Conclusion I
p. 379-381
Texte intégral
1I testi raccolti in questo volume offrono una ricca messe di materiali e di risultati d’analisi su una tappa ulteriore del progetto su Le pouvoir symbolique en Occident (1300-1640) nel quale è inquadrato l’atelier di Palermo del 2011 curato da E. Igor Mineo e Jean-Philippe Genet. Dopo la riflessione dedicata alla tradizione dei linguaggi religiosi nella comunicazione politica (atelier di Milano, 2009, curato da Paola Ventrone a Laura Gaffuri) e quella sull’elaborazione dei linguaggi della società politica (atelier di Milano, 2010, curato da Andrea Gamberini, Jean-Philippe Genet e Andrea Zorzi), ecco un ampio sondaggio sull’aspetto più propriamente «semiotico» delle pratiche di produzione della legittimazione.
2Il titolo conferito all’incontro – Forme et segni della distinzione sociale. Marquer la prééminence sociale – indicava programmaticamente una tensione tra due concetti complementari non coincidenti. Da un lato la «distinzione», dall’altro la «preminenza» sociale. Il primo si rifà esplicitamente all’accezione che ne ha dato Pierre Bourdieu per individuare la categoria della nobiltà attraverso i segni distintivi (stili di vita, habitus, etc.) della sua superiorità sociale. Il secondo invece rintraccia nell’esperienza delle società del passato l’evidenza di come la preminenza non appartenga solo alle élites ma potenzialmente a tutti i gruppi sociali che rivendichino un ruolo specifico.
3A parte il contributo di Remi Lenoir, gli altri autori non hanno affrontato in modo esplicito le ambiguità di questa oscillazione categoriale, rinunciando a un uso affinato delle nozioni, e puntando semmai a esplorare in modo empirico, e comunque ricco di intuizioni e aperture, l’ampio universo documentario delle società italiane e francesi tra tardo medioevo ed età moderna (l’arco cronologico coperto dai saggi va infatti dal XIII al XVIII secolo).
4Ripercorrendo trasversalmente l’insieme dei saggi, emerge un doppio livello dei segni di distinzione portati alla nostra evidenza. Innanzitutto quello che possiamo indicare come il capitale materiale, fatto di segni tangibili. Segni che potevano essere anche fisici (per esempio, la tonsura). Ma soprattutto oggetti: monete, gioielli, pietre e manufatti preziosi, reliquiari, etc. Dunque, la manifestazione del lusso: non solo i vestiti, ma anche gli usi (per esempio, le penne sui cappelli ad indicare l’appartenenza a una parte politica). E manoscritti e codici di lusso. Oltre, naturalmente, alle «insegne»: l’araldica, ma anche le epigrafi funerarie, o le armi delle fazioni che si usava apporre sulle pareti interne delle abitazioni e sulle mura esterne delle case. Tra i segni erano naturalmente anche i luoghi: «sedili», camere, cappelle, etc. E potenzialmente anche la flora: gli alberi, nella differenza di segno, per esempio, tra l’olmo e la quercia nel definire, ancora una volta, le identità di parte. A questo universo sensibile potevano appartenere anche i suoni – dalle «guerre» di serenate, alle dediche delle opere musicali – e i sapori, nella varietà delle declinazioni alimentari. Segno di distinzione erano anche ovviamente la ricchezza patrimoniale e la sua gestione.
5Su un altro livello è emerso invece quello che possiamo indicare come il capitale simbolico della distinzione. In primo luogo le astrazioni, i sistemi di segni della logica giuridica, la forza cogente di definizione dello status sociale. Ma anche – nella tradizione – i modelli culturali: la sobrietà, l’ascesi, di quello monastico (per esempio, negli ambienti universitari); il ruolo paterno (papa, vescovo, parroco), e quello materno (la sovrana reggente). L’appropriazione di alcuni monopoli: quello sacramentale, ovviamente, ma anche, per esempio, quello della «contrattualità» rivendicato dai notai (la sfera della volontà e della obbligatorietà di contro a quella della costrizione e delle sentenze). E poi i titoli, ovviamente: il dottorato come appartenenza a un ordo, ma anche la varietà delle titolazioni onorifiche, cui furono particolarmente sensibili gli ambienti borghesi. Allo stesso modo, anche l’accesso a determinati uffici. Altri segni erano immediatamente evidenti come l’onomastica o l’ambito dei rituali (matrimoni, elezioni, trionfi, etc.). Più sfumato poteva essere invece il privilegio del piacere, come quello artistico («capriccio», «diletto», «passatempo»). A un livello più alto poteva porsi, infine, la nobiltà del sapere, specialmente quello specialistico (per esempio, la matematica applicata all’arte militare).
6Alla tassonomia delle situazioni di distinzione e di preminenza sociale, molti dei saggi qui raccolti hanno intrecciato un’opportuna attenzione per i momenti di trasformazione e di discontinuità, capaci di disvelare la complessità dei processi di affermazione nelle società politiche europee tra tardo medioevo e prima età moderna. Tra i molti ricorderò solo alcuni esempi che mi paiono di qualche rilievo.
7Originario appare, innanzitutto, il passaggio – completatosi tra XII e XIV secolo – da una rappresentazione della società fondata sulle identità a una rappresentazione fondata sulle apparenze, principalmente sulle distinzioni generate dalla ricchezza. L’elaborazione del discorso suntuario ne fu la manifestazione più evidente. A sua volta, la discontinuità poteva assumere i tratti dell’esclusione. Per restare in ambito suntuario, per esempio, la privazione delle parures era intesa come un atto di degradazione della preminenza. Sul piano eminentemente politico, invece, l’esclusione da un gruppo sociale – per esempio, dalle matricole dei mestieri o dagli elenchi dei membri del «popolo» – poteva comportare l’esclusione dalla partecipazione, e dunque dalla preminenza politica. Una discontinuità apparentemente più sfumata, ma insita nelle ambiguità delle condizioni sociali, era invece quella, per esempio, dell’artista, stretto spesso tra uno stato di iniziale povertà e poi di improvvisa ricchezza (tutta da gestire sul piano patrimoniale), tra un orizzonte di «diletto» e una costrizione alla produzione seriale di opere (che necessitava l’acquisizione di una cultura d’impresa).
8Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Tra i risultati più significativi del nostro atelier è stato infatti l’orientamento degli autori a indagare non solo sull’accertamento dei segni ma anche sulle loro aporie, non accontentandosi, cioè, di accertare nei rispettivi ambiti di ricerca la mera ricorrenza di un modello. L’auspicio è che le ricerche future – che troveranno in questo volume un repertorio variegato di confronti e di analisi – concentrino interessi e attenzioni proprio sui momenti di discontinuità. Perché, alla fine, rimane pur sempre la trasformazione l’ambito specifico dell’analisi storica. Tale da poter essere rivendicato come segno di «distinzione» rispetto alle categorie dall’analisi sociale.
Auteur
Università di Firenze
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