L’animale in catalogo: l’evidenza dei mosaici inscritti nell’Africa romana
p. 371-379
Résumés
Les catalogues d’animaux sont une classe de mosaïques africaines qui relève de la sphère de l’amphithéâtre : le but de la célébration d’événements spécifiques est poursuivi à travers la représentation des différentes espèces d’animaux qui ont pris part au spectacle. Le thème de l’amphithéâtre est examiné ici principalement par les inscriptions qui évoquent les jeux et mentionnent l’onomastique des protagonistes. Des quatre mosaïques considérées émergent de nouveaux éléments soit dans les structures décoratives, soit dans les inscriptions qui les accompagnent. Ces dernières soulignent le lien profond entre ces œuvres et la société africaine qui a vu éclore leur création entre le milieu du iiie et le début du ive siècle apr. J.-C.
The catalogues of animals are a class of African mosaics that falls within the subjects of the amphitheater sphere: the purpose of the celebration of specific events is pursued through the representation of the different species of animals which took part in them, where the amphitheater theme is evoked mainly through the inscriptions with games topics and the onomastic references of the protagonists. Thanks to the four mosaics which are considered here, new elements will emerge in terms not only of the decorative structures, but also of the inscriptions accompanying them; the latters emphasize the deep bond between these works and the African society which has seen their creation from the middle of the 3rd till the beginning of the 4th century AD.
Note de l’auteur
Pur concepiti unitariamente, i § 1-3 sono di A. Teatini, il § 4 è di A. Ibba. Questo testo è stato consegnato nel Febbraio 2015.
Texte intégral
1§ 1. I riferimenti alle uenationes nel patrimonio musivo dell’Africa romana vanno dalle esplicite scene che vedono contrapposti uenatores e bestie alle allusioni insite invece in altre classi di mosaici, quali i combattimenti e i cataloghi di animali. Proprio quest’ultimo soggetto ci sembra particolarmente indicativo della ricchezza delle manifestazioni ludiche offerte dagli editores e della volontà di celebrarle esibendo le diverse specie di animali che ne hanno preso parte. I cataloghi di animali sono un genere musivo creato dalla scuola bizacena nella seconda metà del ii secolo (Novello 2007, 93-94), quando le composizioni, divise in spazi ridotti, rivelano finalità semplicemente decorative, senza riferimenti a precisi eventi ludici; nel corso della prima metà del secolo successivo la Zeugitana accolse il nuovo genere decorativo in due realizzazioni di Thuburbo Maius (CMT, II 4, 1994, 90-94, 96-99 n. 413, 415; Kondoleon 1999, 330-331), nelle quali si mantiene la scansione del pavimento in superfici minori delimitate da corone di alloro, pur traendo ispirazione, per la prima volta, da spettacoli che realmente hanno avuto luogo.
Proprio in Zeugitana la classe dei mosaici con cataloghi di animali si sviluppò subito dopo la metà del iii secolo con le realizzazioni di livello più elevato, documentate in ricche domus a Cartagine e a Maxula e in un pavimento decontestualizzato a Curubis: nelle grandi composizioni figurate, a soggetto unitario e privo di trame geometriche divisorie, i riferimenti a precisi eventi ludici appaiono ineludibili di fronte ai continui riscontri di carattere tanto iconografico quanto epigrafico. L’opera principe di questo lotto è il notissimo mosaico proveniente dalla Casa degli Animali dell’Anfiteatro a Cartagine1 (fig. 1). Il grande pavimento policromo è interamente occupato da numerosi animali selvaggi che si stagliano sul fondo bianco, tra i quali risaltano sei leopardi, fulcro della composizione: si tratta di un vero e proprio catalogo di animali protagonisti di una venatio ben precisa, la cui magnificenza fu commemorata con questo pavimento nella ricca domus dell’editor. Il lavoro è forse attribuibile proprio al magister Philetus ricordato dall’iscrizione nell’angolo superiore sinistro, attivo a Cartagine negli anni subito dopo la metà del iii secolo; invece il secondo titulus, collocato in alto tra due leopardi e paleograficamente assimilabile alle iscrizioni di Cartagine posteriori alla metà del iv secolo, è stato con grande verosimiglianza inserito nel mosaico in un secondo tempo, in seguito a un restauro antico. L’espressione Mel(ius) quaestura alludeva quindi alla meraviglia degli spettatori nell’anfiteatro di fronte a un munus che poteva reggere il confronto con quelli organizzati a Roma ogni anno dai quaestores candidati in virtù di una disposizione di Costantino. In questo mutato quadro storico-istituzionale il nuovo proprietario della domus si sarebbe così attribuito la raffigurazione musiva di una uenatio offerta circa un secolo prima da un altro evergete, facendo inserire nel tappeto, in posizione privilegiata, un’acclamazione utile per ravvivare il discorso semantico dell’intero complesso figurato e che ben potevano comprendere i suoi ospiti.
