Il dominio territoriale di Firenze nei secoli xiv-xv: mediazioni, negoziazioni, pattuizioni
p. 81-96
Texte intégral
I caratteri originari della formazione del dominio fiorentino
1La formazione del dominio territoriale da parte di Firenze fu un processo di lungo periodo, avviato nel corso del xiii secolo e pienamente compiuto solo nel xv1. Due caratteristiche principali differenziarono lo stato fiorentino rispetto alle altre formazioni politiche italiane del xiv e xv secolo2. In primo luogo, esso fu il più piccolo per dimensioni: 12.000 kmq al suo massimo nella seconda metà del Quattrocento, contro i 27.000 kmq del ducato di Milano, i 30.000 kmq dello Stato di Terra di Venezia, per non dire dei 77.000 e 25.000 kmq, rispettivamente del regno di Napoli e della Sicilia aragonese3. Inoltre, rispetto alle monarchie e ai domini signorili, quello fiorentino fu un dominio cittadino, guidato da una città a regime repubblicano: una delle pochissime repubbliche superstiti, retta da un patriziato ristretto e, dai decenni centrali del Quattrocento, dalla signoria informale della famiglia dei Medici4.
2Dunque, un dominio piccolo e di impianto cittadino, con due caratteristiche conseguenti: una limitata disponibilità di risorse e una più accentuata carenza di legittimità. Come cercherò di mostrare, l’insieme di questi elementi orientò l’azione territoriale di Firenze verso un’intensa politica di negoziazioni, patti e legittimazioni reciproche con gli enti politici assoggettati.
3Con limitata disponibilità di risorse intendo riferirmi in primo luogo alle risorse economiche. L’entità delle spese di guerra fu ingentissima in taluni conflitti: è stato calcolato, per esempio, che la guerra con Pisa del 1362-1364 costò circa 1 milione di fiorini; quella col papato del 1375-1378 forse la metà; mentre i dodici anni di conflitto con Gian Galeazzo Visconti (1390-1402) bruciarono quasi 5 milioni di fiorini; la sola conquista di Pisa quasi 1 e mezzo; e i dati che si hanno per i primi anni della ripresa del conflitto con i Visconti nel 1424-1427 indicano una spesa media annua di oltre 450 mila fiorini5. Già in altra sede ho evidenziato la continuità dell’investimento in cui si impegnò consapevolmente il gruppo dirigente fiorentino dalla metà del xiv secolo, reagendo alle aggressioni belliche e sviluppando una decisa politica di controllo del territorio6. Ricorderò solo come, dopo il consolidamento del debito pubblico nel 1345, il suo aumento fu progressivo e si accentuò proprio in coincidenza con la fase più intensa della competizione politico-militare: già nel 1364 (alla fine della guerra con Pisa) il debito era triplicato a 1.500.000 di fiorini; nel 1395 (al primo tacere delle armi nel conflitto visconteo) era ulteriormente raddoppiato a 3.000.000; una cifra destinata a crescere ancora fino a toccare nel 1433 i 3.500.000; per poi sfondare entro la metà del Quattrocento gli 8.000.000 fiorini7. Sullo sfondo va tenuta presente una congiuntura economica certamente non paragonabile a quella che tra xii e primo xiv secolo aveva consentito alla città una straordinaria accumulazione di ricchezze8.
4Il gruppo dirigente fiorentino, mosso da predilezioni mercantili più che da ardori militari, fu inoltre costretto ad affidarsi a eserciti mercenari, con la necessità di pagare un numero sempre crescente di condotte9. Ciò spiega anche perché, là dove le condizioni lo permisero, Firenze preferì negoziare l’acquisto, in moneta sonante, dell’assoggettamento di città e di castelli, piuttosto che affidarsi a compagnie di ventura onerose quanto inaffidabili. Firenze acquistò, per esempio, la giurisdizione di Prato dagli Angioini nel 1351 per 17.500 fiorini, di Arezzo, una prima volta dai Tarlati nel 1336, e poi definitivamente da Carlo di Durazzo nel 1384 per 200.000 fiorini, di Livorno dai Genovesi nel 1421 per 100.000 fiorini10.
5Il dominio territoriale che Firenze costituì gradualmente sin dal xiii secolo fu in primo luogo l’esito di una «conquista difensiva»11, un territorio «cuscinetto» che servì finalità strategiche facilmente leggibili: il controllo del bacino dell’Arno e dei suoi principali affluenti (dall’Aretino alle paludi di Fucecchio, dalla Val di Sieve alla Valdelsa), l’accesso al mare (Pisa e poi Livorno), il controllo delle principali strade appenniniche (nel Pistoiese, nel Pratese, nel Casentino e nell’Aretino)12. La lunga azione di irrobustimento del controllo territoriale che Firenze dispiegò con continuità, con una vigilanza continua in alcune aree della regione, fu orientata da chiare priorità di carattere politico-militare: proteggere l’area originaria del contado e tutelare la sicurezza e l’agibilità delle vie di commercio, per garantire il controllo dei mercati delle materie prime e i rifornimenti annonari. In questo contesto, esigenze preminenti furono il controllo dei luoghi strategici di difesa: castelli, fortezze, casseri. Tali priorità determinarono la qualità dell’azione di Firenze nei confronti del territorio. In primo luogo fu perseguita la conservazione politico-militare del dominio13.
6Poche furono le imprese belliche di conquista. Pisa fu presa nel 1406 per reazione all’espansionismo dei Visconti, anche se la sua conquista rappresentava un obiettivo strategico per l’accesso al Tirreno: inizialmente la città era stata acquistata, proprio da Gabriele Maria Visconti, per 200.000 fiorini, ma fu poi necessario porre un assedio alla città che durò 13 mesi e finì con l’innalzare la spesa totale per la sua annessione a 1.500.000 fiorini14. Il progetto di conquistare Lucca, avviato nel 1429 probabilmente anche per motivi di politica interna, rappresentò invece un errore strategico–un’errata valutazione del rapporto tra risorse disponibili e obiettivi politico-militari–e contribuì a determinare la caduta del regime oligarchico degli Albizzi nel 143415. Con Siena, infine, fu precocemente raggiunto uno stato di non belligeranza, testimoniato dalla scarsezza di strutture militari nei territori di confine (rispetto a quelli, assai più muniti, nel Valdarno superiore verso Arezzo e i conti Guidi, e in Valdinievole verso Lucca)16.
