1 Según Bigi, 1971, p. 110, l’Egle è «non soltanto povera di una intensa e originale vitalità etica e fantastica che renda davvero funzionali poeticamente le innovazioni e modificazioni tematiche, strutturali e stilistiche che si sono poste in rilievo, ma anche, come proposta sul piano del gusto e della tecnica, piuttosto astratta ed intellettualistica, scarsa di effettive connessioni con le concrete richieste del pubblico contemporaneo. Non sorprende quindi che il tentativo non avesse alcun seguito diretto, che nessun’altra “satira” fosse composta e rappresentata né a Ferrara né altrove»; Riccò, 2005, pp. 23-24: «come l’Orbecche la satira nasce fra i dotti, approda alle stampe, ma viene smentita dalle preferenze del pubblico delle “correnti occasioni”, e Guarini riconoscerà al Beccari il diritto di primogenitura nella moderna drammaturgia delle selve»; Szegedi, 2012, pp. 249-250: «possiamo ritenere che l’Egle sia un revival moderno del dramma satiresco greco. Siccome però il nuovo genere, la favola pastorale, sembra emarginare quello antico, restaurato in precedenza da Giraldi Cinzio […] l’Egle come unico esempio cinquecentesco del dramma satiresco è considerata generalmente nella letteratura un cul-de-sac».
2 Cf. Paganelli, 1989, p. 278: «Euripide, col suo Ciclope, crea un precedente che influenzerà la storia del teatro, sino al Poliziano, al Tasso, all’Arcadia […] Bisogna dunque ammettere che la sperimentazione euripidea ha precorso i tempi, creando un nuovo genere teatrale –il dramma pastorale o bucolico– che avrà vasta fortuna, sopravvivendo a lungo alla scomparsa dello stesso dramma satiresco attico»; p. 227: «L’Orfeo del Poliziano è, in effetti, la prima imitazione italiana di un dramma greco, fatta da un poeta che era anche finissimo grecista. Esso presenta uno ‘scenario aperto’ e personaggi simili a quelli satireschi […] Anche l’Aminta ha molto di satiresco».
3 Andrisano, 2005, p. 16.
4 Di Marco, 2000, p. 41, subraya «l’imbarazzo del retore, la sua difficoltà di individuare i tratti distintivi del dramma satiresco, di fissarne uno statuto di genere in termini chiari ed inequivoci».
5 Mancini, 1936: «la conclusione del dramma è lieta, ma l’effetto burlesco e grottesco deriva soprattutto dalla condizione in cui si trovano i Satiri, costretti spesso ad uffici ripugnanti alla loro indole, in condizioni di vita e di ambiente che contrastano con la letizia per essi sospirata del tiaso dionisiaco».
6 Cf. Paganelli, 1989, pp. 217-218: «secondo i critici il dramma satiresco non è un genere letterario vero e proprio, ma piuttosto un “sottogenere” della tragedia, una variante playful del genere tragico, secondo il noto aforisma dello Ps. Demetrio»; pp. 222-223: «il satyrikòn da cui deriva la tragedia non è quello stesso dramma satiresco attico che ci è pervenuto, ma piuttosto un suo antenato primigenio. Di conseguenza, dire che la tragedia discende dal dramma satiresco è una semplificazione».
7 Di Marco, 2000, pp. 56-57.
8 Cf. Mancini, 1936: «sono d’incerta soluzione i problemi vari e complessi che riguardano insieme l’origine della tragedia e i primordi del dramma satiresco e per i quali si sono proposte le ipotesi più disparate […] noi non conosciamo che il dramma satiresco attico, successivo al sorgere della tragedia, ma delle origini possiamo parlare solo per ipotesi».
9 Cito por Szegedi, 2012, p. 254.
10 Guarini, Il compendio della poesia tragicomica, p. 246.
11 Sansovino, 1970, p. 516.
12 Cinzio, 10v.
13 Cf. Drusi, 2013, p. 313: «non sfuggiva al Giraldi che nella preservazione d’un minimo di lascivia doveva relegarsi non solo l’ovvia smarcatura dalla tragedia, ma anche la saliente separazione dalla commedia […] nella satira, è il fallo a fare la differenza; e, sia pure dissimulato, il fallo deve dunque entrarci a forza. Siffatte conclusioni sono per così dire obbligate anche dall’archetipo Ciclope, che per la sua unicità fu per il Giraldi modello assolutamente vincolante. A esso il letterato si richiama in quel punto della Lettera dove introduce la cruciale distinzione del riso satirico da quello comico».
