Tournier e le sue relazioni con l’ambiente artistico romano
p. 103-114
Texte intégral
1In questo mio intervento presenterò tre dipinti di Tournier che mi pare siano sfuggiti all’attenzione degli studiosi del pittore di Montbeliard e anche il catalogo della mostra non ne fa menzione ; per quanto mi risulta essi potrebbero essere ancora inediti ; ma oltre a questo, e soprattutto, tratterò dell’ambiente artistico prossimo a Nicolas Tournier.
2Cominciamo dunque con due dei nuovi dipinti, poiché il terzo avrà la sua collocazione nello svolgimento successivo di questa conversazione. Si tratta di due opere che conosco solo in fotografia e la cui ubicazione mi è ignota: la prima è questo Bevitore (fig. 41), in precedenza riferito a Manfredi, che ben si accorda col momento considerato iniziale del percorso di Tournier1. Mi sembra infatti calzante il confronto con i primi quadri esposti in mostra : con gli occhi cerulei dei protagonisti della Riunione di bevitori di Le Mans, con le semplificazioni nei panneggi dell’Ipocrita di Firenze, ma in particolare col Concerto di Bourges (fig. 42), dove pare di ritrovare addirittura lo stesso modello nel giovane in piedi col medesimo cappello piumato e l’identico colletto della camicia.
3Il secondo dipinto (fig. 43), anch’esso con un’attribuzione a Manfredi, è un’opera bellissima, sicuramente una delle vette raggiunte dall’artista francese, per la sapienza e l’equilibrio compositivi e per la qualità, intuibile anche dalla foto, della resa pittorica : difficile decifrare con sicurezza il soggetto, potrebbe essere Ester accolta da Assuero (le due donne in secondo piano potrebbero far pensare alle due ancelle che hanno accompagnato Ester dinanzi al sovrano), ma anche, più probabilmente, l’Incontro fra Re Salomone e la Regina di Saba, come lascerebbero intuire le grandi anfore portate dagli schiavi, che potrebbero contenere i doni della regina2. Si tratta di un’opera che trova convincente collocazione a fianco delle composizioni più complesse di Tournier, come la Negazione di San Pietro di Atlanta o il Giudizio di Salomone di Pommersfelden3, e che mostra anche notevoli contatti stilistici col Banchetto di Saint Louis.
4Venendo a parlare dei rapporti di Tournier con l’ambiente artistico romano a lui contemporaneo, ciò potrebbe apparire un po’ azzardato (sapendo così poco della permanenza romana del pittore francese), se dovessimo affidarci ai soli dati documentari e biografici. Ma se l’operazione si sposta sul piano dello stile e dei rapporti stilistici, essa diventa lecita, e alla fine anche proficua, forse la più proficua in un contesto di ricostruzione storico-artistica, dove i biografi non danno alcun aiuto, visto che tacciono completamente, e dove il nome del pittore è assente da inventari e da documenti che non siano i censimenti pasquali.
5Dovremo dunque partire dai dipinti per capire quali furono i collegamenti del francese con l’ambiente artistico contemporaneo, e non importa se, come in questo caso, le personalità in contatto siano anonime o altrimenti ancora notevolmente misteriose o non sufficientemente valutate. Purtroppo lo spazio è piuttosto limitato per poter affrontare argomenti che richiederebbero disamine più attente e a largo raggio ; tuttavia può essere sufficiente per mettere meglio a fuoco alcuni punti di partenza e quindi prendere in esame soprattutto una personalità artistica, purtroppo anonima, che dovette essere – almeno a giudicare dai suoi quadri – stilisticamente assai prossima a Tournier, e, se la vicinanza stilistica, come si potrebbe presumere, riflette anche altre vicinanze, forse anche esistenzialmente vicina al percorso romano del pittore.
6Ma prima di presentare quest’ultima personalità, che costituisce un po’ il fulcro del mio contributo, vorrei riflettere un po’ sulle relazioni artistiche finora abbastanza consolidate che il pittore avrebbe avuto a Roma ; lo si è sempre visto cioè come rappresentante della ’manfrediana methodus’ e più volte lo si è ritenuto come una sorta di alter ego del Manfredi, e a lui sono state anche assegnate versioni meno belle, diciamo copie, di prototipi manfrediani. Non so se questo sia giusto ed è difficile pronunciarsi in merito, anche se si deve dire che il quadro di Le Mans4 sembra essere opera certa di Tournier che reinterpreta un prototipo di Manfredi, ma quello che voglio dire è che non sappiamo se questo sia stata sua pratica corrente o un episodio sporadico, compiuto nella fase iniziale del suo percorso ; ad ogni modo, mi pare che l’adesione alla manfrediana methodus data per certa e scontata (direi che Tournier ne sia diventato alla fine il rappresentante più tipico, ma anche fatalmente meno autonomo) ha un po’ ridotto il campo di indagine sull’artista francese. Quando poi la famosa espressione coniata dal Sandrart5 (’manfrediana methodus’ appunto), a cui nel tempo è stata data un’importanza forse eccessiva (magari il biografo quando la scrisse non se lo sarebbe immaginato), poteva più che altro riferirsi alla scelta dei soggetti, più che a esclusivi discepolati artistici.