7La scala relativamente piccola dell’espansione territoriale di Firenze in un’area sub regionale fu dunque commisurata alle risorse mobilitabili. È infatti intorno al rapporto tra finalità perseguite (le priorità politico-militari) e mezzi disponibili (le risorse economiche e gli strumenti giuridico-istituzionali), che ruota a mio avviso la possibilità di interpretare in modo adeguato la natura di formazioni statali come quella fiorentina. Si osservi inoltre come i territori su cui essa espanse la propria dominazione erano costituiti principalmente da «città, terre e castelli»–come è esplicito nel prologo dello statuto fiorentino del 140917–, con una debole presenza signorile, e una quasi inesistente componente feudale18: territori cedevoli, in sostanza, oltre che flagellati, tra la metà del xiv e la prima metà del xv secolo, da una crisi demografica molto accentuata19.
8Quanto alla carenza di legittimità, anche il gruppo dirigente fiorentino inseguì–al pari dei poteri signorili coevi–la sanzione imperiale della carica vicariale: ai priori delle arti–la massima carica politica–fu riconosciuto nel 1355 e poi rinnovato nel 1369 e nel 1401 il titolo di vicari imperiali, con diplomi e privilegi20. Ma–come vedremo–Firenze perseguì la propria legittimazione investendo soprattutto nel rapporto con gli attori politici assoggettati nel territorio, in primo luogo con i gruppi dirigenti locali, attraverso intensi processi di negoziazione e di pattuizione.
Il modello comunale del contado
9L’azione politica dei fiorentini nei confronti del proprio dominio territoriale fu ispirata da alcuni modelli di riferimento. In primo luogo, essi si mossero nella tradizione, in continuità con il modello comunale di organizzazione del contado. I fiorentini concepirono infatti il proprio dominio come un grande contado21.
10Peculiare del dominio fiorentino (rispetto ai coevi stati veneziano e milanese) fu la separazione delle città e dei centri urbani assoggettati dai rispetti contadi e territori, che fu operata sistematicamente. In tal modo Firenze poté inviare in ogni luogo, anche il più piccolo e remoto, un proprio ufficiale, controllando direttamente l’amministrazione del territorio, evitando così di delegarla a corpi intermedi. Come hanno messo in evidenza ricerche recenti22, Firenze però non diede luogo a una costruzione statale integrata e unitaria, bensì a un sistema politico che venne formandosi per aggregazioni progressive intorno al contado originario e nel quale al polo centrale della città dominante corrispose una rete di città, «terre» e castelli rapportate a essa per via pattizia, ciascuna con la propria sfera di autonomie e di privilegi. Le singole componenti territoriali appartenevano al dominio di Firenze solo in virtù delle singole capitolazioni attraverso cui ciascuna di esse aveva negoziato la sua sottomissione a Firenze. Il dominio era cioè privo di un quadro di riferimento giuridico e istituzionale unitario23.
11La dominante non creò strutture unitarie di governo del territorio e proibì collegamenti e leghe tra le città e gli enti assoggettati. Né, tantomeno, furono creati luoghi di mediazione e rappresentanza analoghi ai parlamenti dei regni, ma estranei alla lunga tradizione di governo politico degli enti soggetti che originava in età comunale e che elaborava invece l’idea di un dominio territoriale quale aggregazione di un unico grande «contado», costituito da un mosaico di territori diversi e disomogenei. Linea strategica di fondo fu l’esclusione dei gruppi dirigenti locali, soprattutto dei patriziati urbani, dalla gestione del dominio. Per conseguenza, come è noto, i pisani si diedero a una vera e propria diaspora, i pistoiesi si riciclarono in ruoli giuridici all’esterno del dominio, etc.24. Solo alcuni individui furono inseriti da Firenze in ruoli amministrativi, spesso di secondo piano, come i giudici e i notai al seguito degli ufficiali fiorentini nel territorio25. Rari furono i casi di «distrettuali» che ebbero incarichi di prestigio come Antonio Ivani da Sarzana, cancelliere a Volterra e Pistoia26, Leonardo Bruni da Arezzo, dapprima segretario e poi cancelliere a Firenze27, o Bartolomeo Scala da Colle Valdelsa, anch’egli cancelliere a Firenze in età medicea28.
Governare un dominio
12Se vi è dunque un senso interpretativo da conferire al plurisecolare processo di formazione territoriale fiorentina, mi pare che esso si possa riassumere nella constatazione di come per Firenze lo scopo non fu quello di amministrare uno stato ma quello di governare un dominio. In altri termini, la linea politica del gruppo dirigente fiorentino appare essere stata non tanto quella di perseguire l’amministrazione di un ente unitario in cui le cosiddette funzioni pubbliche servissero il processo di integrazione statale (aumento delle risorse fiscali, costituzione di ordinamenti militari più stabili, articolarsi delle istituzioni centrali e periferiche, formazione di un personale di funzionari e ufficiali, etc.), bensì quella di «reggere» politicamente un dominio territorialmente variegato in cui l’apparato giuridico-istituzionale e le pratiche di governo servissero anzitutto alla sua conservazione29.
13Tale orientamento «politico» fu dettato dall’esigenza di gestire la complessità di uno stato costituito da forze locali spesso portatrici di interessi diversi. Il suo consolidamento passò attraverso un processo continuo di mediazione in cui Firenze si pose al centro di un sistema di contrattazioni tra poteri di livello diverso. Le pratiche di governo seguirono chiare priorità politiche: la legittimazione reciproca tra dominante e comunità soggette; il riconoscimento delle pratiche politiche locali; la negoziazione tra i diversi poteri territoriali. La legittimità del dominio di Firenze venne fondandosi sulla legittimazione reciproca tra la dominante e le comunità soggette, che rafforzava anche, al contempo, l’identità politica degli interlocutori locali. Questi ultimi erano esclusi dalla compartecipazione al governo del dominio, ma, in quanto interlocutori, rafforzati nella loro autorità. Per questo motivo Firenze riconosceva le pratiche politiche locali: in genere il bipartitismo degli assetti politici, e spesso anche la legittimità dei conflitti di fazione30.
14Le legittimazione reciproca tra Firenze e le comunità soggette si attuava attraverso una negoziazione continua, che si muoveva su due piani principali: l’uno normativo, l’altro squisitamente politico. Sul piano giuridico, la sovranità fiorentina si costruì in primo luogo attraverso il riconoscimento dell’autonomia giurisdizionale delle comunità locali, incentrata su due momenti: i patti di dedizione e la revisione degli statuti. Entrambi promossi da Firenze ed entrambi processi negoziali che, per quanto asimmetrici, favorivano il riconoscimento reciproco tra il gruppo dirigente fiorentino e gli interlocutori politici locali. Sul piano politico, erano gli ufficiali territoriali fiorentini ad assicurare la mediazione tra gli interessi locali e le esigenze della dominante. Più che come amministratori essi agivano come rettori, mediando i conflitti interni alle comunità, che erano riconosciuti e legittimati proprio per creare uno spazio per l’intervento e la gestione politica da parte dei rappresentanti di Firenze, e operando come fiduciari sia della dominante sia delle società politiche locali.