14 Cf. Andrisano, 2005, pp. 16-17: «Anche se la struttura dell’Egle non è un modello di coesione, tuttavia lascia trasparire costantemente l’attenzione alla scena e alla ricezione del pubblico […] il riso si affianca a terrore e compassione nel profilare il rapporto di comunicazione con il pubblico nella non dichiarata intenzione di perfezionare la ricerca del giusto mezzo, superando la dicotomia di tragedia e commedia. Il fine infelice evita lo slittamento verso la commedia, impedito anche dalla natura del coro satiresco, la cui componente divina esclude ogni elemento popolaresco, pur abbandonandosi qua e là ad espressioni ed allusioni lascive».
15 Andrisano, 2005, p. 14: «Possiamo quindi ipotizzare che G[iraldi]. volesse riportare l’attenzione sulla satira di stampo classico, proprio perché si veniva affermando il genere della “pastorale”, un genere di cui egli stesso era stato parzialmente precursore, incrociandone alcuni elementi con quelli satireschi, come si leggeva, in testa all’Egle nel componimento latino dedicato a Ercole II […], nel sonetto programmatico a Damone, pastore virgiliano invocato alla stregua della Musa […] e nella lettera a M. Bartolomeo Cavalcanti».
16 Cf. Paganelli, 1989, p. 219: «Lo spazio scenico del dramma satiresco, in antitesi a quello della tragedia e della commedia, non è uno spazio urbano, ma rustico, agreste; non è uno spazio civilizzato, ma selvaggio».
17 Cinzio, Egle, escena I.
18 Forni, 2007, p. 268, lo describe como el «genere nuovo del dramma sentimentale costruito sul confronto tra l’aggressività seduttiva dei satiri e le tenere passioni di ninfe e pastori: la graduale emarginazione del satiro libidinoso e violento corrisponde allora alla nascita di una nuova grammatica affettiva dell’eros».
19 Minturno, 1563, p. 2.
20 Recuerdo que acerca de la fundación de la «favola pastorale» se suscita una polémica entre quienes defienden la paternidad de Beccari, como Guarini, y los que la atribuyen a Tasso, como Angelo Ingegneri; cf. Migliori, 1970.
21 Bigi, 1971, p. 111.
22 Tasso, Aminta, p. 57, vv. 92-94.
23 Maier, en Tasso, Aminta, p. 93.
24 Tasso, Aminta, p. 90, v. 681.
25 Cf. Cerini, 1957, p. 458: «nel Pastor fido, oltre a quello del diletto, è un fine moralistico non confessato che domina tutta l’azione, una intenzione polemica contro l’Aminta, al cui precetto: “Se piace lice”, ribadito dal Tasso in sonetti e nella Gerusalemme, è contrapposto: “Piace, se lice”, che pare correzione controriformista di un ammonimento rinascimentale»; Alonge: 1971, pp. 381-382: «Un sottile clima controriformista circola nell’opera guariniana. […] E un’atmosfera inquietante, da Inquisizione diremmo quasi, emerge da talune battute dei personaggi, soprattutto del sacerdote Nicandro, duro e spietato nel dialogo con Amarilli condotta a morte. Questo spirito della Controriforma vive non solo nella morale sessuale repressiva di cui si fa portavoce, non a caso, il severo Nicandro, ma anche in certo gusto sottilmente casistico»; Forni, 2007, p. 269.
26 Guarini, Il pastor fido, acto I, escena II, p. 85.
27 Guarini, Il pastor fido, acto II, escena VI, p. 142.
28 Leoni, Roselmina, pp. 65-66.
29 Paganelli, 1989, p. 236.
30 Según Gerhardt, 1975, p. 155, «La pastorale dramatique du type italien ne réussissait pas, en Espagne, à intéresser profondément auteurs et spectateurs. Elle était incompatible avec l’esprit même du théâtre espagnol, et ses conceptions étaient trop différentes de celles de la pastorale nationale pour qu’elle eût pu profiter de la vogue bien établie de celle-ci»; sin embargo, el panorama italiano del teatro pastoril es mucho más complejo de lo que resulta en la síntesis ofrecida por dicha autora.