7Anche l’altro cardine biografico (nell’assoluta povertà dei riferimenti relativi agli anni romani), cioè il passo di Dupuy du Grez6 che parla di un Tournier che ha imparato la maniera di dipingere da Valentin, dovrà a mio avviso essere valutato con saggezza, come del resto molti hanno già fatto e sottolineato ; poiché Valentin nasce probabilmente nel 15947, cioè quasi quattro anni dopo il nostro pittore, è arduo pensare in un suo sicuro insegnamento nei confronti di Nicolas, la cui documentata presenza a Roma dal 1619 (cioè all’età stramatura di 29 anni)8 non significa che essa non potesse essere preceduta da anni, per ora non documentati, di permanenza nella città pontificia, e che il pittore magari vi risiedesse già dall’inizio del secondo decennio, chissà.
8Il nuovo documento sulla precoce presenza di Regnier a Roma nel 1610, che ho pubblicato recentemente9, la dice lunga su quello che potremmo aspettarci anche per Tournier, se la fortuna o il caso consentiranno inaspettati ritrovamenti, come è successo al sottoscritto per il pittore di Maubeuge. Ugualmente per Valentin, la frase del Sandrart che afferma che il pittore arrivò a Roma prima di Simon Vouet10, cioè prima del 1614, dovrà forse essere accolta con molta cautela. Vorrei dire insomma che non c’è niente di fermo in queste vicende di approssimativa cronologia ; pure la cronologia del Manfredi dovrà essere rivista alla luce dei recenti, importanti ritrovamenti del Maccherini11, che rivelano l’esatta – e molto più tarda del previsto – cronologia della Punizione di Amore di Chicago, che è del 1613, mentre i quadri celeberrimi con i Giocatori di carte e il Concerto, dipinti probabilmente per Cosimo II e purtroppo irreparabilmente danneggiati nel 1993 agli Uffizi, sembra che siano stati eseguiti nel 1618-1619, e intorno al 1618 o poco prima fu eseguita da Bartolomeo anche la Negazione di Pietro ora a Braunschweig ; tutti questi dipinti saranno sicuramente da valutare come prototipi fondamentali per quel filone che comodamente, e un po’ per mancanza di formule alternative così consolidate, continuiamo a chiamare ’manfrediana methodus’. Prototipi che non sono dunque precocissimi, dal momento che in un periodo vivacissimo e straordinariamente creativo come il secondo decennio, anche un salto di due o tre anni può cambiare il quadro delle cose.
9Non è escluso insomma che il panorama possa essere stato più articolato, quanto alle frequentazioni che il giovane Tournier, forse approdato a Roma in età più giovane di 29 anni, può avere avuto. Nessuno vuol mettere in discussione l’ascendente, evidentissimo, di Manfredi sul pittore francese, tuttavia a questa chiarissima influenza potrebbero affiancarsi anche altri stimoli. Da anni sono convinto ad esempio dell’importanza che può avere avuto nell’ambiente caravaggesco - almeno al pari di quella esercitata dal Manfredi – un artista come Francesco Boneri, più noto col soprannome Cecco del Caravaggio12. Il personaggio continua a essere ostinatamente misterioso, ma sono del parere che nel secondo decennio egli dovette essere un punto di riferimento a cui guardare, e Io stesso Manfredi, in un dipinto come la Punizione di Amore o Sdegno di Marte ne resta influenzato.
10Quanto a Valentin, sono profondamente convinto che egli muova i primi passi romani, se non sotto il suo diretto controllo (purtroppo non abbiamo appoggi documentari o biografici per poterlo affermare), ma certo entro il raggio di influenza di Cecco. Basterebbe un quadro come il Baro di Dresda (fig. 44), da sempre considerato come una delle prime prove del Valentin, per attestarlo; un segnale questo che rivela almeno un duplice indirizzarsi del giovane artista : da una parte scelte di soggetti che possono essere ricondotti in primis a Caravaggio (come in questo caso), ma naturalmente anche a Manfredi, dall’altra una filiazione stilistica che denuncia chiaramente l’interesse per Cecco del Caravaggio, ben rilevabile nell’esattezza dei contorni delle figure, nei capelli studiati ciocca a ciocca, nelle piume sul cappello simili a quelle dei suoi Fabbricanti di strumenti musicali (fig. 45), nell’intensità rapita delle fisionomie ; soprattutto in una scelta di implacabile realismo esemplato nella precisione dei contorni, delle linee dei volti, delle pieghe, una crudezza di tratto che solo l’abilità dell’artefice salva da farla sembrare troppo dura o addirittura l’opera di un copista ; una scelta questa che non può essere fatta risalire al Manfredi (sempre molto più atmosferico, più affogato nelle ombre), ma che è invece sicura eredità dell’inarrivabile iperrealismo di Cecco.