Mediare
15Ma vediamo meglio nel dettaglio l’esplicazione di queste pratiche di governo, attraverso qualche esempio specifico. Innanzitutto la mediazione politica.
16A Fucecchio nel basso Valdarno, per esempio, nel 1330 le autorità fiorentine fecero leva su uno dei leader della fazione dei Della Volta allora influente nel comune, Guidaccio di Raduccio, per fare approvare dal consiglio locale il rinnovo dell’accordo politico di soggezione a Firenze: i capi della fazione antagonista dei Simonetti erano quasi tutti esiliati e, tra i contenuti degli accordi, fu quello di riammetterli nella terra e di procedere alla spartizione degli uffici31. Il linguaggio di Firenze fu quello della riconciliazione e della pacificazione, che ammantò retoricamente una triplice congiunzione di interessi: quelli di Firenze di consolidare la sua presenza nella zona, appena stipulata la pace con Pisa a Montopoli nel 1329; quelli della fazione vincente dei Della Volta di appoggiarsi alla potenza in affermazione (e il suo capo, Guidaccio, fu addobbato cavaliere nel 1336 dal capitano di guerra fiorentino); quelli della fazione fuoriuscita di poter rientrare nel gioco politico locale. I rinnovati conflitti di faida tra le due consorterie offrirono poi il destro alle autorità di Firenze per intromettersi sempre più, e sempre in veste di pacificatori, nella politica interna fucecchiese: preparando le borse per gli uffici locali e riformando gli statuti locali nel 1334. L’ideologia era la pace, la sostanza il potere.
17Riconoscere il bipartitismo e le pratiche conflittuali–la natura «idiomatica», vale a dire, della faida–significava innanzitutto riconoscere come interlocutori politici i leaders delle fazioni locali32. Tanto che il disconoscimento delle logiche e dei meccanismi del conflitto politico locale potevano scatenare reazioni decise. Anche solo la volontà, per esempio, dei Medici di disconoscere nel corso del secolo xv l’articolazione politica pistoiese nelle tradizionali fazioni dei Cancellieri e dei Panciatichi favorendo nuove reti clientelari o ponendosi, come cercò di fare Lorenzo, come supremo mediatore, scatenò il conflitto locale, dapprima rivolto violentemente contro le creature del Magnifico e la sua stessa persona, e poi riemergente, nei consueti modi della faida quando, dopo la caduta del regime mediceo, le autorità fiorentine tornarono a riconoscere le pratiche locali di soluzione del conflitto validandole sul piano delle convenzioni giurisdizionali stipulate tra la fine del secolo xv e l’inizio del successivo33.
18La forte interazione tra le pratiche locali e la politica della dominante era, in definitiva, il piano di reale operatività delle istituzioni territoriali. Il principio del «governare con le fattioni» non sottintese affatto quello del «divide et impera», ma la scelta strategica di conformare il governo del dominio sui meccanismi d’azione e sulle pratiche delle società politiche locali. Francesco di Tommaso Strozzi, capitano a Cortona nel 1444, annotò per esempio nei propri ricordi di essersi guadagnato la fiducia degli interlocutori locali per avere organizzato «molti conviti in modo che tra più volte ebbi quasi tutti i cittadini di stima et ogni uficio di Priori una volta», e per aver fatto «concordargli et pacificarsi infra loro» numerosi cittadini in disputa e in lite34. Le fazioni locali erano riconosciute come tali da Firenze, e, reciprocamente, il dominio di questa era riconosciuto dalle fazioni che alla dominante e ai suoi ufficiali si rifacevano nel contesto delle loro pratiche di conflitto. Da qui anche la scelta di inviare membri del ceto dirigente, o comunque dei fiorentini, a governare di persona anche i comunelli rurali più sperduti35.
Negoziare
19I rettori fiorentini presiedevano anche a un’altra importante fase della negoziazione politica tra Firenze e le comunità soggette: la revisione degli statuti locali36. Indirizzo di fondo della politica fiorentina nei confronti del dominio fu infatti anche la forte sollecitazione alla creazione di strutture istituzionali locali, fondate sulle comunità, cui fu imposto di dotarsi di un proprio statuto e di una propria vita politica, con sindaci e consigli, per quanto rudimentali e adeguati alle realtà demografiche37. Soprattutto, la negoziazione si sedimentò in una straordinaria proliferazione statutaria locale. Tale scelta, che – si noti – costava poco in termini finanziari (certo assai meno del pagamento dei salari ai rettori fiorentini), rendeva comunque in termini di consenso politico. La statuizione locale non fu imposta dall’alto – come dimostrano l’assenza di modelli statutari uniformi tra le varie aree del dominio e anche all’interno delle stesse e l’intenso lavoro degli approvatori fiorentini degli statuti38 – ma fu sollecitata e costantemente rinegoziata.
20Farò l’esempio del Pisano. Questo territorio fu attraversato da una vera e propria ondata di statuti promossi non appena nelle località comparvero i fiorentini dopo il 140639. Se ne sono conservati perlomeno 40 per il primo periodo della dominazione (dal 1406 al 1424)40 e altri 7 entro la metà del secolo41. Se analizziamo centri di importanza diversa, emerge una comune vitalità sociale e politica di cui sono spia queste interazioni normative. Gli statuti della podesteria di Palaia, per esempio, furono redatti sia in latino, nel 1409, sia in volgare, nel 1424: il primo42 ebbe 17 capitoli di aggiunte e correzioni deliberate dalla comunità tra il 1409 e il 149243 (vale a dire 1 quasi ogni 5 anni) e 14 interventi di approvazioni da parte di Firenze tra il 1412 e il 149244 (vale a dire 1 ogni 5/6 anni); il secondo45 ebbe 21 capitoli di aggiunte e correzioni deliberate dalla comunità tra il 1425 e il 1549, ma concentrare soprattutto tra il 1510 e il 154946, e 21 interventi di approvazioni da parte di Firenze tra il 1436 e il 1549, concentrate anch’esse negli stessi decenni47. In un comune di rilevanza strategica come Ripafratta, sul confine con Lucca, sede non solo di podesteria ma anche di una castellania, per gli statuti della podesteria del 140748, ben 40 furono i capitoli di aggiunte e correzioni deliberate dalla comunità tra il 1407 e il 155049, e conseguentemente 37 gli interventi di approvazioni da parte di Firenze nello stesso periodo50. Ma anche in un piccolo centro come Montecastello, nella podesteria di Marti, 30 «fuochi» per 127 «bocche» (cioè abitanti) nel 142751, che si diede statuti in volgare nel 1469, i capitoli di aggiunte e correzioni deliberate dalla comunità furono ben 39 tra il 1470 e il 1550 (in sostanza 1 ogni 2 anni)52, e 17 gli interventi di approvazioni da parte di Firenze tra il 1474 e il 154953. Un processo negoziale intenso, continuo, incessante di aggiunte e correzioni deliberate dalla comunità, e di approvazioni da parte di Firenze.