2§ 2. Di dimensioni più ridotte è il secondo mosaico (fig. 2), ritrovato a Maxula2: si tratta del pavimento del triclinio di una domus3. La superficie decorata, dallo sfondo uniforme di colore bianco, raffigura in file sovrapposte gli animali selvaggi destinati ad una uenatio, tra i quali spicca la ricorrente presenza degli orsi, ma sono raffigurati anche vari cinghiali, mentre altre specie sono individuate da un solo esemplare, come nel caso del toro (con il numerale XVI in tessere bianche e il marchio AR in tessere nere impressi su un fianco).
Tutti gli orsi superstiti, evidentemente il pezzo forte di uno spettacolo svoltosi realmente forse nell’anfiteatro della vicina Cartagine4, sono caratterizzati dal nome, reso con lettere molto eleganti tipiche del iii secolo, mentre gli altri animali sono anonimi; si deve sottolineare la frequenza di nomi solitamente già noti in Africa, con una certa predilezione per quelli esotici (Alecsandria, Fedra, Nilus) o talora assegnati anche ai cavalli da corsa (Gloriosus, Nilus)5. L’uso di attribuire a un animale o a un venator un nome, che poteva descriverne le qualità o l’origine, è espediente ben documentato fra gli artigiani africani per individuare uno spettacolo il cui ricordo era ancora vivo nell’immaginario del committente e del pubblico a cui questa rappresentazione era stata offerta (Di Vita-Évrard 2012, 73-75).
La sintassi compositiva di questo pavimento è ordinata, sembra, in base al principio dell’alternanza tra un orso e un cinghiale in ciascuna fila verticale, elemento che consente di ricostruire le parti mancanti della decorazione6: l’ultima figura in alto nella fila centrale, a sinistra dell’orso [---]+itus, era dunque un cinghiale e sovrastava l’orso di cui restano solo le zampe posteriori, mentre più in basso, a sinistra dell’orso Nilus, la figura priva di protome è certamente un cinghiale7. La fila verticale a sinistra, assai più lacunosa, inizia invece in basso con un toro, unica deroga a questo schema in quanto immagine rappresentativa di un gruppo di 16 esemplari analoghi intervenuti nello spettacolo. Al di sopra si sviluppava invece, con grande verosimiglianza, la consueta alternanza tra orsi e cinghiali: a sinistra dell’orsa Fedra c’era dunque un cinghiale, del quale rimane solo una zampa anteriore, mentre un altro orso più in alto porterebbe fino al cinghiale che si intravede nei due lacerti subito sopra all’iscrizione di Lusius Morinus8; infine l’ultimo spazio in alto nella parte sinistra della lacuna sarebbe stato occupato da un orso. Le figure sull’asse centrale costituiscono così il fulcro di uno schema simmetrico, enfatizzato dalla posizione eretta degli orsi Simplicius e Fedra (quest’ultima è al centro di tutta la composizione, che dunque non doveva dilatarsi ulteriormente sopra l’orso [---]+itus), ma sicuramente anche quello posizionato più in alto, conservato solo nelle zampe posteriori, ripeteva grosso modo la posa di Simplicius; verso questo asse centrale convergono specularmente coppie di animali uguali in ciascuna fila orizzontale, alternativamente orsi e cinghiali.
L’iscrizione nel quinto registro, integrabile grazie alle notizie riportate da R. Cagnat, per la sua posizione in evidenza nel mosaico indicava probabilmente il nome dell’editor dello spettacolo e padrone dell’abitazione, Lusius Morinus9: gentilizio poco diffuso in Africa, per lui potremmo ipotizzare un legame con i Lusii Laberii clarissimi, patroni di Abbir Maius alla fine del ii secolo, forse parenti dei Laberii di Uthina (Cagnat 1912, CXCV nota 4)10; il suo cognome è rarissimo, forse collegabile al libico Morinis attestato nella vicina Thuburbo Maius11. Si è anche supposto che il nostro personaggio fosse un venator o il musivario: pare tuttavia poco credibile che un solo venator abbia combattuto con un numero tanto elevato di animali o che il nome di un musivario potesse occupare una posizione così centrale nel mosaico (Poinssot e Quoniam 1951-1952, 129 nota 2)12. È d’altronde evidente che il testo non si legava ad una figura umana, della quale nulla è stato ritrovato e che spezzerebbe lo schema regolare della composizione. Invece nella prima fila orizzontale in basso, ove divergono i due orsi Braciatus e Gloriosus, il settore mancante a destra nel braccio orizzontale del triclinio deve forse essere integrato con animali uguali a quelli a sinistra, uno struzzo e un cervo, oppure con gli esemplari di altre specie non pericolose esibite nell’anfiteatro.
