Fortuna scoliastica di una citazione : Aen. VII 769
p. 309-315
Texte intégral
1I versi 61-64 del Carme Secolare cantano la serie canonica delle artes attribuite ad Apollo mediante gli epiteti con cui il dio è celebrato : la divinazione (augur), l’uso delle frecce (fulgente decorus arcu), la musica / poesia (acceptusque nouem Camenis), la medicina (qui salutari leuat arte fessos corporis artus). Gli scolî pseudacroniani a tali versi rimandano ad un luogo del XII libro dell’Eneide 1 : Ipse suas artes, sua munera, laetus Apollo / augurium citharamque dedit celerisque sagittas (Aen. XII 393-394). Nel racconto virgiliano Iapige viene disegnato mentre prova ad estrarre la punta della freccia rimasta infissa nella gamba di Enea ; di lui si era un tempo innamorato Apollo che gli aveva offerto in dono tutte le sue arti2. Per salvare il padre morente, pero, Iapige scelse di usufruire solo dell’arte della medicina : Virgilio continua infatti dicendo ille, ut depositi proferret fata parentis, / scire potestates herbarum usumque medendi / maluit et mutas agitare inglorius artes (vv. 395-397).
2L’espressione mutas artes di Aen. XII 397 non è stata univocamente valutata dagli esegeti antichi3. Nello stesso corpus serviano è proposta ben più di un’interpretazione dell’ambiguo mutus 4 ; tra le varie, il Servio Danielino sembra scegliere quella che riconduce ad un’età eroica la medicina limitata alla pratica della chirurgia : quando erano utilizzate le mani, veniva meno il discorso. Tale interpretazione non risulta chiara, ma parrebbe indicare l’estraneità dell’eloquenza rispetto alla medicina (e in tal senso mutus avrebbe il valore di « senza emissione di voce »), rimandando alla polemica degli empirici, secondo i quali i morbi si curano non eloquentia sed remediis, contro i dogmatici5 : Alii mutas, quia apud ueteres manibus magis medicina tractata est : unde et chirurgia dicta ; nam ipse ait <402> « multa manu medica Phœbique potentibus herbis ». Ergo mutas, quia, ubi manu res agebatur, cessabat oratio. Secondo tale spiegazione, le arti mediche sono mute poiché prevedono – o meglio, prevedevano apud ueteres – l’uso delle mani. Il commentatore rimanda, poi, ad un verso virgiliano di poco successivo a quello preso in esame : Iapige « con mano molto esperta e con le potenti erbe di Febo » (v. 402) si affanna, inutilmente, a guarire Enea. La pratica chirurgica che Apollo ha insegnato a Iapige, dunque, si realizza mediante l’uso di erbe medicinali.
3Nel glossare il v. 63 del Carme Secolare (qui salutari leuat arte fessos), lo pseudo-Acrone riporta un verso del VII libro dell’Eneide : Paeoniis reuocatum herbis et amore Dianae 6. La citazione sembra apparentemente inappropriata : se il commentatore ha definito Apollo inventore della medicina mal si comprende per quale motivo si riferisca poi all’episodio di Asclepio che riporto in vita Ippolito grazie alla richiesta di Diana. In realtà « peonio » ha il valore di « medicinale », e a spiegarlo è proprio Servio nel commentare il v. 401 dello stesso libro XII : Paeonium in morem medicinalem, a Paeone : nam Doricae linguae est « Paean », naturale enim est « Paeon »7 L’arte salvifica attribuita ad Apollo di cui parla Orazio, nella linea interpretativa serviana, si configurerebbe pertanto come pratica chirurgica che in epoca mitica prevedeva l’uso di erbe « peonie », vale a dire medicinali.
4Si noti l’affinità del luogo serviano esaminato con il commento ad Aen. VII 769 :
paeoniis revocatvm herbis aut medicinalibus, a Paeone medico deorum, qui Paean secundum Doricos dicitur, secundum rationem Paeon : aut re uera herbam Paeoniam dicit, cuius Creta ferax est 8.
5Si viene a creare un gioco di rimandi tra le note ad Aen. VII 769 ss. e ad Aen. XII 396 ss., secondo una pratica abbastanza diffusa nel testo di Servio. E nel commento al Carme Secolare, sempre a proposito dell’ars salutaris attribuita ad Apollo, lo pseudo-Acrone prima cita il luogo del XII libro dell’Eneide, poi propone il suddetto verso del VII libro, quindi una citazione ovidiana che compare – a mio parere non casualmente – nel commento di Servio ad Aen. XII 405 :
Schol. Hor. Carm. saec. 63 :‘Salutari arte’idest medicina, cuius Apollo inuentor est. Inducitur enim apud Ouidium (Met. I 521) loquens : Inuentum medicina meum est 9.