Patteggiare
21Vediamo infine i patti di dedizione–forse la configurazione negoziale più formale sul piano documentario. Ho già sottolineato l’assenza di un quadro normativo valido per tutto il dominio. L’ordinamento si caratterizzava, semmai, come un insieme coerente di contrattazioni bilaterali, attraverso le quali Firenze legò a sé direttamente ciascun ente e ciascuna comunità soggetta, attraverso una pattuizione specifica. Da qui quel carattere «consociativo» del dominio fiorentino, di «federazione» di comunità che trovavano nella dominante l’unico centro di riferimento, di «ordinamento a carattere contrattuale»54. Dobbiamo infatti immaginare il dominio fiorentino come «un mosaico di ordinamenti minori tenuti insieme da una fitta trama di vincoli pattizi»55.
22Nell’Archivio di Stato di Firenze è conservato un fondo che raccoglie 69 registri e 22 protocolli e minutari prodotti tra il secolo xiii e il xviii56, secondo la tipologia documentaria in forma di registro che gli storici e i diplomatisti usano indicare con il termine di liber iurium, cioè la raccolta dei diritti esercitati dal comune di Firenze in relazione con altri soggetti politici57. In origine i documenti attestanti tali diritti erano prodotti e conservati in carta sciolta, o in fascicoli e quaderni (pergamenacei o cartacei), ma non raccolti in registri. Questi cominciarono a essere disposti saltuariamente nel xiii e nel xiv secolo, e solo nel xv secolo furono riuniti sistematicamente in volumi58. A tale complesso documentario nel secolo xv fu dato il nome di «capitoli» (quello che ha poi mantenuto fino ad oggi), per sottolineare la dimensione giuridica di tali accordi, e soprattutto la loro articolazione pattizia per punti (per capitoli, appunto).
23I registri più antichi riguardanti le comunità assoggettate nel dominio risalgono agli anni trenta del Trecento. Si tratta di tre registri di patti, tregue, concordie, redatti ex novo: il primo, iniziato nel 1330 dopo la morte di Castruccio Castracani e le prime espansioni fiorentine nel Pistoiese; il secondo, del 1331, relativo all’assoggettamento di Pistoia; e un terzo relativo a città, terre e signori di quell’area59. A questi fecero seguito centinaia di fascicoli che finirono col tradurre sul piano documentario le pratiche di governo del territorio in quella peculiare configurazione di dominio composito tenuto insieme dalla rete di accordi e patti con le varie comunità soggette. Centinaia furono le comunità assoggettate e centinaia furono i fascicoli che suggellavano gli accordi con ciascuna di esse. E – si noti – accordi costantemente rinnovati e aggiornati in un’incessante opera di negoziazione che rappresentava il vero cuore pulsante dello stato fiorentino, la sua condizione perpetua di mosaico di poteri territorialmente diffusi, che trovavano nei capitoli e negli statuti delle comunità (anch’essi costantemente rinegoziati, come abbiamo visto), la loro sedimentazione giuridica. Una sedimentazione fluida, plasmata sul pluralismo delle forze locali, che rifletteva il caleidoscopio dei diritti che componevano il dominio territoriale fiorentino.
24Mi limiterò a un paio di esempi relativi, in questo caso, a due grossi centri urbani («terre» ma non città) della Valdelsa: Colle e San Gimignano. Le prime pattuizioni con Colle furono sei nell’arco di tempo tra il 1331 e il 1389. Nel 1331 furono stese delle convenzioni sull’ordine pubblico, che equiparavano i rispettivi condannati e ribelli, impegnando i due comuni alla loro consegna reciproca. Nel 1336 Firenze ottenne la custodia di Colle, attraverso il controllo diretto del cassero (cioè la fortezza militare interna), e la nomina di fiorentini, pur su scelta locale, a rettori (podestà e capitano) locali. Nel 1349 Firenze ottenne oltre alla custodia militare anche il controllo giurisdizionale su Colle: Firenze avrebbe disposto la riforma degli uffici politici locali, la revisione degli statuti, il controllo del mercato del grano; vennero confermati sia il controllo del cassero (fortificato a spese di Firenze) sia la nomina di fiorentini, sempre su scelta locale, come podestà e capitani; i colligiani ottennero però di non essere «ridotti a contado» di Firenze e di continuare a essere giudicati a Colle. Nel 1360 si dispose che l’elezione (per estrazione) del podestà e del capitano di Colle fosse effettuata direttamente a Firenze. Nel 1365 i colligiani ottennero che ai fiorentini fosse proibito l’acquisto di beni e di proprietà dell’Ospedale di Colle. Nel 1389 la dominante ottenne che i condannati a morte a Firenze fossero consegnati alle sue forze, evitando di poter risiedere a Colle, come era evidentemente in uso60.
25Una varietà di materie, dunque, oggetto di negoziazione. La medesima progressione dalle convenzioni iniziali sull’ordine pubblico al controllo militare e poi a quello giurisdizionale è riscontrabile anche a San Gimignano, in un arco di tempo più breve, tra 1345 e 1359: con qualche significativa variante rispetto a Colle. Nel 1345 furono stese delle norme di reciprocità sui rispettivi banditi e ribelli, e San Gimignano si impegnò a non «turbare» lo stato del contado fiorentino limitrofo. Nel 1349 San Gimignano concesse a Firenze, inizialmente per tre anni, la custodia dell’ordine pubblico, attraverso un capitano fiorentino eletto in loco: in cambio Firenze si impegnò a non costruire un cassero e a non diminuire la giurisdizione civile e criminale del podestà di San Gimignano. Nel 1351 questa iniziale dedizione fu rinnovata per altri 3 anni. All’inizio del 1353 essa fu prorogata di ulteriori 5 anni, e in cambio Firenze concesse numerose amnistie per i sangimignanesi che si erano ribellati nel dicembre del 135261.