31 López Pinciano, Philosophía Antigua Poética, III, «Epístola doce», pp. 241-242 [he modernizado la grafía].
32 Caramuel, Primus Calamus, p. 300.
33 Carvallo, Cisne de Apolo, «Diálogo Tercero», p. 287.
34 Valle Ojeda, 2013, respectivamente, pp. 645,647 y 669.
35 Cf. Antonucci, 1995, p. 21: «Muchos de los rasgos que definen al salvaje en las tradiciones populares, guardan sorprendentes parecidos con la imagen mítica de seres divinos o semidivinos del panteón griego y latino. Se trata, en todos los casos, de divinidades relacionadas con el culto de la fecundidad y de la vegetación: Silenos y Sátiros, semidioses griegos con patas de cabra y cuerpo velloso, que pertenecían al cortejo de la Gran Madre, y al séquito triunfal de Dionisos».
36 Turia: «Apologético de las comedias españolas», p. 180.
37 En Rozas, 1976, p. 192, vv. 341-344.
38 Vega, Laurel de Apolo, Silva IX, p. 266.
39 Riccò, 2011, p. 96.
40 Ed. d’Artois en IDT.
41 Leoni, Roselmina, p. 6.
42 Véase Trambaioli, 2010b, pp. 1351-1360.
43 Cf. Trambaioli, 2010b, p. 1359, nota 66: «Sabido es que en la commedia dell’arte se enfrentan cómicamente dos criados antitéticos: uno inteligente y astuto, y otro simple e ingenuo, el cual resulta siempre víctima de las bromas del primero. Es patente que Cardenio y Bato se moldean sobre este paradigma».
44 Vega, La Arcadia, respectivamente, pp. 130 y 131.
45 En la comedia Lope no hace sino desarrollar un motivo ya utilizado en su homónima novela pastoril invirtiendo la responsabilidad de la broma; en el libro V la sabia Polinesta le deja echar a Rústico una suerte para saber qué mujer tendría, y el pronóstico risible le anuncia un matrimonio desdichado con una mujer soberbia (Vega, Arcadia, pp. 402-403).
46 Vega, La Arcadia, p. 131.
47 Vega, La Arcadia, pp. 132-133.
48 Por ejemplo, en el acto II, logrando despachar a Anarda una muda para el rostro hecha con polvo de estiércol de cabras, comenta «no hay discreta / que no sea necia» (pp. 144-145).
49 Vega, La Arcadia, p. 133.
50 Cf. la siguiente acotación que acompaña el juego dramático: «Oyense dentro voces de ¡guarda el lobo! y sale Bato, vestido de lobo, y dan los pastores tras de él a palos y con hondas; éntranse por un lado y salen por otro» (Vega, La Arcadia, p. 161).
51 Selmi, en Guarini, Il pastor fido, pp. 428-431, propone como patrón de este hilo argumental de la tragicommedia un episodio sacado de la novela bizantina Dafnis y Cloe de Longo.
52 Vega, La Arcadia, p. 140.
53 Vega, La Arcadia, p. 140.
54 Trambaioli, 2011, p. 507.
55 Vega, La Arcadia, p. 141.
56 Trambaioli, 2010b, pp. 1357-1358: «en la dimensión metateatral de la secuencia analizada de La Arcadia el simple Bato resulta ser una acabada parodia del poeta culterano (“lobo nuevo”), mientras Cardenio destaca como máscara dramática de Lope. Éste, de hecho, desde el espacio peculiar del espectáculo teatral cortesano puede lanzar dardos envenenados a sus enemigos literarios, quienes, por contra, no tienen acceso al mismo. Mediante semejante estrategia, el madrileño intenta presentar al distinguido auditorio la faceta más brillante de su propio personaje, en este caso la del poeta más exitoso de la época defendiendo la tradición poética castellana. Lo corrobora otro fragmento anterior al de la secuencia comentada, en que Cardenio, dirigiéndose en aparte al ilustre público, entreteje un elogio de su persona que es preciso leer en este sentido metateatral».