11Mi chiedo se anche per Tournier la conoscenza di opere del Boneri non possa essere stata determinante per conferire al suo stile, al suo linguaggio quelle acutezze di segno, quei contorni più cristallini, quelle fisionomie più indagate, che in alcuni dipinti emergono chiaramente e contribuiscono peraltro a darci il Tournier più originale e ispirato. Penso soprattutto a uno degli indiscussi capolavori della stagione romana (peraltro la sua opera forse più vicina a Valentin), cioè il Sinite Parvulos della Galleria Corsini (fig. 37), ma anche a questo bellissimo Sant’Andrea (fig. 46) che è il terzo dipinto da ricondurre all’artista di Montbeliard, e che è passato a un’asta milanese di Finarte nel 1974 sotto la paternità di Douffet13, dove a posare sembra essere sempre lo stesso modello anziano presente anche nel capolavoro della Corsini e verosimilmente anche in questo notevole Pentimento di San Pietro (fig. 47) di collezione privata, già noto sul mercato antiquariale milanese14. E ancora la Negazione di San Pietro di Atlanta, un tempo in collezione Lodi, che appartiene sicuramente allo stesso momento dei dipinti citati sopra (anche qui nel protagonista forse ricompare lo stesso modello) presenta notevoli affinità col mondo di Cecco, in particolare nella figura addormentata in primo piano a sinistra (fig. 48), ben confrontabile ad esempio con i luminismi, con i riverberi e con le ombre colorate del Boneri, tanto che vi si potrebbe riconoscere una certa sensibilità d’impronta savoldesca, che tanto segna l’opera di Cecco ; la si potrebbe paragonare ad esempio con quella al centro, sotto l’ala dell’angelo, nella Resurrezione Guicciardini di Cecco (fig. 49, oggi a Chicago, Art Institute), eseguita nel 1619-1620, ed entrambe sembrano dichiarare, forse incidentalmente, una dipendenza dall’apostolo dormiente nel Riposo nell’orto degli ulivi Giustiniani del Merisi (purtroppo perduto a Berlino nel 1945).
12Si può trovare un ulteriore collegamento col Boneri anche nella presenza di Gerard Douffet nella prima abitazione nota del Tournier a Roma, nel 1619, nel vicolo fra via Condotti e via della Croce15; dipinti del fiammingo, come la Prova della vera Croce di Monaco attestano una clamorosa vicinanza all’opera di Cecco, vicinanza a mio parere non sufficientemente sottolineata finora, che dà nuova conferma del ruolo centrale del Boneri durante tutto il secondo decennio a Roma, e probabilmente non solo a Roma, come io penso, ma non è il caso di smarginare dal tema odierno16. Il cerchio si stringe ancora, se pensiamo che l’anno dopo, cioè nel 1620, il Douffet coabita col Valentin. In questo scenario manca solo e sempre la presenza documentata di Cecco, che resta ostinatamente una sorta di entità misteriosa, tanto importante, quale principale e più diretto seguace del Merisi, e altrettanto sfuggente.
13Mostra evidenti natali artistici in questo ambiente, tanto da potergli riconoscere eredità genetiche da Cecco, Tournier e Valentin, un’altra, importante personalità artistica, che ho battezzato ’Maestro dell’Incredulità di San Tommaso’ dal name piece di Palazzo Valentini a Roma17 (fig. 50), e che cautamente ho ipotizzato possa corrispondere, ma ripeto è solo un’ipotesi, a Jean Ducamps a Roma, dove, come è noto, il pittore di Cambrai è documentato dal 1622 al 1637. I tentativi di individuare l’opera di questo personaggio, centrale nell’attività della Bent e nel mondo variegato degli artisti stranieri a Roma nel terzo e quarto decennio, non sono condivisibili18, in particolare l’ultimo di Andrea G. De Marchi, che con una certa disinvoltura gli riferisce i dipinti del gruppo di Giusto Fiammingo19.
14Nell’arco di tre interventi su questo argomento, fra il 1997 e il 2000, ho radunato intorno a questa interessante personalità anonima ormai quasi venti dipinti, e un altro paio mi sento di ricondurli ancora in questa sede ; si tratta dunque di un artista di tutto rispetto, che già supera per quantità il corpus di tanti pittori caravaggeschi dotati di nome, cognome, biografia e appoggi documentari ; il tentativo di identificarlo con Jean Ducamps, che fra poco vi illustrerò, d’altra parte potrebbe colmare la lacuna di un artista attivo per molti anni a Roma, e sicuramente celebre e richiesto, che ancora un corpus non ha.
15Come ho già detto, l’ho battezzato Maestro dell’Incredulità di San Tommaso, prendendo spunto dal dipinto con questo soggetto in Palazzo Valentini a Roma, un quadro che più volte mi ha colpito, sia in una visione diretta, sia soprattutto tutte le volte che ho guardato e riguardato la fotografia e mi si riproponeva il quesito del suo autore. Il quadro mostra un pittore che conosce Cecco del Caravaggio, però personalmente assorbito e diluito in un ductus più fluido, che forse già tiene conto degli apporti di Valentin. Forse questo artista si è accorto anche di Borgianni e può essere stato in contatto con Douffet.