26Nell’agosto dello stesso 1353 maturarono però le condizioni per la sottomissione di San Gimignano, proprio in reazione agli eventi dell’anno precedente: la custodia e la giurisdizione su San Gimignano furono affidate a Firenze in perpetuo; fu disposta la riforma degli uffici locali, la revisione degli statuti, la redazione di un nuovo estimo. San Gimignano fu integrata nel contado di Firenze e divenne sede di una lega (circoscrizione territoriale dedita al controllo dell’ordine pubblico62); si dispose la erezione del cassero. I sangimignanesi ottennero ampie esenzioni dalle imposte indirette, la possibilità di immatricolarsi nelle corporazioni a Firenze, l’amnistia dei debiti e delle condanne, l’abolizione del capitano, la nomina del podestà (che poteva essere non fiorentino). La giurisdizione del podestà continuò a essere piena al civile e al criminale solo per i cittadini locali, ma le sentenze divennero appellabili a Firenze. Nel 1359 si dispose che l’elezione (per estrazione) del podestà fosse effettuata direttamente a Firenze63.
27In entrambi gli esempi è evidente la progressione e il tenore asimmetrico della negoziazione, in rapporto alla forza crescente di Firenze. Sarebbe errato però ritenere questi processi come un dato irreversibile, teleologicamente orientato alla costruzione dello stato territoriale. Non solo furono numerosi gli episodi di contestazione e di aperta rivolta al potere di Firenze, ma ciò che appare significativo è il margine di autonomia, più o meno ampia, che fu negoziata dalle comunità assoggettate. Esse mantennero, tanto più quelle cittadine, ampi privilegi ed esenzioni: il governo fiorentino non vi fu mai pieno e totale. Ciò perché l’impianto giurisdizionale e militare del dominio fiorentino era «fragile», gli esiti della sua conservazione per nulla scontati, sempre soggetti a instabilità, nel contesto di una dura competizione tra gli stati che venivano dando forma all’Italia del tardo medioevo.
28Le pratiche della negoziazione e della pattuizione appaiono anche per un piccolo dominio territoriale come quello guidato dal governo cittadino di Firenze, conformato a un modello ideale di grande «contado», lo strumento fondamentale delle politiche di governo. Firenze non puntò a creare uno stato di uffici e di dispiegate funzioni pubbliche, ma un insieme «leggero» di istituzioni e di pratiche di governo che fornisse gli strumenti essenziali e sufficienti per mantenere un dominio territoriale che servisse priorità di carattere politico-militare. L’ordinamento «federativo» che organizzava la pluralità dei protagonisti territoriali si configurava come una scelta politica della dominante commisurata a una consapevole valutazione del rapporto tra risorse economiche, strumenti giuridico-istituzionali e priorità politiche.
29Certamente le contrattazioni furono asimmetriche, ma pur sempre negoziali. Ma per legittimare l’incerto esercizio della sovranità su un dominio eterogeneo e composito, il patto con gli attori politici assoggettati si rivelò lo strumento più adatto per soddisfare l’obiettivo, tutto politico, della conservazione del dominio.
Notes de bas de page
1 La sintesi più recente è W. J. Connell e A. Zorzi (dir.), Florentine Tuscany. Structures and Practices of Power, Cambridge, 2000, di cui è versione più ampia, in lingua italiana, A. Zorzi e W. J. Connell (dir.), Lo Stato territoriale fiorentino (secoli xiv-xv). Ricerche, linguaggi, confronti. Atti del seminario internazionale di studi (San Miniato, 7-8 giugno 1996), Pisa, 2002.
2 Sulle quali la sintesi più recente è quella di I. Lazzarini, L’Italia degli stati territoriali (secoli xiiixv), Bari-Roma, 2003; ma si ricordino i fondamentali contributi di G. Chittolini, La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli xiv e xv, Torino, 1979; id., Città, comunità e feudi negli stati dell’Italia centro-settentrionale ( xiv-xvi secolo), Milano, 1998; id., A. Molho e P. Schiera (dir.), Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, Bologna, 1994.
3 Sul rapporto di potenza tra gli stati rinascimentali italiani, cfr. R. Fubini, «‘Potenze grosse’ e piccolo Stato nell’Italia del Rinascimento. Consapevolezza della distinzione e dinamica dei poteri», in L. Barletta, F. Cardini e G. Galasso (dir.), Il Piccolo Stato. Politica storia diplomazia, San Marino, 2003, p. 91-126.
4 Dei molti studi, cfr. almeno G. A. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton, 1977; D. V. Kent, The rise of the Medici. Faction in Florence, 1426-1434, Oxford, 1978; A. Molho, «Cosimo de’Medici: ‘pater patriae’ or ‘padrino’?», Stanford Italian review, 1, 1979, p. 5-33; A. Brown, The Medici in Florence. The exercise and language of power, Firenze, 1992; F. W. Kent, Lorenzo de’ Medici and the art of magnificence, Baltimore, 2004; e ora J. Najemy, A history of Florence 1200-1575, Oxford, 2006, p. 250-373.
5 Cfr., rispettivamente, C. M. Cipolla, Il fiorino e il quattrino. La politica monetaria a Firenze nel 1300, Bologna, 1982, p. 106; A. Molho, Florentine public finances in the early Renaissance, 1400-1433, Cambridge (MA), 1971, p. 9-11; M. Luzzati, Firenze e la Toscana nel Medioevo. Seicento anni per la costruzione di uno stato, Torino, 1986, p. 171-172.
6 Cfr. A. Zorzi, «La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino: pratiche, uffici, ‘costituzione materiale’», in A. Zorzi e W. J. Connell (dir.), Lo Stato territoriale fiorentino, p. 197-199, in particolare.
7 Cfr., rispettivamente, M. B. Becker, Florence in transition, Baltimore, 1967-1968, t. I, p. 74, e t. II, p. 52; A. Molho, «The Florentine oligarchy and the ‘balìe’ of the late Trecento», Speculum, 43, 1968, p. 39; id., Florentine public finances, p. 20.
8 Sulle congiunture economiche dell’economia della Toscana fiorentina, cfr. almeno P. Mala nima, «La formazione di una regione economica: la Toscana nei secoli xiii-xv», Società e storia, 20, 1983, p. 229-269; id., «Teoria economica regionale e storia: il caso della Toscana (xiii-xvi secolo)», Quaderni del Dipartimento di storia della società e delle istituzioni. Facoltà di scienze politiche. Università degli studi di Milano, 2, 1996, p. 133-148; M. Tangheroni, «Il sistema economico della Toscana nel Trecento», in S. Gensini (dir.), La Toscana nel secolo xiv. Caratteri di una civiltà regionale, Pisa, 1988, p. 41-66; G. Pinto, «L’economia della Toscana nella seconda metà del Duecento», in id., Toscana medievale. Paesaggi e realtà sociali, Firenze, 1993, p. 13-24; S. R. Epstein, «Cities, regions and the late medieval crisis: Sicily and Tuscany compared», Past and present, 130, 1991, p. 3-50; id., «Town and country in late medieval Italy: economic and institutional aspects», Economic history review, s. II, 46, 1993, p. 453-477; id., «Strutture di mercato», in A. Zorzi e W. J. Connell (dir.), Lo Stato territoriale fiorentino, p. 93-134; e W. R. Day jr., «Population growth and productivity: rural-urban migration and the expansion of the manufacturing sector in thirteenth century Florence», in B. Blondé, E. Vanhaute e M. Galand (dir.), Labour and labour markets between town and countryside, middle ages-19th century, Turnhout, 2001, p. 82-110.
