La proprietà frazionata nella gestione immobiliare di un ente monastico pisano (secoli XII-XIII1)
p. 169-184
Résumé
La quotazione di ampie porzioni di suolo e la loro assegnazione in livello con l’impegno, da parte dei concessionari, di costruirvi a proprie spese le loro case d’abitazione, fu una pratica assai diffusa tra i maggiori proprietari terrieri cittadini del XII secolo, in larga parte enti ecclesiastici. In tale attività di promozione dell’insediamento si distinse il monastero di S. Michele in Borgo, favorevolmente ubicato in Foriporta, l’antico sobborgo a est della civitas precomunale. Attraverso le carte del suo archivio vediamo come, nell’ambito soggetto alla sua influenza, l’incremento edilizio più consistente possa considerarsi compiuto entro il XII secolo. Ma non per questo gli abati rinunciarono a controllare, nel Duecento, la fetta di popolazione con la quale intrattenevano un rapporto livellario. Anzi, il frequente ricambio di proprietari di superficies consentiva di rinnovare patti e impegni, oltre ad offrire al monastero ulteriori introiti provenienti dalla riscossione di percentuali sui prezzi delle vendite e dal pagamento di un diritto di entratura da parte di coloro che subentravano ai precedenti concessionari nei livelli. D’altro canto la mobilità degli abitanti è indizio della perdurante vitalità di tale formula. C'era dunque richiesta di questo genere di soluzione abitativa da parte di esponenti del variegato mondo degli artigiani, anche se non è possibile cogliere le motivazioni di così ricorrenti trasferimenti di proprietà, salvo nei rari casi in cui una vendita appare esplicita conseguenza di difficoltà finanziari del proprietario, oppure l’acquisto risulta compiuto da un personaggio recentemente immigrato in città.
Texte intégral
1Le prime attestazioni di ‘proprietà frazionata’ fanno la loro comparsa nella documentazione pisana non prima del terzo decennio del secolo XII, in relazione con la politica patrimoniale di alcuni monasteri suburbani che, inaugurando un modulo destinato a ottenere larga affermazione, avevano iniziato a concedere in livello ad domum elevandam porzioni di suolo poste in zone ancora scarsamente abitate. La notizia più antica riguarda il cenobio benedettino femminile di S. Matteo, ubicato all’estremità orientale di Foriporta, nei cui pressi un privato vendette, nel 1121, «omnem edificium de duabus casis» costruite su terreno livellario dell’ente, insieme con «omne ius et hactionem» che sulla terra aveva da parte di S. Matteo1. E accanto a questo documento, che testimonia una fase già piuttosto avanzata dell’opera di promozione edilizia del monastero2, altri non mancano di informarci sulla prima concessione di una parcella ad domum edificandam, come quelli degli anni quaranta relativi ad iniziative dei monasteri di S. Michele in Borgo e di S. Vito, rispettivamente a est e a ovest della civitas3.
2Il fenomeno, che in questo iniziale arco di tempo pare mantenere un carattere di sporadicità, si diffuse rapidamente nella seconda metà del secolo, allorché la costruzione della cinta muraria comunale (iniziata nel 11554) inglobò nel nuovo perimetro urbano ampi settori dell’antico suburbio, dove si estendevano i patrimoni fondiari di alcuni tra i principali enti ecclesiastici cittadini e dei maggiori proprietari laici. Se per quest'ultima categoria le fonti lasciano soltanto intravedere il peso svolto nell’incremento insediativo delle rispettive aree di influenza (non disponiamo che di informazioni indirette, come le menzioni di edifici costruiti dai livellari fomite dalle indicazioni confinarie o dagli acta di documenti5), ben più eloquenti esse appaiono a proposito della politica patrimoniale svolta da priori ed abati, cui la disponibilità di vaste estensioni di suolo nelle zone più favorevoli consentiva di far fronte alle richieste di spazi abitativi provenienti da una popolazione cittadina in costante crescita e di valorizzare, al contempo, le proprietà degli enti a cui erano preposti6.
3Quotizzando i suoli e assegnando in livello singoli lotti edificabili con l’impegno, da parte dei concessionari, d’innalzarvi sopra a proprie spese le loro case d’abitazione, essi offrivano infatti a una cospicua fetta della popolazione (per lo più artigiani, non di rado immigrati dal contado) l’opportunità di divenire proprietari a pieno titolo della superficies/hedificium domus (questi i termini indifferentemente usati dalle fonti per indicarne la particolare condizione giuridica) costruita. Vi erano però alcuni vincoli che il concedente poteva imporre al concessionario, oltre alla generica richiesta d’impegno ‘ad meliorandum’, come un controllo sulle caratteristiche costruttive dell’edificio, soprattutto in materia di aperture di porte e finestre, o il diritto di prelazione in caso di vendita di esso, coniugato talvolta con la richiesta di un prezzo di favore. Altro vantaggio per il proprietario del terreno era l’eventualità che un livellario insolvente si vedesse costretto ad obbligare (con il rischio di perderla) la sua superficies domus fino all’estinzione del debito, senza contare l’evidente incremento del valore dei suoli legato alla disponibilità di strutture murarie sul confine di lotti adiacenti, che si trovavano così parzialmente attrezzati per un’ulteriore espansione edilizia.
4Il controllo dell’ente non si limitava però agli immobili, ma si estendeva anche alle persone che li occupavano. Così, i nuovi abitanti venivano immediatamente inquadrati entro la circoscrizione parrocchiale nei cui confini andavano a risiedere, e nel contratto di livello dovevano impegnarsi a frequentare in vita quella determinata chiesa, nonché ad eleggerla come luogo di sepoltura per se stessi e per i propri familiari ed eredi. In questo modo, l’operato patrimoniale dei proprietari ecclesiastici veniva a collegarsi strettamente con l’organizzazione della cura d’anime, che si stava definitivamente assestando proprio nei medesimi anni7.
5Fin qui si è presentato un quadro sintetico della situazione, così come è stata da me ricostruita in una più ampia indagine sulla topografia e l’insediamento a Pisa fino al XII secolo. Per la nostra tavola rotonda, ho ritenuto opportuno spostare l’attenzione sul Duecento, allo scopo di verificare nel tempo la tenuta di questo rapporto contrattuale che, con vantaggi reciproci, legava proprietari del suolo con proprietari dell’edificio sovrastante. Il notevole aumento, per tale epoca, della mole dei documenti ha imposto la rinuncia a indagare sistematicamente l’intero ambito urbano, consigliando il ricorso a un osservatorio privilegiato dal quale esaminare questo particolare tipo di gestione patrimoniale. E la scelta è caduta su uno dei più importanti monasteri pisani, il cenobio benedettino (poi camaldolese) di S. Michele in Borgo, cui si riferisce – tra l’altro – il materiale più interessante anche per il XII secolo.