16Lo contraddistingue, già da questo dipinto, una certa tendenza espressionistica, a caricare, magari con forti ombre, le fisionomie dei personaggi, a sporcare l’andamento e la tubolarità dei panneggi, più lumescenti e leggeri negli artisti che pure gli sono fra i più vicini, come Regnier e soprattutto Tournier, artisti con cui peraltro, specialmente nei cataloghi d’asta, è stato confuso. Il cromatismo nitido, caldo, coi marroni e i rossi in evidenza, risente molto di Cecco. Così si potrà accostare all’Incredulità un’altra tela, come questo Cristo e l’adultera (fig. 51), di ubicazione ignota20, che è molto vicina a Cecco specialmente nella figura dell’adultera. Ma certo l’artista imprime al tocco una scioltezza che forse già tiene conto di Vouet. Si tratta di dipinti che dovrebbero essere stati eseguiti nel terzo decennio ; alla stessa dimensione sembra appartenere anche quest’altra tela, nota e più volte pubblicata : la Liberazione di San Pietro di collezione privata (fig. 52), talvolta accostata a Regnier, talvolta a Valentin21. Forse essa ci mostra l’artista in un momento più maturo e al culmine delle sue possibilità, come attesta anche la sapienza dell’ambiziosa composizione. L’angelo che cade a capofitto risente di Riminaldi ; Vouet e Lanfranco sembrano essere già stati frequentati ; non mi stupirei che l’opera cadesse alla fine del terzo decennio e gli altri due quadri la precedesseo di qualche anno.
17Rispetto alle due tele precedenti, più ortodossamente caravaggesche (specialmente il Cristo e l’adultera), qui la scena ha acquistato una complessità nuova, consapevole del dinamismo e delle agitazioni prebarocche che certo non mancarono di contaminare anche gli artisti di formazione caravaggesca, e veicolo principale fu sicuramente Lanfranco. Prima di vedere l’evoluzione dell’artista, sarà meglio avvicinare a questo momento altri dipinti e quindi pensare anche a un prima, che forse in questo contesto è quello che più ci interessa ; così mi sembra che gli appartenga questo interessante Amore che spezza l’arco (fig. 53) comparso col riferimento al Baglione in una vendita Algranti del 198322. La rotonda protervia del corpo e del volto del bambino confermano lo studio dal vero, secondo la prassi caravaggesca ; tuttavia il soggetto si distacca molto da altri prototipi scaturiti da quell’ambito, per la sua arrabbiata occupazione, laddove nella maggior parte degli altri casi il protagonista viene raffigurato trionfante e placido, mentre con calma gusta la vittoria. Questo bambinaccio del popolo (che discende da Cecco, ma esasperato nel realismo, fino alla sgradevolezza, e in tal senso filtra l’esperienza borgiannesca), raffigurato nudo e crudo, senza compostezza, né desiderio di simbolismi aulici, riflette la vena del pittore, che con l’andar del tempo accentuerà, come già in questo caso, la sua insofferenza al decoro. Condivide una simile cronologia, con un po’ di anticipo probabilmente, ma dovremmo essere sempre nel terzo decennio, anche il bel Cristo fra i dottori (fig. 54), riferito (forse non a caso, per il suo gusto neorinascimentale, oltreché per certi caratteri dello stile) a Gerard Douffet in un’altra vendita Algranti del 198523. Anche qui si nota la ricorrenza dei panneggi tubolari, e di una simile gestualità, delle pennellate un po’ sporche accostate l’una all’altra con poca intenzione mimetica ; anche qui i colori sono puri, purtroppo non visibili in foto, secondo la lezione del Boneri.
18Ben più coinvolto nel clima della manfrediana methodus e in particolare con l’opera di Nicolas Tournier è un gruppo di opere che dovrebbe datarsi prima del gruppo appena esaminato, che costituisce probabilmente la stagione più alta e matura dell’artista e che può collocarsi nel cuore del terzo decennio. Ma vediamo con calma quella che sembra essere stata la prima fase di questo pittore, collocabile forse a cavallo fra secondo e terzo decennio, in anni cioè in cui sembra anche più plausibile lo scambio e le relazioni con Tournier.
19Mi preme subito riportare all’anonimo maestro un quadro che è presente in questa esposizione, sotto la paternità di Tournier ; si tratta della notevole Negazione di San Pietro (fig. 30), il n° 26 del catalogo24, che, come potete vedere, ben si ricollega alle opere già viste, in particolare al Cristo e l’adultera; ricompare qui nella figura femminile la stessa acconciatura con la treccia avvolta sulla cima della testa e quelle tipiche pieghe spezzate della sua manica, che tanto l’avvicinano anche all’opera di Tournier ; sono poi dell’anonimo i marroni intensi e saturi, le fisionomie incise, con ombre fonde a marcarne i tratti, tutte eredità che mi pare lecito far risalire alla lezione del Boneri ; il quadro oscilla così fra Cecco e il francese e, insieme ad altri dipinti, conferma a mio avviso l’esistenza di contatti culturali, immagino fra la fine del secondo e l’inizio del terzo decennio, fra l’anonimo maestro e i due artisti più conosciuti.