La tettonica decorativa è strettamente correlata alla scansione pavimentale: i commensali, posti negli spazi ai lati della barra verticale del triclinio, si trovavano immersi in questo branco di animali selvaggi, protagonisti di una grandiosa venatio esibiti agli occhi degli ospiti che facilmente potevano identificarli, in quanto ben noti a coloro i quali frequentavano l’anfiteatro. L’impianto stilistico è analogo al più vasto mosaico da Cartagine: le cifre formali sono quelle di una bottega dalle consolidate capacità esecutive, forse la stessa che produsse il pavimento con Mel(ius) quaestura.
3§ 3. Due ampi frammenti di un altro mosaico con lo stesso soggetto provengono dall’antica Curubis13. Quello meglio conservato (fig. 3) è diviso in due registri14, mentre un lacerto assai lacunoso (fig. 4) corrisponde ad un lungo segmento di un unico registro15, la cui altezza è analoga a quella del registro superiore del frammento precedente, del quale costituisce forse la continuazione, pur non essendo ad esso contiguo: per questo motivo è assai probabile che la superficie mosaicata avesse una notevole estensione in larghezza ma si limitasse a due registri16. Il soggetto della decorazione si incentra in entrambi i casi sulla raffigurazione di orsi impostati su una larga fascia di terreno; tutti gli animali, tranne in un caso (forse solo per la frammentarietà del pavimento), sono individuati come a Maxula dai rispettivi nomi, la cui restituizione è purtroppo spesso incerta: [---]otina, [-c. 3-]+a, Sụ[---], e Leander, N+[-c 3-]+, Inuictus17. Anche in questo caso è possibile notare la presenza di nomi di origine grecanica (Leander), accanto ad altri più comuni (Inuictus) che forse si riferivano alle caratteristiche della fiera18.
La paleografia dei testi, abbastanza elegante, sembrerebbe compatibile con quella proposta per il pavimento precedente. È verosimile che pure in questo caso si commemorasse una venatio svoltasi realmente, forse nella stessa colonia di Curubis, dove tuttavia al momento è noto solo un teatro19, oppure in un’altra città della Zeugitana settentrionale, come Pupput o Carpis, senza dover arrivare fino alla distante Cartagine20. Da un punto di vista della struttura decorativa il mosaico ora in esame si contraddistingue per la sua scansione in registri, per le caratteristiche degli orsi e per le pose aggressive che li rapportano sempre tra loro: ci sembra che quest’ultima realizzazione vada imputata a maestranze diverse da quelle legate alle opere già esaminate, ma attive nello stesso orizzonte cronologico21.
4§ 4. Del tutto particolare fra i cataloghi di animali appare infine l’attestazione del mosaico “dei giochi” o “di Marcellus” dalle “grandi terme” di Theueste22 (fig. 5). Le circostanze del ritrovamento sono state oggetto di un recente saggio di M. Dondin-Payre, che ha ricostruito insieme alle dinamiche della scoperta anche importanti porzioni del pavimento, utili ad un suo più efficace inquadramento (Dondin-Payre 2010, 709-738). Il mosaico proviene dalla zona dei bagni freddi dell’impianto termale23. A nord, sulla superficie più ampia, si distende una scacchiera con i riquadri disegnati da una ghirlanda d’alloro24: ne restano attualmente solo cinque25, all’interno di ciascuno dei quali è raffigurato una fera sormontata da una cifra che pemetteva di dedurre per sineddoche il gran numero di bestie che parteciparono ad una venatio. A sinistra dello struzzo si legge curis / XI, con la S (ormai solo parzialmente visibile) posta come apice sopra la I per ragioni di spazio. A sinistra della casella con un cinghiale, al di là delle cornici che isolano il pavimento, sappiamo che si trovava l’emblema dei Telegenii, caratterizzato da un crescente lunare su un’asta e affiancato da due aste verticali più piccole (fig. 6)26.