6Voluto da un laico che a tal scopo si era rivolto al monaco Bono di Nonantola, il monastero era stato fondato nel 1016 su di una preesistente chiesa dedicata all'arcangelo posta immediatamente fuori di Porta Samuel, il principale accesso urbano che si apriva nel lato est delle mura. Qui, nel settore che significativamente non avrebbe tardato a denominarsi Foriporta, era in corso proprio in quegli anni l’espansione più consistente dell’abitato oltre il perimetro della civitas precomunale (il burgus per eccellenza), scandita-appunto a partire dal 1016-dalla comparsa di nuove chiese e di ulteriori fondazioni monastiche.
7Di tale evoluzione insediativa il monastero di S. Michele fu protagonista di primo piano sin dalle sue origini, come apprendiamo dal Memoriate al quale Bono, fondatore e primo abate, affidò il ricordo del proprio operato trentanni dopo la trasformazione della primitiva chiesa in cenobio benedettino. In quest’arco di tempo, con interventi graduali che di volta in volta avevano dovuto fare i conti con le disponibilità finanziarie del momento, il complesso monastico aveva assunto un così bell’aspetto «ut in tota marcha melior non est», mentre l’esigua dotazione fondiaria delle origini si era notevolmente accresciuta grazie a pie donazioni e a un'oculata politica di acquisti, proseguita anche dai successori di Bono8.
8Così, se la presenza monumentale dell'ente aveva certamente elevato la qualità dell’ambiente (Bono, al suo arrivo, non aveva trovato per abitare altro che un ‘tugurium’), l’incremento del patrimonio immobiliare pose ben presto i monaci di S. Michele in condizione d’incidere profondamente sullo sviluppo insediativo di un ampio settore del suburbio orientale, dove furono in grado di soddisfare le richieste di spazi abitativi nei termini che si sono indicati, e provvidero alle necessità spirituali dei nuovi gruppi di fedeli fondando cappelle dipendenti per una più capillare attività pastorale e di assistenza nelle aree più marginali. Entro il 1095 i monaci eressero in località a la Rivolta, ai limiti della Civitate vetera (la zona dove fino a qualche decennio prima erano ancora in vista le rovine di monumenti romani), la chiesa di S. Lorenzo, con annesso ospedale, mentre nel 1102 – per iniziativa dei medesimi – fu costruita S. Cecilia, su un terreno donato dai Visconti9. Su entrambe le chiese il monastero avrebbe in futuro esercitato lo ius patronatus: per intero sulla prima, condiviso con i membri della domus Vicecomitum sulla seconda; e più tardi avrebbe esteso il proprio controllo anche su S. Iacopo de Mercato, antica chiesa che sorgeva a pochi passi da S. Michele, nel cuore commerciale della civitas comunale, nonostante essa fosse sottoposta sin dal XII secolo al patronato della famiglia consolare dei Casalberti10.
9È in questo territorio, nei confini di ambiti parrocchiali legati tra loro da precisi vincoli ecclesiastici (monastero e cappelle dipendenti) e adiacenti dal punto di vista topografico, che si concentrava il vasto patrimonio immobiliare di S. Michele in Borgo al quale si rivolge la nostra attenzione11.
10Ma è il momento di entrare nel vivo dell’argomento per verificare, attraverso la documentazione che l’archivio monastico ci ha trasmesso, se proseguisse nel Duecento la politica di promozione edilizia inaugurata dagli abati negli anni quaranta del XII secolo e intensificata dopo il 1155, all’indomani della costruzione delle mura comunali che avevano inglobato quell’ampio territorio foris portam facente capo all’ente; e inoltre, per stabilire se le concessioni livellarie di allora continuassero a essere tenute sotto controllo; infine, per accertare se nel tempo-e in contesti abitativi di differente qualità-fossero intervenuti orientamenti diversi nella gestione del patrimonio immobiliare dell’ente. A disposizione, per rispondere a questi interrogativi, abbiamo il Diplomatico S. Michele in Borgo, conservato nell’Archivio di Stato di Pisa, la cui consistenza è, per il secolo XIII, di oltre trecento pergamene. Utilizzeremo poi, dal medesimo archivio, un registro di Contratti stipulati dagli abati del monastero nei primissimi anni del Trecento (1303-1309 st. pis.)12: la più antica fonte che presenti un quadro d'insieme dell’amministrazione del patrimonio (sia urbano sia rurale) dell’ente.
11Il settore urbano in cui si esercitava il raggio d’azione di S. Michele in Borgo si presentava, alle soglie del Duecento, in una fase di organizzazione avanzata. L’occupazione dello spazio era ormai capillare nei luoghi del più antico insediamento: qui, «prope ecclesiam sancti Michaelis» come «in cappella sancti Iacobi de Mercato», erano praticamente inesistenti i lotti di terreno ancora da edificare, e le abitazioni si affiancavano addossate le une alle altre, non di rado costruite con un muro in comune. Nelle maglie di un tessuto urbano così fitto, attraversato da assi stradali di primaria importanza come la via di Borgo, asse centrale della città che sboccava sul Ponte Vecchio, o la via de Fundaco (odierna via Rigattieri?) e solcato all’interno da un reticolo di chiassi e chiassetti, s’inserivano torri e domus di privati, per lo più membri di famiglie dell’aristocrazia consolare 13. Ma il maggior proprietario era il cenobio camaldolese, che nel corso del secolo XIII continuò ad incrementare il suo patrimonio nelle immediate vicinanze del complesso monastico come più distante14. Il nucleo più consistente della proprietà si era però costituito da tempo, così come da tempo era compiuta l’opera di promozione edilizia finalizzata alla costruzione di case d’abitazione da parte dei livellari sui terreni del monastero: un’iniziativa che sembra esclusiva di S. Michele sia nei confini della propria parrocchia sia nella vicina cappella di S. Iacopo, poiché esclusivamente «super terrain ecclesie sancti Michaelis» sono attestate tali superficies domus (una ventina), tutte già edificate al momento in cui le conosciamo15.
