5. “È angosciante perché vorresti fare qualcosa ma sai che è pericoloso e hai paura”
Il punto di vista di chi assiste alla molestia
p. 147-171
Texte intégral
1La questione delle molestie sessuali, e in particolare delle molestie di strada, è molto complessa e molteplici sono le domande che ci siamo posti: da qui, la necessità di includere nella ricerca una parte qualitativa volta all’esplorazione del punto di vista dei testimoni.
2La ricerca psicosociale sul ruolo di chi assiste a episodi di molestie in luoghi pubblici è relativamente scarsa. Attraverso la somministrazione di un questionario a 292 persone vittime di molestie di strada in Australia, Bianca Fileborn ha esaminato il ruolo degli astanti prestando attenzione alle forme di intervento messe in atto e all’impatto che hanno avuto su chi ha subìto la molestia. I risultati dell’indagine hanno mostrato che l’intervento dei testimoni non è comune negli episodi di molestie di strada; tuttavia, quando si verifica, il suo effetto è fondamentale per incrementare la percezione di sicurezza e il senso di giustizia esperiti dalle vittime1. Tale risultato è in linea con quanto riscontrato nell’inchiesta Stop Street Harassment secondo cui, negli Stati Uniti, solo il 23% degli uomini e il 20% delle donne ha dichiarato di aver risposto in modo proattivo alle molestie di strada di cui sono stati spettatori2. I dati statunitensi confermano i numeri emersi da un sondaggio internazionale sulle molestie in spazi pubblici condotto da Ipsos in collaborazione con i ricercatori e le ricercatrici della Cornell University e L’Oréal Paris. Lo studio ha analizzato le molestie su larga scala, attraverso interviste online in otto Paesi diversi: Canada, Francia, India, Italia, Messico, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti. Complessivamente, 15500 persone sono state intervistate riguardo le loro esperienze di molestie di strada, sia come vittime sia come testimoni. Dai risultati è emerso che il 78% delle donne intervistate ha subìto molestie almeno una volta nella propria vita, ma solo il 25% ha ricevuto aiuto. Inoltre, l’86% di chi ha assistito senza fare nulla ha affermato di non sapere come reagire quando si verificano episodi di questo tipo3. Quanto esposto non solo rende evidente la scarsa conoscenza di uomini e donne su come comportarsi quando si assiste a un atto di molestia, ma evidenzia un’importante lacuna nella letteratura psicosociale sul ruolo degli astanti. La maggior parte delle indagini sulle molestie di strada si è focalizzata sulle vittime, trascurando i fondamentali risvolti applicativi che un approfondimento del vissuto dei testimoni potrebbe avere. Capire cosa prova chi è spettatore di un episodio di molestia è infatti fondamentale sia per aiutare i testimoni a prendere posizione in sicurezza contro le molestie nei luoghi pubblici sia per rendere le persone più preparate nel riconoscere queste situazioni e nel sapervi intervenire.
3Partendo da tali considerazioni, nel corso della presente ricerca è stato chiesto ai rispondenti di descrivere almeno un episodio di molestie di strada a cui avessero assistito nel corso della propria vita, le emozioni provate in quel momento e le loro eventuali reazioni. Il 22% dei partecipanti ha risposto a questa domanda.
5.1. Chi sono i testimoni che hanno risposto
4Delle 2764 persone che hanno preso parte alla ricerca, 615 hanno risposto alla domanda aperta relativa agli episodi di cui sono state spettatrici. Si tratta soprattutto di giovani donne, studentesse dei dipartimenti di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università di Milano-Bicocca. La tabella 5.1 presenta più nel dettaglio le caratteristiche delle persone che hanno risposto alla domanda aperta nel questionario. Degno di nota è che più dell’80% dei testimoni ha risposto anche alla domanda aperta relativa agli episodi di molestie dal punto di vista delle vittime o ha indicato nella parte quantitativa della ricerca di aver vissuto almeno un episodio di molestia di strada negli ultimi quattro anni4. In altre parole, quasi tutti coloro che hanno raccontato di aver assistito a molestie in luoghi pubblici sono stati anche vittime di questa specifica forma di violenza di genere.
5Come per i racconti delle vittime illustrati nel capitolo 4, anche in questo caso le risposte alla domanda sono state sottoposte ad analisi del contenuto. Dopo un’attenta lettura, finalizzata a individuare le tipologie degli episodi di molestie e i principali elementi descritti, si è proceduto alla codifica del contenuto dei racconti. Nello specifico, è stato codificato il tipo di molestia raccontato, il contesto in cui sono avvenuti i fatti, le emozioni provate dai testimoni e le loro reazioni. Al fine di rendere più chiara la lettura dei risultati, si noti che molti partecipanti hanno raccontato più di un episodio con i relativi dettagli, ragione per cui la somma delle statistiche nelle figure riportate di seguito non corrisponde al totale dei rispondenti a questa parte del questionario.
Tabella 5.1. Caratteristiche dei testimoni
N = 615 | ||
Numerosità | Percentuale | |
Genere | ||
Donna | 547 | 88,9 |
Uomo | 58 | 9,4 |
Non binario | 6 | 1,0 |
Preferisco non rispondere | 4 | 0,7 |
Età | ||
Tra i 18 e i 25 anni | 496 | 80,7 |
Tra i 26 e i 40 anni | 91 | 14,8 |
Più di 50 anni | 18 | 2,9 |
Tra i 41 e i 50 anni | 10 | 1,6 |
Ruolo | ||
Studente/studentessa | 558 | 90,7 |
Dottorando/a o assegnista | 27 | 4,4 |
Docente | 18 | 2,9 |
Personale tecnico-amministrativo | 11 | 1,8 |
Mancante | 1 | 0,2 |
Dipartimento* | ||
Psicologia | 163 | 29,2 |
Scienze della Formazione | 115 | 20,6 |
Scuola di Scienze | 81 | 14,5 |
Scuola di Economia e Statistica | 60 | 10,8 |
Sociologia | 58 | 10,4 |
Giurisprudenza | 45 | 8,1 |
Medicina e Chirurgia | 33 | 5,9 |
Mancante | 3 | 0,5 |
5.2. Una fotografia delle molestie
6La figura 5.2 ci dà un quadro delle molestie di strada a cui hanno assistito i rispondenti nel corso della propria vita. La maggior parte degli episodi riguarda molestie di tipo verbale, come fischi, apprezzamenti e inviti, seguita da episodi più fisici, come baci e tocchi non desiderati.
7Ciò che emerge da molti di questi racconti è la preoccupante normalità della molestia, spesso descritta come parte integrante della vita delle donne.
Ho assistito a fischi dalla macchina a una ragazza. Io mi sono innervosito, lei era a disagio, ma mi ha detto di stare tranquillo perché ormai era abituata, la sua vita è sempre così. (uomo, partecipante n. 47)
Ho assistito ai tanti, soliti atti riconducibili al catcalling5 nelle città da parte di uomini nei confronti delle donne. (uomo, partecipante n. 271)
Tantissimi episodi di catcalling verso donne da parte di uomini di varia età e nazionalità. Nulla di nuovo. (donna, partecipante n. 536)
Ero con una mia amica, avevamo 14 e 15 anni. Lei è molto carina, alta, non passa inosservata. Stavamo camminando in pieno giorno verso il centro della nostra città, in una zona tranquilla, vicino a un parco molto frequentato, entrambe con jeans e t-shirt. Passa un signore tra i 60-70 anni, si ferma a squadrare con insistenza la mia amica. […] Mi sono sentita male per lei. Abbiamo tirato dritto, con la mia amica 14enne già rassegnata che raccontava di come le capitassero episodi del genere troppo spesso, quasi tutti i giorni. (donna, partecipante n. 847)
Spesso assisto a ragazze che vengono toccate senza il loro consenso sui mezzi pubblici o in luoghi affollati, come piazze o discoteche. È una cosa comune. Gli autori in genere sono ragazzi dai 16 ai 30 anni. (donna, partecipante n. 2324)
8Seppure agli ultimi due posti tra gli atti di molestie menzionati, è rilevante che in 90 racconti siano stati descritti gravi episodi di masturbazione in luoghi pubblici, stupri, tentativi di stupro e/o aggressioni.