Il settore meridionale raffigura una grande composizione indivisa (fig. 7), nella quale è tuttavia possibile distinguere tre registri: quello inferiore riproduce una scena di gymnasia, probabilmente una corsa a ostacoli, nella quale riconosciamo un personaggio stante vestito in dalmatica, forse un giudice, prossimo ad una lacuna oltre la quale appare la figura di un atleta evidentemente assai celebre, connotato da una palma della vittoria, da un’iscrizione con il suo nome (Marce[ll]us) e dalla borsa con il premio di 12500 denarii, corrispondente al valore assunto fra il 301 e il 330 d.C. (forse nel solo periodo 301-318) dal follis denariorum, un elemento dunque prezioso per inquadrare cronologicamente il primo impianto del pavimento27. A sinistra dell’atleta vincitore, infine, resta una piccola porzione di un altro crescente lunare impostato su un’asta e accompagnato dal numerale III; all’estremità opposta del pannello sappiamo si trovava verosimilmente una spiga di miglio (fig. 5), ancora visibile al momento della scoperta del mosaico, interpretata da M. Dondin-Payre come l’emblema della sodalitas dei Leontii (Dondin-Payre 2010, 721)28: non avendo tuttavia traccia del numerale IIII che dovrebbe accompagnare il miglio, potrebbe essere più semplicemente un simbolo apotropaico o una connotazione dell’ambiente anfiteatrale o la porzione di una fascia che incorniciava questo settore del tappeto musivo.
Il registro mediano è occupato da una breve teoria di tre animali, ormai in gran parte scomparsi: da destra un toro e un mulo incedono verso sinistra, entrambi sormontati ancora dall’iscrizione curis XI: fronteggia il mulo un cavallo con le redini29. Nel registro superiore si intravede all’estremità sinistra un altro personaggio in dalmatica, alla cui destra si sviluppa una scena di ambientazione marina, dominata da una nave da trasporto carica di anfore, tra le cui sartie si inserisce l’iscrizione Fortuna Redux (fig. 8). Dal profilo delle anfore sembra di poter individuare la tipologia “Africana III”, corrispondente alla “Keay 25”, utilizzata per il trasporto soprattutto del vino africano fra il iv e la prima metà del v secolo (da ultimo, Bonifay 2007, 20). Questo dato non contrasta con le informazioni più precise desunte dal follis denariorum30 e in generale dall’analisi compositiva – stilistica – iconografica del nostro mosaico (Dunbabin 1978, 272) e di quello “delle Nereidi”, che pavimentava il grande vano immediatamente adiacente (nella resa dei volti, palesemente di età costantiniana) (Dondin-Payre 2010, 717-718)31, infine con la cronologia della decorazione architettonica del complesso termale, in particolare per i capitelli corinzi a foglie lisce di produzione locale (iii-iv secolo) e per i capitelli corinzi ad acanto spinoso di età tetrarchica e primo-costantiniana ma in uso per tutto il iv secolo (Dondin-Payre 2010, 713-715)32.
Premessa necessaria a una corretta interpretazione di questo mosaico è osservare che lo stesso, ancor più di quello di Cartagine, è stato sottoposto in antico ad almeno tre diversi interventi di ripristino33. Il settore meridionale risulta infatti come un vero e proprio patchwork, determinato dal restauro di ampie porzioni: segnatamente tutta la scena di ambientazione marina comprensiva della nave è l’esito di un rifacimento integrale, privo di qualsiasi collegamento con la scena sottostante e con un’evidente cerniera lungo la quale furono saldate le due superfici (fig. 7). Successivamente fu ricostruita la parte superiore della nave e fu contestualmente inserita l’iscrizione Fortuna redux. In un momento ancora più tardo la scena marina fu rozzamente tagliata e ricostruita con il grossolano inserimento della grande figura in dalmatica a sinistra della nave34, del cavallo nel registro sottostante e con il ripristino della F di Fortuna (fig. 8). È difficile spiegare le ragioni di tutti questi rifacimenti, talora forse dipendenti dalla necessità di ripristinare zone ove il pavimento si era rovinato, ma talaltra legati, a nostro giudizio, alla precisa volontà di integrare il tessuto musivo con nuovi motivi o iscrizioni, quali la nave oneraria e il titulus Fortuna redux35.