12Anche per le cappelle più periferiche di S. Cecilia e di S. Lorenzo alla Rivolta non possediamo alcun contratto duecentesco relativo a nuove costruzioni. Ciò può trovare forse spiegazione nel fatto che la prima, più consistente occupazione del suolo nei loro confini doveva essersi conclusa entro il secolo precedente: è infatti dell’anno 1200 la ricostruzione in forme più ampie («maioribus circuitibus murorum») del primitivo edificio ecclesiale di S. Lorenzo, resa necessaria «propter frequentiam et multitudinem populi»16. E di tale fase di popolamento era stato protagonista ancora una volta il nostro monastero, come attesta la presenza di numerose superficies o hedificia domus sui suoi terreni17.
13Tuttavia – in linea con la tendenza più generale-un ulteriore incremento demografico dovette registrarsi anche nei primi decenni del Duecento, come del resto suggerisce anche l’ampliamento dell’area cimiteriale di S. Lorenzo alla metà del secolo18. Né mancavano, in questo settore della città, aree vuote disponibili: terreni non ancora edificati s’incontrano in confinanze, per lo più in cappella di S. Lorenzo (appartenevano in genere a privati19), mentre non di rado le abitazioni risultano corredate da spazi variamente utilizzati («cum fructibus», «cum pergulis» oppure tenuti a orto20) o più semplicemente affiancate da ‘terra vacua’21). Ma di una eventuale azione di S. Michele in Borgo in questa fase di crescita non si conserva traccia nei documenti d’archivio, se si esclude l’indizio di un recente cambio di destinazione d'uso fornito dalla precisazione «ubi fuit ortus» a proposito del suolo sottostante due superficies, rispettivamente a S. Cecilia e in cappella di S. Lorenzo22. D’altra parte si è già notato come i terreni non edificati appartenessero in maggioranza a privati, tutti piccoli proprietari, mentre al contrario i terreni monastici appaiono occupati da un fitto reticolo di superficies. E quando in pieno Duecento si ha notizia, nei confini di S. Cecilia, di «terra monasterii super qua est casalinum domus» del livellario23, sarà bene interpretare il termine casalinum – che a Pisa sta a indicare la presenza di strutture edilizie di diversa consistenza e perciò di natura indefinita, parti di fabbricati non ancora portati a compimento ma anche avanzi di costruzioni deteriorate24 – in quest’ultimo significato, per rapporto alla vetustà dell’edificio in questione. Del resto espressamente, nel 1281, all'atto di acquistare un «hedificium sive superficiem» in cappella di S. Lorenzo, l’abate Guido scomputò dal prezzo che doveva versare ai venditori una somma corrispondente alla stima di un edificio più antico «quod erat super dicto terre petio ante hedificationem sive constructionem huius hedificii quod venditur»25: altro indizio che dalla prima occupazione di quei suoli era passato un bel pò di tempo.
14Sembra, in conclusione, che l’azione capillare di promozione dell’incremento edilizio da parte del maggior proprietario della zona si fosse già compiuta in precedenza: un dato che dovrebbe trovare conferma anche in altri settori di Pisa dove la documentazione duecentesca, pur cospicua, dà notizie di un gran numero di superficies/hedificia domus esistenti sui patrimoni dei principali enti ecclesiastici o delle maggiori famiglie cittadine, ma non registra quasi mai contratti finalizzati a nuove costruzioni26, se non in luoghi molto marginali e solo di recente acquisiti all’abitato. A tali requisiti rispondeva, ad esempio, il settore più occidentale della città occupato dal Paludozeri (un’ampia estensione di suolo ancora acquitrinoso nella matura età comunale, e sistematicamente abitato solo dal secolo scorso), dove nel 1244 era prevista la costruzione di un edificium su terreno allivellato da privati proprietari, in buona posizione lungo la «viam qua itur ad ecclesiam sancti Leonardi de Pratoscello et usque ad ecclesiam sancte Marie Maioris», la Cattedrale27.
15Esaurita la forte spinta che nel secolo XII aveva affollato di superficies i suoi terreni, il monastero di S. Michele in Borgo non rinunciò però ad incidere sul profilo abitativo delle circoscrizioni soggette, continuando a controllare strettamente, anche nel Duecento, quella fetta di popolazione che intratteneva con l’ente rapporti livellari. È questo il dato più interessante che emerge dalla documentazione consultata, costituita-per il tema che qui interessa-in parte da nuove concessioni livellarie di suolo susseguenti un cambiamento di proprietà del sovrastante edificio d’abitazione.
16Contratti di questo tipo, pur se non numerosi, sono distribuiti in modo abbastanza omogeneo nell’arco del secolo28; e ad essi dobbiamo aggiungere anche quei patti livellari (per noi perduti) corrispondenti ad altrettanti trasferimenti di proprietà delle costruzioni che l’archivio monastico ci ha trasmesso29. Rispetto alle concessioni più antiche, queste duecentesche presentano più precisi dettagli riguardo alle future vicende patrimoniali dell’edificio costruito sul terreno concesso. Restava fermo, in caso di decisione del proprietario di alienarlo a titolo oneroso, il diritto di prelazione dell’abate di S. Michele, anche se scompariva ogni accenno a un prezzo di favore: l’eventuale vendita al monastero, infatti, sarebbe stata regolata «pro eo pretio quod in ventate ab alio vel aliis haberi posset», non di più né di meno. Passati i giorni stabiliti dal momento della «inquisitio de emendo» (quindici, nei casi in cui sono specificati), se il monastero non era interessato all’acquisto veniva data licenza al proprietario di vendere la sua superficies unitamente allo ius libelli, con l'obbligo però di corrispondere all’abate una percentuale sul prezzo della vendita, fissata in maniera stabile nella misura di dodici denari «per singulam libram totius pretii». Quanto al nuovo proprietario della superficies, subentrato al precedente nel livello, il censo richiestogli dal monastero sarebbe rimasto invariato («sicut habere inde debet et consuevit»), ma era previsto per lui l’esborso di una somma «pro intratura hedificii» ugualmente calcolata in dodici denari per ciascuna lira del prezzo pagato30.