Ad una festa ho visto un ragazzo che ha preso le braccia ad una ragazza […], l’ha schiacciata al muro e ha iniziato a slacciarsi i pantaloni mentre lei urlava e chiedeva aiuto, cercando di liberarsi dalla sua presa. […] (donna, partecipante n. 73)
Quando avevo 10 anni stavo facendo un percorso di Natale con mia cugina di un anno in meno, quindi di 9 anni, e le nostre madri. Mia madre ad un certo punto si assentò e tornò molto arrabbiata, aveva sgridato un uomo. Il signore ci stava seguendo, aveva tirato fuori i genitali e si stava masturbando guardano mia cugina. (donna, partecipante n. 357)
Ero con due amiche in una strada abbastanza trafficata del centro di Bologna. Erano le 22:00 circa. Un ragazzo sui 30 anni ha afferrato una delle mie amiche e l’ha sbattuta contro il muro tenendola per il collo. […] (donna, partecipante n. 366)
Un uomo di circa 35 anni, in pullman, ha iniziato a masturbarsi con accanto la mia amica, la quale è stata violentemente presa dall’uomo che le ha afferrato la mano e l’ha appoggiata sul suo pene. (donna, partecipante n. 817)
Io ed una mia amica siamo andate ad una festa di paese che si teneva vicino casa. Uno dei suoi vicini ci ha accompagnate a casa e, non appena lei è scesa dall’auto, lui le si è buttato addosso, spingendola verso il muro, bloccandole le mani e il corpo, baciandola con la forza. (donna, partecipante n. 1378)
Al mio 19esimo compleanno ho fatto la festa in discoteca. Avevo invitato anche mia sorella, al tempo aveva 17 anni. A fine serata, stavamo tranquillamente ballando e un ragazzo ha iniziato ad avvicinarsi insistentemente a mia sorella. Io non ho capito subito la situazione, ma nel frattempo lui le ha messo la mano in mezzo alle gambe (lei aveva una gonna) e l’ha toccata ripetutamente con insistenza. […] (donna, partecipante n. 2024)
5.3. I luoghi delle molestie
9I luoghi in cui più frequentemente sono avvenuti gli episodi descritti dai testimoni di molestie sono strade, piazze, mezzi pubblici e stazioni, seguiti da luoghi di svago (ad es., bar, discoteche, palestre), di lavoro e di studio (ad es., scuole e università)6. Come mostrato in figura 5.3, nonostante il focus della ricerca fossero le molestie in luoghi pubblici, alcune rispondenti hanno voluto condividere gravi episodi di violenza domestica che hanno spesso coinvolto la propria famiglia.
10Una ragazza ha raccontato di aver scoperto atti molesti commessi da un suo parente nei confronti di un’amica.
Quando andavo alle medie, una mia amica mi ha riferito di aver subìto una violenza da parte di un mio parente. Io ho appreso la notizia con molto dolore e in seguito non ne ho parlato con nessuno. Ho continuato a vedere il parente, consapevole del suo atto di violenza, e ho provato per lui profondo disprezzo. Tuttavia, non ne ho mai parlato con la mia famiglia fino a pochi mesi fa, quando stufa di dovermi giustificare per il mio astio ormai visibile nei suoi confronti ho vuotato il sacco e mi sono liberata. (donna, partecipante n. 1631)
11In un altro caso, non è stato raccontato l’episodio di molestia ma la rispondente ha fatto riferimento a un contesto familiare complicato e violento.
Un episodio riguarda due persone della mia famiglia. Non me la sento di raccontarlo, ma posso dire che avevo 9 anni e me lo ricordo nitidamente ancora oggi. Da quel momento, sono sempre stata un pochino reticente nel dare fiducia e sicuramente quando sento qualcuno che alza troppo la voce mi allontano perché adesso so bene che dalle parole si può passare ai fatti. (donna, partecipante n. 499)
12Degno di nota è il racconto di una partecipante che ha accennato a una relazione difficile tra la sua migliore amica e il fidanzato.
La mia migliore amica veniva picchiata frequentemente dal suo ragazzo nel suo privato. Non voleva lasciarlo né imputargli colpe. […] (donna, partecipante n. 514)
13I racconti di violenza familiare e tra partner raccolti nel corso della ricerca non sono molti; tuttavia, è bene ricordare che tali testimonianze sono emerse nonostante la domanda posta ai partecipanti facesse riferimento alle molestie in luoghi pubblici. Tale risultato non solo rende evidente la pervasività del fenomeno, ma fornisce ulteriore conferma dei dati allarmanti più o meno recenti di indagini nazionali e internazionali sul tema7.
14Rilevanti sono anche gli episodi relativi alle molestie sul posto di lavoro.
Mentre eravamo al lavoro in laboratorio, un tecnico dell’università è entrato per scambiare delle informazioni col mio supervisore, che era in quel momento presente. Il tecnico teneva in mano una bacchetta, con cui gesticolava mentre parlava. Prima di andarsene, ha guardato una mia collega (con cui non stava prima interagendo), e le ha dato due pacche sul sedere utilizzando la bacchetta, al contempo commentando ad alta voce che aveva i glutei tonici. Mi sono sentita pervadere dalla rabbia, e immediatamente mi sono paralizzata: ho pensato che dovevo girarmi e non aprire bocca, perché se avessi aperto bocca gli avrei urlato addosso, e non potevo reagire in maniera così spropositata. Il mio supervisore ha reagito redarguendolo, e invitandolo a trattenere uscite così inappropriate, e il tecnico se ne è andato. […] (donna, partecipante n. 1093)
Una mia amica subiva commenti inappropriati e allusioni sessuali dal suo capo nella pizzeria dove lavorava come fattorina. (donna, partecipante n. 1150)
Ho assistito a palpatina a seno e glutei da parte di un collega a un’altra collega che non ha osato lamentarsi. […] (donna, partecipante n. 1352)
Il cuoco (38 anni) del ristorante in cui lavoro ha abbracciato una mia collega (18 anni) e non le toglieva le mani di dosso, poi le ha slacciato il reggiseno. […] (donna, partecipante n. 1561)
Il mio responsabile di reparto, uomo sulla sessantina, con una collega della mia età (26 anni) durante una cena aziendale ha fatto allusioni sessuali davanti a lei prendendola per i capelli e tirandola verso di sé. Lei era oggetto di battute e scherzi fuori luogo già da mesi. […] (donna, partecipante n. 2714)
Ho visto colleghi più anziani fare apprezzamenti su colleghe giovani che si stavano cambiando nel loro spogliatoio la cui porta era aperta. (donna, partecipante n. 2796)
15Tali racconti purtroppo non sorprendono. Come per quelle domestiche, le molestie sul luogo di lavoro rappresentano infatti un fenomeno sociale di attualità e, come menzionato nel capitolo 1, in costante crescita.
16Tra i vari racconti di molestie in luoghi pubblici, si ritiene importante porre l’attenzione su alcuni episodi avvenuti a scuola e in università. Tali testimonianze colpiscono non solo per la giovane età delle vittime, ma anche per le importanti ricadute che le molestie sembrano aver avuto sul benessere fisico e psicologico di chi le ha subite. A seguito di sguardi non desiderati e allusioni sessuali da parte di un professore, una ragazza ha raccontato di come, in seconda superiore, una sua compagna di classe avesse iniziato a manifestare disagio, sofferenza e perdita di interesse per lo studio.