20Un altro quadro, questo inedito, che vi presento in questa occasione è una Buona ventura (fig. 55), che conosco tramite una preziosa fotografia, in passato riferita a Manfredi25: nel volto un po’ sgradevole della zingara si riconosce la volontà espressionistica del pittore, presente anche in questa sua prima fase, che recupera direttamente un grande prototipo del Merisi e ancora una volta lo riveste delle acutezze di segno di Cecco, soprattutto nella figura del ragazzo, il cui volto dallo sguardo lontano e chiaro ha molto da spartire con le creature di Tournier. Proseguiamo con questa Coppia musicante26 (fig. 56), che condivide gli stessi caratteri, più ortodossamente fedeli al verbo caravaggesco (ma si noti l’interessante dinamismo dell’impostazione delle due figure, che segna un passo avanti verso le opere più mature, rispetto alla severa immobilità della coppia precedente), di questa prima fase dell’anonimo. E ancora si potrà accostare il Giocatore di carte (fig. 57) della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma27, e naturalmente il quadro con Due cantori, un tempo in collezione privata a Bologna, che già il Nicolson aveva individuato essere della stessa mano del Giocatore Barberini28; il nostro anonimo vi è ancora ben riconoscibile, nella struttura delle mani, nella tavolozza di colori puri, stesi a larghe campiture, nella struttura dei volti, i cui lineamenti sono già contornati da nitide ombre profonde. A allo stesso momento dovrebbe appartenere pure il notevole San Mattia, passato come seguace di Regnier in asta29, prossimo ormai anche alla stessa Incredulità di san Tommaso in cui l’artista afferma in modo evidente le sue scelte linguistiche: il Boneri soprattutto, la cui lezione porta a cristallizzare, a prosciugare le malinconie manfrediane, aggiungendo severità. E’ il caso di dire ancora una volta che le notevoli vicinanze di questi dipinti con l’opera di Tournier rendono lecita la possibilità che da simili frequentazioni ed elaborazioni il montbeliardese possa aver attinto e dato linfa per simili sviluppi. Lo stesso discorso può essere esattamente ripetuto per il bellissimo San Filippo di collezione privata svizzera30 (fig. 58), che è appunto l’opera di un artista che stempera la tensione insopportabile di Cecco in un ductus più sciolto, in un’umanità più accessibile.
21Difficile dire se sia più arcaico il dipinto raffigurante Giocatori di carte (fig. 59) conservato alla Gemäldegalerie di Dresda, visto anche a Modena alla mostra Sovrane Passioni, dov’era riferito a scuola di Bartolomeo Manfredi31. Il rapporto con Cecco è ancora molto evidente, nella scelta di un cromatismo denso e saturo, dove predominano i rossi e i bruni ; la figura di sinistra – strettamente collegata a Tournier e a Regnier, sembra più matura e risolta degli altri personaggi e annuncia certi passaggi della Liberazione di San Pietro. Non sarà difficile accostare al gruppo anche la Musa Clio dell’Ermitage (fig. 60), già invano avvicinata a Ribera32, nella quale ritornano i panneggi tubolari, le mani lunghe con le unghie ben in evidenza, le medesime scelte cromatiche ; nel quadro sembra anche di leggere un non convinto tentativo di sconfinare in territori più aulici ; si è del resto già visto l’esito assai personale dell’artista alle prese con un tema come l’Amore vincitore. Nella musa raffigurata nel dipinto russo è innegabile un certo imbarazzo e una certa goffaggine, assenti invece quando l’artista si lascia condurre dalla sua vena più sanguigna e robusta. Come accade in un gruppo di quadri più maturi, alcuni sicuramente appartenenti al quarto decennio.
22Cominciamo allora dalla Salomè che riceve la testa del Battista della Pinacoteca di Varallo Sesia (fig. 61), riferita interrogativamente nel 1978 ad ambito genovese (vengono evocati i nomi di Giovanni Andrea de Ferrari, Giovambattista Cartone)33. Mi sembra invece che ancora del nostro anonimo si tratti, nella sua fase matura, più materica, in cui dimostra, se già ce ne fosse stato bisogno, dopo un capolavoro come la Liberazione di San Pietro, la sua notevole statura. Le due figure all’estrema destra sono una sorta di sigla, e l’uomo di spalle col copricapo vagamente rinascimentale torna, come si è già potuto vedere, in diversi dei dipinti che qui vi ho mostrato. All’anonimo corrisponde anche il modo di impaginare molto scenografico, quasi di sottinsù, con le figure che si inclinano arretrando, come accade nella Liberazione di San Pietro appunto, ma anche nel Cristo fra i dottori. Il maestro non teme le barriere della sgradevolezza e mette in scena una delle più cruente (anche più di Artemisia direi, e in linea con Valentin) raffigurazioni di Giuditta e Oloferne nel dipinto passato a un’asta Christie’s romana col riferimento a Regnier34 (fig. 62); il tono qui si è decisamente incupito, l’esibizione della testa spiccata in primo piano denota la volontà di provocare uno choc nello spettatore, mentre la volgarità dei volti denota una scelta di sgradevolezza, perpetrata con mezzi quanto mai efficaci, espressionistici direi, con un’energia che colpisce come un pugno nello stomaco.