17Regole così puntuali, enumerate in previsione di situazioni future, dovettero trovare in generale applicazione nella prassi: nel 1263 (solo per fare un esempio), inquisito «ut [...] emat [...] unum hedificium sive superficiem domus positum super uno petio terre suprascripti monasterii in capella sancte Cecilie», l’abate Savino («nolens [...] emere») concesse al proprietario «licentiam [...] vendendi» e infine, a transazione avvenuta, riscosse dal nuovo livellario la somma dovuta «pro intratura suprascripti hedificii»31. Gli amministratori dell’ente vigilavano poi con attenzione sul rispetto degli impegni: così nel 1296 richiesero, a un livellario insolvente, la confessione di dover ancora versare dodici lire «restantes solvi [...] de summa librarum sedecim pro intratura locationis libelli» relativa a una terra del monastero posta in cappella di S. Lorenzo alla Rivolta32. Situazioni d’inadempienza riportavano talvolta nelle mani degli abati costruzioni sorte su terre livellarie33, operazione che però avveniva più spesso tramite regolare atto d’acquisto34. Ancora, la superficies poteva pervenire in proprietà del monastero alla scadenza del livello, e in questo caso l’ente-se intenzionato a comprare («paratus emere»)-era tenuto a versare il «pretium quod extimatum fuerit pro opere destructo», vale a dire il prezzo di stima dei materiali35. Ciò è puntualmente riscontrabile in due assegnazioni giudiziarie (del 1259 e del 1260) che immisero il sindaco di S. Michele in Borgo nel possesso di altrettante superficies, rispettivamente in cappella di S. Lorenzo e in cappella di S. Cecilia, imponendogli però di pagare il prezzo dovuto «pro opere destructo» ai fide-commissari dei defunti superficiarii36.
18L’attiva politica patrimoniale già seguita dall’ente in precedenza continuava dunque nel Duecento, fruttando – attraverso pie elargizioni37 ma più frequentemente tramite compere – un generale incremento della proprietà immobiliare. In qualche circostanza gli acquisti furono mirati a un preciso progetto di ristrutturazione del complesso monastico, come quando tra il 1278 e il 1280, in vista dell’ampliamento del chiostro, l’abate Guido acquistò diversi fabbricati contigui (torri e domus) allo scopo di conservare «religionem et honestatem in eo» (cioè nel chiostro) impedendone la visuale a occhi estranei, ma anche per evitare la possibilità di «descensus super tecta domorum claustri» da parte di «personas mares et feminas»38.
19In occasioni come queste, che richiedevano forti esborsi di danaro, poteva darsi l’opportunità di alienare beni più marginali: e infatti, dell’ammontare totale del prezzo dovutogli (450 lire di moneta pisana), uno dei venditori riscosse effettivamente cinquanta lire, mentre per la restante somma ebbe «in solutum» un appezzamento di terra «cum domo super se» nella parrocchia di S. Lucia dei Cappellai, più a est di S. Cecilia39. È interessante notare che, neanche due mesi più tardi, pagando altre cento lire l'abate rientrò in possesso del terreno, mentre la domus sovrastante – ora definita superficies – restava nelle mani del venditore a garanzia della cifra ancora da percepire40. Evidentemente riunite nel passato, proprietà del suolo e proprietà dell’edificio tornavano a frazionarsi – come era nelle parcelle di confine, costituite da «terrae monasteri super quibus sunt hedificia» dei livellari –consentendo all’abate di procurarsi un’ulteriore dilazione di pagamento. Altre volte poteva essere la vendita di una di queste case d'abitazione, in precedenza acquistata dai monaci, ad assicurare liquidità: ciò accadde, per esempio, nel 1259 allorché – per realizzare alcuni lavori di muratura, e in particolare per il rifacimento del coro della chiesa («pro [...] necessitatibus oportunis in opere chori ecclesie [...] monasterii quod refici debet») – fu venduta una superficies domus posta «super uno petio terre suprascripti monasterii in capella sancti Michaelis de Burgo»41.
20Si trattava indubbiamente di beni dotati di una grande commerciabilità, come sta a dimostrare il consistente numero di transazioni che li riguardarono: superficies vendute dai proprietari al monastero di S. Michele42, che a sua volta compare in veste di venditore43; e superficies alienate a vario titolo tra privati (permutate44, donate45, cedute come garanzia fondiaria46, o più spesso vendute: in questo caso con licenza dell’abate47). Ne risulta un quadro di notevole mobilità degli abitanti, confermato indirettamente anche dalla presenza, in talune indicazioni confinarie, di espressioni del tipo «hedificium ohm... » o «hedificium quod fuit...» che rimandano senza dubbio a un avvenuto cambiamento di proprietà.
21Più difficile è stabilire circostanze e motivazioni di tale ricambio, salvo nei rari casi in cui una vendita appare esplicita conseguenza di difficoltà finanziarie del proprietario48, oppure (altra situazione chiara) l’acquisto risulta effettuato da persona recentemente immigrata in città49. In generale, appartenendo la maggioranza degli occupanti al variegato mondo degli artigiani50, si può pensare che tale soluzione abitativa si presentasse come la più accessibile tra quelle offerte dal mercato immobiliare cittadino, e venisse considerata una sorta di soluzione transitoria in attesa di sistemazione definitiva: forse in vista dell’acquisto di una proprietà piena (corrispondente all’espressione «petium terre cum domo»). Va poi messo in conto che per personaggi di ceto sociale più elevato la compravendita di superficies domus doveva rappresentare pura speculazione economica: così dobbiamo pensare, ad esempio, per Albizzo del fu Caldera, appartenente a un ramo della famiglia consolare dei Casapieri, che nel 1232 effettuò con la moglie di un vinaio una permuta riguardante due contigue superficies in cappella di S. Iacopo de Mercato51, e forse anche per un paio di sensali proprietari di superficies in S. Michele in Borgo nel 1239 e nel 124552. In questi casi c'è naturalmente da considerare la probabilità (non documentata, però, nell’area qui indagata) che le case non venissero utilizzate in proprio, bensì concesse in locazione a terzi.
22Tutto ciò è sintomo della perdurante vitalità di tale genere di gestione patrimoniale, che il monastero perseguì per tutto il Duecento e oltre, come appare dal volume di Contratti rogati tra il 1303 e il 1309 già citato in precedenza53. Sui quasi centocinquanta atti ivi registrati, infatti, circa la metà è costituita da concessioni livellarie aventi per oggetto «unum petium terre suprascripti monasterii super quo est hedificium sive superficies» del livellario, riguardo a cui si era verificato un trasferimento di proprietà54. Le clausole appaiono invariate rispetto ai contratti del secolo precedente, ivi incluso il computo delle somme di danaro dovute al monastero da venditore e acquirente della superficies55. Si nota, in più, il divieto di alienare, a qualsivoglia titolo, l'edificio a favore di una chiesa o ospedale o altro luogo religioso o di nobili persone: una clausola – per dirla con le parole del Solmi – «conforme alle proibizioni delle più antiche enfiteusi ecclesiastiche»56, la cui comparsa potrebbe essere connessa con più severe misure di controllo sui beni di proprietà delle chiese57.