9 Sulla trasformazione dell’esercito fiorentino, cfr. D. Waley, «The army of florentine republic from the twelfth to the fourteenth century», in N. Rubinstein (dir.), Florentine studies. Politics and society in Renaissance Florence, London, 1968, p. 70-108; e D. De Rosa, «Il controllo politico di un esercito durante il medioevo: l’esempio di Firenze», in F. Cardini e M. Tangheroni (dir.), Guerra e guerrieri nella Toscana medievale, Firenze, 1990, p. 93-123.
10 Cfr., per Prato, I capitoli del comune di Firenze. Inventario e regesto, t. I, a cura di C. Guasti, Firenze, 1866, t. I, p. 28-30; per Arezzo, ibid., p. 373-379 e 387-397; per Livorno, M. Luzzati, Firenze e la Toscana nel Medioevo, p. 180.
11 G. Chittolini, La formazione dello Stato regionale, p. 293.
12 Cfr. A. Zorzi, «Lo Stato territoriale fiorentino (secoli xiv-xv): aspetti giurisdizionali», Società e storia, 13, 1990, p. 800-801.
13 A. Zorzi, «La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino», p. 195-197 e 200-201.
14 M. Luzzati, Firenze e la Toscana nel Medioevo, p. 171-172.
15 Per gli svolgimenti, cfr. ibid., p. 185-188.
16 Sui castelli di confine, cfr. A. Zorzi, «L’organizzazione del territorio in area fiorentina tra xiii e xiv secolo», in G. Chittolini e D. Willoweit (dir.), L’organizzazione del territorio in Italia e in Germania: secoli xiii-xiv, Bologna, 1994, p. 345-347. Più in generale, cfr. anche P. Pirillo, Costruzione di un contado. I fiorentini e il loro territorio nel basso medioevo, Firenze, 2001. Sul confine tra Firenze e Siena, cfr. in particolare D. Balestracci, «Castrum de Summofonte et eiusdem homines pro inimicis tenebo. Siena, la guerra di Semifonte e la definizione territoriale della Toscana meridionale», in P. Pirillo (dir.), Signori, comunità e centri di nuova fondazione. Semifonte in Val d’Elsa nel quadro delle nuove fondazioni dell’Italia medievale (1202-2002), Firenze, 2004, p. 145-153.
17 Là dove si constatava come il dominio fosse ormai composto di plurima non solum castella [come era stato fino all’acquisto di Arezzo] sed etiam civitates: Archivo di Stato di Firenze [successivamente ASFi], Statuti del comune di Firenze, 23, Codex membranaceus archetypus statutorum populi florentini, ex publica recensione <anni> MCCCC<VIII>, c. 1r, rub. De origine iuris.
18 Limitata ad alcune aree appenniniche (dalla Lunigiana al Casentino). Sulla politica antifeudale di Firenze nei confronti dei domini signorili in queste zone, cfr. G. Chittolini, La formazione dello Stato regionale, p. 321-324; P. Pirillo, Costruzione di un contado, p. 39-53, e M. Bicchierai, Ai confini della Repubblica di Firenze. Poppi dalla signoria dei conti guidi al vicariato del Casentino (1360-1480), Firenze, 2005.
19 Su questo punto, cfr. D. Herlihy e C. Klapisch-Zuber, Les toscans et leurs familles. Un étude du catasto florentin de 1427, Parigi, 1978, p. 165-188.
20 Cfr. M. Ascheri, «I giuristi e Firenze, ‘mater omnis eloquentiae’: qualche spunto dal Tre al Quattrocento», in id., Diritto medievale e moderno. Problemi del processo, della cultura e delle fonti giuridiche, Rimini, 1991, p. 139-145.
21 Sul dominio come contado, ho approfondito in A. Zorzi, «L’organizzazione del territorio in area fiorentina tra xiii e xiv secolo», p. 345-349; e id., «La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino», p. 219-221.
22 Di cui sono in certo qual modo sintesi quelle raccolte in A. Zorzi e W. J. Connell (dir.), Lo Stato territoriale fiorentino.
23 Per approfondimenti: A. Zorzi, «La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino», p. 208-210. Cfr. ora anche L. Tanzini, Alle origini della Toscana moderna. Firenze e gli statuti delle comunità soggette tra xiv e xvi secolo, Firenze, 2007.
24 Sui pisani, cfr. G. Petralia, «‘Crisi’ ed emigrazione dei ceti eminenti a Pisa durante il primo dominio fiorentino. L’orizzonte cittadino e la ricerca di spazi esterni (1406-1460)», in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, Firenze, 1987, p. 291-352; G. Petralia, «Pisa laurenziana: una città e un territorio per la conservazione dello ‘stato’», in R. Fubini (dir.), La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifico. Politica economia cultura arte, Pisa, 1996. t. III, p. 955-980. Sui pistoiesi, cfr. L. Chiappelli, «Studi storici pistoiesi. I Pistoiesi andati come rettori in altri Comuni fino al secolo xvi», Bullettino storico pistoiese, XVIII, 1916, p. 78-113 e 149-192; XIX, 1917, p. 1-44 e 89-100.
25 Cfr. A. Zorzi, «Giusdicenti e operatori di giustizia nello Stato territoriale fiorentino del xv secolo», Ricerche storiche, 19, 1989, p. 546-550.
26 Cfr. R. Fubini, «Antonio Ivani da Sarzana: un teorizzatore del declino delle autonomie comunali», in Egemonia fiorentina ed autonomie locali nella Toscana nord-occidentale del primo Rinascimento: vita, arte, cultura, Pistoia, 1979, p. 113-164.
27 Cfr. P. Viti (dir.), Leonardo Bruni, cancelliere della repubblica di Firenze, Firenze, 1990.
28 Cfr. A. Brown, Bartolomeo Scala, 1430-1497. Chancellor of Florence, Princeton, 1979.
29 Approfondimenti nel mio A. Zorzi, «La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino», p. 206-208.
30 Ulteriori approfondimenti ibid., p. 215-217 e 220.
31 Cfr. A. Malvolti, Quelli della volta. Famiglie e fazioni a Fucecchio nel Medioevo, Fucecchio, 1998, p. 96-103, anche per quanto qui di seguito.