23Le ultime evoluzioni di questo linguaggio, divenuto assai personale, che si è nettamente affrancato dai primi passi legati alla manfrediana methodus e che sembra ormai partecipare del clima mutato, più grottesco e popolaresco, che nutrì anche l’ispirazione dei bamboccianti, si potranno forse rintracciare nella notevole Sacra Famiglia del Musée des Beaux-Arts di Nantes (fig. 63), al centro negli ultimi anni di un dibattito attributivo, che ha visto pronunciare i nomi di Flaminio Torre e di Bernardino Mei, ed è stato accostato a Bylert, a Manetti, a Vouet, a Manfredi, a Van Loon35. Il volto di questa Madonna, lo si riconosce facilmente, tutto acciaccato e tutt’altro che gradevole, è lo stesso della Giuditta. Sopraffatte da una pittura sempre più materica e libera, che si accentua evidentemente col passare degli anni, rimangono ancora ben distinguibili alcune tipologie care all’anonimo artista : la forma delle mani lunghe e affusolate ; i panneggi strutturati con pieghe ampie e tubolari, con la luce che illumina il dorso ; i capelli piatti e castani, senza riflessi di luce, con la treccia che avvolge la nuca.
24Il livello decisamente sostenuto di questa personalità, che deve essere stata tutt’altro che marginale nel panorama del terzo decennio a Roma, e anche oltre evidentemente, mi ha spinto a non accontentarmi dell’anonimato, fidando che una personalità di un tale rilievo potesse aver lasciato una traccia nei resoconti di qualche biografo. Verosimilmente si trattava di un artista straniero (ho insistentemente ripetuto che molti caratteri lo avvicinano a fiamminghi come Douffet e Regnier, a francesi come Tournier e Valentin) operante a Roma, cresciuto in ambito caravaggesco, ma già in un momento in cui il naturalismo del Merisi era destinato a contaminarsi in nuove, più aggiornate declinazioni. Ma l’altissima base da cui partire per declinare il proprio linguaggio originale dovrà essere ricercata nell’opera di Cecco, le cui tracce più meno lontani si riconoscono anche nelle successive evoluzioni verso soluzioni più aggiornate, a contatto con le novità lanfranchiane e con le agitazioni del terzo decennio ; è anche animato da un gusto del tutto personale per le raffigurazioni forti, per le interpretazioni talvolta sopra le righe, quasi espressionistiche, di soggetti canonici, diventati – in modo più accostante, però, oppure più levigato, oppure più sentimentalmente sfumato – patrimonio comune del naturalismo.
25Non mi stupirei allora se questo artista potesse poi, nel quarto decennio, proprio per la sua formazione caravaggesca, costituire una sorta di trait d’union fra gli anni forti del naturalismo e il mondo dei bamboccianti. Già il Briganti si era posto il problema di un passaggio simile e aveva colto nella convivenza fra il Van Laer, artista di punta della nuova corrente, e il misterioso Jean Ducamps - finora artista senza quadri -, uno snodo possibile36.
26Proprio Jean Ducamps di Cambrai è l’artista che ha i requisiti migliori per essere identificato con il nostro anonimo ; e non solo, anche se risulta indubbiamente affascinante credere a quella sua funzione di tramite, per le tracce di pittura popolaresca che si colgono soprattutto nella produzione finale del Maestro dell’incredulità. Cadute le insostenibili identificazioni che hanno confuso Giovanni del Campo col pittore della Morte al banchetto di New Orleans, che è invece Giovanni Martinelli, dovremo ritornare da capo, ai decisivi passi della biografia che gli dedica il Sandrart37.
27Il biografo ricorda che Jean Ducamps, anche detto Giovanni Del Campo, aveva eseguito un’importante Liberazione di San Pietro e questa è l’unica opera citata del pittore, ma il biografo ricorda anche che l’artista eseguiva serie di Apostoli e di Evangelisti. Dagli stati d’anime romani sappiamo che egli fu presente a Roma con sicurezza dal 1622 al 163738, ma non siamo certi sul momento del suo arrivo nella città pontificia. Fra il 1637 e il 1638 egli parte per la Spagna. Negli stati d’anime lo troviamo che abita con connazionali, con Van Kuyl, e poi con Pieter van Laer. Nel 1812 la Cacciata dei mercanti dal tempio di Cecco figurava nel catalogo della vendita Giustiniani a Parigi sotto la paternità del pittore di Cambrai39. Ciò potrebbe farci pensare che il riferimento non fosse casuale e che magari ci potesse essere un’affinità stilistica fra i due pittori, tale che da tempo evidentemente si poteva essere creata quella confusione. Addirittura in tempi relativemente recenti Slatkes ha pensato che Cecco potesse identificarsi con Giovanni del Campo40. Ma Cecco si chiamava Francesco ed è stato identificato dal sottoscritto con Francesco Boneri41.