23Soltanto in una zona dell’ambito considerato gli orientamenti patrimoniali del cenobio camaldolese appaiono cambiati: nella cappella di S. Iacopo de Mercato e, al confine con quella, nello spazio più vicino allo stesso S. Michele. Qui, nel centro commerciale della città, prevalgono – in questi inizi del Trecento – i contratti di locazione a breve termine (in generale della durata di tre anni, più raramente di uno o di due, una sola volta fino a dieci) relativi sia ad appezzamenti di terreno «cum domo» sia a porzioni di fabbricato (uno o due piani d’abitazione, o una apotheca)58. In questo settore urbano, dove le attività economiche prevalevano sull’impianto abitativo e una parte dei residenti – accanto alle famiglie nobili presenti da tempo – era costituita da operatori forestieri di passaggio a Pisa (qui si trovavano diversi fondachi: termine con cui i Pisani, secondo Salimbene, definivano una «domum ad hospitandum» mercanti e merci straniere59), si direbbe che un precedente frazionamento di proprietà di suolo e di edificio si fosse riunificato, a tutto vantaggio del monastero.
Notes de bas de page
1 1121 febbraio 9, [Pisa] (ACP, Dipl., n. 380, ed. I. Baldi, Le pergamene dell’Archivio capitolare di Pisa dall’8 febbraio 1120 al 9 giugno 1156, tesi di laurea, Pisa, a.a. 1962-1963, rel. O. Bertolini, n. 4). Sul monastero, e in particolare sul ruolo da esso svolto a livello insediativo nel territorio circostante, cfr. G. Garzella, Pisa com’era: topografia e insediamento dall’impianto tardoantico alla città murata del secolo XII, Napoli, 1990 (Europa mediterranea. Quaderni, 6), p. 77-78, 133-134.
2 L’inizio dell’operazione non dovrebbe però risalire molto indietro nel tempo: se infatti risultano già allivellati anche due degli appezzamenti di terra confinanti con il nostro, non pare che su di essi fossero ancora stati costruiti edifici.
3 Per S. Michele: 1143 marzo 16, [Pisa] (ASP, Dipl. S. Michele in Borgo, ed. G. Viviani, Le pergamene dell’Archivio di Stato di Pisa dal 18 giugno 1129 al 9 febbraio 1145, tesi di laurea, Pisa a.a. 1964-1965, rel. C. Violante, n. 59); per S. Vito: 1145 ottobre 1, [Pisa] (ed. S.P.P. Scalfati, Carte dell’Archivio della Certosa di Calci, 2 (1100-1150), Roma, 1971 (Thesaurus ecclesiamm Italiae, VII, 18), n. 95) e 1148 marzo 9, [Pisa] (ibid., n. 101). I documenti sono ampiamente illustrati in Garzella, Pisa com'era, p. 130 e 144.
4 Sulla fondazione e sulle prime fasi di costruzione delle mura abbiamo la testimonianza del cronista pisano Bernardo Maragone, osservatore diretto e attento degli avvenimenti di questi anni: Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, in Rerum Italicarum Scriptores, 2a ed., VI/2, Bologna, 1936, p. 16-18, 20, 23.
5 Cfr. in proposito G. Garzella, Ceti dirigenti e occupazione dello spazio urbano a Pisa dalle origini alla caduta del libero Comune, in I ceti dirigenti nella Toscana tardo comunale, Atti del III Convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana (Firenze, 5-7 dicembre 1980), Monte Oriolo (FI), 1983, p. 237-269, in particolare p. 256-257; Ead., Pisa com'era, p. 212-217.
6 Per un esame più approfondito di modalità ed esiti di tale politica patrimoniale entro il XII secolo si rimanda ancora a Garzella, Pisa com'era, p. 209-212, limitandoci – nelle righe che seguono – a tracciarne le linee più generali.
7 Su questo tema vedi M. Ronzani, L’organizzazione della cura d’anime nella città di Pisa (secoli XII-XIII), in Istituzioni ecclesiastiche della Toscana medievale, Galatina (LE), 1980, p. 35-85.
8 Su queste prime fasi di vita del monastero, nonché sul ruolo svolto nello sviluppo dell'abitato di Foriporta, cfr. Garzella, Pisa com’era, p. 68-72.
9 Ibid., rispettivamente p. 75 e 113.
10 Sul rapporto tra istituzione principale e cappella dipendente, che si esplicava eminentemente nell’elezione del rettore, cfr. M. Ronzani, Un aspetto della «Chiesa di Città» a Pisa nel Due e Trecento: ecclesiastici e laici nella scelta del clero parrocchiale, in Spazio, società, potere nell’Italia dei Comuni, a cura di G. Rossetti, Napoli, 1986 (Europa mediterranea. Quaderni, 1), p. 143-194 (per un inquadramento generale) e Id., L’organizzazione, per i casi che qui interessano: S. Cecilia e S. Lorenzo (p. 45-47), S. Iacopo (p. 65).
11 Al medesimo settore è dedicata la tesi di laurea di E. Salvatori, L’insediamento nelle cappelle di S. Michele in Borgo, S. Iacopo al Mercato, S. Cecilia e S. Lorenzo alla Rivolta di Pisa tra XI e XV secolo, Pisa, a.a. 1986-1987, rel. G. Rossetti. Cfr. ancora Ead., Ceti sociali e struttura urbana: la popolazione pisana delle cappelle di S. Michele in Borgo, S. Iacopo al Mercato, S. Cecilia e S. Lorenzo alla Rivolta nei secoli XI-XV, in Pisa e la Toscana occidentale nel Medioevo. 1. A Cinzio Violante nei suoi 70 anni, Pisa, 1991, p. 231-299.
12 ASP, Pia Casa di Carità, n. 702 bis.
13 Garzella, Pisa com’era, p. 230-231.
14 Cfr. infra, testo corrispondente alle ntt. 37-38.
15 ASP, Dipl. S. Michele in Borgo: 1221 gennaio 2, Pisa, 1239 giugno 9, Pisa, 1245 novembre 8, Pisa, 1256 settembre, Pisa, 1259 giugno 28, Pisa (superficies «in parrocchia/cappella/prope ecclesiam sancti Michaelis de Burgo»); 1232 aprile 15, Pisa (superficies «in parrocchia ecclesie sancti Iacobi de Mercato»). Nel computo delle superficies segnalato nel testo si tiene naturalmente conto anche di quelle menzionate nelle indicazioni confinarie.