57 Manuel Vallejo la representa en febrero de 1676; Shergold y Varey, 1982, pp. 71-75, han publicado las cuentas relativas a los gastos de esta representación palaciega del Pastor Fido junto con Del mal lo menos, Los tres mayores prodigios y la comedia burlesca El caballero de Olmedo con motivo del Carnaval de 1676; Agustín Manuel de Castilla la pone en escena repetidamente el 22 de mayo de 1687 en el Buen Retiro, el 11 y el 27 de agosto del mismo año en el Salón Dorado, y el 11 de diciembre de 1691 en los apartamentos de la Reina (Subirats, 1977, p. 464); en Trambaioli, 2010b, p. 1369, sugiero que la pieza escrita en colaboración pudo componerse para festejar las segundas nupcias del rey Felipe IV: «Si es que cabe leer en clave coyuntural El pastor fido, el único matrimonio regio que se celebra en España entre la década de los treinta y el principio de los años cincuenta del siglo XVII –es decir, respectivamente la época en que se ponen de moda las comedias de consuno y el terminus ad quem del Pastor fido, o sea el 20 de octubre de 1652, fecha de la muerte de Coello– es el de las segundas nupcias de Felipe IV con su sobrina, Mariana de Austria. La hija de la infanta doña María y del emperador Fernando III hace su entrada triunfal en Madrid en 1649 y una relación anónima de los festejos indica que entre muchas diversiones, “se hizieron tres comedias a sus majestades en el Salón Dorado”».
58 Solís, Coello, Calderón, El pastor fido, p. 489.
59 Solís, Coello, Calderón, El pastor fido, p. 489.
60 Solís, Coello, Calderón, El pastor fido, p. 493.
61 Cf. López Estrada, 1989, p. 540: «La escena en que él y Corisca remedan la voz del oráculo en su provecho cuando acuden unas inocentes pastoras y un “honrado venterillo” es enteramente un pasaje cómico (502-504) que podría traspasarse a un sainete».
62 Solís, Coello, Calderón, El pastor fido, p. 497.
63 Artois, 2014, p. 146; sintetizando los rasgos de la fábula satírica, la estudiosa comenta: «Es evidente la coincidencia de El marido más firme – y, aunque no opte por un final feliz, de La bella Aurora– con esos criterios. En particular, las menciones explícitas de sátiros en ambas obras supone una filiación directa con este preciso género y no sólo con su descendencia pastoril».
64 Vega, La bella Aurora, p. 195.
65 Vega, La bella Aurora, p. 199.
66 Vega, La bella Aurora, p. 204.
67 Artois, 2014, p. 135.
68 Cf. Trambaioli, 2015.
69 Vega, La bella Aurora, p. 198.
70 Vega, La bella Aurora, respectivamente, pp. 227 y 230.
71 Vega, El Amor enamorado, pp. 243-244: «[...] tiene el lomo, / que de conchas no se ve. / ¿No habéis visto la corteza / de un jaspe? Tal es la piel, / como que arrojó el pincel / sobre la naturaleza; / como murciélago son / las alas, y llenas de ojos / verdes, dorados y rojos, / sin ser ruedas de pavón / [...] / un pedregoso barranco / es la frente, y tien por crin / las cerdas de un puerco espín / labradas de negro y branco; / la nariz como guadaña, / y los ojos dos incendios / cercados de escolopendrios / en vez de ceja y pestaña».
72 Vega, El Amor enamorado, p. 263.
73 Vega, El Amor enamorado, p. 264.
74 Vega, El Amor enamorado, p. 267.
75 Vega, El Amor enamorado, p. 266.
76 Vega, El Amor enamorado, p. 275.
77 Di Marco, 2000, p. 57.
78 Calderón, El golfo de las sirenas, p. 119 [he modernizado la grafía].
79 Calderón, Eco y Narciso, p. 1915: «¡Ay hija del alma mía! / Deja que una vez y mil / tu cuello enlace. Yo soy / Sileno; y pues merecí / a la que muerta lloré, / viva abrazar, ver y oír, / venga la muerte, pues ya / no tengo más que vivir».
80 Calderón, Eco y Narciso, p. 1927.
81 Calderón, Apolo y Clímene, respectivamente, pp. 1856 y 1859.
82 Calderón, Fieras afemina amor, p. 108, vv. 1384-1385.
83 Calderón, Fieras afemina amor, p. 207, respectivamente, vv. 4004-4005 y 4012-4013.
84 Porteiro Chouciño, 2010, p. 15.