28Tutto questo per dire insomma che molti elementi corrispondono alla fisionomia dell’anonimo : il rapporto con Cecco, lo scalarsi delle opere durante il terzo e il quarto decennio, la vena popolaresca degli ultimi dipinti (dal ’31 al ’36 Ducamps vive col Bamboccio) e ancora la presenza di una bellissima Liberazione di San Pietro, un quadro sicuramente significativo, che non passò inosservato, e che potrebbe essere proprio questo. Anche l’altra peculiarità ricordata dal Sandrart corrisponde : l’aver eseguito serie di Apostoli e di Evangelisti. Lo confermano sia il San Mattia che il San Filippo che abbiamo già esaminato, che dovevano appartenere a serie diverse di apostoli ; e a un’altra serie apparteneva questo San Pietro o forse ancora San Filippo42 (fig. 64), probabilmente copia (considerata la stesura troppo corsiva delle pieghe del manto), ma di qualità superiore nelle mani e nel volto, che dichiarano senza dubbio l’appartenenza al maestro. Mi pare insomma che ci siano sufficienti elementi per essere incoraggiati a ipotizzare che il Maestro dell’Incredulità non sia altro che Jean Ducamps, o Giovanni Del Campo, finora rimasto ostinatamente solo un nome.
Notes de bas de page
1 Conosco il dipinto solo da una foto conservata conservata nella cartella Manfredi della fototeca Voss presso l’Istituto Olandese di Storia dell’Arte di Firenze.
2 Pure questo dipinto è da me conosciuto solo tramite la fotografia, rubricata nella cartella Manfredi, conservata nella fototeca Voss presso l’Istituto Olandese di Storia dell’Arte di Firenze. Sul retro sono annotate le misure, cm 150 x 227, e la provenienza da una collezione berlinese.
3 Non è escluso il nuovo dipinto – considerati l’attinenza del soggetto, le dimensioni e i ritmi compositivi, e anche il momento stilistico – possa essere stato concepito a pendant con il Giudizio di Salomone di Pommersfelden.
4 Catalogo Tournier, n° 1.
5 J. von Sandrart, Teutsche Academie der Bau, Bild- und Malerey-Künste, Nürnberg, 1675, ed. Munchen, 1925, p. 170.
6 B. Dupuy du Grez, Traité sur la peinture pour en apprendre la théorie et se perfectionner dans la pratique, Toulouse, 1699, ed. Genève, 1972, pp. 212-213.
7 Si veda, sulla questione della data di nascita di Valentin, M. Mojana, Valentin de Boulogne, Milano 1989, p. 4.
8 Per le residenze di Tournier a Roma, documentate dal 1619 al 1626 si vedano le fondamentali ricerche di J. Bousquet, Valentin et ses compagnon. Réflexions sur les caravagesques franqais à partir des archives paroissiales romaines, in ’Gazette des Beaux-Arts’, XCII, 1978, VI, pp. 101-114; idem, Recherches sur les séjours des artistes franqais à Rome au XVIIe siede, Montpellier, 1980.
9 G. Papi, Un documento su Nicolas Régnier e qualche nuova prospettiva, in ’Paragone’, 26 (593), 1999, pp. 12-20.
10 J. von Sandrart, op. cit., p. 367.
11 M. Maccherini, Novità su Bartolomeo Manfredi nel carteggio familiare di Giulio Mancini: lo ’Sdegno di Marte’ e i quadri di Cosimo II granduca di Toscana, in ’Prospettiva’, 93-94, 1999, pp. 131-141.
12 Sono tornato ripetutamente su questi argomenti nel corso degli ultimi dieci anni, si veda almeno: G. Papi, Cecco del Caravaggio, Firenze, 1992; idem, in Michelangelo Merisi da Caravaggio e i suoi primi seguaci, catalogo della mostra, Salonicco, 1997, pp. 203-206; idem, in Dipinti caravaggeschi nelle raccolte bergamasche, catalogo della mostra, Bergamo, pp. 30-37, 80- 82; idem, Cecco del Caravaggio, Soncino (CR), 2001.
13 Olio su tela, cm 115 x 85,5. Il dipinto è passato in asta presso Finarte, Milano, 7-8 maggio 1974, lotto 65; e di nuovo recentemente il 19 maggio 1999, lotto 81 (tutte e due le volte col riferimento a Gerard Douffet).
14 Olio su tela, cm 102 x 83. Qualche anno fa il quadro era presso la Compagnia di Belle Arti di Milano ; in una scheda che la galleria antiquaria mi ha fornito si legge che l’attribuzione del dipinto è stata confermata da A. Brejon de Lavergnée.
15 Si veda alla nota 8.
16 L’argomento (l’importanza di Cecco nel panorama artistico romano del secondo deccenio) viene approfondito in G. Papi, op. cit., 2001.
17 Ho ricostruito un provvisorio corpus dell’anonimo nei seguenti interventi: G. Papi, Il Maestro dell’Incredulità di San Tommaso, in ’Arte Cristiana’, LXXXV, 779, 1997, pp. 121-130; idem, Il Maestro dei giocatori, in ’Paragone’, 18 (577), 1998, pp. 12-25; idem, Ancora sugli anonimi caravaggeschi, in ’Arte Cristiana’, LXXXVIII, 801, 2000, pp. 439-446; idem, Cecco..., cit., 2001. Molti dei dipinti assegnati al maestro anonimo mostrati in questa occasione sono già stati discussi in tali interventi.