16 Garzella, Pisa com'era, p. 180.
17 ASP, Dipl. S. Michele in Borgo: 1259 luglio 21, Pisa, 1263 dicembre 17, Pisa, 1264 settembre 3, Pisa (superficies «in cappella sancte Cecilie»); 1246 st. pis. (ind. IV), Pisa, 1260 settembre 7, Pisa, 1260 novembre 30, Pisa, 1272 settembre, 1279 dicembre 15, Pisa, 1281 ottobre 20, Pisa, e inoltre 1263 agosto 16, Pisa (ACP, Dipl., n. 1122) (superficies «in cappella sancti Laurentii de Rivolta»),
18 Vedi su ciò Ronzani, L’organizzazione, p. 73 nt. 51.
19 Si può, naturalmente, avere il sospetto che alcuni notai, rogando atti riguardanti i possessi fondiari di S. Michele in Borgo, disponessero di informazioni molto precise per questi e conoscessero invece più approssimativamente la situazione patrimoniale dei beni contigui nelle mani di altri proprietari. In tal caso, la semplice indicazione di «terra» in un confine (senza rimando a una costruzione sovrastante) si svuoterebbe di significato in vista della ricostruzione del tessuto urbano. Tuttavia, quando la testimonianza è contenuta in un documento di diversa committenza, si ha conferma della situazione prospettata nel testo: così – ad esempio – nel caso della superficies a S. Lorenzo che nel 1260 «Laçarius de Palaria, publicus Pisanorum arbiter et iudex» assegnò al sindaco di S. Michele contro altri pretendenti, la quale risultava avere un capo «partim in terra Rainerii bancherii» e «partim in terra Fraiepanis et Iohannis germanorum quondam Nicholi de Lino» (l’altro capo era «in via»), mentre i lati erano rispettivamente «in terra suprascripti monasterii super qua est hedificium Henrici Uguiccionis tabernarii» e «in terra suprascripti monasterii super qua est hedificium Cristofani tabemarii» (ASP, Dipl. S. Michele in Borgo, 1260 settembre 7, Pisa).
20 A S. Lorenzo: « petium terre cum domo et fructibus» nel 1231 ottobre 15, Pisa (ibid.)] «superficies domus murate et solariate cum fumo et pergulis» nel 1246 st. pis. (ind. IV), Pisa (ibid.); terreno «cum domo et orto post ipsam domum et cum arboribus et vitibus super se» nel 1273 settembre 1, Pisa (R. Paesani, Codice diplomatico del Convento di S. Caterina in Pisa (3 dicembre 1211-27 ottobre 1286), tesi di laurea, Pisa, a.a. 1970-1971, rel. O. Banti, n. 73); terra «quod est ortus» nel 1275 febbraio 21, Pisa (ibid., n. 76).
21 A S. Cecilia: «terra vacua» annessa a una «domus» nel 1277 novembre 5, Pisa (ASP, Dipl. S. Michele in Borgo).
22 1237 marzo 5, Pisa (ibid.): l’abate di S. Michele dà in livello «unum petium terre super quo sunt muri domus suprascripti Salvii (il concessionario) positum in loco ubi fuit ortus sancti Michaelis suprascripti, in parrocchia sancte Cecilie»; 1246 st. pis. (ind. IV), Pisa (ibid.): il medesimo abate acquista una superficies (cfr. il passo già riportato alla nt. 20) posta «super terram suprascripti monasterii in parrocchia sancti Laurentii, ubi fuit ortus sancti Michaelis».
23 La menzione, duplice, è nel documento del 1237 cit. alla nt. precedente e si riferisce ai due lati dell’appezzamento allivellato: «latus a septentrione in terra suprascripti monasterii super qua est casalinum domus Strenne de Ponte», «aliud latus in terra monasterii super qua est casalinum domus Strenne et partim in terra suprascripti monasterii».
24 Garzella, Pisa com’era, p. 21; F. Redi, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli, 1991 (Europa mediterranea. Quaderni, 7), p. 291-292.
25 1281 ottobre 20, Pisa (ASP, Dipl. S. Michele in Borgo).
26 Così risulta, per la canonica di S. Martino in Chinzica, dallo studio di F. Leverotti, Il quartiere medievale d’Oltrarno: Chinzica, in Un palazzo, una città: il Palazzo Lanfranchi in Pisa, Pisa, 1980, p. 39-61, a p. 47-48.
27 1244 gennaio 21, Pisa (ibid.): «Bonaccursus, Lambertus et Ugolinus germani filii domini Gaetani Ugolinis» danno in livello il suddetto terreno, con facoltà per il concessionario di disporre, in futuro, della «domum et edificium quam et quod edificaturus est in suprascripto petio terre» in conformità con i patti che regolavano questo tipo di rapporto, del tutto analoghi a quelli illustrati infra (testo corrispondente alla nt. 30) sulla base della documentazione riguardante S. Michele. I concedenti, appartenenti senza dubbio al ceto aristocratico (si veda la qualifica di dominus attribuita al padre) non sembrano riconducibili ad alcuna delle famiglie al momento note, ivi inclusa la domus dei Dodi, Gaetani e Gusmari cui indurrebbero a far riferimento sia il patronimico sia la dislocazione di questo possesso: cfr. C. Sturmann, La «domus» dei Dodi, Gaetani e Gusmari, in Pisa nei secoli XI e XII: formazione e caratteri di una classe di governo, Pisa, 1979, p. 223-336, in particolare p. 296-306 per la presenza patrimoniale nel settore nord-occidentale di Pisa. Ma questo gruppo di personaggi non figura nella ricostruzione genealogica della Sturmann. Quanto alle caratteristiche ambientali della zona in cui l’appezzamento di terra in questione era ubicato, si veda Garzella, Pisa com’era, p. 24-25, 91-92, 191, 243 nt. 174 (per l’area del Paludozeri), 180-182 (per S. Leonardo, e per l’evoluzione del settore urbano compreso tra la Cattedrale e l’Amo nel tardo secolo XII).