[…] Molto spesso, una di queste ragazze piangeva e ha iniziato a disinteressarsi completamente alla materia, anche perché il professore le disse che le avrebbe messo il debito in ogni caso, solo perché voleva rivederla. (donna, partecipante n. 682)
Quando frequentavo il liceo ho avuto un supplente (uomo, sulla cinquantina) che guardava molto me e le mie compagne di classe quando ci mandava alla lavagna e talvolta se ne usciva con battute inappropriate. Nei momenti in cui mi accorgevo dei suoi sguardi sulle mie amiche cercavo di avvertirle senza farmi notare da lui. Durante un’assemblea di classe ci siamo confrontate e abbiamo deciso di parlarne con la nostra tutor, la quale non ci ha prese seriamente e ci ha liquidate con un “è un’accusa davvero pesante, prima di renderla pubblica pensateci bene perché magari vi state sbagliando”. Eravamo un’intera classe di ragazze a disagio con quel professore ed è stato frustrante non essere credute. […] (donna, partecipante n. 1064)
Una mia compagna di classe al liceo è stata chiamata “cagnetta” dal mio professore di letteratura italiana […]. Questo è accaduto perché la ragazza in questione si vestiva in modo provocante (scollata). Tutti i compagni ovviamente si sono messi a ridere, mi è rimasto impresso perché era stato fatto da un professore. Al momento non avevo realizzato quanto fosse grave, ero piccola e ritenevo che fosse normale che noi donne ricevessimo questo trattamento. (donna, partecipante n. 1188)
Come Direttore di Dipartimento sono venuto a conoscenza di un atto di molestia sessuale da parte di un dipendente nei confronti di una studentessa. Il dipendente in questione non era appartenente alla mia struttura. Su segnalazione per iscritto della studentessa ho segnalato prontamente l’episodio al suo responsabile e alle autorità di Ateneo preposte. Da quello che so il tutto è finito in un nulla di fatto, a parte qualche leggera raccomandazione a “non rifarlo”. Rimango convinto che si sarebbe dovuto fare molto di più. Nel frattempo, la studentessa si è sentita discriminata, umiliata e trattata in maniera non idonea. Convengo pienamente con lei. Altri episodi da parte della stessa persona mi sono stati riferiti ma indirettamente. Per cui mi astengo da altri commenti non avendo ricevuto denunce per iscritto. […] (uomo, partecipante n. 1672)
17Anche le molestie avvenute tra compagni/e di classi sembrano aver avuto ripercussioni importanti, ma non solo sulle vittime della violenza. Una partecipante ha raccontato di come, durante gli anni del liceo, alcuni ragazzi della sua stessa classe fossero soliti fare commenti sessualmente espliciti sui corpi delle ragazze.
Questa dinamica ripetuta di sessualizzazione non richiesta dei corpi ha creato forti insicurezze nella maggior parte delle ragazze della mia classe, sia nelle vittime dirette dei commenti, sia in chi assistiva indirettamente alle scene. (donna, partecipante n. 1800)
18Tale ricaduta trova tristemente conferma nella letteratura psicosociale sull’oggettivazione sessuale, un processo che comporta la frammentazione simbolica del corpo, che viene separato dal resto della persona e considerato come mero strumento per il piacere altrui8. Una delle principali conseguenze dell’oggettivazione sessuale è l’auto-oggettivazione, ovvero l’internalizzazione della visione del proprio corpo o di parti di esso come oggetti sessuali. La donna oggettivata pone attenzione e tratta il proprio corpo come se lo vedesse con occhi di terzi al fine di piacere agli altri9. Rachel Calogero suggerisce che, spostando l’attenzione sul punto di vista degli altri, la relazione tra personalità e corpo si spezza: solo quest’ultimo resta a identificare la persona in quanto tale, mentre tutti gli attributi personali vengono messi in secondo piano10. Come evidenziato dalla ragazza partecipante alla ricerca, questo fenomeno può avere una serie di esiti negativi in quanto genera nelle donne sentimenti di ansia, insicurezza, scarsa autostima e vergogna per il proprio aspetto11.
19In alcuni casi, gli episodi avvenuti a scuola durante la preadolescenza hanno segnato un punto di svolta nella vita degli astanti e hanno fornito loro nuove lenti attraverso le quali cominciare a guardare al mondo.
Un ragazzo alle medie più grande di noi […] toccava sempre le parti intime delle ragazze e le insultava quando si difendevano. Un giorno, a una di queste ragazze l’ha bloccata sulle scale e l’ha presa per il collo. Ho avuto paura, avevo solo 12 anni, non sapevo cosa fare e cosa pensare. Da allora, mi sono tenuta alla larga da quel ragazzo e da quelli come lui. Da quel momento, ho iniziato a cambiare, a guadare il mondo in modo diverso, a prendere qualche lezione di autodifesa e a stare più attenta. (donna, partecipante n. 1465)
20In altri casi, invece, la giovane età e l’inesperienza dei testimoni hanno portato all’accettazione e alla normalizzazione dell’accaduto, impendendo qualsiasi forma di reazione per porre fine alla molestia a cui stavano assistendo.
Ricordo, quando andavo ancora alle medie, un ragazzo della mia classe che toccava le gambe e provava ad alzare i pantaloncini di una mia amica. Essendo piccola e poco informata sulle molestie, non avevo realizzato la gravità della cosa. Mi ci sono abituata e non ho fatto nulla. (donna, partecipante n. 1148)
Quando andavo alle medie c’erano uno o due ragazzi che toccavano le ragazze. Quel periodo dei 12/13 anni sono i primi anni in cui ti affacci a certe realtà ed essendo cose di tutti i giorni, per me era normale. Sono ragazzi. […] La sensazione che mi ricordo è la confusione iniziale, ma poi l’accettazione di qualcosa che avveniva più o meno quotidianamente. (donna, partecipante n. 2785)
5.4. Le emozioni dei testimoni
21Nei racconti di chi assiste alle molestie di strada, le emozioni provate sono state descritte poco12. In generale, i testimoni hanno raccontato di aver provato soprattutto rabbia, paura e disgusto (si veda la figura 5.4).
22Gli astanti spesso si paralizzano davanti a una scena di violenza e generalmente non intervengono per paura e istinto di tutelarsi13. In linea con tale considerazione, le testimonianze raccolte nel corso della ricerca evidenziano come la paura abbia giocato un ruolo chiave nel frenare gli spettatori dall’agire per porre fine alla situazione. Questo risultato trova conferma nell’assenza di aiuto emersa dai racconti delle vittime presentati nel capitolo 4. In alcuni casi, chi ha subìto molestie ha infatti raccontato della presenza di testimoni che hanno assistito all’episodio senza fare nulla: come vedremo nelle testimonianze di seguito riportate, la paura è una delle emozioni dominanti tra i testimoni che, almeno in parte, hanno giustificato così la loro immobilità.
Mi è capitato molte volte di vedere delle ragazze passare vicino a un gruppo di ragazzi/uomini e sentire che questi ultimi facevano commenti a sfondo sessuale […]. Sono intervenuta poche volte perché mi sono sempre sentita vulnerabile, impaurita e una potenziale vittima. […] (donna, partecipante n. 283)
Mi è capitato spesso di trovarmi sui mezzi pubblici e vedere degli uomini accostarsi inappropriatamente a donne, non solo giovani, e allungare le mani per molestarle fisicamente. Nei casi in cui ciò è successo […] ho evitato di intervenire, in quanto ero spaventata che la situazione potesse rivoltarsi contro di me. (donna, partecipante n. 719)
Mentre tornavo a casa ho visto un uomo sui 55 anni seguire una ragazza urlandole cose molto volgari e chiedendole esplicitamente di avere dei rapporti sessuali con lui, sempre in maniera molto volgare e rumorosa. Mi sono sentita disgustata e spaventata, avrei voluto intervenire ma non sapevo come reagire e avevo paura che lui se la prendesse con me. […] (donna, partecipante n. 1423)
Mi trovavo al parco Sempione di Milano con un’amica, quando 2 o 3 ragazzini (16-18 anni) si sono avvicinati e, passando, hanno toccato il lato b della mia amica. Lei chiaramente è rimasta bloccata, scossa, impietrita, ma poco dopo si è comportata come se nulla fosse accaduto. Io allo stesso modo non ho saputo cosa fare perché c’è sempre la paura di una reazione pericolosa nell’altro. (donna, partecipante n. 1628)
23Anche la rabbia sembra essere strettamente connessa alla (non) reazione dei testimoni. Ad esempio, dopo aver assistito a una molestia nei confronti di un’amica all’interno di un bar, una ragazza ha raccontato della rabbia provata verso sé stessa perché incapace di prestare aiuto alla vittima.