Serv. ad Aen. XII 405 : nihil avctor apollo medicinae inuentor : nam Aesculapius praeest medicinae, quam Apollo inuenit, qui in Ouidio de se ait inuentum medicina meum est 10.
6Le citazioni ovidiane presenti nel corpus pseudacroniano sono solamente sei11 (ancor meno in Porfirione, che riporta versi di Ovidio solamente in due casi12) : è verosimile che Ovidio non fosse letto direttamente ma che si tratti piuttosto di citazioni di seconda mano. Prima del IX secolo d’altronde non abbiamo tracce di codici che riportino le Metamorfosi né tantomeno subscriptiones o frammenti, a testimonianza di un ingresso tardo dell’opera in ambito scolastico13.
7Il v. 769 del VII libro dell’Eneide è riportato anche in Porfirione, che lo propone a proposito di Carm. IV 7, 25-26 (infernis neque enim tenebris Dianapudicum / liberat Hippolytum, anche qui in riferimento all’episodio di Ippolito resuscitato da Asclepio grazie all’intervento di Diana). E presente inoltre negli scolî alla Tebaide di Stazio :
Schol. Stat. Theb. V 434-435 : (hic phœbo) non indignante priorem / (admetvm) bene non indignante, quia Admeti pecus pauerat et obsequiis eius emeritus ei tamen fauebat, apud quem passus uidebatur iniuriam. Qui[a] iuxta Amphrysum fluuium pecus pauit – unde Vergilius <Georg. III 1-2> : et te memorande canemus / pastor ab Amphryso – quod fabricatores fulminis sagittas percusserat quia Asclepius, Apollinis filius, fuerat fulminatus. Rogatu enim Dianae Hippolytum ad auras superas reuocarat. Vt Vergilius <Aen. VII 769> : Paeoniis reuocatum herbis et amore Dianae 14 .
8Stazio ha menzionato Admeto (hic Phœbo non indignante priorem / Admetum), mitico re tessalo presso il quale si era presentato in veste di bovaro Apollo, condannato da Zeus ad essere schiavo di un mortale a causa dell’uccisione dei Ciclopi. Apollo aveva ucciso i Ciclopi per vendicarsi del figlio Asclepio, il quale aveva resuscitato tanti morti, tra cui Ippolito, da generare le preoccupazioni di Zeus che lo fulmino. Sembrano evidenti le affinità tra le glosse alla Tebaide e il commento serviano al VII libro dell’Eneide :
in Verg. Aen. VII 761 : ibat et hippolyti proles pvlcherrima bello virbivs Theseus mortua Hippolyte Phaedram, Minois et Pasiphaae filiam, superduxit Hippolyto. Qui cum illam de stupro interpellantem contempsisset, falso delatus ad patrem est, quod ei uim uoluisset inferre. Ille Aegeum patrem rogauit ut se ulcisceretur. Qui agitanti currus Hippolyto inmisit focam, qua equi territi eum traxerunt. Tunc Diana eius castitate commota reuocauit eum in uitam per Aesculapium, filium Apollinis et Coronidis, qui natus erat exsecto matris uentre, ideo quod, cum Apollo audisset a coruo, eius custode, eam adulterium committere, iratus Coronidem maturo iam partu confixit sagittis – coruum uero nigrum fecit ex albo – et exsecto uentre Coronidis produxit ita Aesculapium, qui factus est medicinae peritus. Hunc postea Iuppiter propter reuocatum Hippolytum interemit : unde Apollo iratus Cyclopas fabricatores fulminum confixit sagittis : ob quam rem a Ioue iussus est Admeti regis nouem annis apud Amphrysum armenta pascere diuinitate deposita. Sed Diana Hippolytum, reuocatum ab inferis, in Aricia nymphae commendauit Egeriae et eum Virbium, quasi bis uirum, iussit uocari. Cuius nunc filium cognominem dicit in bellum uenire : adeo omnia ista fabulosa sunt. Nam cum castus ubique inductus sit et qui semper solus habitauerit, habuisse tamen fingitur filium. Re uera autem, ut et supra <84> diximus, Virbius est numen coniunctum Dianae, ut matri deum Attis, Mineruae Erichthonius, Veneri Adonis 15.
9Lattanzio Placido parla analogamente del fiume Anfriso (iuxta Amphrysum flumen), dell’allevamento del bestiame (pecus pauerat / pecus pauit), di Diana che riportè alla vita Ippolito (rogatu enim Dianae Hippolytum ad auras superas reuocarat), dei fabricatores fulminis 16, vale a dire dei Ciclopi, colpiti dalle sagittae. Conclude citando appunto il verso virgiliano, Aen. VII 7617.