32 Su faide e fazioni negli stati territoriali italiani, cfr. A. Torre, «Faide, fazioni e partiti, ovvero la ridefinizione della politica nei feudi imperiali delle Langhe tra Sei e Settecento», Quaderni storici, n. s., 63, 1986, p. 775-810; O. Raggio, Faide e parentele. Lo stato genovese visto dalla Fontanabuona, Torino, 1990; id., «Visto dalla periferia. Formazioni politiche di antico regime e stato moderno», in M. Aymard (dir.), Storia d’Europa, III, L’età moderna, Torino, 1994, p. 515-521; A. Zorzi, «‘Ius erat in armis’. Faide e conflitti tra pratiche sociali e pratiche di governo», in G. Chittolini, A. Molho e P. Schiera (dir.), Origini dello Stato, p. 623-626; A. Gambe rini, «La faida e la costruzione della parentela. Qualche nota sulle famiglie signorili reggiane alla fine del medioevo», Società e storia, 94, 2001, p. 659-677; e ora M. Gentile (dir.), Guelfi e ghibellini nell’Italia del Rinascimento, Roma, 2005.
33 Cfr. W. J. Connell, La città dei crucci. Fazioni e clientele in uno Stato repubblicano del ‘400, Firenze, 2000, p. 97-101; e M. Dedola, «‘Tener Pistoia con le parti’. Governo fiorentino e fazioni pistoiesi all’inizio del ‘500», Ricerche storiche, 22, 1992, p. 239-259.
34 Riprendo l’esempio già addotto in A. Zorzi, «Giusdicenti e operatori di giustizia nello Stato territoriale fiorentino del xv secolo», p. 536-537.
35 Sui rettori fiorentini nel territorio, cfr. ibid e A. Zorzi, «Gli ufficiali territoriali dello Stato fiorentino (secc. xiv-xv)», Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, s. IV, Quaderni, 1, Pisa, 1997, p. 191-212; e L. de Angelis, «Ufficiali e uffici territoriali della repubblica fiorentina tra la fine del secolo xiv e la prima metà del xv», in A. Zorzi e W. J. Connell (dir.), Lo Stato territoriale fiorentino, p. 73-92.
36 Sulla revisione degli statuti cfr. E. Fasano Guarini, «Gli statuti delle città soggette a Firenze tra ‘400 e ‘500: riforme locali e interventi centrali», in G. Chittolini e D. Willo weit (dir.), Statuti, città, territori in Italia e in Germania tra medioevo ed età moderna, Bologna, 1991, p. 69-124; e ora e L. Tanzini., «Un aspetto della costruzione della Stato territoriale fiorentino: il registro di approvazioni degli statuti del dominio (1393-1403)», Società e storia, 28, 2005, p. 1-36.
37 Come aveva già evidenziato G. Chittolini, La formazione dello Stato regionale, p. 303-305.
38 Aspetti sui quali ha fatto luce L. Tanzini, Alle origini della Toscana moderna, p. 73-94, in particolare.
39 Una prima analisi è in G. Chittolini, La formazione dello Stato regionale, p. 311-312 e 316-317.
40 Quelli dei comuni di Bibbona (1407, volgarizzati nel 1414), Bientina (1416), della Valle di Buti (1411), Campiglia (1407 e 1411), Capannoli (1420), Cascina (1407), Castagneto (1421), Castiglion della Pescaia (1418), Cecina (1409), Collegoli (1407), S. Maria al Trebbio (1407), Donoratico (1407), Guardistallo e Montescudaio (1408 e 1414), Pontedera e Calcinaia (1408 o 1409, e 1417), Rosignano (1407), Treggiaia (1407), Vicopisano (1406-1407, e 1418), delle podesterie di Cascina (1415), Crespina (1406), Crespina e Lorenzana (1414), Lajatico (1416), Marti (1407, 1410, e 1416), Palaia (1407, 1409 e 1424), Peccioli (1407), Peccioli e Lari (1423), Ponsacco (1407 e 1419), Ripafratta (1407), della lega di Calci (1411 e 1418) e del vicariato di Lari (1415). I codici degli statuti sono raccolti, per località, nel fondo dell’ASFi, Statuti delle comunità soppresse [successivamente SCAS], di cui ha condotto un primo censimento Lorenzo Tanzini nell’ambito di una ricerca su Le fonti normative in Toscana nel basso medioevo finanziata dal Dipartimento di Studi storici e geografici dell’Università di Firenze. Di questi testi 13 sono in latino, vale a dire quelli dei comuni di Campiglia (1407), Cascina (1407), Castiglion della Pescaia (1418), Crespina (1406), Donoratico (1407), della podesteria di Marti (1407 e 1410), Palaia (1407 e 1409), Peccioli (1407), Ripafratta (1407), S. Maria al Trebbio (1407) e del vicariato di Lari (1415). Si noti come essi siano concentrati tutti nell’arco di tempo 1407-1418, dopo il quale si passò a redigere i testi solo in volgare.
41 Quelli dei comuni di Bientina (1449), Calcinaia (1441), Calci Montemagno e Uliveto (1447) e Vecchiano e San Frediano (1429) e delle podesterie di Lari Crespina e Rasignano (1439), Peccioli (1446) e Vicopisano (1447 o 1448).
42 ASFi, SCAS, 552: il testo è costituito da un libro unico, alle cc. 27r-37v, di 48 rubriche, soprattutto in materie giudiziarie e processuali. Alle cc. 1r-18r è il testo del citato statuto, sempre in latino, del 1407, di 54 rubriche in materia di uffici locali, cause penali e danni dati.
43 Cfr. ibid., cc. 38r-39v (1409), 74v-76v (1412), 76v-77r (1413), 82r-84r (1416), 92r-93r (1418), 103r-104r (1440), 105r-106r (1446), 112r (1451), 114r-v (1456), 123r-v (1461), 131r-132v (1467), 135r (1472), 143r (1473), 148r-150r (1478), 153v (1492), 156v (1489), 157v (1492).
44 Cfr. ibid., cc. 68r-74r (1412), 78r-81v (1416), 87r-91v (1418), 98r-102v (1440), 107r-110r (1445), 115r-121r (1456), 124r-129r (1467), 129v-130v (1467), 134r-135r (1471), 144r-146r (1472), 137r-142v (1478), 155r-156v (1489), 157r (1492), 153r (1492).