Mi sono sentita molto arrabbiata perché sono stata totalmente incapace di reagire in modo da poter cambiare le cose. (donna, partecipante n. 93)
24In maniera analoga, una partecipante ha raccontato un episodio di catcalling avvenuto nei confronti di un’amica e della rabbia connessa al non essere stata in grado di aiutare.
Ho assistito a un episodio di catcalling nei confronti di una mia cara amica, da parte di un uomo di media età (40 anni circa), che nessuna delle due conosceva. Mi ricordo che avevo voglia di rispondergli, ma non avevo le forze di reagire e per questo ho provato molta rabbia. (donna, partecipante n. 2787)
25In altri racconti la rabbia è l’emozione dominante. Ad esempio:
Stavo camminando con le mie amiche sul marciapiede attaccato ad una strada dove stava passando un motorino dal quale un ragazzo molto giovane si è sporto, allungando la mano e colpendo il sedere della mia amica. Mi sono sentita avvilita e arrabbiata in quanto non sono riuscita a reagire al momento, mi sono sentita umiliata anche per la mia amica. […] (donna, partecipante n. 1012)
26La molestia trova impreparato non solo chi la subisce, ma anche chi vi assiste. A volte dura pochi attimi e non si ha il tempo di capire come intervenire, cosa poter fare. A riguardo, molte sono le testimonianze che parlano di frustrazione, sconforto e senso di impotenza dettati dall’incapacità di reagire. Tale risultato sembra segnalare la necessità di una maggiore sensibilizzazione su questo tema e di una formazione volta a fornire strumenti che consentano a chi si trova ad assistere a episodi di molestie di gestire le proprie emozioni e di intervenire nelle modalità più consone alla situazione.
Ero al mare e il bagnino ha ripetutamente fatto allusioni sessuali verso la mia amica, anche quando lei non era con me. È stato tutto molto veloce, umiliante, ti senti piccolo, impotente. (donna, partecipante n. 46)
Un gruppo di ragazzi ha fischiato ad una ragazza che passava dall’altro lato della strada rispetto a me. Mi sono sentita impotente e ho provato empatia nei suoi confronti perché immagino come si sia sentita, a disagio, impaurita. Non sapevo come intervenire e quindi non l’ho fatto. (donna, partecipante n. 269)
Ho assistito ad un uomo con più di 60 anni che fotografava una ragazza di 18 anni circa, la quale camminava davanti a lui su una ciclabile, penso che indossasse un vestito niente di più. Mi ha lasciata senza parole e al momento non ho reagito come avrei dovuto (non ho reagito) perché mi sono sentita impotente. (donna, partecipante n. 919)
Ho assistito a un signore anziano (penso sull’ottantina) al bar che si rivolgeva alla cameriera con complimenti a sfondo sessuale e sguardi. Ho provato imbarazzo, ma soprattutto impotenza perché non sapevo che dire o fare. (donna, partecipante n. 1884)
27Un’ulteriore emozione emersa dalle testimonianze e sulla quale vorrei soffermarmi è la vergogna. In alcuni casi, chi ha descritto l’atto di molestia era insieme al molestatore14 durante l’episodio. Da qui, l’imbarazzo per la situazione.
Un conoscente, in una serata in compagnia, ha fischiato da lontano a delle ragazze. Erano molto lontane e non penso abbiano sentito, ma mi ha fortemente infastidito perché è una cosa stupida da fare. Ho provato vergogna e imbarazzo. (uomo, partecipante n. 1238)
Ero in macchina con un mio amico che mi stava riaccompagnando a casa dopo il lavoro. Ad un certo punto, questo mio amico ha visto una ragazza che stava facendo jogging, ha abbassato il finestrino e le ha fischiato dietro. Io sono rimasta scioccata e imbarazzata, gli ho urlato contro di non fare mai più una cosa del genere. […] (donna, partecipante n. 1306)
Una volta ero a bordo dell’auto di un mio amico ed egli ha suonato il clacson ad una ragazza e mi sono vergognato di essere lì. Lui non lo ha fatto per intimidire la ragazza, ma solo perché era convinto di fare bella figura con me ed altri amici; è un atto di ignoranza e scarsa empatia. […] (uomo, partecipante n. 1340)
28In questi casi, ciò che emerge chiaramente dai racconti è la volontà degli astanti di dissociarsi da chi ha commesso la violenza, non solo manifestando vergogna e imbarazzo, ma anche sottolineando la “stupidità” (è una cosa stupida da fare) e l’“ignoranza” (è un atto di ignoranza) delle molestie compiute. È interessante notare che una così forte presa di posizione non è invece quasi mai presente in tutte le altre testimonianze, in cui l’autore della molestia è una persona sconosciuta. Tali osservazioni acquisiscono maggiore senso se lette alla luce della letteratura psicosociale sull’identità e le relazioni intergruppi. Come sottolineato da Henri Tajfel e John Turner, la nostra immagine deriva infatti dall’interazione tra ciò che noi pensiamo di noi stessi come individui e come membri di gruppi sociali15. Quando le persone sentono di avere un’identità sociale inadeguata intraprendono una serie di azioni per porvi rimedio. Se amici, conoscenti o altri membri di un gruppo importante per la definizione della nostra identità non seguono le regole, si verifica l’“effetto pecora nera”, in base al quale, per proteggere l’immagine positiva del gruppo e di sé, tendiamo a trattare i membri del nostro gruppo in modo particolarmente severo prendendone le distanze16. Questa dinamica sembra la stessa manifestatasi tra i nostri testimoni che, durante il racconto di episodi avvenuti per mano di conoscenti, hanno voluto sottolineare l’imbarazzo e il forte disappunto per la situazione venutasi a creare.
5.5. Le reazioni dei testimoni
29Nonostante le reazioni siano state descritte poco dai testimoni17, le risposte raccolte hanno permesso di ottenere un’interessante fotografia dei comportamenti messi più frequentemente in atto da chi ha assistito a episodi più o meno gravi di molestie di strada. La figura 5.5 illustra quanto è stato raccontato.
30Sapere come si comportano gli spettatori di una molestia è particolarmente importante non solo per capire cosa le persone sanno sul fenomeno e su quello che si può fare, ma anche per fornire indicazioni pratiche per lo sviluppo di strumenti atti ad aiutare, educare e prendere posizione contro le molestie in luoghi pubblici. Per tale regione, di seguito verranno approfondite alcune delle numerose testimonianze raccolte suddividendole in base ai comportamenti messi in atto dagli astanti.
5.5.1. Difesa della vittima
31Complessivamente, la difesa della vittima è la reazione più comune tra quelle descritte. In particolare, l’analisi dei racconti forniti ha permesso di individuare due forme di difesa efficaci per salvaguardare chi subisce la violenza: la difesa “attiva”, volta ad allontanare il molestatore dalla vittima, e la difesa “indiretta”, finalizzata a porre fine alla situazione senza ricorrere all’aggressività e/o al contatto fisico.
32Nei casi di difesa attiva, gli astanti hanno raccontato di essersi mobilitati attivamente in difesa della vittima attraverso spinte o urla contro l’autore della violenza. Ad esempio, per proteggere un’amica da un avvicinamento molesto, una ragazza ha raccontato di essere diventata violenta e di aver affrontato il molestatore per allontanarlo.
Ero al mercato del mio quartiere con le mie coinquiline. Era estate e, piegandosi per guardare un oggetto, alla mia amica si è sollevato il vestito, salito a metà coscia. In quel momento un uomo sulla quarantina si è avvicinato e ha cercato di toccarla. Lei è rimasta immobile e impaurita e, come mi accade spesso, sono diventata violenta e l’ho spinto via insultandolo. […] (donna, partecipante n. 662)
33In maniera analoga, un ragazzo ha raccontato di aver spinto alcune persone che, all’uscita dalla discoteca, stavano importunando alcune sue amiche.