Tenendo conto dell’insieme di questi elementi e di una narrazione per immagini scientemente mutata nel tempo, possiamo supporre che la sala ospitasse le riunioni dei Telegenii (Baratte 1973, 77-79; più in generale Thébert 1991, 203-204), ai quali si deve probabilmente la realizzazione del mosaico, e che in questo spazio essi vollero celebrare la sfarzosa edizione di alcuni spettacoli da loro offerti ai Thevestini: se la variegata venatio si tenne nell’anfiteatro della colonia, i ricchi gymnasia potrebbero esser stati ospitati in un altro spazio pubblico come le stesse terme36. Il follis denariorum offerto a Marcellus permette di stabilire che il mosaico fu realizzato nello steso periodo in cui fu restaurato l’anfiteatro (fine iii - inizio iv secolo): è interessante osservare in questo senso come le lettere delle iscrizioni poste sugli architravi delle sette porte di accesso all’arena (fig. 9) e su alcune lastre del muro del podium siano paleograficamente compatibili con quelle delle dediche curis XI, “per le undici curie”37.
Gli spettacoli furono dunque destinati alle XI circoscrizioni elettorali della colonia di Theueste38: alcune di queste potrebbero forse essere identificate con gli Ambibulianii, i Venerii, gli Honoratianii, i Victorinianii, che materialmente garantirono i restauri di almeno un parte dell’anfiteatro. Se l’ipotesi cogliesse nel giusto, con gli spettacoli la sodalitas potrebbe aver ringraziato le curiae per il restauro di quell’edificio in cui normalmente si esibivano i suoi uenatores39; in ogni caso il mosaico sarebbe una delle poche testimonianze sia della vitalità delle istituzioni municipali in Africa dopo le riforme dioclezianee (Lepelley 1979, 140-142), sia dell’attivismo delle sodalitates, almeno a Theueste, ancora nel primo quarto del iv secolo40.
Nel realizzare il pavimento la confraternita intendeva inoltre esporre un catalogo delle proprie variegate attività che ne palesasse il potere economico41. In secondo piano rispetto ai gymnasia, il mosaico illustra infatti gli interessi maturati dai sodales più facoltosi: l’allevamento del bestiame con il toro, il trasporto delle merci con il mulo bardato (difficilmente identificabile con un onagro)42 e, in un momento posteriore, i nuovi interessi transmediterranei con la scena marina e la nave carica d’anfore, forse in relazione al commercio del vino africano43. Probabilmente il mosaico è la traduzione in immagini del nesso tra uenationes, gymnasia, commerci via terra e via mare, nesso che evidentemente non trovava ancora posto nel mosaico originario. In una fase successiva, forse in occasione di una spedizione commerciale particolarmente fortunata, fu inserita la pomposa acclamazione Fortuna Redux, che doveva celebrare il rientro a casa della nave da carico con tutti i suoi benefici effetti pomposamente equiparabili a quelli ottenuti dagli imperatori dopo le campagne militari: è interessante osservare che le ultime emissione monetali con questa legenda sono dell’anno 316 e che il tema in seguito non fu più ripreso44. Infine, per ragioni ignote, si decise di aggiungere il secondo personaggio in dalmatica, forse un notabile tra i fratres, e il cavallo sottostante, che potrebbe alludere anche a interessi sviluppati nell’allevamento di animali per le corse nei circhi (Beschaouch 2006, 1416-1417)45.
Si chiude dunque con questo articolato esempio la stagione più alta dei cataloghi di animali, nei quali, proprio nello stesso periodo, ricompare l’organizzazione delle superfici basata esclusivamente sulle trame geometriche vegetalizzate, con quella valenza ormai meramente decorativa che avevamo visto negli esempi più antichi. Curiosamente parrebbe essersi chiusa anche la stagione delle sodalitates, per le quali mancano esplicite attestazioni dopo il principato costantiniano: scene cinegetiche e “giochi pericolosi” troveranno ancora spazio nei tappeti musivi dell’Africa sino all’età bizantina, ma con un approccio culturale diverso rispetto alle epoche precedenti46.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Cfr. da ultimo Ibba e Teatini 2015, 1359-1373, con bibliografia precedente. Dimensioni: m. 8,20 × 3,34.
2 È stato messo in luce nel 1911 a Radès, presso Tunisi: per la sintesi di questi scavi, cfr. Cagnat 1912, CXCIII-CXCVI.