28 ASP, Dipl. S. Michele in Borgo: 1221 gennaio 2, Pisa, 1245 novembre 8, Pisa, 1256 settembre, Pisa (cappella di S. Michele); 1237 marzo 5, Pisa (cappella di S. Cecilia); 1260 novembre 30, Pisa (cappella di S. Lorenzo).
29 Ibid. : 1232 aprile 15, Pisa, 1258 novembre 29, Pisa (cappella di S. Iacopo de Mercato); 1263 dicembre 17, Pisa, 1264 settembre 3, Pisa (cappella di S. Cecilia); 1272 settembre 28, Pisa (cappella di S. Lorenzo alla Rivolta).
30 Presenti saltuariamente negli altri, tutti questi patti figurano al completo nel contratto del 1245 cit. alla nt. 28, da cui sono tratte le citazioni testuali. Più specifiche clausole potevano riguardare, come già in passato, caratteristiche costruttive della superficies: così nel 1256 (doc. cit. ibid.) si fece espresso divieto al livellario di «elevare vel hedificare altius quam nunc sit sine licentia predicti abati» il suo edificio.
31 Doc. cit. alla nt. 29.
32 1296 aprile 29, Pisa (ASP, Dipl. S. Michele in Borgo): il livellario, un notaio, s’impegnava a pagare entro due mesi. Di un altro credito del monastero «pro libello et nomine libelli», non altrimenti specificato, si ha notizia da una sentenza giudiziaria del 1295 marzo 8, Pisa (ibid.).
33 È forse il caso documentato da una sentenza giudiziaria del 15 dicembre 1279, Pisa (ibid.), relativa a una superficies in cappella di S. Lorenzo alla Rivolta.
34 Ibid. : acquisti di superficies in cappella di S. Lorenzo nel 1246 st. pis. (ind. IV), Pisa e nel 1281 ottobre 20, Pisa (qui un’ulteriore testimonianza si evince dalla descrizione dei confini: lato «in terra cum domo suprascripti monasterii cuius hedificium fuit Adacti»). Per un’acquisizione in cappella di S. Michele cfr. infra, testo corrispondente alla nt. 41.
35 Così il trecentesco Breve Curie arbitrorum Pisane civitatis, ed. F. Bonaini, Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, II, Firenze, 1870, rubr. XVIII. De iure libelli finito tempore, vel alio modo, p. 1047-1048. Vedi anche, in un contesto più generale, il duecentesco Constitutum usus Pisane civitatis, ed. ibid., rubr. XLII. De natis vel longo tempore habitantibus in terra aliena, que est in civitate vel eius burgis, pro manentia non inquietandis, p. 952-954. A quest’ultima fonte fa riferimento A. Solmi, Studi storici sulla proprietà fondiaria nel Medio Evo, Roma, 1937, p. 76-77, nell’ampio e fondamentale capitolo dedicato al «diritto di superficie».
36 ASP, Dipl. S. Michele in Borgo: 1259 luglio 21, Pisa; 1260 settembre 7, Pisa. Il termine superficiarius, ripreso dal Breve cit. supra, non sembra usato nel linguaggio notarile pisano.
37 Donazioni a favore di S. Michele conservate in ASP, Dipl. S. Michele in Borgo: 1235 novembre 5, Pisa (terra «cum duabus domibus super se et orto post eas» in parrocchia di S. Cristoforo in Chinzica); 1236 febbraio 15, Pisa (terra «cum domo» nella parrocchia suburbana di S. Giovanni al Gatano).
38 Il 29 marzo 1278, Pisa e il 20 marzo 1280, Pisa (ibid.) furono acquistate quote di un terreno «cum turri et sala et camera post ipsam turrim, sive duabus domibus post ipsam turrim» posto nella limitrofa cappella di S. Iacopo de Mercato. L’appezzamento confinava per entrambi i lati con costruzioni (rispettivamente una «turris et domo» e una «domus») già di altri proprietari e ora del monastero. Che si trattasse di acquisti recenti e finalizzati al medesimo progetto emerge da un atto del 24 ottobre 1278, con cui l’abate saldò parte del prezzo della vendita della «turris et domus» poi citata nei confini, consegnando al venditore terreni in contado. Ancora in vista dell’ampliamento del chiostro fu con molta probabilità compiuto nei medesimi anni (ma il documento non è in tal senso esplicito) un altro acquisto di «terra cum domo» in cappella di S. Michele (1278 giugno 1, Pisa, ibid.).
39 Cfr. la vendita del marzo 1278 cit. alla nt. precedente. Il venditore era Bando Mele, membro di una famiglia appartenente all’aristocrazia consolare cittadina (su di essa cfr. G. Garzella, Presentazione dei documenti, in L. Carratori-G. Garzella, Carte dell’Archivio Arcivescovile di Pisa. Fondo Luoghi Vari, 1 (954-1248), Pisa, 1988 (Biblioteca del «Bollettino storico pisano». Fonti, 2), p. XXXVII-LXII, in particolare p. L-LV).
40 1278 maggio 13, Pisa (ASP, Dipl. S. Michele in Borgo).
41 1259 giugno 28, Pisa (ibid.). L’anno seguente fu venduta una superficies in cappella di S. Lorenzo alla Rivolta (1260 novembre 30, Pisa, ibid.).
42 Cfr. nt. 34 e testo corrispondente.
43 Cfr. gli esempi cit. supra, testo corrispondente alle ntt. 39-41.
44 ASP, Dipl. S. Michele in Borgo, 1232 aprile 15, Pisa (cappella di S. Iacopo de Mercato).
45 ACP, Dipl., n. 1122, 1263 agosto 16, Pisa (cappella di S. Lorenzo alla Rivolta).
46 ASP, Dipl. S. Michele in Borgo, 1239 giugno 9, Pisa (cappella di S. Michele in Borgo).
47 Ibid.: 1256 settembre, Pisa (cappella di S. Michele); 1258 novembre 29, Pisa (cappella di S. Iacopo); 1263 dicembre 17, Pisa, 1264 settembre 3, Pisa (cappella di S. Cecilia); 1272 settembre 28, Pisa (cappella di S. Lorenzo).
48 Oltre ai casi di vendite effettuate dagli abati del monastero (testo corrispondente alle ntt. 39-41), si segnala l’operato di una tale Coriaria del fu Matteo che nel 1264 «pro expediendis et dandis Bonaiuncte pellipario quondam Guidonis Melde futuro viro suo» la somma di 114 lire per la dote, gli vendette «superficiem unius domus murate et solariate» in cappella di S. Cecilia, su terreno di S. Michele, naturalmente con il consenso dell’abate (doc. cit. alla nt. 47).