Una volta all’uscita da una discoteca, un gruppo di ragazzi importunava pesantemente delle mie amiche e con altri miei amici siamo intervenuti spingendoli via per allontanarli. (uomo, partecipante n. 1777)
34Altre rispondenti hanno raccontato di aver a loro volta aggredito e minacciato il molestatore per proteggere la vittima di violenza.
Ho visto un uomo di cinquant’anni sul tram che si avvicinava alla mia amica. L’ho cacciato via minacciandolo. (donna, partecipante n. 435)
Ero fuori con il mio gruppo di amici e mentre camminavamo in una zona molto frequentata da giovani, un gruppo di ragazzi si è avvicinato a una mia amica e ha iniziato a importunarla con frasi offensive e fischi. Per fortuna io e gli altri li abbiamo cacciati. […] (donna, partecipante n. 548)
Un uomo sconosciuto ha mostrato il pene ad una ragazza appena scesa dalla metropolitana, in una fermata del centro città. La ragazza cercava di scostarsi dall’uomo ma lui cercava di andarle addosso. Sono intervenuta con un calcio sul pene dello sconosciuto che è scappato. […] (donna, partecipante n. 1159)
35Altrettanto efficace è la difesa indiretta messa in atto da alcuni testimoni che hanno raccontato di aver agito in difesa della vittima attraverso modalità “alternative”, ad esempio distraendo il molestatore per porre distanza tra lui e la vittima della violenza.
Una sera, in centro a Milano, ero in giro con delle mie amiche, quando abbiamo notato una donna che sembrava particolarmente a disagio con un uomo molto insistente che le stava addosso e non la lasciava in pace. Dopo aver osservato per un attimo la situazione per cercare di capire se la donna avesse effettivamente bisogno di aiuto, io e le mie amiche siamo andate da lei, facendo finta di conoscerla, per tirarla via dalla situazione. L’uomo sconosciuto che la stava disturbando ha per qualche minuto seguito il nostro gruppo, urlandoci dietro oscenità e minacce, ma poi si è dileguato. […] (donna, partecipante n. 1082)
In metro due ragazzi ce l’avevano con una ragazza, lei palesemente infastidita continuava a spostarsi e loro la seguivano. Mi sono indispettita, ero con qualche amico, ci siamo guardati e abbiamo iniziato a distrarre i ragazzi, la ragazza è venuta di fianco a me e non si è più mossa. […] (donna, partecipante n. 1454)
Mi è capitato di fingere di conoscere una ragazza che non riusciva a dire di no ad un uomo sulla trentina che continuava ad insistere con lei perché le desse il suo numero, nel momento in cui lui ha iniziato ad alzare la voce mi è sembrata la scelta migliore. Con questa scusa sono riuscita ad allontanare la ragazza. (donna, partecipante n. 1636)
Avevo 18 anni e mi ricordo questo episodio […]. Ero con tre compagni di scuola e stavamo parlando in attesa che arrivasse il treno e con la coda dell’occhio avevo visto che c’era una ragazza coetanea con un cappottino rosso che continuava a spostarsi lungo la banchina mentre un uomo abbastanza robusto copiava i suoi movimenti stando sempre a non più di un metro da lei. Essendo io di corporatura normale non potevo gestire da vicino un’eventuale reazione dell’uomo (che probabilmente per l’odore era anche ubriaco) quindi, dopo aver fatto notare la situazione anche agli altri e sperando che l’uomo non sapesse il suo nome, ho letteralmente urlato: “Oddio, ma c’è Ginevra, mica dovevi venire in macchina?” e uno dei miei amici maschi si è sporto verso di lei e l’ha afferrata per il polso tirandola tra di noi. […] (donna, partecipante n. 1716)
Su un bus un uomo decisamente ubriaco, poteva avere dai 50 ai 60 anni, si era avvicinato troppo a una ragazza, toccandole la spalla e cercando di abbracciarla. Io sono intervenuta facendo finta di conoscerla e iniziando una conversazione con lei, facendola spostare. […] (donna, partecipante n. 2005)
Un uomo sul bus ha provato più volte, ed esplicitamente, a toccare una mia amica. Eravamo in gruppo e l’abbiamo fatta spostare mettendoci in mezzo. […] (donna, partecipante n. 2140)
36Tra le modalità alternative di difesa, rientra anche la fuga con la vittima. In particolare, in 29 racconti, i testimoni hanno raccontato di essere scappati per paura ma, non volendo lasciare la vittima in balìa dell’aggressore, l’hanno portata con sé nella fuga.
A un concerto durante una notte bianca in una grande città, a cui ero andata con un’amica, un ragazzo molto ubriaco ha iniziato a strusciarsi su di lei da dietro (eravamo in piedi accalcate in mezzo alla folla). All’inizio non ci siamo rese conto di niente, poi mi sono accorta che lui si stava masturbando addosso a lei. Ho preso la mia amica per un braccio e l’ho portata via. (donna, partecipante n. 332)
In metropolitana un ragazzo continuava ad insistere per avere il numero di una ragazza, stava esagerando nei modi tanto che mi sono intromessa: ho finto di conoscere la ragazza per poi scappare con lei scendendo insieme dalla metro. (donna, partecipante n. 707)
Un signore, dall’età di 40 anni più o meno, stava facendo dei commenti sgradevoli ad una ragazza vicino a me sul bus. La ragazza spaventata non ha risposto e ha cercato il mio sguardo per un aiuto. Ho provato a mettermi davanti a lei come scudo, ma il molestatore non ha smesso. Allora ho deciso di scendere dal bus e portarmi dietro la ragazza. […] (donna, partecipante n. 2366)
5.5.2. Richiesta di aiuto ad altre persone
37Pur volendo aiutare la vittima, non sempre chi assiste a una molestia possiede tutti gli strumenti necessari per fermare l’aggressore in sicurezza. Jane Piliavin e colleghi hanno approfondito le dinamiche sottostanti i comportamenti altruistici postulando che generalmente le persone vengono attivate dalle sofferenze altrui. Quando viene attribuita allo stato di bisogno dell’altra persona, tale attivazione può essere spiacevole e di conseguenza si cercherà di alleviare l’emozione negativa aiutando la persona in difficoltà. Tuttavia, nel cercare di ridurre il proprio disagio, si sceglieranno i mezzi meno onerosi e più gratificanti. In tal senso, chiamare qualcuno di qualificato per prestare soccorso ridurrà eventuali rischi per la propria incolumità e, allo stesso tempo, porrà fine alla molestia salvaguardando la vittima18. Coerentemente con tali considerazioni, alcuni rispondenti hanno raccontato di aver fornito il proprio aiuto chiamando persone più qualificate nel soccorrere chi stava subendo la violenza. Ad esempio, dopo aver assistito a una tentata aggressione durante una festa, una ragazza ha raccontato di aver chiamato i carabinieri poiché spaventata (anche per sé stessa) e incapace di intervenire in modi alternativi.
Ad una festa di paese ho assistito ad un ragazzo (20 anni) che, dopo aver urlato e richiamato una ragazza (che non lo ha considerato), l’ha rincorsa e presa per un braccio. Ho subito chiamato i carabinieri perché avevo paura per lei ma anche per me e non sapevo cosa fare. […] (donna, partecipante n. 318)
38La stessa strategia è stata adottata da alcune testimoni dopo aver assistito a molestie verbali che sembravano sul punto di sfociare in qualcosa di più pericoloso.
Ho assistito a verbalizzazione di frasi sessualmente esplicite verso una ragazza di circa vent’anni sul treno […]. L’autore era un uomo di colore, sulla cinquantina, visivamente ubriaco e con delle bottiglie in mano. Avevo paura potesse essere pericoloso così sono andata a cercare il controllore per chiedere aiuto. (donna, partecipante n. 1356)
Ho assistito a un’aggressione verbale in cui lui tratteneva lei contro la sua volontà, mi sono nascosta lì vicino perché ero terrorizzata e ho chiamato la polizia che è intervenuta prima che l’aggressione degenerasse. (donna, partecipante n. 2372)
39Particolarmente interessante è inoltre la testimonianza di una ragazza che ha raccontato di aver chiamato la polizia non solo per alleviare il senso di impotenza dettato dalla situazione, ma anche per sopperire all’indifferenza mostrata dai passanti presenti durante l’evento.