18 Un riassunto dei vari tentativi di identificazione di Jean Ducamps è in G. Papi, Il Maestro..., cit., 1997, pp. 128-130, n. 13.
19 A.G. De Marchi, L’asino d’oro – Jean Ducamps, detto Giovanni del Campo: congetture e ipotesi, in ’Gazette des Beaux-Arts’, CXXXV, 1573,2000, pp. 157-166.
20 Conosco il dipinto tramite una foto conservata presso la Fondazione Roberto Longhi di Firenze, nella cartella intestata agli Anonimi caravaggeschi italiani.
21 Olio su tela, cm 170 x 238; per la bibliografia del dipinto si veda G. Papi, Il Maestro..., cit., p. 128, nn. 3-6.
22 Gallerie Salamon Agustoni Algranti. Dipinti antichi dal XV al XVIII secolo, catalogo asta, Milano, 27 ottobre 1983, lotto 16.
23 Gallerie Salamon Agustoni Algranti. Dipinti antichi dal XV al XVIII secolo, catalogo asta, Milano, 22 maggio 1985, lotto 27.
24 Catalogo Tournier, n° 26. Olio su tela, cm 100 x 134.
25 Una preziosa fotografia del dipinto è conservata nella cartella Manfredi della fototeca Voss conservata presso l’Istituto Olandese di Storia dell’Arte di Firenze. Non vi sono indicate le misure.
26 Il dipinto mi è noto tramite una fotografia conservata nella cartella Rombouts presso la Fondazione Roberto Longhi di Firenze. Nel 1962 si trovava sul mercato antiquario viennese (annotazione sul retro della foto).
27 Catalogo Tournier, n° 37 (fra le opere respinte).
28 B. Nicolson, Caravaggism in Europe, Torino, 1990, I, p. 146, III, figg. 342-343.
29 Olio su tela, cm 114 x 85. Sotheby’s, Londra, 4 luglio 1984, lotto 23.
30 Olio su tela, cm 65 x 50.
31 Olio su tela, cm 123 x 173. C. Casali, in Sovrane Passioni. Le raccolte d’arte della Ducale Galleria Estense, catalogo della mostra (Modena), Milano, 1998, pp. 396-397.
32 Olio su tela, cm 113 x 81. L’opera è stata riferita al Ribera in S. Vsevolozhskaya, I. Linnik, Caravaggio and His Followers, Leningrad, 1975, tavv. 61-63. Giustamente A.E. Pérez Sánchez, N. Spinosa,L’opera completa del Ribera, Milano, 1978, pp. 139-140, n. 407, concludevano che il quadro "non rivela alcun collegamento con i modi del Ribera".
33 G. Romano, in Musei del Piemonte. Opere d’arte restaurate, catalogo della mostra, Torino, 1978, pp. 100-101. Olio su tela, cm 122 x 195.
34 Olio su tela, cm 120 x 174. Christie’s, Roma, 19 novembre 1990, lotto 99.
35 Per le varie proposte attributive che il dipinto ha avuto si veda B. Sarrazin, Catalogue raisonné des peintures italiennes dii Musée dea Beaux-Arts de Nantes. XIIIe-XVIIIe siede, Paris, 1994, pp. 276-277.
36 G. Briganti, Il mito della "finestra aperta", in G. Briganti, L. Trezzani, L. Laureati, I Bamboccianti, Roma, 1983, p. 32; prima del Briganti alla questione aveva già brevemente accennato anche il Bodart, Les Peintres des Pays-Bas Méridionaux et de la Principauté de Liège à Rome au XVIIe Siède, Bruxelles-Rome, 1970, I, p. 94: "Il est naturel de penser que Du Champ fut l’un des agents par les quels les premiers ’Bamboccianti’ entrèrent en rapport avec l’art du maitre lombard".
37 J. von Sandrart, op. cit., p. 186.
38 G.J. Hoogewerff, Nederlandsche Kunstenaars te Rome (1600-1725). Uttreksels uit de Parochiale Archieven, L’Aia, 1943, pp. 19-32, 232.
39 C.P. Landon, Galerie Giustiniani, ou Catalogne figuré des Tableaux de cette célèbre Galerie, Paris, 1812, p. 21; H. Delaroche, Catalogne Historique et Raisonné des Tableaux par les plus grands peintres des école d’Italie composant la rare et célèbre Galerie Giustiniani, Paris, 1812, n° 53.
40 Opinione espressa nel 1962 durante una conferenza all’università di Utrecht e riportata in D. Bodart, op. cit., 1970, I, p. 93.
41 G. Papi, Pedro Nuñez del Valle e Cecco del Caravaggio (e una postilla per Francesco Buoneri), in ’Arte Cristiana’, 742, 1991, pp. 39-50.
42 Il dipinto è passato all’asta Sotheby’s di Monaco del 21 giugno 1986, lotto 158, col riferimento alla cerchia di Nicolas Régnier.
Auteur
Historien de l’art, Florence.
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