche), anche non ripetute48.

49Andava poi stabilito se e come differenziare la disciplina e/o il trattamento sanzionatorio delle molestie, a seconda che siano o meno realizzate nel mondo del lavoro: questo aspetto, ignorato dal primo progetto presentato, è stato invece considerato da quelli successivi che hanno ritenuto opportuna l’introduzione di una fattispecie “generale” di molestie sessuali, da affiancare a una figura “speciale” più grave, riferita al contesto (lavorativo e/o di educazione, istruzione o formazione) nel quale le molestie sono state realizzate.

50Più complessa e meno controllabile razionalmente era infine la individuazione del trattamento sanzionatorio cui sottoporre le condotte oggetto delle nuove figure di reato: senza dubbio la pena particolarmente elevata (la reclusione da 5 a 10 anni), prevista dal primo progetto e verosimilmente dovuta alla ricomprensione nella medesima fattispecie anche delle molestie sessuali “fisiche”, appare del tutto sproporzionata nel minimo rispetto alle forme meno gravi di molestia cui sarebbe parimenti applicabile, non prevedendosi alcuna attenuante per i casi meno gravi, analoga a quella dell’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p. per la violenza sessuale. Nelle altre proposte, invece, e con riguardo alla figura “generale” di molestie sessuali, si nota un’oscillazione tra la reclusione da 2 a 4 anni di una proposta e la reclusione da 6 mesi a 2 anni di un’altra, che risulta peraltro incomprensibile, essendo il fatto di reato descritto in modo pressoché identico.

51Nella scelta del regime di procedibilità tutte le proposte sono invece concordi nella richiesta della querela di parte (talvolta con l’eccezione delle ipotesi aggravate, laddove previste) da presentare entro un anno, come previsto per il reato di violenza sessuale in seguito all’intervento del Codice rosso. È questo, tuttavia, un aspetto sul quale sarebbe a mio parere necessaria una più ampia riflessione, soprattutto dopo che il Movimento #MeToo ha fatto emergere quanto tempo può essere necessario alla vittima (anche) delle molestie sessuali per far emergere l’accaduto e denunciare il suo autore49.

52Delle diverse soluzioni avanzate, quella che è confluita nel testo unificato sembra aver colto gli aspetti complessivamente più condivisibili: la nuova figura di reato, da collocarsi tra i reati contro la libertà sessuale, prevede una condotta solo verbale o gestuale, occasionale o abituale, punita con la reclusione da 2 a 4 anni. Questo il testo della disposizione proposta:

Art. 609-ter.1 - (Molestie sessuali) - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con minacce, atti o comportamenti indesiderati, anche se verificatisi in un’unica occasione, o ripetuti a connotazione sessuale, in forma verbale o gestuale, reca a taluno molestie o disturbo violando la dignità della persona è punito […].

53Accanto a questa figura generale, applicabile alle molestie sessuali ovunque e da chiunque realizzate, ve ne sarebbe un’altra “speciale”, più grave, avente ad oggetto le molestie sessuali realizzate con abuso di autorità o di relazioni di ufficio e che abbiano determinato un clima ostile o degradante nel contesto lavorativo – inteso nel senso ampio proprio della Convenzione dell’OIL – o scolastico e formativo. Si prevede infatti che:

La pena è aumentata della metà se dal fatto, commesso nell’ambito di un rapporto di educazione, istruzione o formazione ovvero nell’ambito di un rapporto di lavoro, di tirocinio o di apprendistato, anche di reclutamento o selezione, con abuso di autorità o di relazioni di ufficio, deriva un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

54Rispetto a quest’ultima proposta non si può non rilevare la sovrabbondanza di elementi che concorrono a delineare il fatto da punire – e che quindi dovranno essere oggetto di accertamento nel caso concreto –, a partire dalla necessità che ci sia stato un “abuso di autorità o di relazioni di ufficio” rispetto a molestie sessuali (nel senso indicato dalla figura generale) che, in base alla norma, vengono in considerazione se e in quanto abbiano cagionato un clima “intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”: un aspetto più che sufficiente per giustificarne la repressione penale50.

55Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, il testo unificato prevede la punibilità del nuovo reato a querela di parte, anche nell’ipotesi aggravata, e si concede alla persona offesa un tempo di “dodici mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato” per presentarla, prevedendone anche l’irrevocabilità, sulla falsariga della disciplina oggi esistente per la violenza sessuale.

56La fine anticipata della legislatura ha impedito ogni ulteriore esame del testo in discussione, anche se ci si può aspettare che il tema delle molestie sessuali torni ad essere affrontato in tempi rapidi, dovendo il nostro Paese far fronte agli impegni assunti sul piano internazionale e sotto questo profilo maggiore attenzione andrà rivolta alla Convenzione dell’OIL che, per ragioni temporali, non è stata considerata dalle proposte di legge che si sono occupate dell’intervento penale in questa materia e sono poi confluite nel testo unificato.

57Il rapido sguardo dato a quelle diverse proposte ha consentito peraltro di comprendere come sia difficile formulare una nuova fattispecie di reato in questa materia, destinata per di più a inserirsi in un sistema che già offre soluzioni al riguardo. A chi si appresta a tornare sull’argomento dovrebbe essere ben chiara l’esigenza di attribuire rilevanza solo ed esclusivamente ai comportamenti che si ritengono meritevoli di sanzione penale e che non siano già ricompresi in altre disposizioni penali che appaiano adeguate. A tal fine, sarà necessario procedere a una loro descrizione sufficientemente precisa e comprensibile, incentrata sugli aspetti che li rendono offensivi per l’interesse tutelato e dei quali soltanto quindi si richiede l’accertamento da parte del giudice nel singolo caso concreto.

58Si tratta di una questione di estrema importanza perché, come abbiamo visto, è diffusa tra gli operatori la presenza di stereotipi e pregiudizi che, in assenza di una specifica formazione sul tema, impediscono di comprendere la realtà dei fatti, di empatizzare conseguentemente con le vittime e di dare una risposta adeguata a quelle che hanno la forza di rivolgersi al sistema giudiziario. Confondere le idee, introducendo inutili dettagli in una nuova norma incriminatrice oppure duplicando le risposte sanzionatorie nei confronti degli stessi fatti, rischierebbe di pregiudicare in partenza l’obiettivo che l’atteso intervento legislativo potrebbe avere: quello di contribuire alla prevenzione delle molestie sessuali con una risposta penale adeguata e dissuasiva.

Notes de bas de page

1 Nell’art. 40 della Convenzione, la molestia sessuale viene identificata con “qualsiasi comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

2 Cfr. GREVIO, Baseline Evaluation Report – Italy, Criminaljusticenetwork.eu, 13 maggio 2021, con nota di N.M. Cardinale. La traduzione in italiano del Rapporto di valutazione si può trovare sul sito www.pariopportunita.gov.it

3 Sul fronte sovranazionale, la richiesta di un intervento degli Stati in questo specifico ambito risale alla Direttiva 76/207/CEE sulla parità di trattamento fra uomini e donne con riguardo all’accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionale e alle condizioni di lavoro, alla quale è poi seguita la Raccomandazione CEE del 27 novembre 1991 (92/131/CEE) che riguardava proprio la tutela della dignità delle donne e degli uomini nel contesto lavorativo. Nella legislazione italiana, il primo testo normativo nel quale si è tradotto quell’impegno è la legge 9 dicembre 1977 n. 903, dedicata alla “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, poi seguita dalla legge 10 aprile 1991 n. 125, relativa alle “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”. Questo nucleo di disposizioni è all’origine del Codice delle pari opportunità, emanato con il d.lgs. 198/2006.