[…] Un uomo sui 30/40 anni impediva a una ragazza sui 25/30 anni di salire sul treno trattenendola fisicamente e poi alzandola di peso e portandola via. Mi sono sentita frustrata e impotente, l’unica cosa che ho fatto è stata chiamare la polizia. Mi ha colpito l’indifferenza di molti (quasi tutti) passanti. (donna, partecipante n. 383)
40Questo racconto non solo mostra come il chiedere aiuto a qualcuno di qualificato per soccorrere la vittima possa essere una strategia efficace per mettere a tacere la propria frustrazione, ma fornisce un ottimo collegamento per parlare dell’indifferenza e del silenzio che spesso caratterizzano gli spettatori di episodi violenti.
5.5.3. Silenzio e fuga
41Se è vero che la maggior parte degli astanti fa qualcosa per aiutare la vittima, è anche vero che un numero consistente preferisce non agire per porre fine alla situazione. Dalla letteratura sull’argomento emerge che le percentuali di chi prende posizione attivamente durante un episodio di molestia sono incredibilmente basse a causa dell’“effetto testimone”, un fenomeno psicologico e sociale che avviene nei casi in cui gli individui non offrono nessun aiuto a una vittima quando sono presenti altre persone19. Le ragioni alla base di tale fenomeno sono molteplici, dall’ignoranza pluralistica alla diffusione di responsabilità. Nel primo caso, ciascuno degli astanti è indotto dall’apparente mancanza di coinvolgimento degli altri a sottovalutare la gravità della situazione e a pensare che non si tratti realmente di un’emergenza. Quando invece la situazione è percepita dagli individui come grave in modo inequivocabile, può subentrare la diffusione di responsabilità che, come descritto nel capitolo 4, porta al paradossale risultato per il quale quando aumenta il numero di persone presenti, diminuisce la probabilità che chi ha bisogno venga soccorso.
42In linea con tali considerazioni, alcune testimonianze riguardano episodi di molestie – anche particolarmente gravi – in cui nessuno degli astanti ha fatto qualcosa per salvaguardare la vittima.
Ero su un autobus affollato una mattina e un signore sui 45/50 anni, dopo che è salito, ha iniziato a toccare i sederi e ad appoggiarsi su alcune ragazze. Eravamo in tanti, ma nessuno ha detto o fatto niente, siamo rimasti tutti in silenzio. […] (donna, partecipante n. 391)
In metro, un signore di circa 40/50 anni ha fatto finta di far cadere un foglietto per terra così da poter guardare sotto la gonna di una ragazza. Eravamo in tanti, ma nessuno di noi ha fatto niente per toglierla da quella situazione. Questo mi ha fatto sentire molto in colpa perché ho pensato che se fosse successo a me avrei voluto che qualcuno mi tirasse fuori da quella situazione. Mi sono ripromessa che se mai vedrò una scena di questo tipo o qualunque altra molestia interverrò. (donna, partecipante n. 1612)
43In alcuni casi, i testimoni sono rimasti talmente colpiti dall’episodio di molestia da riuscire solo a scappare. Durante un episodio di catcalling, una testimone ha raccontato di aver avuto così tanta paura per la sua incolumità da decidere di cambiare strada e ignorare la violenza.
Due ragazze stavano tornando verso la macchina in centro città e un gruppo di ragazzi giovani ha iniziato a fischiare e gridare di raggiungerli per proseguire la serata insieme. Mi sono sentita poco sicura e ho cambiato strada. (donna, partecipante n. 2066)
44Allo stesso modo, una rispondente ha raccontato di aver optato per la fuga dopo aver assistito a un episodio di catcalling e stalking.
Inseguimento in auto di persone che camminavano sul marciapiede accanto. La mia reazione: fuga verso casa. (donna, partecipante n. 1395)
45E ancora:
Ho assistito a innumerevoli episodi di catcalling mentre passeggiavo con le amiche. Le reazioni sono state cambiare strada e andarmene. (donna, partecipante n. 408)
Per strada fischi e commenti anche offensivi verso una ragazza che passava. Ho cambiato strada e me ne sono andata. (donna, partecipante n. 1729)
46Un’ulteriore nota sul silenzio come reazione alle molestie di strada riguarda quei casi in cui i testimoni hanno specificato di non aver fatto niente perché altre persone stavano già cercando di mettere fine alla situazione. Ad esempio, una ragazza ha descritto un episodio di molestia avvenuto in discoteca specificando di non aver fatto nulla perché un bodyguard del locale stava già cercando di bloccare l’aggressore.
In discoteca, dei ragazzi accerchiavano una ragazza e facevano degli apprezzamenti non educati. Mi sentivo male, sapevo che dovevo far qualcosa. Per fortuna, un bodyguard è intervenuto a bloccare la situazione. (donna, partecipante n. 1162)
47L’intervento di altri testimoni è ciò che invece ha fatto desistere una giovane donna dal reagire per salvaguardare una vittima di molestie sui mezzi pubblici.
In metro mi è capitato di vedere una ragazza sui 25 anni che veniva disturbata insistentemente da un uomo sui 35 anni. Inizialmente, ho notato che la guardava, poi ha iniziato a dirle qualcosa di incomprensibile sottovoce. Lei si è spostata in un altro posto e lui l’ha seguita nuovamente. Dopodiché, capendo la situazione, due uomini sono riusciti ad allontanarlo con fatica facendolo scendere dalla metro. (donna, partecipante n. 712)
48Come già anticipato nella sezione relativa ai luoghi in cui sono avvenuti gli episodi raccontati dai nostri testimoni (si veda il paragrafo 5.3), in molti casi gli astanti erano troppo giovani per capire che si stesse perpetrando una molestia. Per questo motivo, l’evento è stato percepito e considerato come normale espressione della libertà di pensiero, impendendo qualsiasi forma di reazione per assistere e salvaguardare chi stava subendo la violenza. Tale riflessione è in parte collegabile con quanto emerso dai racconti delle vittime che hanno preso parte alla ricerca. Alcune donne hanno infatti condiviso la percezione di non essere state aiutate perché non comprese dagli altri, soprattutto dalle altre donne, durante e dopo l’accaduto20. La mancanza di comprensione potrebbe essere spiegata da quanto rilevato dai racconti dei testimoni che, in più casi, hanno riconosciuto di aver considerato la molestia come trattamento normale riservato al genere femminile, una forma di apprezzamento di cui andare fiere piuttosto che arrabbiarsi. In psicologia sociale, questo meccanismo è noto come enjoyment of sexualization e si verifica, appunto, quando le persone trovano positiva e gratificante l’attenzione sessuale da parte degli altri basata sull’aspetto fisico. Si tratta di un processo subdolo e pericoloso che alcuni studi hanno mostrato essere associato a stereotipi e sessismo21.
49Infine, relativamente al silenzio, si ritiene importante sottolineare il contrasto che sembra emergere tra quanto hanno raccontato le vittime22 e quanto hanno detto di sé i testimoni. Se da un lato abbiamo la descrizione di persone che assistono indifferenti alla molestia senza fare nulla e distogliendo lo sguardo, dall’altro abbiamo i racconti di queste stesse persone che parlano invece di paura, paralisi e incapacità di agire per fermare la molestia. Non si sa quale sia la verità ma, ancora una volta, la letteratura psicosociale può essere d’aiuto per meglio comprendere tale contraddizione. Albert Bandura ha formulato il costrutto di “disimpegno morale” per spiegare i comportamenti negativi messi in atto dalle persone. In particolare, secondo lo studioso, quando gli individui compiono delle azioni che contraddicono gli standard etici che guidano il comportamento si innescano delle forme di disimpegno morale che, appunto, aiutano a giustificare quanto compiuto. Tra queste rientrano la minimizzazione del proprio ruolo e la minimizzazione delle conseguenze degli atti commessi23. Nel nostro caso, i testimoni possono aver giustificato a sé stessi il silenzio e la mancanza di reazione sminuendo l’importanza del proprio ruolo attraverso la già discussa diffusione di responsabilità24; è il caso, ad esempio, di un episodio di molestia avvenuto sul tram durante il quale i passeggeri presenti si sono guardati tra loro senza fare nulla, probabilmente pensando che il proprio intervento non fosse cruciale per porre fine alla situazione.