10Accettando la posteriorità degli scolî alla Tebaide rispetto a Servio18, è possibile pensare che alla base di Lattanzio Placido, come alla base dello pseudo-Acrone, vi sia lo stesso testo serviano, fonte di notizie e di luoghi poetici, virgiliani e non. Si puo analogamente pensare ad una fonte comune andata perduta ; è, pero, suggestivo ipotizzare l’esistenza di un repertorio di citazioni, o di una sorta di compendio a carattere mitologico, corredato di citazioni, di cui farebbe parte il verso 769 del VII libro dell’Eneide, sotto la voce medicina in questo caso, oppure sotto la voce Phoebus.
Notes de bas de page
1 Schol. Hor. 1967, vol. I, p. 478 (Carm. saec. 61) : Avgvr et fvlgente decorvs a.p.] Ad laudes Apollinis redit, cui datur augurium, sagittarum usus et musica, unde inter nouem Musas cum cithara ponitur canere, ut Vergilius (Aen. XII 393-394) : Ipse suas artes, sua munera, l<a>etus Apollo / augurium citharamque dedit celerisque sagittas.
2 Cfr. F. Stok 1985 : l’episodio potrebbe alludere alla guarigione di Augusto operata da Antonio Musa, come raccontato in Suet. Aug. 81. Rimanda esplicitamente, comunque, all’atmosfera culturale augustea la presenza di Apollo, che sarebbe attestata anche dall’espressione Paeonius mos del v. 401.
3 Per una puntuale messa a punto della questione si veda F. Stok 1988 : partendo dall’analisi delle spiegazioni fornite da Servio e Servio Danielino e arrivando fino all’esegesi umanistica, Stok ritiene che mutus abbia nel luogo virgiliano il valore di uano. L’intervento di Iapige risulta, infatti, insufficiente e necessita dell’apporto della divinità, Venere. Ad un livello umano dell’operatività della medicina fa da contraltare un livello divino, espressione di quell’ineluttabilità del Fato sottesa a tutta l’epica virgiliana.
4 Servius 1961a, vol. II, p. 611 (ad. Aen. XII 396) : Potestates herbarvm uim, possibilitatem, *quae δύναμις dicitur*. Nam in herbarum cura nulla ratio est : unde etiam ait ‘mutas artes’ : licet alii mutam artem tactum uenae uelint, alii ‘mutas artes’ musicae comparatione. Alii ‘mutas’, quia apud ueteres manibus magis medicina tractata est : unde et chirurgia dicta ; nam ipse ait <402> multa manu medica Phoebique potentibus herbis. Ergo ‘mutas’ quia, ubi manu res agebatur, cessabat oratio. Vsvmque medendi ἐμπειρικήν scientiam, hoc est medicinam, in usu, non in ratione constantem : nam quaedam artes usu discuntur, sicut ipsa maxima parte medicina, quae ante Hippocratem fuit (conservo l’impostazione grafica dell’edizione Thilo-Hagen).
5 È questa l’interpretazione di F. Stok 1988, p. 75 ss. Lo studioso rimanda a Cic., De or. 3, 26 : Atque hoc idem, quod est in naturis rerum, transferri potest etiam ad artis ; una fingendi est ars, in qua praestantes fuerunt Myro, Polyclitus, Lysippus, qui omnes inter se dissimiles fuerunt, sed ita tamen, ut neminem sui uelis esse dissimilem ; una est ars ratioque picturae, dissimillimique tamen inter se Zeuxis, Aglaophon, Apelles, neque eorum quisquam est, cui quicquam in arte sua deesse uideatur. Et si hoc in his quasi mutis artibus est mirandum et tamen uerum, quanto admirabilius in oratione atque in lingua ? Quae cum in eisdem sententiis uerbisque uersetur, summas habet dissimilitudines ; non sic, ut alii uituperandi sint, sed ut ei, quos constet esse laudandos, in dispari tamen genere laudentur. Cicerone parla di quasi mutae artes a proposito della scultura e della pittura : esse, a differenza dell’oratoria, non implicano l’uso della parola.
6 Schol. Hor. 1967, vol. I, p. 478 (Carm. saec. 63) : Qvi salvtari levat arte fessos Idem enim et medicinae putatur inuentor, ut (Virgile Aen. VII 769) : Paeoniis reuocatum herbis et amore Dianae.