3 Cfr., da ultimo, Novello 2007, 93-94, 244. Dimensioni attuali: m. 2,20 × 3,35.
4 Maxula non ha infatti lasciato evidenza di edifici per spettacoli; per l’anfiteatro di Cartagine, cfr. Bomgardner 2000, 128-146. Sul valore economico degli orsi, cfr. Gregori 2011, 30: il loro costo era inferiore solo a quello dei felini, ma di gran lunga superiore a quello di cinghiali, struzzi e cervi, anch’essi rappresentati nel nostro pavimento.
5 Su questi nomi, cfr. Kajanto 1965, 253 (Simplicius), 279 (Gloriosus, cfr. AE 2000, 1612), 319 (Braciatus); Solin 2003, 605 (Fedra), 673-675 (Alecsandria), 700 (Nilus, cfr. AE 1903, 208-209); più difficile la ricostruzione del nome dell’orso in alto a destra, forse [Mel]litus, nome tipicamente africano (Kajanto 1965, 284), piuttosto che [Cri]nitus (Hugoniot 1996, 22 n. 25).
6 I precedenti tentativi di ricostruzione dello schema decorativo si sono invece focalizzati sulla composizione dei gruppi di tre animali disposti nelle file orizzontali, stabilendo un’alternanza che però non corrisponde all’evidenza delle immagini: Merlin e Lantier 1922, 6, n. 350; Dunbabin 1978, 72.
7 Contra si propone un toro in Cagnat 1912, CXCV.
8 Si noti che l’orso posto sotto questa iscrizione poteva essere individuato da un nome collocato anche al di sotto della bestia, come nel caso di Braciatus. È invece assai improbabile che Lusius Morinus sia il nome dell’orso, giacché nessuno degli animali (sia in questo mosaico sia in generale nei pavimenti con scene di venationes) è mai ricordato con una sequenza nomen + cognomen, più adatta invece a una persona, nel nostro caso verosimilmente l’editor e non un umile seppur famoso uenator.
9 Così in Dunbabin 1978, 73 e in Novello 2007, 94.
10 Per i Lusii Laberii, cfr. Corbier 1982, 706.
11 Jongeling 1994, 98; contra Kajanto 1965, 201 (origini celtiche).
12 Per le firme dei musivari e dei proprietari della domus, cfr. Gómez Pallarès 2000, 307-309.
13 Sono stati rinvenuti nel 1935: cfr. AE 1953, 147 e, da ultimo, Hugoniot 1996, 9 n. 1. Le vicinanze sul piano iconografico tra il mosaico di Curubis e gli altri due cataloghi di animali sin qui menzionati sono state già messe in risalto da Novello 2007, 93 nota 27.
14 Dimensioni m. 2,37 × 1,87.
15 Dimensioni m. 4,20 × 1,24.
16 Contra Poinssot e Quoniam 1951-1952, 153-157 optano per la ricostruzione del sistema decorativo in tre registri sovrapposti.
17 Per [---]otina si è pensato al noto Plotina, ma si potrebbero restituire p.e. anche Serotina (Kajanto 1965, 242, 295) o altri nomi quasi esclusivi del mondo africano, come Botina, Cotina, [P]otina. Oltre a Leander non si può escludere Cleander (per entrambi, cfr. Solin 2003, 104-105, 542-543). Invictus non è frequente in Africa: Kajanto 1965, 277.
18 Cfr. Di Vita-Évrard 2012, 73-75.
19 ILPBardo 373 (edificio extructus post 161 d.C.). Pur in assenza di evidenze archeologiche si è pensato anche all’esistenza di un anfiteatro a Curubis, sulla base di ILTun 837, dove si fa riferimento a un munerarius originario della città (cfr. Aounallah 2001, 249, 254). In effetti munus è spesso ultilizzato come sinonimo di “spettacolo di gladiatori” e di conseguenza il munerarius è il “finanziatore di combattimenti gladiatori” (Ville 1981, 77, 127, 175-225, soprattutto p. 180-181, 187): si deve tuttavia osservare che in Africa sovente il termine alludeva a uenationes (p.e. ILAlg I, 3066; ILAlg II, 17; IRT 623 = 786), forse addirittura a “giochi pericolosi” [Aug., c. Academ., I, 1, 2: edentem te munera ursorum, cfr. da ultimo Ibba e Teatini 2015b, 75-98], e che talvolta assumeva il significato giuridicamente ineccepibile di “prestazione obbligatoria, contributo, versamento” (p.e. ILTun 666; ILAfr 516; ILAlg II, 7682; cfr. Jacques e Scheid 1992, 327-329, 440. Si vedano inoltre Hugoniot 1996, 332-338, 345-355, 358-362 che comunque pensa a spettacoli anfiteatrali; Gregori 2011, 165 nota 16). Non si può dunque escludere che l’editio munerum si fosse svolta nel teatro o si riferisse a diversi spettacoli (p.e. gymnasia) o ad altre attività prese in carico dal notabile di Curubis.