[…] Non ho proprio assistito di persona, ma la vittima mi ha chiamato al telefono. […] La mia fidanzata, che viveva a Milano, è stata fermata alla stazione del tram da uno straniero […] il quale l’ha interpellata con una scusa per poi farle diverse allusioni sessuali […]. Una volta in tram, l’uomo ha continuato di fronte ad altre persone, anche a toccarla, e nessuno ha preso le sue difese nonostante i suoi chiari segnali di disagio. Lei mi ha raccontato che i passeggeri erano tutti lì a guardarsi ma nessuno ha fatto niente. (uomo, partecipante n. 1273)
50Anche se si ha la nozione che ciò che (non) si sta facendo sia moralmente discutibile, ci si nasconde dietro la protezione degli altri presenti e si agisce in modi che probabilmente non verrebbero in mente se si fosse da soli.
5.5.4. Supporto alla vittima
51Come visto in precedenza, spesso la frustrazione e la rabbia per non aver fatto nulla prendono il sopravvento; tuttavia, in alcuni casi, le persone cercano di porre rimedio alla loro (non) reazione e al malessere da essa generato fornendo alle vittime altre forme di sostegno, quali sguardi, sorrisi e frasi di supporto.
Camminavo sul marciapiede e una ragazza andava nel senso opposto al mio […]. Dei ragazzi sono passati in macchina e le hanno gridato qualcosa, allungando anche una mano dal finestrino. Lei è riuscita a spostarsi. […] Non ho fatto niente, ma quando mi sono avvicinata le ho detto che mi dispiaceva e che la capivo. […] (donna, partecipante n. 497)
Spesso ho visto degli uomini fischiare/urlare ad altre donne. Non faccio nulla perché ho paura e so che potrebbe essere pericoloso. Se riesco faccio un sorriso di supporto. (donna, partecipante n. 1062)
[…] Sicuramente mi è capitato di sentir fischiare/fare apprezzamenti indesiderati a ragazze per strada, oppure sul treno assistere ad approcci intrusivi e indesiderati. Di solito mi limito a lanciare uno sguardo di sostegno e solidarietà alla vittima. Forse mi sembra così normale che avvenga che fatico a intervenire in maniera più incisiva. (donna, partecipante n. 2807)
52La letteratura psicosociale porta avanti da anni l’assunto secondo il quale aiutare gli altri abbia benefici non solo per la vittima ma anche per sé stessi. Ad esempio, Robert Cialdini e i suoi associati hanno proposto “l’ipotesi del sollievo dallo stato d’animo negativo”, secondo cui provare empatia per una persona in difficoltà – o provare emozioni negative legate a una situazione di disagio – comporti una temporanea sensazione di tristezza che si è motivati ad alleviare tramite esperienze in grado di ripristinare il buon umore, come dare supporto agli altri e sentirsi bene per averlo fatto25. In maniera simile, Michael Cunningham e colleghi hanno avanzato “l’ipotesi della riparazione dell’immagine”, secondo la quale le persone vogliono avere un’immagine sociale positiva, e questa è danneggiata quando nuocciono a qualcuno o non si comportano in modo etico. Per riparare a un danno di questo tipo, una persona compirà buone azioni26. Le testimonianze appena descritte sembrano andare, almeno in parte, in questa direzione: dare supporto e sostegno alle vittime dopo l’accaduto è benefico per chi ha subìto la violenza ma è anche conveniente per lo stato d’animo degli astanti che durante la molestia non sono stati in grado di intervenire per porre fine alla situazione.
5.6. Un effetto delle molestie di strada sui testimoni: il rimuginio
53Le molestie possono essere pericolose non solo per chi le subisce ma anche per chi vi assiste. Prima di concludere il capitolo, si ritiene quindi interessante porre l’attenzione su una ricaduta degli episodi descritti che sembra accomunare molti testimoni tra quelli intervistati: il rimuginio.
54In psicologia, il rimuginio è definito come una forma di pensiero ripetitivo strettamente legato all’ansia che, nel tempo, la mantiene e la aggrava. I pensieri, che si focalizzano su contenuti catastrofici di eventi che potrebbero manifestarsi in futuro, sono vissuti come incontrollabili e intrusivi. Coloro che rimuginano sono inclini al sentirsi poco capaci di poter controllare gli eventi incerti, per questo utilizzano il rimuginio come strumento mentale per anticipare e controllare il possibile verificarsi di un evento futuro temuto27. Chi rimugina ha paura e teme sempre possa avverarsi il peggio, non riesce a valutare possibili alternative per gestire la situazione temuta e pensa che il rimuginare possa portare alla soluzione del problema. Tratti tipici di questo processo cognitivo sembrano caratterizzare parte delle numerose testimonianze raccolte nel corso della ricerca. Ad esempio, una rispondente ha raccontato di come l’aver assistito a un episodio di molestie verbali ai danni di una ragazza abbia particolarmente influito sulle sue abitudini e sul suo modo di vestire.
Una ragazza in centro è stata continuamente fischiata da alcuni ragazzi e da alcuni uomini che l’hanno etichettata come “una poco di buono” perché aveva una gonna poco sopra il ginocchio. Mi sono spaventata. Ci penso frequentemente e da quel giorno ho cambiato molto la mia routine perché ora ho spesso paura. Non metto più gonne corte. (donna, partecipante n. 209)
55Allo stesso modo, diverse altre testimonianze descrivono ansia, paura e cambiamenti di comportamento dovuti agli episodi a cui si ha assistito.
All’ingresso di una discoteca ho visto un gruppo di ragazzi (5/6 persone) guardare e commentare volgarmente due ragazze che entravano nel locale […]. È passato oltre un anno da quell’episodio, ma ho impresso nella mente le parole e gli sguardi dei ragazzi, e le loro risate e pacche sulla spalla, perché tutto questo evidentemente lo trovavano anche divertente. È un pensiero frequente. Ora ho spesso paura e sto molto più attenta. (donna, partecipante n. 441)
Una mia carissima amica veniva seguita ogni mattina nel tragitto da casa a scuola e spesso anche nel ritorno. Ricordo che ci siamo date i turni per andare a scuola e fare il tragitto assieme. Mi è sempre rimasto un gran senso di paura. (donna, partecipante n. 465)
Ero a casa e mia sorella, due anni più giovane di me, mi ha chiamata molto agitata perché un uomo la stava seguendo sotto casa. Le ho detto di continuare a camminare e mi sono preparata per aprirle subito il cancello al citofono in modo da guadagnare tempo. Al telefono cercavo di tranquillizzarla ma in realtà ero in ansia. Questo evento mi ha segnato così tanto che per un periodo ricordavo che fosse capitato a me invece che a lei. Senza contare che tuttora ho una grandissima paura ad andare in giro da sola. (donna, partecipante n. 692)
[…] Ho assistito a ragazzi o anche uomini adulti che si approcciavano ad alcune ragazze in discoteca, insistendo per ballare con loro o per far loro compagnia. Mi sono sentita piuttosto insicura. Questo episodio mi ha lasciato molto paura perché ogni volta penso possa succedere a me. Infatti, ora non esco mai la sera da sola e, se vado in discoteca, sono sempre in compagnia di almeno altre due persone così da poterci tenere d’occhio a vicenda. (donna, partecipante n. 828)
Lavoravo in un pub. Un cliente ubriaco, sconosciuto, si è spinto decisamente oltre nelle avances verso una mia collega, avvicinandosi e costringendoci a intervenire. Lei era visibilmente scossa, io personalmente anche. Ha cercato in tutti i modi di essere gentile nell’allontanarlo, ma sembrava impossibile. Abbiamo dovuto letteralmente cacciarlo dal locale, tra urla e ben altro. Da allora, abbiamo iniziato ad avere paura durante il lavoro e ora non lavoriamo più senza almeno un collega uomo. (donna, partecipante n. 1348)
Stavo andando a scuola una mattina di novembre, ero in quinta elementare. […] In una via isolata c’erano un ragazzo e una ragazza, passando di fianco assistetti a quella che poi mi resi conto (anni dopo) fosse una violenza sessuale. Mi sentii impotente e sporca poiché per la paura non feci niente. Ad oggi, penso spesso a quell’episodio e le vie del centro nel mio paese, quelle più isolate dove non passa mai nessuno, mi fanno molta paura ed evito di passarci. (donna, partecipante n. 2808)
56Questi racconti (e molti altri non riportati qui per questione di spazio) sono accomunati dal costante pensiero di quanto accaduto e dall’idea che, se l’episodio è successo a un’altra ragazza, potrebbe accadere a chiunque. Tante giovani donne pensano spesso a quello che hanno visto, a come poteva drammaticamente evolvere la situazione e, soprattutto, a come cambiare le proprie abitudini per ridurre la probabilità che possa succedere anche a loro.