4 La qualificazione delle molestie sessuali come “discriminazioni” consente di dare rilievo ad esse sul piano meramente oggettivo della loro esistenza, ai fini del licenziamento “per giusta causa” del dipendente che le ha poste in essere, a nulla rilevando “l’intenzione soggettiva” di quest’ultimo: così da ultimo Corte di appello di Firenze, Sez. lavoro, 14 gennaio 2020, “Famiglia e diritto”, 2021, n. 4, p. 399 ss. con nota di N. Folla; in precedenza, Cass. Civ. Sez. lavoro, 18 settembre 2009 n. 20272, “Rivista italiana di diritto del lavoro”, 2010, II, p. 349 ss.

5 La legge era stata preceduta dal recepimento, il 25 gennaio 2016, dell’Accordo quadro sulle molestie e la violenza sui luoghi di lavoro, firmato dalle parti sociali europee nel 2007, da parte di Confindustria e delle maggiori confederazioni sindacali dei lavoratori.

6 Diffusamente sulla prevenzione delle molestie nei luoghi di lavoro, anche attraverso l’adozione di Codici di condotta e di un organismo indipendente che vigili sul suo rispetto (il/la consigliere di fiducia), e sulla tutela giurisdizionale in sede civile, N. Folla, Prevenire e reprimere le molestie sessuali nei luoghi di lavoro e di studio: il quadro normativo, in P. Romito, M. Feresin, Le molestie sessuali. Riconoscerle, combatterle, prevenirle cit., p. 160 ss., nonché Id., Le molestie sessuali sul luogo di lavoro tra prevenzione e repressione, in P. Romito, N. Folla, M. Melato, La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Roma, Carocci, nuova ed. 2017, p. 271 ss.; E. Bigotti, I “luoghi” della violenza: il lavoro. Il caso delle molestie sessuali, in B. Pezzini, A. Lorenzetti, La violenza di genere dal Codice Rocco al Codice rosso. Un itinerario di riflessione plurale attraverso la complessità del fenomeno, Torino, Giappichelli, 2020, p. 95 ss.

7 In base all’art. 2049 del Codice civile, il datore di lavoro è inoltre obbligato in solido con il suo dipendente a risarcire il danno da quest’ultimo cagionato a terzi: una disposizione che mira a salvaguardare il diritto al risarcimento della persona danneggiata, potenzialmente compromesso da una limitata disponibilità economica del dipendente.

8 Per un primo commento cfr. F. R. Garisto, Molestie sul luogo di lavoro: l’Italia ratifica la Convenzione di Ginevra del 21 giugno 2019, www.criminaljusticenetwork.eu, 17 maggio 2021; si veda anche il Rapporto di C. Pagano, F. Deriu, Analisi preliminare sulle molestie e la violenza di genere nel mondo del lavoro in Italia, 2018, consultabile sul sito italiano dell’Organizzazione (www.ilo.org/rome).

9 In base all’art. 1 lett. a) della Convenzione, “l’espressione violenza e molestie nel mondo del lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere”.

10 Con la legge 66 del 1996 si è anche data una diversa collocazione sistematica alle disposizioni in tema di violenza sessuale, collocandole tra i delitti contro la persona, in quanto offensivi della libertà sessuale, e non più, come in precedenza, tra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume.

11 Così Cass. sez. III, 13 luglio 2020, n. 25429. In una precedente pronuncia, la Corte aveva ulteriormente delimitato la nozione di atto sessuale, richiedendo che il contatto corporeo abbia ad oggetto zone erogene: cfr. Cass. sez. III, 6 giugno 2008, n. 27762, CED 240829.

12 Gli atti di esibizionismo o di autoerotismo, imposti allo sguardo della vittima, potrebbero essere eventualmente punibili come violenza privata (si veda il punto alla lettera e).

13 A questa conclusione sono pervenute in epoca recente le Sezioni unite della Cassazione – in un caso di violenza sessuale realizzata da un insegnante privato su due giovanissime allieve –, superando l’orientamento giurisprudenziale più restrittivo, secondo il quale la disposizione farebbe riferimento solo all’abuso della qualità di pubblico ufficiale: cfr. Cassazione Sez. Un., 16 luglio 2020, n. 27326, in www.sistemapenale.it, 5 ottobre 2020, con nota di S. Finocchiaro. In precedenza, nello stesso senso si erano pronunciate Cass. sez. III, 27 marzo 2014, n. 36704, in www.federalismi.it, 17 settembre 2014, n. 17 (condanna del datore di lavoro) e Cass. sez. III, 1° dicembre 2014, n. 49990 (condanna di un superiore gerarchico della persona offesa).