20 Per gli anfiteatri di questi centri cfr. Bomgardner 2000, rispettivamente p. 164 185, 128-146.
21 Secondo Poinssot e Quoniam 1951-1952, 156, Dunbabin 1978, 73, 263 e Hugoniot 1996, 9 n. 1 le differenze sarebbero invece determinate dalla recenziorità del mosaico di Curubis, databile all’inizio del iv secolo in base al rapporto con gli orsi del mosaico nella Casa del Pavone a Cartagine: tale rapporto non è ora più sostenibile per via delle nuove indicazioni cronologiche delle quali dispone il complesso abitativo cartaginese (CMT, IV 1, 1999, 140-142 n. 161-162), realizzato verosimilmente nel corso del v secolo e dunque troppo tardi perché a questa datazione possa uniformarsi un catalogo di animali quale il pavimento curubitano.
22 L’edificio è stato parzialmente scavato nel 1886 nel corso di lavori edilizi legati all’allestimento di infrastrutture militari nel quartiere “della Cavalleria” a Tebessa; contemporaneamente altri mosaici vennero in luce, tra i quali il più importante è quello “delle Nereidi”, portato al museo della città insieme al nostro.
23 Solo la larghezza è conservata pressoché per intero: m. 3,60; cfr. l’esauriente resoconto degli scavi: Allotte de La Fuӱe 1886-1887, 199-233.
24 Per il mosaico, cfr. CIL VIII 16667 = ILAlg I, 3097. Si veda anche, da ultimo, Dondin-Payre 2010, 709-738; Hanoune e Dupuis 2012, 125-127.
25 In origine erano forse sedici caselle (cfr. ILAlg I, 3097; Hanoune e Dupuis 2012, 125); si potrebbe d’altronde pensare anche a dodici riquadri organizzati attorno ad un emblema centrale più grande (Dondin-Payre 2010, 719).
26 Dettaglio desunto da una fotografia eseguita all’epoca della scoperta (Dondin-Payre 2010, fig. 13). I Telegenii sono ricordati a Theueste forse anche in ILAlg I, 3015 e sicuramente sul mosaico frammentario proveniente da un edificio non meglio identificato, dove accompagnano le imprese di un venator in una silva (A. Trouillot in Cagnat 1932-1933, 334-336 n. 2; Dondin-Payre 2010, 722 nota 26): il tema rende difficile la pertinenza del frammento al nostro tappeto.
27 Sulla borsa del vincitore era scritto XII[V] o XII[d], cfr. Baratte 1973, 78; Dondin-Payre 2010, 724; Hanoune e Dupuis 2012, 212; sempre a Theveste si fa forse riferimento ad atleti o venatores che lasciano l’arena con un saccum di denarii (ILAlg I 3075-3080, cfr. Beschaouch 1985, 454-458). Sulle oscillazioni del valore del follis, cfr. Handy 1985, 339-341, 450-459; Khanoussi 1988, 559-560. Le fonti tuttavia menzionano anche un follis denariorum di 25000 denarii, ricordato sul mosaico di Capsa (cronologicamente anteriore a quello di Theueste) e adottato per brevi periodi nel 301, nel 318 e dal solo Costantino fra il 320 e il 330, un dato che potrebbe ulteriormente restringere la nostra forchetta cronologica fra il 301 e il 318/320 d.C.
28 Per i Leontii cfr. da ultimo Beschaouch 2006, 1410, 1413. L’interpretazione del vegetale come stelo di miglio è quella comunemente accolta per quanto simile iconografia sia stata anche recentemente attribuita alla canna palustre, senza peraltro inficiare l’interpretazione del mosaico proposta in questa sede.
29 Gsell in ILAlg I, 3097, pensava non a un mulo ma a un cavallo. Forse la didascalia [curis] X[I] si leggeva in origine anche sopra il cavallo, un testo però sparito probabilmente già in antico per fare posto all’anonima figura in dalmatica (cfr. infra).