5.7. Conclusione
57Le citazioni presentate in questo capitolo sono preziose per comprendere i vissuti di chi ha assistito, nel corso della propria vita, a episodi di molestie in luoghi pubblici; inoltre, mettono bene in evidenza quanto ci sia ancora da fare per rendere le persone più preparate nel riconoscere queste situazioni e nel saperle fronteggiare.
58Come vedremo meglio anche in seguito, capire cosa prova chi è testimone di un episodio violento è fondamentale per prevenire le molestie di strada e costruire uno spazio sicuro e inclusivo per tutti/e. Armare le persone con le competenze necessarie per riconoscere la violenza e reagire in modo appropriato gioca un ruolo chiave nella lotta al fenomeno anche perché permette di spostare la responsabilità dell’episodio dalle singole vittime alla comunità in generale28. Come sottolineato da una partecipante:
È angosciante [assistere a una molestia N.d.A.] perché vorresti fare qualcosa ma sai che è pericoloso e hai paura che possa succedere qualcosa di brutto anche a te. Allora spesso metti in atto la stessa passività che metteresti in atto se succedesse a te. […] Io mi sono sentita molto in colpa per non aver agito in modo tempestivo per dare una mano. Avrei voluto sapere cosa fare per aiutare quella ragazza, per farle capire che non era sola e per farle capire che quello che stava succedendo non era colpa sua. (donna, partecipante n. 1259)
Notes de bas de page
1 B. Fileborn, Bystander intervention from the victims’ perspective: Experiences, impacts and justice needs of street harassment victims, “Journal of Gender-Based Violence”, 1, 2017, pp. 187-204.
2 Stop Street Harassment, Unsafe and harassed in public spaces: A national street harassment report, 2014, https://www.stopstreetharassment.org/ourwork/nationalstudy/ [ultima consultazione 31.07.2022].
3 Ipsos, Cornell University, L’Oréal Paris, Sondaggio internazionale sulle molestie sessuali in spazi pubblici, 2019, https://www.loreal.com/en/articles/commitments/2020/03/25/14/47/l-oreal-paris-stands-up-against-street-harassment/ [ultima consultazione 31.07.2022].
4 Cfr. capitolo 3 e capitolo 4.
5 Cfr. capitolo 1.
6 In 115 racconti, i testimoni non hanno indicato il luogo in cui è avvenuta la molestia a cui hanno assistito.
7 Cfr. capitolo 1.
8 S. L. Bartky, Femininity and domination: Studies in the phenomenology of oppression, New York, Routledge, 1990.
9 B. L. Fredrickson, T. A. Roberts, Objectification theory: Toward understanding women’s lived experiences and mental health risks, “Psychology of Women Quarterly”, 21, 1997, pp. 173-206.
10 R. M. Calogero, Objectification theory, self-objectification, and body image, in T. Cash (a cura di), Encyclopedia of Body Image and Human Appearance, San Diego, Academic Press, 2012, pp. 574-580.
11 R. M. Calogero, S. Tantleff-Dunn, J. K. Thompson, Self-objectification in women: Causes, consequences, and direction for research and practice, Washington, American Psychological Association, 2011. Cfr anche capitolo 2.
12 In 628 racconti, i testimoni non hanno descritto le emozioni provate durante la molestia.
13 Cfr. nota 3.
14 Nel fare riferimento a chi ha commesso la molestia, è stata usata la declinazione maschile (ad es., il molestatore) poiché solo in due racconti la molestatrice è una donna. In entrambi i casi, il contesto della molestia è un locale pubblico; in un caso si tratta di molestie verbali e gesti allusivi, mentre nell’altro caso si tratta di contatti fisici e strusciamenti non desiderati.
15 H. Tajfel, J. C. Turner, An integrative theory of intergroup conflict, in W. G. Austin e S. Worchel (a cura di), The Social Psychology of Intergroup Relations, Monterey, CA, Brooks/Cole, 1979, pp. 33-47. Cfr. anche capitolo 2.
16 J. M. Marques, V. Y. Yzerbyt, J.-P. Leyens, The “Black Sheep Effect”: Extremity of judgments toward ingroup members as a function of group identification, “European Journal of Social Psychology”, 18, 1988, pp. 1-16.
17 In 923 racconti, i testimoni non hanno descritto le loro reazioni durante la molestia.
18 J. A. Piliavin, J. F. Dovidio, S. L. Gaertner, R. D. Clark, Emergency Intervention, New York, Academic Press, 1981.
19 Cfr. nota 1. Si vedano anche J. Darley, B. Latané, Bystander intervention in emergencies: Diffusion of responsibility, “Journal of Personality and Social Psychology”, 4, 1968, pp. 377-383; B. Latané, J. Darley, Group inhibition of bystander intervention in emergencies, “Journal of Personality and Social Psychology”, 3, 1968, pp. 215-221.
20 Cfr. capitolo 4.
21 Si veda F. Fasoli, F. Durante, S. Mari, C. Zogmaister, C. Volpato, Shades of sexualization: When sexualization becomes sexual objectification, “Sex Roles”, 78, 2018, pp. 338-351.
22 Cfr. capitolo 4.
23 A. Bandura, Moral disengagement in the perpetration of inhumanities, “Personality and Social Psychology Review”, 3, 1999, pp. 193-209.
24 Cfr. capitolo 4.
25 R. B. Cialdini, S. L. Brown, B. P. Lewis, C. Luce, S. L. Neuberg, Reinterpreting the empathy-altruism relationship: When one into one equals oneness, “Journal of Personality and Social Psychology”, 73, 1997, pp. 481-494.
26 M. R. Cunningham, D. R. Shaffer, A. P. Barbee, P. L. Wolff, D. J. Kelley, Separate processes in the relation of elation and depression to helping: Social versus personal concerns, “Journal of Experimental Social Psychology”, 26, 1990, pp. 13-33. Si veda anche M. R. Cunningham, J. Steinber, R. Grey, Wanting to and having to help: Separate motivations for positive mood and guilt-induced helping, “Journal of Personality and Social Psychology”, 38, 1980, pp. 181-192.
27 A. G. Harvey, E. Watkins, W. Mansell, Cognitive behavioural processes across psychological disorders: A transdiagnostic approach to research and treatment. Oxford, Oxford University Press, 2004.
28 V. L. Banyard, Who will help prevent sexual violence: Creating an ecological model of bystander intervention, “Psychology of Violence”, 1, 2011, pp. 216-229.
Auteur
È assegnista di ricerca in Psicologia sociale presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. I suoi interessi di ricerca riguardano i processi di deumanizzazione, gli stereotipi di genere e gli effetti della disuguaglianza economica.
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