14 In questo senso, tra le tante, Cass. sez. III, 19 novembre 2021, n. 1559; Cass. sez. III, 7 ottobre 2014, n. 24895.

15 In questo senso, tra le tante, Cass. sez. III, 29 aprile 2019, n. 17676.

16 Così Cass. sez. III, 22 novembre 2016, n. 49597.

17 Così GREVIO, Baseline Evaluation Report – Italy cit., p. 63.

18 Cfr. A. N. Pinna, Violenza sessuale e ricerca del dissenso della vittima: la difficoltà dei giudici di merito a recepire gli insegnamenti della Corte di cassazione, www.sistemapenale.it, 8 marzo 2022; nonché D. Bartolucci, C. Parziale, La violenza sessuale tra le avances e le molestie, Milano, Munari Cavani Publishing, 2020.

19 Trib. di Milano, 12 aprile 2016, n. 4642, inedita, che è pervenuto alla condanna per il reato di violenza sessuale, con applicazione della diminuzione di pena prevista per i “casi di minore gravità” ex art. 609-bis, ultimo comma, c.p. (cfr. infra nel testo).

20 Per uno sguardo sulla prassi, sia pure riferita ai maltrattamenti realizzati nell’ambito di un rapporto di coppia, cfr. C. Pecorella, P. Farina, La risposta penale alla violenza domestica: un’indagine sulla prassi del Tribunale di Milano in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), “Rivista trimestrale di Diritto penale contemporaneo” (www.criminaljusticenetwork.eu), 2018, n. 2.

21 Sulle numerose novità apportate in tema di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere da questa legge, cfr. per tutti P. Di Nicola Travaglini, F. Menditto, Codice rosso. Il contrasto alla violenza di genere: dalle fonti sovranazionali agli strumenti applicativi, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020.

22 Attraverso questo beneficio, applicato discrezionalmente dal giudice quando ne ricorrono i presupposti (cfr. art. 163 c.p.), lo Stato rinuncia alla esecuzione della pena per un determinato arco di tempo (5 anni per i delitti), decorso il quale il reato viene dichiarato estinto se non è sopravvenuta una nuova condanna – che comporti il superamento dei limiti massimi di pena per la concessione della sospensione condizionale – e se il condannato non ha commesso ulteriori reati; in caso contrario il beneficio sarà revocato e la pena inizialmente sospesa verrà eseguita.

23 Sui problemi applicativi della nuova disposizione, E. Biaggioni, La nuova disciplina della sospensione condizionale della pena ex art. 165 co. 5 c.p.: prime indicazioni operative, in www.sistemapenale.it, Osservatorio sulla violenza contro le donne n. 4/2021, nonché P. Di Nicola Travaglini, F. Menditto, Codice rosso cit., p. 78 ss.

24 In realtà l’art. 165 c.p. consente già oggi al giudice di subordinare la concessione della sospensione condizionale, “se il condannato non si oppone”, alla prestazione di una attività lavorativa non retribuita (lavori di pubblica utilità) per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa: una soluzione che tuttavia sembra essere poco utilizzata nella prassi.

25 Va peraltro ricordato che la spontanea partecipazione a “trattamenti psicologici con finalità di recupero e di sostegno”, all’interno o eventualmente all’esterno del carcere, può agevolare la concessione di benefici penitenziari da parte della magistratura di sorveglianza agli autori di reati sessuali, atti persecutori o maltrattamenti in famiglia (art. 13-bis o.p.) che stiano scontando una pena detentiva.