30 Cfr. supra nota 28.
31 Per l’iconografia, cfr. Bergmann 1977, 194-197, 200. Dunbabin 1978, 156 nota 100, 272, in base allo schema decorativo, datava il mosaico all’inizio del iv secolo.
32 Per i capitelli, cfr. Pensabene 1986, 387-388, 400-403.
33 Parzialmente divergente Dondin-Payre 2010, 724-725.
34 Così già in Allotte de La Fuӱe 1886-1887, 214.
35 Almeno la scena marina con la nave non sembrerebbe di molto posteriore rispetto al resto del mosaico, in base al linguaggio formale; la tipologia delle anfore non fornisce peraltro un supporto cronologico preciso (supra) né è ormai possibile un’analisi del personaggio in dalmatica inserito durante il terzo restauro.
36 Sull’organizzazione di spettacoli anfiteatrali, ginnici, circensi, teatrali da parte delle sodalitates, cfr. Beschaouch 2006, 1414-1417.
37 Sulla cronologia del follis, cfr. supra nota 28; per i restauri dell’anfiteatro di Theueste, cfr. Bomgardner 2000, 181-182; per i testi, cfr. AE 1967, 550 e infra nota 40: sugli architravi erano incise le formule Honoratianii fecerunt (4 volte), Victorinianii fecerunt (2 volte), Venerii fecerunt; sul muro del podium la formula Ambibulianii fecerunt o Venerii fecerunt. Si noterà la similitudine delle lettere C / V / R, più in generale l’accurata ombreggiatura di questa elegante capitale africana.
38 Per questa interpretazione, cfr. da ultimo Hanoune e Dupuis 2012, 126. Sulle curiae da ultimo Dupuis 2011, 449-461.
39 Cfr. supra nota 38. L’ipotesi è di Dondin-Payre 2010, 727 nota 42: i membri delle curiae avevano posti riservati negli anfiteatri di Lambaesis e Uthina (CIL VIII, 3293; AE 2004, 1833); per Hugoniot 1996, 262-263, si trattava invece di famiglie che si erano accollate le spese del restauro: se in effetti Ambibulianus non è altrimenti attestato (ma cfr. il gentilizio Ambiblulus, ThLL, I, col. 1837, l. 34-44), gli altri cognomina erano abbastanza diffusi nel mondo romano e talvolta pure a Theueste o nei suoi pressi, legati anche a notabili locali (Kajanto 1965, 214, 278, 279). Sui nomi delle curie, in generale Dupuis 2011, 450-455: questi rimanderebbero p.e. a membri della domus imperiale, a divinità, a famiglie in auge al momento della deduzione; per lo stesso Dupuis (commento a AE 2013, 1763), tuttavia, riallacciandosi all’interpretazione di Hugoniot, i nomi sugli architravi e sul muro del podio di Theueste si riferirebbero non alle curie ma a importanti famiglie locali.
40 Per Vismara 2007, 129, esse operarono fra Settimio Severo e la metà del iii secolo: l’esempio di Theueste permetterebbe dunque di rivedere parzialmente questa cronologia.
41 Sulle attività delle sodalitates, cfr. Beschaouch 1977, 496-500; Thébert 1991, 193 nota 3; Beschaouch 2006, 1417; Vismara 2007, 116-120. Sulle spese di una spedizione mercantile per mare, cfr. Rougé 1966, 348-358, 361-362, 366-373, 450-451.
42 Dondin-Payre 2010, 726, identifica invece nel toro e nel presunto onagro animali impiegati nelle uenationes.
43 Per un confronto, Beschaouch 1977, 498-500: l’emblema della sodalitas è visibile sul collo e sui tappi d’anfora “Africana II A”, rinvenuti a Ostia e a Thaenae e utilizzate per il trasporto sia di salsamenta sia di vino durante il iii secolo (cfr. ora Bonifay 2007, 19-20).
44 Benoist 1999, in particolare p. 150, 154; in alternativa per Vismara 2007, 119-120, Fortuna Redux sarebbe il nome della nave; meno convincente Dondin-Payre 2010, 725-726, per la quale il testo alluderebbe metaforicamente alla fine dei restauri delle terme.
45 Come supra, nota 43, Dondin-Payre 2010, 725-726 pensa invece ad animali per una uenatio.
46 Su queste problematiche cfr., da ultimo, Ibba e Teatini 2015b, 75-94.
Auteurs
Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali, Università degli Studi di Sassari, Italie
Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione, Università degli Studi di Sassari, Italie
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