7 È mediante le erbe peonie che Ippolito viene resuscitato anche secondo Ovidio (Met. 15, 531-535 : uidi quoque luce carentia regna / et lacerum foui Phlegethontide corpus in unda, / nec nisi Apollineae ualido medicamine prolis / reddita uita foret ; quam postquam fortibus herbis / atque ope Paeonia Dite indignante recepi […] ) e Podalirio cura Menelao, come riportato nell’Ilias Latina (Homer. 351 : Paeoniis curat iuuenis Podalirius herbis). Tali erbe diventano simbolo di religiosità pagana : la rosa di Dio, dice ad esempio Girolamo, sconfigge tutte le erbe peonie (Hier. in Isid. 26, 19 1.24 : Ros Domini uincens omnes herbas paeonias).
8 Servius 1961a, vol. II, p. 193.
9 Schol. Hor. 1967, vol. I, p. 478.
10 Servius 1961a, vol. II, p. 612.
11 Schol. Hor. Carm. I 33, 10 = Met. I 366 ; Schol. Hor. Carm. III 10, 14 = Ars I 729 ; Schol. Hor. Carm. saec. 63 = Met. I 521 ; Schol. Hor. Epod. 13, 16 = Epist. 9, 14 ; Schol. Hor. Epod. 16, 32 = Met. II 716 ; Schol. Hor. Sat. I 1, 110 = Ars I 349-350. Nell’indice dell’edizione di Keller 1967 (ristampa anastatica dell’edizione del 1902 degli scolî alle Odi e agli Epodi e di quella del 1904 degli scolî alle Satire e alle Epistole) non sono riportati né Ars I 729 né Met. II 716 ed è segnalato un luogo da attribuire ad un VI libro dei Tristia a proposito di Schol. Hor. Carm. III 4, 59 : Hinc matrona Ivno Ouidius (Trist. VI33) : Summi matrona Tonantis. Si tratta in realtà di Silio Italico, Pun. 8, 219.
12 Porph. Hor. Carm. III 4, 29 = Met. I 15 ; Porph. Hor. Carm. I 1, 110 = Ars I 350. Il terzo luogo riportato nell’indice dell’edizione di Holder 1967 non contiene una citazione testuale. Porph. Hor. Carm. II 5, 20 : cnidivsve gvges qvem si pvellarvm De huius pueri pulchritudine etiam Ouidius locutus est.
13 Cfr. G. Cavallo 1997. Le prime sequenze testuali delle Metamorfosi in età medievale compaiono in miscellanee scolastiche ; si tratta in particolare del celebre ms. Bernensis 363, contenente testi di poesia – non solo Ovidio, di cui sono riportati versi dai primi tre libri delle Metamorfosi, ma anche Orazio – e testi a carattere retorico : il commento di Servio a Virgilio, il De dialectica e De rhetorica di Agostino, l’Historia ecclesiastica di Beda, l’Ars rhetorica di Fortunaziano, a testimonianza di un utilizzo didattico dei testi dei poeti. Sul manoscritto citato si veda S. Gavinelli 1983.
Si consideri inoltre che le Narrationes Fabularum Ouidianarum attribuite a Lattanzio Placido contengono un’unica citazione testuale di Ovidio e che dovevano pertanto costituire un modesto « strumento di rapida informazione » (M. De Nonno 1993, p. 614) a carattere mitografico. Per la problematica attribuzione dell’opera cfr. H. Magnus 1914.
14 Schol. Stat. 1997, p. 368.
15 Servius 1961a, vol. II, p. 192-193.
16 La lezione fulminis, riportata in apparato nell’edizione Thilo-Hagen da cui cito, è presente in F (Parisinus Lat. 7929) che, insieme al Bernensis 172, restituisce il cod. Floriacensis di Pierre Daniel. G. Ramires (Servius 2003, p. 112) la ritiene variante adiafora di fulminum e la riporta in posizione interlineare e in corpo più piccolo, secondo il criterio grafico adottato nella sua edizione.
17 Non sembrano esservi le medesime affinità linguistiche nel testo di Igino a proposito di Esculapio : Aescvlapivs Apollinis filius Glauco Minois filio uitam reddidisse, siue Hippolyto, dicitur, quem lupiter ob id fulmine percussit. Apollo, quod Ioui nocere non potuit, eos, qui fulmina fecerunt, id est, Cyclopes, interfecit. Quod ob factum Apollo datus est in seruitutem Admeto regi Thessaliae (Hyg. Fab. 49 in Mythographi Latini 1681, p. 97).
18 G. Brugnoli 1988b, p. 21, ritiene « La Vulgata staziana […] assegnata, nel nucleo più basso della sua stratificazione, alla fine del V secolo o al principio del VI, ma comunque posteriore al commento virgiliano di Servio ». Non tutti gli studiosi concordano perè sull’anteriorità di Servio : si veda per tutti P. Van de Woestijne 1950. Sempre fondamentale, soprattutto nell’ottica del rapporto Lattanzio-Servio e di una dipendenza di entrambi da una fonte comune (Servius auctus ?), è G. Funaioli 1930.
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