26 La legge 69/2019 ha raddoppiato il termine per la presentazione della querela per il delitto di violenza sessuale, portandolo dai 6 mesi originari ad 1 anno (art. 609-septies, comma 2, c.p.). Una analoga modifica non è intervenuta per il delitto di stalking (art. 612-bis c.p.), che pure prevedeva un termine più lungo dell’ordinario (6 mesi anziché 3) per la proposizione della querela.

27 Cfr. in proposito, F. Coppi, Maltrattamenti in famiglia, Perugia, Editore Tipografia Tappini, 1979.

28 Così Cass. sez. VI, 20 marzo 2018, n. 36802: “Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia nell’ambito di un rapporto professionale o di lavoro, è necessario che il soggetto attivo si trovi in una posizione di supremazia, connotata dall’esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo, che appaia riconducibile ad un rapporto di natura para-familiare”.

29 Cfr. Cass. sez. II, 16 febbraio 2018, n. 7639, in www.olympus.uniurb.it, relativa a un caso di mobbing, pure ricondotto all’art. 572 c.p.

30 Così Trib. Milano, Sez. V, 23 novembre 2017, n. 7975, inedita.

31 Trib. Milano, Sez. V, 12 marzo 2019, n. 3486 inedita.

32 Tra le tante, Cass. sez. V, 5 giugno 2013, n. 46331, CED 257560; Cass. sez. V, 24 settembre 2014, n. 48391, CED 261024.

33 Così ad es. Tribunale di Taranto, Ufficio GIP, 7 aprile 2014, n. 176: cfr. A. Valsecchi, Commento all’art. 612-bis, in E. Dolcini, G. L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, V ed., Milano, Wolters Kluwer, 2021 tomo III, p. 1935.

34 Trib. di Milano, 16 ottobre 2014, n. 8017, inedita.

35 Riguardo a quest’ultimo aspetto, particolarmente controverso, della disciplina del delitto di atti persecutori, cfr. C. Pecorella, Sicurezza vs libertà? La risposta penale alle violenze sulle donne nel difficile equilibrio tra istanze repressive e interessi della vittima, www.penalecontemporaneo.it, 2016.

36 Cfr. M. Dova, Commento all’art. 612-ter, in E. Dolcini, G. L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato cit., tomo III, p. 1936 ss.

37 Cfr. in proposito, F. Basile, Commento all’art. 660, in E. Dolcini, G. L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato cit., tomo IV, p. 82.

38 Così Cass. sez. I, 18 marzo 2021, n. 37974; sul punto, diffusamente, F. Basile, Commento all’art. 660 cit., p. 88 s.

39 In tema di apprezzamenti sessuali non graditi, cfr. Cass. 19 ottobre 2017, n. 55713 (nei confronti della cameriera di un bar); Cass. 15 giugno 1982, Marchetti, CED 155573, “Riv. Pen”, 1983, 489 (nei confronti della commessa di un hotel); Cass. 5 giugno 1962, Colaianni, “Foro it.”, 1963, II, 14 e 63 (nei confronti di studentesse per strada vittime di catcalling).

40 In base all’art. 162-bis c.p., per le contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda – come nel caso dell’art. 660 c.p. – il giudice può dichiarare estinto il reato se l’imputato chiede di essere ammesso all’oblazione, depositando una somma di denaro corrispondente alla metà del massimo della pena pecuniaria prevista per la contravvenzione e non permangono conseguenze dannose o pericolose del reato, che lui stesso potrebbe eliminare.

41 Cfr. A. N. Pinna, Violenza sessuale e ricerca del dissenso della vittima cit.

42 Sul tema, N.M. Cardinale, La vittimizzazione secondaria, in www.sistemapenale.it, “Osservatorio sulla violenza sulle donne”, n. 1/2022.