49 Tale doveva essere quel notaio Guido «Spesalaste de Vico» (Vicopisano) che nel 1272 acquistò un «hedificium unius domus murorum et lingnaminum et plastrarum» posto su un terreno di S. Michele, in cappella di S. Lorenzo alla Rivolta (doc. cit. alla nt. 47): non è infatti indicata la sua appartenenza ad alcuna cappella cittadina. Interessante è anche l’acquisto, compiuto dall’abate di S. Michele qualche anno dopo, di «unum hedificium sive superficiem hedificatum sive constructum a Thomasino de cappella sancte Trinitatis quondam Uguiccionis» posto ugualmente a S. Lorenzo. A venderlo erano certi «Bonfiliolus de cappella seu villa sancti Michaelis de Buiti et Lupus et Dinus germani de suprascripta cappella seu villa sancti Michaelis de Buiti quondam Bonaiuti», che si proclamavano eredi di Tomasino: personaggi evidentemente radicati nel loro luogo d’origine (Buti) e niente affatto interessati alla proprietà urbana loro pervenuta per via ereditaria (1281 ottobre 20, Pisa, ASP, Dipl. S. Michele in Borgo).
50 Per un panorama generale, senza pretesa di completezza, elenchiamo alcune professioni di proprietari di superficies menzionate nei documenti esaminati e più volte citati, suddividendole per cappelle di appartenenza e facendole seguire dall’anno della testimonianza: «molendinarius» (1221), «thoccolarious» (1221), «vinarius» (1239), «sensalis» (1239, 1245), «tabernarius» (1245), «aurifex» (1256), «copertorarius» (1258), «medicus» (1259) a S. Michele in Borgo; «tabernarius» (1232), «calthularius» (1232) a S. Iacopo de Mercato; «çoccularius» (1259), «magister» (1259), «cappellarius» (1264), «pelliparius» (1264) a S. Cecilia; «vinarius» (1246), «fornarius» (1246), «specchiarius» (1246), «pelliparius» (1260), «muraiolus» (1260), «tabernarius» (1260), «notarius» (1272), «boctarius» (1279) a S. Lorenzo alla Rivolta. Per un più organico quadro della distribuzione degli abitanti nella nostra area cfr. Salvatori, Ceti sociali, p. 249-258 (secolo XIII).
51 Doc. cit. alla nt. 44.
52 Entrambi menzionati in confinanze: ASP, Dipl. S. Michele in Borgo, 1239 giugno 9, Pisa e 1245 novembre 8, Pisa.
53 Cfr. nt. 12 e testo corrispondente.
54 Per l’esattezza, il registro contiene 141 contratti e sono 63 i livelli in questione, relativi a terreni ubicati nelle cappelle di S. Cecilia (32), S. Lorenzo alla Rivolta (19), S. Michele in Borgo (5) e – più a est – S. Paolo all'Orto (5), S. Iacopo de Mercato (1), S. Lucia dei Cappellai (1).
55 Cfr. testo corrispondente alla nt. 30.
56 Solmi, Studi storici, p. 62.
57 Cfr., a questo proposito, la bolla del pontefice Bonifacio VIII indirizzata all’abate Andrea, contenente licenza «permutandi et cambiandi» nell'interesse del monastero, che consentì a S. Michele in Borgo l’acquisizione mediante permuta di una superficies in cappella di S. Cecilia (ASP, Pia Casa di Carità, n. 702 bis:'anno Nativitatis'1303, ind. I, Pisa, cc. 44v-45r n. 31 la trascrizione della bolla; 1303 ottobre 18, Pisa, cc. 43r-44v n. 30 la permuta). Va notato che la medesima formula limitativa della facoltà di alienare era comparsa, oltre mezzo secolo prima, nei documenti di un altro importante ente pisano, il monastero benedettino maschile di S. Nicola: cfr. il livello concesso nel 1238 giugno 10, Pisa e agosto 29, S. Michele di Verruca (Carratori-Garzella, Carte dell’Archivio Arcivescovile, n. 42). Esaminando il medesimo fenomeno entro le proprietà del Capitolo genovese, V. Polonio, Patrimonio e investimenti del Capitolo di San Lorenzo di Genova nei secoli XII-XIV, in Genova, Pisa e il Mediterraneo fra Due e Trecento. Per il VII centenario della battaglia della Meloria (Genova, 24-27 ottobre 1984), Genova, 1984, p. 229-281, in particolare p. 264-265, collega l’esclusione di acquirenti di ceto sociale più elevato non soltanto con le insidie che l’inserimento di proprietari potenti comportava riguardo al controllo dei suoli, ma anche-notando l’insistito divieto di vendita delle case a nobiles de albergo-con il «timore delle distruzioni provocate dagli scontri di fazione». Per Pisa, la questione merita indubbiamente un ulteriore approfondimento.
58 ASP, Pia Casa di Carità, n. 702 bis: a S. Iacopo, locazione per tre anni di terra «cum domo» (cc. 24v-25v, nn. 9, 10, 12) e di «solarium unum superius unius domus» (c. 25r n. 11); a S. Michele, locazione di terra «cum domo» per tre anni (cc. 85v-86r n. 102), per un anno (cc. 69v-70r n. 67; 81rv n. 90: quest’ultima con licenza di sublocazione, c. 82r n. 91), per dieci anni (c. 39v n. 28); di «duo soiaria unius domus» per due anni (c. 29v n. 18); locazione per un anno di una «apotheca» (c. 78v n. 83) e del « locus ubi tenetur bancum pro comuni Pisano ad quod ponderantur floreni, positus sub porticu ecclesie sancti Michaelis» (c. 59r n. 47).
59 Per il rilievo economico della zona e le presenze nobiliari nel secolo XII cfr. Garzella, Pisa com’era, p. 200-203, 228-230; il quadro socio-economico due-trecentesco è in Salvatori, Ceti sociali, p. 252-255, 260-263. La definizione di fondaco è in Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari, 1966, p. 62.
Notes de fin
1 Sigle e abbreviazioni utilizzate: ACP = Archivio Capitolare di Pisa; ASP = Archivio di Stato di Pisa; Dipl. = Diplomatico; ind. = indizione; st. pis. = stile pisano.
Nel testo e nelle note in cui vengono citati documenti inediti le date, salvo diversa indicazione, sono riportate allo ‘stile comune’.
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