45 ASFi, SCAS, 553: il testo non è la volgarizzazione del primo, ma una nuova redazione distinta in 5 libri (rispettivamente: I, di 11 rubriche, sugli uffici locali; II, di 33 rubriche, sulle cause civili; III, di 11 rubriche sulle cause criminali; IV, di 29 rubriche sui danni dati; V, di 10 rubriche sulle materie straordinarie).
46 Cfr. ibid., cc. 31r-32r (1425), 32v (1426), 37r-39r (1440), 61r-69v (1510), 74v-75v (1510), 70v-71v (1513), 72r-73v (1515), 76r (1516), 53r-v (1517), 77r-78r (1518), 78v-79v (1519), 79v-80r (1519), 81r-83r (1525), 83v-85r (1529), 85v-86r (1532), 86v-87v (1535), 89r-90r (1540), 91r-v (1540), 95r-v (1545), 99v-101v (1547), 104r-v (1549).
47 Cfr. ibid., cc. 33r-34r (1426), 39v-40r (1440), 74r (1504), 69v-70r (1510), 75v (1510), 71v-72r (1513), 73v (1515), 76v (1516), 53v (1517), 78r (1518), 80r (1519), 81r (1524), 83r (1525), 85r (1529), 86v (1532), 88r (1535), 90v-91r (1540), 91v (1540), 96r (1545), 101v (1547), 105r (1549).
48 ASFi, SCAS, 713: il testo è costituito da 5 libri (rispettivamente: I, di 11 rubriche sugli uffici locali; II, di 20 rubriche, sulle cause civili; III, di 30 rubriche, sui malefici; IV, di 23 rubriche, sulle materie straordinarie; V, di 8 rubriche, sui danni dati.
49 Cfr. ibid., cc. 22v-24v (1407), 30v-35r (1410), 44r-46r (1414), 55r-56v (1415), 62r-63r (1419), 76r-v (1425), 77r-v (1435), 86r-87r (1440), 99r-100v (1445), 109r-100v (1451), 113r-v (1456), 127r-v (1456), 142r-v (1461), 133r-v (1466), 141r (1471), 145r (1473), 156r-v (1476), 153v-154r (1476), 147r (1476), 158v (1489), 162r-v (1491), 163r (1494), 163v (1512), 175v (1516), 181v (1519), 184r (1520), 186v (1521), 187r-v (1521), 189v-190r (1523), 193v (1525), 196v (1528), 209r (1531), 22v-223r (1535), 232r-v (1538), 234v-235r (1541), 239v (1543), 247r-248r (1546), 248r (1547), 250r (1550).
50 Cfr. ibid., cc. 25r-30v (1410), 36r-43v (1414), 47r-54v (1415), 59r-61v (1419), 66r-75v (1425), 78r-85v (1435), 88r-91r (1440), 95r-97v (1445), 101r-108v (1451), 114r-119r (1456), 125r-126 (1456), 129r-132r (1461), 134r-137v (1466), 121r-123r (1470), 138r-139v (1471), 143r-145r (1473), 154v-156r (1476), 148r-149r (1476), 157r-158v (1488-1489), 159r-v (1491), 162v-163r (1494), 164r-175r (1515), 160r-161r (1517), 181r-v (1519), 182r-183v (1520), 185r-186r (1521), 197r (1521), 188r-189v (1523), 190v-193v (1525), 194r-196v (1528), 199r-208v (1530), 219r-222v (1535), 229r-232v (1538), 233r-234r (1541), 235v-239v (1543), 246r-v (1544), 249r-v (1550).
51 Cfr. C. Klapisch-Zuber, Una carta del popolamento toscano negli anni 1427-1430, Milano, 1983, p. 48.
52 Cfr. ASFi, SCAS, 468, cc. 33r (1470), 34v (1474), 36r-v (1479), 35v (1506), 42v-43r (1488), 45v (1489), 46v-47r (1491), 50r (1493), 50v (1494), 51r (1504), 53r (1507), 53r-v (1515), 53v (1521), 55r (1520), 56v (1522), 57v (1523), 57v (1524), 58r (1525), 55r (1526), 58r (1527), 58v (1531), 58v (1532), 60v (1533), 61v (1535), 61v (1536), 63r (1537), 64v (1538), 64v (1539), 65r (1540), 65r (1541), 65v (1642), 65v (1543), 66r (1544), 67r (1545), 67r (1546), 68r (1547), 68v (1548), 69v (1549), 70r (1550).
53 Cfr. ibid., cc. 34r (1474), 35r-v (1479), 40r-42v (1488), 44v-45v (1489), 46r-v (1490), 47r-48v (1491), 52r-v (1507), 54r-v (1518), 56r (1522), 56v-57r (1523), 59r-60r (1533), 61r (1535), 62r-v (1537), 64r (1538), 66v (1545), 67v (1546), 69r-v (1549).
54 Come ha osservato L. Mannori, Il sovrano tutore. Pluralismo istituzionale e accentramento amministrativo nel principato dei Medici, Milano, 1994, p. 17, 23 e 37 sgg.
55 Ibid., p. 21.
56 Si dispone di un regesto a stampa in due volumi dei primi 16 registri: I capitoli del comune di Firenze. Inventario e regesto, a cura di C. Guasti, Firenze, 1866 e 1893.
57 Una legge («provvisione») del 1414 ne illustra articolatamente i contenuti: Inter alia pro infrascriptis causis, videlicet: pro aliqua pace, liga, unione, submissione alicuius terre, castri seu loci: emptione alicuius terre, castri seu loci seu iurisdictionis: accomandisia, fine vel remissione […], declaratione confinium […], compromisso, laudo, conducta […], promissione vel fideiussione pro aliquo, nomine communis, vel ab aliquo pro communi, concessionibus vel privilegiis ipsi communi factis vel concessis et generaliter pro aliis quibuscumque scripturis que stipulatione vallate forent (cito da C. Guasti, «Prefazione» a I capitoli del comune di Firenze, p. VIII).
58 Cfr. ibid., p. III-X; e R Fubini, «Classe dirigente ed esercizio della diplomazia nella Firenze quattrocentesca. Rappresentanza esterna e identità cittadina nella crisi della tradizione comunale», in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, p. 117-189.
59 Cfr. C. Guasti, «Prefazione», p. IV.
60 Cfr. I capitoli del comune di Firenze, p. 253-268.
61 Ibid., p. 288-300.
62 Sulle leghe, cfr. A. Zorzi, «L’organizzazione del territorio in area fiorentina tra xiii e xiv secolo», p. 341-343.
63 I capitoli del comune di Firenze, p. 302-307.
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Università di Firenze
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