43 Nei giudizi civili, la vittimizzazione secondaria delle donne si riscontra per lo più quando si deve decidere l’affidamento dei figli, tanto più se in contesti di denunciata violenza domestica: cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 20 gennaio 2022, D.M. e N. c. Italia e da ultimo Id., 11 novembre 2022, L.M. e altri c. Italia. D’altra parte, sappiamo che anche gli psicologi, come gli assistenti sociali, non sono esenti da quei pregiudizi e stereotipi che sono diffusi nell’intera società italiana: interessante al riguardo l’indagine effettuata su un campione di psicologi (uomini e donne), con esperienza come consulenti dell’autorità giudiziaria in casi di questo tipo, da M. Feresin, M. Santonocito, P. Romito, La valutazione delle competenze genitoriali da parte dei CTU in situazioni di violenza domestica: un’indagine empirica, www.sistemapenale.it, “Osservatorio sulla violenza contro le donne”, n. 3/2021.

44 Corte Europea dei Diritti Umani, 27 maggio 2021, J.L c. Italia, in www.sistemapenale.it, 14 giugno 2021, con nota di N.M. Cardinale. In altri casi, l’operato dell’Autorità giudiziaria italiana è stato ritenuto in contrasto con i principi della Convenzione Europea per la mancata protezione accordata alle vittime (donne e bambini) nei confronti di partner o ex-partner violenti: emerge una colpevole inerzia e/o una evidente superficialità nell’affrontare le tante denunce e la richiesta di protezione avanzata, dovuta alla scarsa attendibilità attribuita alle dichiarazioni delle donne e alla sostanziale negazione della esistenza del problema della violenza domestica, più spesso etichettata come normale (anche se “elevata”) conflittualità fra coniugi. Cfr. Corte Europea dei Diritti Umani, 7 aprile 2022, Landi c. Italia; Id., 16 giugno 2022, De Giorgi c. Italia; Id., 7 luglio 2022, S.M. c. Italia.

45 Cfr. Comitato CEDAW, 20 giugno 2022, A.F. contro Italia (148/2019); cfr. in proposito, P. Di Nicola Travaglini, I pregiudizi giudiziari contro le donne all’esame di organismi internazionali: il caso A.F. contro Italia, www.sistemapenale.it, “Osservatorio sulla violenza contro le donne”, n. 3/2022.

46 Così Comitato CEDAW, 20 giugno 2022, cit. § 7.5. Sul tema, P. Di Nicola Travaglini, La mia parola contro la sua. Quando il pregiudizio è più importante del giudizio, Milano, HarperCollins, 2018.

47 In particolare, mi riferisco ai seguenti disegni di legge, presentati in Senato: il n. 655 (Fedeli e altri) del 12 luglio 2018, che propone un ambito di intervento molto ampio, che coinvolge principalmente il Codice delle pari opportunità; il n. 1597 del 5 novembre del 2019 (Valente ed altri) che prevede tra l’altro una delega al Governo sul tema; il n. 1628 del 25 novembre 2019 (Rizzotti ed altri) che contiene proposte di riforma solo nella materia penale. L’ultimo dei disegni di legge presentati – il n. 2358 del 4 agosto 2021 (Conzatti e Faraone) – che è l’unico successivo alla ratifica della Convenzione dell’OIL, non propone l’introduzione di alcun nuovo reato.

48 Si discosta da questa impostazione solo il primo dei progetti presentati, nel quale la nuova fattispecie avrebbe dovuto applicarsi anche agli “atti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica”.

49 Mi riferisco, in particolare, alle recenti dichiarazioni della presidente dell’Associazione Amleta, Cinzia Spanò, che da oltre un anno raccoglie testimonianze di donne che hanno subito molestie nel mondo dello spettacolo, pubblicate sul quotidiano “la Repubblica” del 7 gennaio 2023 a p. 21 (Basta attrici molestate. Il Italia il MeToo non è ancora iniziato di Eugenia Nicolosi). Perplessità sulla procedibilità a querela rispetto al reato di violenza sessuale le avevo espresse nel lavoro dal titolo Sicurezza vs. libertà? cit.

50 Tanto più che l’approfittamento, da parte dell’agente, di una condizione personale che ha agevolato la realizzazione delle molestie già potrebbe assumere rilevanza ai fini di un (ulteriore) inasprimento della sanzione, per effetto della circostanza aggravante comune di “aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità” (art. 61 n. 11 c.p.).

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